giovedì 26 giugno 2014

Ecco il bestiario delle tasse dall’ombra al fungo per spremerci centosette volte. - Salvatore Cannavò

Non solo è una sfida capire quante sono nella loro totalità le imposte da pagare, ma anche gli stessi adempimenti tributari ci costano caro. La consulenza fiscale in Italia è la più costosa di altri paesi europei. Niente sfugge al fisco, mentre si moltiplicano le imposizioni più assurde.
L’ impresa eccezionale per un contribuente è sapere quante sono le tasse da pagare. Un elenco ufficiale non esiste. Il ministero dell’Economia e Finanze, alla richiesta via mail, non ha saputo rispondere: “Quante? Bella domanda”. Qualche tempo fa l’ex ministro Giulio Tremonti, all’inizio della sua inconcludente carriera legislativa, di tasse complessive ne ha contate 107. Le associazioni dei consumatori e delle imprese parlano genericamente di cento, ma non ci sono certezze. Intanto, le tasse sono tutte lì: tante, complicate, introvabili.
La seconda impresa è riuscire a pagarle. Nel dossier sui Balzelli d’Italia, la Confesercenti, non ha solo pubblicato Il Bestiario delle 100 tasse che fanno tribolare imprese e famiglie ma ha fornito un dato poco noto. Pagare le tasse, riuscire cioè a mettersi in regola con il fisco, ha un costo considerevole: gli adempimenti tributari ammontano a circa 18 miliardi di euro l’anno. Chi esercita un’attività in Italia paga 4. 495 euro contro i 1. 320 dei francesi, i 1. 290 dei britannici, i 1. 210 dei tedeschi. Soldi che finiscono nelle tasche della consulenza fiscale, pervasiva e avvolgente.
L’impresa di sopravvivere. La terza impresa è sopravvivere. Per essere travolti da balzelli, gabelle, imposizioni improbabili o vere e proprie truffe, basta stare fermi. Al di là dell’Irpef, l’Irpeg, l’Irap o l’Iva esistono le tasse “assurde”, conosciute solo quando ci si inciampa sopra. Come la tassa sull’ombra che scatta quando la tenda di un locale invade il suolo pubblico. Oppure la tassa sugli spettacoli nei pubblici esercizi, la tassa sulle concessioni. La tassa per iniziare lavori edilizi, la tassa sulle cambiali. A i privati si applica la tassa sui gradini, dovuta quando le case hanno l’accesso dalla pubblica via. I lavoratori dipendenti, poi, subiscono una tassa occulta, il Fiscal drag: l’imposizione aumenta all’aumento dello stipendio senza considerare il contestuale aumento dell’inflazione.
Le tasse si pagano non appena si mette il piede fuori di casa. Letteralmente. Esiste, infatti, la tassa sui passi carrai, i varchi aperti sui marciapiedi per uscire dalle abitazioni. Si determina moltiplicando la larghezza del passo per un metro lineare convenzionale. Per uscire in auto, però, bisogna avere la patente per il cui rilascio occorrono ben cinque versamenti postali e un certificato, naturalmente in bollo. Non basta. C’è anche la tassa di iscrizione al Pubblico registro automobilistico (il Pra), importo che le province possono aumentare fino al 30 % (solo Bolzano, Aosta, Trento e Prato non lo hanno fatto). C’è il bollo dell’auto, il costo della targa, i diritti del Dipartimento Trasporti terrestri e, se si sceglie di comprare un’auto usata, il passaggio di proprietà. Con uno scooter cambia poco. Meglio andare a piedi o in bicicletta. Anche perché al primo distributore di benzina potremmo imbatterci nelle micidiali accise.
La benzina dell’Abissinia
L’ultima rilevazione del ministero dello Sviluppo economico, della scorsa settimana, segnala che il prezzo medio della benzina è di 1, 754 euro; l’accisa interviene per 0, 728 centesimi e l’Iva per i restanti 0, 304. Senza le imposte la benzina costerebbe 721 centesimi al litro. Il 41 % se ne va in accisa, cioè l’imposta che si è accumulata nel tempo sommando spese straordinarie sostenute dai vari governi. Fu la guerra in Abissinia di Mussolini a far aumentare di colpo il prezzo della benzina nel 1935, poi sono venute la crisi di Suez, il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze, il Belice e tutti gli altri terremoti fino a quelle emiliano. Ma nella voce vengono conteggiati anche il contratto degli autoferrotranvieri, le missioni all’estero o l’emergenza immigrati. L’intera storia italiana passa dalla pompa al nostro serbatoio e si fa pagare cara.
