domenica 9 novembre 2014

Minoranza Pd: la Brigata Don Abbondio dei Civati, Mineo e Ricchiuti. - Andrea Scanzi

ricchiuti-civati-facebook

Non vorrei che lo sfogo lisergico della “dissidente” Ricchiuti passasse sotto silenzio. Premessa: da qualche mese, assieme ad altri deputati e senatori, Lucrezia Ricchiuti svolge (senz’altro in buonafede) il ruolo della foglia di fico di sinistra del Pd. Lei, TocciMineoCivati e un’altra decina di parlamentari piddini si costernano, si indignano e si impegnano, poi però gettano la spugna con gran dignità. Come nella Don Raffaé di Fabrizio De André. Con la loro presenza garantiscono quel 5-6% (forse più e forse meno) di voti a Renzi da parte di quegli elettori ex Pci/Pds/Ds che oggi dicono “Renzi mi sta sugli zebedei e sembra pure un po’ babbeo, però voto Pd perché c’è Civati e in fondo è ancora un partito di sinistra”. Ogni giorno la Brigata Don Abbondio dei Civati & Mineo va in tivù e sui giornali a dire quanto Renzi sia brutto (senz’altro) cattivo (abbastanza) e di destra (no doubt), poi però quando c’è da votare contro Renzi marca sempre visita.
E’ accaduto nei giorni scorsi anche per lo Sblocca-Italia. Ed è qui che la “dissidente” Ricchiuti si è consegnata alla leggenda. Ascoltiamola: “Cosa volete che vi spieghi? Che ho votato la fiducia e con essa un provvedimento che peggio di cosí non si può? Che io e Mineo avevamo deciso di non votare ma che dopo pressioni e telefonate che ci invitavano a votare perché i numeri non c’erano e perché non ci potremmo permettere di far cadere il governo adesso, alla fine abbiamo deciso di votare? Dico solo una cosa: così non possiamo continuare. Impedire ai parlamentari di discutere e poter migliorare provvedimenti sbagliati o clientelari come lo sblocca Italia, ci porterà solo nel burrone. Non è possibile andare avanti a colpi di fiducia: non va bene per l’opposizione ma neanche per la maggioranza”.
Non è un fake: lo ha scritto proprio la Ricchiuti. Di questo sfogo accorato, vergato personalmente sulla pagina Facebook della senatrice, colpiscono in particolare alcune cose: 
1) I “dissidenti” alla Mineo & Ricchiuti votano contro Renzi solo quando il loro votare contro non conta nulla. Cioè votano contro per gioco. Se il loro voto contro si rivela decisivo (“i numeri non c’erano e perché non ci potremmo permettere di far cadere il governo adesso”), non votano contro (basta qualche “pressione e telefonata”) e rientrano zelantemente nei ranghi. Chiamasi dissenso finto, o dissenso per scherzo. Più esattamente, chiamasi “mi faccio la mia correntina redditizia ma sul più bello obbedisco alle note statiste Boschi, anche perché col cavolo che poi mi rieleggono se il governo cade e torniamo al voto”. 
2) I “dissidenti” alla Mineo & Ricchiuti continuano a stare in un partito la cui democrazia interna è – a loro dire – pari a quella dei gulag o giù di lì (“Impedire ai parlamentari di discutere e poter migliorare (…) ci porterà solo nel burrone”). Gridano all’assolutismo e all’autoritarismo, ma ad andarsene neanche ci pensano. Chissà perché.
Gentile Ricchiuti, io non ho dubbi sulla sua buonafede, e condivido alcune sue analisi politiche. Non fatico a immaginare quanto sia umiliante, per una persona intelligente come lei, prendere ordini dalle Madia. Ci faccia però un favore, lei come gli altri partigiani sparuti della Brigata Don Abbondio: smettetela di prenderci – ma più che altro di prendervi – in giro. C’è un limite anche al paraculismo. Non c’è traccia alcuna di coerenza nel vostro agire e il coraggio non si compra su eBay come spererebbe forse Civati. Non è mai tardi per un rigurgito di dignità, quando non di coscienza, ma mi pare che ve la stiate prendendo sin troppo comoda. Più passa il tempo e più ricordate quel vecchio pugile che, dopo aver preso cazzotti come se piovesse, raccontò così la sua sconfitta agli amici: “Ne ho prese tante, ma non sapete quante gliene ho dette”. Nietzsche sosteneva che gli uomini, prim’ancora che pavidi, sono pigri e temono la sincerità incondizionata; è però verosimile che, se vi avesse conosciuto, avrebbe probabilmente riscritto il concetto di codardia politica. 
Buon lavoro e buon dissenso disinnescato.

Svelato il mistero.





Finalmente iniziano le confessioni dei pentiti.....