Lasciamo stare, quindi, la benzina. Torniamo a casa e portiamo a spasso il cane. Putroppo il governo Monti, nel 2012, ha provato a istituire un’imposizione anche sul possesso di animali ma ha dovuto fare marcia indietro cause proteste. La legge, però, prevede la facoltà di imposizione per i comuni i quali ora, in tempi di magra, stanno pensando seriamente di introdurre l’imposta. Meglio lasciare il cane a casa e andare in banca a occuparci dei nostri risparmi. Magari per aprire un conto corrente “a costo zero”, finalmente qualcosa di gratis. Ci si mette poco, però, a scoprire che al “costo zero” occorre aggiungere l’imposta minima di 34, 2 euro più lo 0, 15 % delle somme depositate se si apre un conto deposito (su cui sono conservati i titoli). Se poi acquistiamo o vendiamo titoli azionari, scatta la la Tobin tax con lo 0, 12 % di imposizione.
Via anche dalla banca. Andiamo alla posta, ci sono le bollette. che attendono. Siamo stati molto attenti con i consumi, abbiamo utilizzato al minimo le forniture. Ma nella tariffa del gas le tasse incidono per il 43 % mentre per l’energia elettrica le imposte pesano per il 13, 29 %. La bolletta Enel, però, comprende anche i “servizi di rete” che incidono per il 33, 44 % e comprendono i i costi per gli incentivi alle fonti rinnovabili, la promozione dell’efficienza energetica, gli oneri per la messa in sicurezza del nucleare, i regimi tariffari speciali per le Fs, le compensazioni per le imprese elettriche minori, il sostegno alla ricerca di sistema. Un diluvio di tasse nascosto in bolletta. Su cui,dulcis in fundo, si paga anche l’Iva. La tassa sulla tassa. Il giochetto viene ripetuto per le tassazioni locali, ad esempio la Tares, che vengono rubricate come “tariffe” in modo da aggirare il divieto.
Casa cara casaVia anche dalla posta. Dove andare? A cercar funghi si deve pagare il bollettino postale. A casa c’è il canone Rai anche se la Rai non la si guarda mai. E poi sulla l’accanimento sfiora il sadismo. Prima dell’Imu, infatti, abbiamo già pagato la tassa per l’acquisto (3 % se è un’abitazione principale), l ’ imposta ipotecaria e quella catastale. Oltre al costo del notaio. Se l’avessimo presa in affitto avremmo pagato l’imposta di registro mentre la proprietà concorre a formare il reddito complessivo. Sulla casa, infine, si paga la Tares, la tassa sui rifiuti che si calcola sui metri quadri.
Tasse ovunque, tasse di ogni tipo. Per seppellire i defunti e accendere i lumini. Per fare un biglietto aereo o sbarcare in un porto. Anche per soggiornare in Italia. La tassa per i comuni con centrali nucleare anche se il nucleare non c’è più. Le tasse sul fumo, sulla sigaretta elettronica e sugli alcolici. Non si può nemmeno provare a impietosire le autorità perché si pagherebbe la tassa sulle suppliche, quella per “istanze, petizioni, ricorsi diretti agli uffici dell’amministrazione dello Stato tendenti ad ottenere l’emanazione di un provvedimento”. Tra le imposizioni improvvise va compresa anche la giustizia: per un ricorso ai tribunali si paga in base al valore dei processi, da 33 a 1.200 euro. Esiste l’imposta sulla birra e quella sui giochi; le concessioni governative e la tassa per studiare; i diritti alle Camere di commercio e la tassa sulle affissioni, l’imposta sugli spiriti e quella sugli zuccheri. Non si può nemmeno inventare un sistema alternativo: esiste, infatti, anche la tassa “sulle invenzioni” per brevettare nuove scoperte. Oltre ai diritti di brevetto ci sono quelli di segreteria e l’immancabile marca da bollo. Anche il desiderio di cambiare le cose è sottoposto al balzello.

Fondi europei, il tesoretto di D’Alema: alla sua Fondazione 3 milioni di euro l’anno. Salvatore Cannavò

Massimo D'Alema


L'ex presidente del Consiglio guida la Foundation for European Progressive Studies (Feps), che dal 2008 ha ricevuto dall'Ue 16,7 milioni di euro. La dirige fin dalla nascita e al suo interno ha portato sempre una cerchia ristretta di fedelessimi.
Ad Alan Friedman che lo intervista per La7Massimo D’Alema risponde orgoglioso: “Abbiamo fatto questa fondazione, legata al Parlamento europeo, sul modello tedesco, e io ne sono il presidente”. La fondazione in questione è la Feps, Foundation for European Progressive Studies, pensatoio del progressismo europeo, più prosaicamente, l’area dei socialisti europei. D’Alema ne è il presidente fin dalla nascita, nel 2008-2009 e, come vedremo, al suo interno ha portato sempre una cerchia ristretta di fedelessimi.
Il “modello europeo” significa, di fatto, il finanziamento pubblico da cui, come le fondazioni dei partiti in Germania, proviene la maggior parte dei fondi. Nel caso in questione, il finanziamento europeo, circa 3 milioni di euro l’anno, copre, come da regolamento, l’85 per cento delle spese documentate, lasciando ai soci fondatori delle fondazioni sovranazionali l’onere di recuperare il restante 15 per cento.
Dalle casse di Bruxelles, dal 2008 a oggi, i soldi affluiti nelle casse della Peps ammontano a 16,7 milioni di euro. Per il 2014 la previsione di entrata è di 3.086.695 euro che andrà poi confermata nella seconda metà dell’anno. Negli anni precedenti lo scarto tra quanto previsto e quanto poi effettivamente incassato è sempre stato molto minimo. Nel 2012, ultimo anno di liquidazione accertata, le entrate furono di 2.794.525 euro e l’anno precedente 2.709.255. Cifre in rapida ascesa rispetto ai fondi di inizio avventura: nel 2008, infatti la Feps ebbe dall’Europa “solo” 1.208.436 euro ma erano riferiti solo a una parte dell’anno.
Come ovvio, questi soldi non sono di proprietà diretta di Massimo D’Alema che, in quanto presidente di una Fondazione pluri-nazionale e pluri-partitica è solo il rappresentante ufficiale. Nel team che lavora alla Feps, ad esempio, c’è solo un italiano, il segretario generale viene dal potente sindacato tedesco, Dgb, i fondi sono destinati per un terzo agli stipendi, ma una buona fetta, 1.162.727 euro, sono stati spesi per “Meeting e costi di rappresentanza”, quindi orientati dal presidente.
Per ottenere i finanziamenti il regolamento prescrive che, oltre ad avere personalità giuridica “diversa da quella del partito” e non “promuovere fini di lucro”, la fondazione deve “essere affiliata a un partito politico a livello europeo riconosciuto dal regolamento” e deve avere un “organo di gestione con una composizione equilibrata a livello geografico”. Il rapporto con i partiti, quindi, esiste e non esiste, nella classica sfumatura di grigio che si utilizza in questi casi. Formalmente siamo di fronte a un progetto dal profilo culturale che vede come partner le fondazioni culturali di tutti i paesi europei, alcune molto illustri come la Fabian Society inglese, la francese Jean Jaurèso l’Olof Palme International centre svedese. L’affiliazione a un partito, in questo caso il Pse – che, come vedremo ha i suoi fondi – è però decisiva e solo l’abilità dell’ex segretario Ds è riuscita a portare la fondazione nella propria orbita esclusiva.
La mano di D’Alema è evidente nella cerchia di sigle e uomini che figurano nella Feps. Nel “bureau” della fondazione, oltre al presidente, ai vice-presidenti, ai membri di ufficio ci sono i rappresentanti delle fondazioni nazionali. Tra questi, come segretario di ItalianiEuropei, c’è Andrea Peruzy, che costituisce un solido braccio destro dell’ex presidente del Consiglio tale da aver fatto parte di consigli di amministrazione importanti come l’Acea di Roma, da cui è uscito, o la Banca del Mezzogiorno creata da Giulio Tremonti. Le altre fondazioni che affiancano quella di D’Alema, e di Giuliano Amato, costituiscono una sorta di “unità della sinistra” in sedicesimo: la Fondazione Socialismo presieduta dall’ex craxiano Gennaro Acquaviva, il Centro per la Riforma dello Stato, fondata da Pietro Ingrao, lo storico Istituto Gramsci, ma anche l’associazione Bruno Trentin di proprietà della Cgil. Per ognuno di queste componenti c’è un posto nel Consiglio scientifico della Peps: da segnalare, sempre per ItalianiEuropei, la presenza del viceministro allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, dal peso politico oggi rilevante soprattutto nelle crisi industriali.
La fondazione dalemiana non è l’unica a ricevere fondi europei. Tutte le varie componenti godono del ricco privilegio. La più ricca è quella del Ppe, Martins Centre con circa 4,5 milioni di euroall’anno; i liberali, con il Liberal Forum, ne ricevono 1,3 mentre i Verdi, con la Green Europe Foundation, arrivano a 927 mila euro l’anno. Anche la sinistra “radicale” ha i suoi fondi con la fondazione Trasform, che ha un suo corrispettivo in Italia la cui attività, da quanto risulta dal sito, non è consultabile.
Nel bilancio europeo, relativo al 2014, sono stati stanziati, per tutte le fondazioni, oltre 14 milioni di euro. A questi vanno aggiunti i 27,7 milioni destinati, invece, ai partiti europei, quelli cioè che sono rappresentati “in almeno un quarto degli stati membri da membri del Parlamento europeo o da membri dei parlamenti nazionali o regionali”. Il più grande, il Ppe, riceverà per quest’anno circa 9,5 milioni di euro, il Pse ne prenderà 6,3, i Verdi 1,9 mentre 1,2 milioni di euro andranno al Partito della sinistra europea di cui fa parte Rifondazione comunista. Ma ci sono anche i 2,8 milioni per i liberali e l’1,9 per i Conservatori e Riformisti. Ci sono 650 mila euro annui che vanno al Partito democratico di François Bairou e Francesco Rutelli (oltre a 300 mila euro alla loro fondazione), 454 mila euro all’Alleanza europea per la libertà di Marine Le Pen e Matteo Salvini. Anche per loro l’Europa è una manna dal cielo.

Rc Auto, oltre la media europea il 95 % delle polizze assicurative.



Lo annuncia il presidente dell’Ivass. La media del costo delle polizze in Italia è di 500 euro. E il prezzo sale di circa 100 euro se si vive in una grande città.


I prezzi delle polizze Rc Auto in Italia sono superiori alla media europea. Un problema, fa sapere il presidente dell’Ivass Salvatore Rossi nelle considerazioni sull’attività del 2013, ancora «irrisolto dopo tanti anni» e dovuto, con ogni probabilità, anche alla mancata riforma del settore dovuta al cambio di governo. Solo il 5 per cento degli assicurati, continua Rossi «paga un premio paragonabile a quello medio europeo di 250 euro», con il prezzo medio effettivo pari in Italia a 500 euro nel primo trimestre dell’anno (se pur con un calo del 3,8 per cento). La mediana invece è di 450 euro (-3,4%).  

Il prezzo sale, in media di oltre 100 euro, se l’assicurato vive in una grande città e scende con l’età. Chi in passato ha avuto incidenti può arrivare a pagare il triplo di chi non ne ha avuti. Infine il prezzo sale con il grado di concentrazione del mercato, che varia da provincia a provincia (a Caserta, solo per fare un esempio, la concentrazione è più che tripla rispetto a Teramo). A livello aggregato i primi cinque gruppi detengono il 70 per cento del mercato. È da notare che nel settore del credito le prime cinque banche detengono invece meno della metà della raccolta.  

Il settore delle Rc Auto, spiega ancora il presidente dell’Ivass, ha avuto una contrazione record pari al -8 per cento. Una dinamica negativa dovuta alla crisi: spostarsi in auto costa e il suo utilizzo si riduce molto, insieme al calo del numero dei sinistri (-30 per cento negli ultimi 4 anni). Sale invece il costo medio totale di ciascun sinistro da 3900 a 4700 euro per i maggiori accantonamenti. 

Entro il 2015- fa sapere Rossi - sarà anche creata la banca dati unica anti frode nel mercato Rc Auto (Aia). «La lotta alle frodi - spiega - così diffuse nel mercato RC auto, è il principale presupposto di una stabile riduzione dei prezzi». Il progetto Aia ha interconnesso finora 5 banche dati (Motorizzazione civile Ania, Pra, Consap, Ivass) e sta proseguendo il suo cammino. Entro l’anno saranno interconnessi altri archivi rilevanti e entro il 2015 l’opera sarà compiuta. Si punta a coinvolgere anche quattro ministeri (Economia, Sviluppo, Trasporti, Interni), la Banca d’Italia, il Casellario centrale infortuni, l’ufficio centrale italiano «L’obiettivo - aggiunge - è ricavare un numero per ogni sinistro denunciato, che esprima la probabilità di frode. Una valutazione basata sulla storia pregressa del veicolo e di tutti i soggetti coinvolti: proprietario, conducente, danneggiati, testimoni, periti, avvocati, medici». 

Francia, assolto medico che ha aiutato a morire sette pazienti terminali.

Francia
In Francia si torna a discutere di eutanasia. Una sentenza quella arrivata ieri, destinata a fare scuola. Il dottore Nicolas Bonnemaison è stato portato in tribunale a Pau, nel sud ovest della Francia, con l’accusa di aver aiutato a morire sette paziente in stato terminale. La giustizia francese ha prosciolto il medico e la sentenza è stata seguita da un lunghissimo applauso della platea. “Ho agito da medico fino all’ultimo. – ha spiegato il dottore Bonnemaison –  Fa parte dei doveri del medico accompagnare i pazienti fino alla fine”.
L’uomo era accusato di avere “avvelenato” sette pazienti terminali somministrando massicce dosi di sedativo e farmaci in grado di provocare la morte. I fatti che hanno portato il medico a processo, sono accaduti tra il 2010 e il 2011. Il medico dal 2011 non può più esercitare la professione ed è stato radiato dall’ordine dei medici nel 2013. Nicolas Bonnemaison rischiava una condanna all’ergastolo. Ma secondo quanto sosteneva la difesa, e anche l’accusa, il dottore “non può essere considerato un assassino nel senso comune del termine”.
Dopo la sentenza di ieri, la Francia torna dunque a riflettere sull’eutanasia. Come ha sottolineato anche il legale di Bonnemaison, questa decisione “obbligherà i politici ad intervenire più rapidamente” per avviare il processo di riforme sulla legislazione del fine vita. Un anno fa, infatti, anche i medici si dichiararono favorevoli a modificare l’attuale legge sul fine-vita: la legge Leonetti del 2005 contro l’accanimento terapeutico, che, già ora, autorizza il medico a somministrare, con il consenso del paziente, “dosi terapeutiche in grado di alleviare il dolore, anche se rischiano di abbreviare la vita”. Se il “lasciar morire” (con il ricorso alle cure palliative) è permesso, l’eutanasia continua di fatto a essere illegale in Francia, diversamente da quanto accade da anni in Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera. Ma, evidentemente, la legge Leonetti non basta più.

L'Italia cammina sul filo di un rasoio.



(Teleborsa) - Ripartenza ritardata e debole, revisione al ribasso del PIL, economia che è la peggiore tra i Paesi PIGS,(ossia dei Paesi dell'area euro più deboli, e ancora mercato del lavoro debole con 7,7 milioni di disoccupati: a dipingere questo desolante panorama sull'Italia, è il Centro Studi di Confindustria, negli ultimi scenari economici. 


Non è bastata dunque la tegola caduta in testa al Paese per opera del FMI qualche giorno fa a puntare i fari sulla debole ripresa dell'Italia , visto che oggi l'associazione degli industriali, denuncia le carenze del Paese, dicendo che “l'Italia cammina sul filo di un rasoio.

” A parlare i numeri quali la previsioni al ribasso sul PIL, che vedono un incremento solo dello 0,2% nel 2014 e dell'1% nel 2015, mentre a dicembre 2013 aveva previsto per il 2014 una crescita dello 0,7% nel 2014 e dell'1,2% nel 2015, ma anche, il mercato del lavoro. ”Complessivamente durante la crisi un milione di persone hanno perduto il posto” di lavoro e l'occupazione manca a 7,7 mln di persone, calcola il centro studi di Confindustria. 

La ricetta individuata da Confindustria va nella direzione di una scossa politico-economica molto forte per riportare l'Italia sulla strada delle crescita anche se “la turbolenza del quadro politico - osservano gli economisti di viale dell'Astronomia - rimane un freno, seppure in questa fase si sia molto attenuata e abbia preso corpo nel Paese l'aspettativa di importanti riforme, a cominciare da quelle istituzionali”. 
Sul fronte dei conti pubblici, ed in particolare del debito pubblico, secondo gli economisti di Confindustria “la strada maestra per ridurlo è il rilancio della crescita, poiché la sola austerità è controproducente”. 
Il deficit pubblico - spiega Confindustria - pur con un'economia così fiacca, si riduce: 2,9% del PIL nel 2014 e 2,5% nel 2015. In questo scenario, gli esperti di Viale dell'Astronomia spiegano che gli investimenti fissi lordi caleranno ancora nel 2014, sebbene a ritmi più contenuti, mentre tra gli elementi di criticità rimane una pressione fiscale che rimane elevata, poco sotto il 44% del PIL, mentre quella effettiva arriva al 52,5%.

http://economia.ilmessaggero.it/flashnews/l-amp-039-italia-cammina-sul-filo-di-un-rasoio/766356.shtml

mercoledì 25 giugno 2014

Ciro Esposito è morto, la famiglia: “Oggi non è gradita la presenza delle istituzioni”

Scontri Coppa Italia, è morto Ciro Esposito. L'appello dello zio: "No violenza in suo nome"

Era stato ferito a colpi di pistola il 3 maggio scorso a Roma prima della gara tra il Napoli e la Fiorentina. L'uomo è morto "per insufficienza multiorganica non rispondente alle terapie mediche e di supporto alle funzioni vitali", si legge in una nota del policlinico Gemelli di Roma, dove era ricoverato. Il sindaco De Magistris: "A Napoli lutto cittadino."
E’ morto questa mattina alle 6 Ciro Esposito, il tifoso del Napoli ferito il 3 maggio scorso a Roma prima della finale di Coppa Italia tra al squadra partenopea e la Fiorentina. Lo si apprende dal policlinico Gemelli dove il tifoso era ricoverato nel reparto di rianimazione. Le sue condizioni ieri si erano aggravate lasciando poche speranze di sopravvivenza. Esposito è morto “per insufficienza multiorganica non rispondente alle terapie mediche e di supporto alle funzioni vitali”, spiega in una nota Massimo Antonelli, direttore del Centro rianimazione del Gemelli, dove il tifoso era ricoverato da 54 giorni. I parenti e gli amici sono riuniti all’esterno del pronto soccorso del Policlinico, attiguo al reparto Rianimazione dove il giovane tifoso del Napoli è deceduto. Ci sono la madre, Antonella Leardi, il padre Giovanni, la fidanzata Simona e un’altra ventina di persone tra familiari e amici. La salma è stata trasferita al Policlinico Umberto I, dove verrà effettuata l’autopsia.
La famiglia: “Oggi non è gradita la presenza delle istituzioni, chi ha sbagliato paghi”
“Alle 6 di questa mattina dopo un calvario durato 50 giorni si è’ spento il nostro Ciro, un eroe civile. Quel maledetto 3 maggio il nostro Ciro é intervenuto in via Tor di Quinto a Roma per salvare i passeggeri del pullman delle famiglie dei tifosi del Napoli calcio. Il nostro Ciro ha sentito le urla di paura dei bambini che insieme alle loro famiglie volevano vedere una partita di calcio; é morto per salvare gli altri. Chiediamo alle istituzioni di fare la loro parte”. Comincia così l’appello della Famiglia Esposito per chiedere giustizia per Ciro.”Daniele De Santis (l’uomo che secondo l’accusa avrebbe aperto il fuoco contro il tifoso napoletano, ndr) non era solo. Vogliamo che vengano individuati e consegnati alla giustizia i suoi complici. Vogliamo che chi – ribadiscono – nella gestione dell’ordine pubblico, ha sbagliato paghi. Innanzitutto il prefetto di Roma che non ha tutelato l’incolumità dei tifosi napoletani. Chiediamo al presidente del Consiglio di accertare le eventualità responsabilità politiche di quanto accaduto – continua la nota diramata dalla famiglia – nessuno può restituirci Ciro ma in nome suo chiediamo giustizia e non vendetta. Oggi non è gradita la presenza delle istituzioni che si sono nascoste in questi 50 giorni di dolore”.
Lo zio: “Questore e prefetto di Roma devono dimettersi”
“Speriamo di riportarlo a casa presto – spiega Enzo, lo zio del giovane – stiamo lavorando per poter accelerare i tempi e ripartire per Napoli”. Bisogna avere però l’autorizzazione visto che c’è un’inchiesta in corso e potrebbe essere richiesta un’autopsia. “Mi aspettavo un po’ di vicinanza in queste settimane da parte delle istituzioni, ma non è mai arrivata salvo qualche eccezione come il sindaco di Napoli De Magistris” e ha ribadito: “Questore e prefetto di Roma devono dimettersi“. 
De Magistris: “Proclamiamo il lutto cittadino”
Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris proclama il “lutto cittadino”. “Proclamiamo il lutto cittadino – spiega de Magistris – per Ciro, per i familiari, per il nostro popolo. Per dire no al binomio calcio-violenza”. “Esprimo ai genitori e a tutta la sua famiglia le mie più sentite condoglianze unitamente a tutto il Calcio Napoli”, scrive in una nota il presidente Aurelio De Laurentiis.
Il legale: “Chiediamo il lutto nazionale, lo Stato ha fallito”
“Chiediamo che sia proclamato il lutto nazionale”, scrive Angelo Pisani, difensore della famiglia Esposito e presidente dell’Ottava Municipalità di Napoli, comprendente il quartiere in cui Ciro lavorava all’autolavaggio, a Scampia. “La morte di Ciro -spiega il legale- rappresenta il fallimento di uno Stato che aveva il dovere di tutelare i cittadini e le manifestazioni sportive in generale. Tutto questo non è avvenuto e a rimetterci la vita è stato un ragazzo innocente, che da oggi in poi sarà il nostro eroe”. “Aspettiamo – conclude Pisani- di poterlo onorare per l’ultima volta con una cerimonia che convocheremo presso l’Auditorium di Scampia, perché tutto il quartiere possa stringersi intorno a Ciro e alla sua famiglia, che rappresentano dinanzi a tutta l’Italia i valori positivi di Napoli“. 
Ora per De Santis l’accusa è di omicidio volontario
Con la morte di Esposito cambia, aggravandosi, la posizione di Daniele de Santis, l’uomo detenuto a Regina Coeli in quanto ritenuto colui che sparò al gruppo di supporters napoletani. Non più tentato omicidio, ma omicidio volontario: questa la nuova ipotesi di reato contestata all’ex ultrà romanista. Il pm, Eugenio Albamonte, titolare dell’inchiesta giudiziaria, dovrà oggi, tra l’altro, nominare il medico legale al quale sarà affidato l’incarico di eseguire l’autopsia su Esposito. 
Scontri a Roma, Esposito raggiunto da diversi colpi di pistola
Esposito era stato ferito il 3 maggio a Roma. Durante scontri scoppiati con ultrà romanisti nella zona di Tor di Quinto prima della gara tra il Napoli e la Fiorentina, l’uomo era stato raggiunto da diversi colpi di pistola un dei quali, entrato dal torace, è arrivato alla colonna vertebrale. Per l’accaduto era finito in manette Daniele De Santis, detto “Danielino” o “Gastone”, ex ultrà giallorosso proveniente dall’estrema destra, titolare di un chiosco nelle vicinanze del luogo in cui si sono verificati i tafferugli. Secondo gli inquirenti, l’ultrà romanista ha fatto fuoco in direzione di alcuni tifosi del Napoli, tra cui Esposito, nel corso di una rissa scoppiata dopo che De Santis, assieme ad altre tre persone ancora da identificare, aveva provocato alcuni tifosi del Napoli a bordo di un bus con lanci di oggetti e fumogeni.
Chi era Ciro Esposito
Un ragazzo di 31 anni, Ciro, con la passione per il calcio e il suo Napoli. Era aiuto infermiere, aveva due fratelli e una fidanzata, Simona. Lavorava nell’azienda familiare, un autolavaggio, insieme ai suoi fratelli, sulla cui cancellata oggi è stato apposto un drappo nero, in segno di lutto. Viveva a casa, con mamma e papà. Per seguire una delle trasferte del Napoli, il 3 maggio era partito da Scampia, come aveva fatto altre volte, insieme agli amici, per quella che doveva essere una festa del calcio. Arrivato a Roma sperando in una vittoria in finale di Coppa Italia, all’Olimpico non è riuscito neanche a mettere piede. 
Benitez: “Una morte che non ha senso”
“La morte di Ciro Esposito è qualcosa di drammatico, ingiustificabile, terribile… Un giovane non può perdere la vita mentre s’incammina allo stadio per vedere la sua squadra. Non ha senso”. E’ il messaggio di cordoglio che Rafa Benitez, allenatore del Napoli, affida al suo sito web. “Dove sta andando il calcio e ciò che lo circonda? A quale limite lo stiamo portando? Questo – prosegue Benitez – non dovrà succedere mai più, mai. Bisogna trovare i mezzi per sradicare assolutamente fatti come questi dal panorama del calcio e dal mondo dello sport”. 
Qui i precedenti: 
http://iglicinidicetta.blogspot.it/2014/05/spari-fuori-dallo-stadio-petardi-e-caos.html

Yara Gambirasio, il furgone di Bossetti filmato vicino a casa della vittima. - Davide Milosa


Ora agli atti dell’inchiesta sull'uomo accusato dalla procura di Bergamo di essere l’assassino della tredicenne spunta una ripresa in cui si vede il furgone del 44enne muratore di Mapello nelle strade attorno a via Rampinelli, dove abita la famiglia della ginnasta. Ora non c'è solo la prova del Dna.
Non c’è più solo la prova del Dna. Ora agli atti dell’inchiesta su Massimo Giuseppe Bossettiaccusato dalla procura di Bergamo di essere l’assassino di Yara, spunta un filmato che riprende il furgone del 44enne muratore di Mapello nelle strade attorno a via Rampinelli, proprio dove abita la famiglia Gambirasio. Di più: il filmato porta la data del 26 novembre 2010, esattamente il giorno in cui la 13enne scompare dopo essere uscita dalla palestra di Brembate Sopra. La conferma dell’esistenza di questo documento arriva direttamente dai militari del Ros, i quali, dopo il fermo di Bossetti, hanno iniziato ad analizzare tutti i dati sensibili che ruotano attorno al 26 novembre. Tra i tanti sono stati rivisti, fotogramma per fotogramma, i filmati delle telecamere. Un lavoro fatto già nelle settimane successive alla scomparsa della 13enne.
Ma se all’epoca lo screening fu condotto al buio e senza il minimo elemento, oggi tutti questi dati vengono riletti con davanti l’identità di Ignoto 1, il cui Dna è stato individuato su slip e leggings del cadavere di Yara ritrovato il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola. Il lavoro a ritroso degli investigatori è a una svolta. Il dato oggettivo di questo filmato sembra poter confutare la versione data da Giuseppe Bossetti durante l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice Ezia Maccora che, il 19 giugno scorso, ha emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. In quel verbale il muratore di Mapello ha raccontato che, nel novembre 2010, lavorava in un cantiere di Palazzago e per tornare nella sua villetta di Mapello passava nella zona della palestra.
Non a caso il 26 novembre il suo cellulare aggancia la cella di Brembate alle 17,45. In quell’orario Bossetti fa una chiamata, dopodiché il telefono non produce traffico fino alle 7,35 del 27 novembre. A questo punto, l’indagato oltre a spiegare perché il suo Dna è finito sul corpo di Yara, dovrà motivare quel passaggio in via Rampinelli in orario compatibile con la scomparsa della 13enne. I dubbi si riducono. Le domande anche. Certo ancora bisogna capire se Yara salì volontariamente sul mezzo del suo assassinoEsclusa l’ipotesi di un sequestro davanti alla palestra che a quell’ora (erano le 18,40) è affollata di gente, lo scenario potrebbe spostarsi qualche centinaio di metri più in là, proprio nella zona di via Rampinelli. Sul punto va ricordata la rivelazione fatta da Enrico Tironi, il vicino di casa di Yara, a poche ore dalla scomparsa della ragazza. Il testimone raccontò che quella sera la vide in compagnia di due uomini. Per quelle parole Tironi fu incriminato per procurato allarme. Ma il racconto coincide, in parte, anche con quello fatto da una colf che si trovava in zona.
L’inchiesta è ora in una fase decisiva. In mano gli investigatori, oltre al Dna e al filmato, hanno un’altra certezza: Bossetti conosceva bene la zona di Chignolo d’Isola. Una conferma arrivata dalla ditta Bonacina dove il muratore andava a rifornirsi di materiale edile. I titolari, sentiti nei giorni scorsi dai carabinieri, confermano che Bossetti dal 2008 al 2013 si è servito da loro e andava sempre con il furgone Iveco Daily, lo stesso ripreso dalle telecamere della banca nella zona di via Rampinelli. La ditta Bonacina, poi, si trova a 500 metri dal bar pizzeria di via Donizetti dove l’indagato comprava la birra. A un chilometro in linea d’aria c’è il campo dove è stato individuato il corpo di Yara. Da ieri, intanto, alla difesa di Bossetti si è aggiunto un altro legale. E mentre la procura sta ragionando se chiedere o meno il giudizio immediato, il pm Letizia Ruggeri nei prossimi giorni sentirà Ester Arzuffi, la mamma di Ignoto 1, identificata il 13 giugno scorso e subito messa sotto intercettazione.
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