Giuseppina Ghersi, la martire bambina - Cristina Di Giorgi





Ha 13 anni Giuseppina. 
E’ una bambina studiosa e diligente, che grazie anche all’amore della sua famiglia, fino a quei maledetti giorni di fine aprile del 1945 ha vissuto un’infanzia serena. 
I Ghersi sono proprietari di un piccolo negozio di frutta e verdura in quel di Savona e quando i partigiani si presentano alla porta della loro casa chiedendo materiale di medicazione, il padre di Giuseppina non esita a fornire loro tutto quello che riesce a mettere insieme. 
E’ il pomeriggio del 25 aprile. 
Il giorno successivo i coniugi Ghersi si recano, come di consueto, al loro negozio. 
Ma vengono fermati per la strada da due partigiani armati, che li portano al Campo di concentramento di Legino. 
Poco dopo vengono arrestati anche gli altri componenti della famiglia tranne la piccola Giuseppina, in quel periodo ospite di alcuni amici. 
Non c’è quindi più nessuno che possa testimoniare contro coloro che, indisturbati, depredano il negozio e la casa dei malcapitati.
Nel frattempo i Ghersi chiedono ai partigiani i motivi della loro detenzione e viene loro risposto che si tratta di un semplice controllo e che hanno bisogno di interrogare anche la loro figlia che, vincitrice di un concorso, aveva ricevuto una lettera con i complimenti del Segretario particolare del Duce. 
In realtà credono che sia una spia al servizio del regime fascista. 
Convinti della buona fede di chi li aveva arrestati, i coniugi accettano di essere accompagnati a prendere la piccola. 
Ma quando tornano al Campo di concentramento, si consuma un dramma che ancora oggi suscita orrore e disgusto: Giuseppina e la sua mamma vengono infatti stuprate e ripetutamente picchiate ed il papà è costretto ad assistere allo “spettacolo” e anche lui viene percosso su schiena e testa con il calcio di un fucile. 
Per tutta la durata della violenza, gli aguzzini, non contenti di quello che avevano già razziato, gli chiedono più volte di rivelare il nascondiglio di altro denaro e preziosi. 
Alla fine di quella terribile giornata, i coniugi Ghersi vengono condotti al Comando partigiano locale che, nonostante a loro carico non fosse emerso nulla, li rinchiude in carcere. 
Per Giuseppina, rimasta sola nelle mani di quelle belve, si consumano purtroppo altri giorni di atroci sofferenze. 
Che hanno termine il 30 aprile 1945, quando viene finita con un colpo di pistola e gettata su un mucchio di altri cadaveri davanti alle mura del Cimitero di Zinola. 
Qui viene notata da un signore, che descrive la visione di quel piccolo corpo martoriato con parole tremende: “Era un cadavere di donna molto giovane – scrive Stelvio Murialdo – ed erano terribili le condizioni in cui l’avevano ridotta. 
Evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei. 
L’orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue con un occhio bluastro tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno”.
La vicenda di Giuseppina Ghersi è stata dettagliatamente ricostruita grazie alla coraggiosa pazienza del papà, che il 29 aprile 1949 ha presentato al Procuratore della Repubblica di Savona un esposto di sei pagine scritte a mano. 
Pagine che molto probabilmente non riescono a rendere la tremenda sofferenza patita da quella bambina, la cui storia è drammaticamente simile a tante altre, generate da un odio cieco e disumano che ancora oggi alcuni tendono a giustificare, mascherandolo da “azione di guerra giusta e necessaria per combattere il nazifascismo”. 
Per fortuna c’è però chi vuole ricordare quanto accaduto con onestà e rispetto per la verità. Tra essi, i promotori di una mozione presentata in alcuni Municipi della Capitale, in cui si afferma la necessità che questi “terribili fatti legati alla guerra siano conosciuti e di monito a tutte le generazioni future, affinché se ne tragga un insegnamento: che lo strumento dell’odio deve essere superato. 
Al di là del colore politico – si legge infine nel documento pubblicato da Roma.it – una sola tinta si presta a connotare il racconto: il rosso del sangue dei martiri di tutti i tempi, assieme al bianco dell’innocenza e al verde della speranza. 
Speranza che si riscriva la storia, che sia fatta giustizia”. Senza più odio, nel rispetto della verità e della pace.


Della serie non tutti gli uomini sono uguali; non basta esser stati partigiani per meritare rispetto, è il buon comportamento che ci rende degni di stima.

Basta un click....



https://www.facebook.com/Unimondo.org/photos/a.398026588767.174478.283827853767/10152494357673768/?type=1&theater

sabato 8 novembre 2014

Il legame tra bistecca e ischemia

Il legame tra bistecca e ischemia.

Alcuni scienziati hanno indagato nel meccanismo alla base dell'infiammazione cronica delle arterie e nella connessione di questo con il consumo di carne rossa.

Da diversi anni, ormai, ci sentiamo ripetere che “la carne rossa fa male” o che, comunque, un consumo eccessivo di bistecche e filetti potrebbe causare danni alla nostra salute, in particolare esponendola al rischio di malattie cardiovascolari. Tuttavia il legame effettivo tra una bella fetta di manzo, magari anche sanguinante come vuole la migliore tradizione italiana, e i problemi che ne derivano per le arterie dell’organismo, è piuttosto complesso e conosciuto soltanto in parte. Alcuni studiosi americani hanno recentemente portato a termine uno studio il cui obiettivo era chiarire la connessione tra la nostra alimentazione e i pericoli per la salute: i risultati del loro lavoro sono stati resi noti attraverso un articolo pubblicato dalla rivista Cell Metabolism.

Sostanze prodotte dalla L-Carnitina

Il professor Stanley Hazen, del dipartimento di medicina cellulare e molecolare della Cleveland Clinic, indaga da anni in questo meccanismo: studi precedenti avevano già aiutato a evidenziare come l’aterosclerosi venga favorita da un composto chimico, trimetilamina-N-ossido (TMAO) sintetizzato da un precursore chiamato trimetilamina; maggiori concentrazioni di questo vanno imputate proprio al consumo di carne, poiché viene prodotto dai batteri dell’intestino partendo dalla L-carnitina, composto organico che assumiamo proprio attraverso la nostra dieta quotidiana e, in particolare, con la carne rossa. Le ulteriori indagini di Hazen e colleghi hanno scoperto, questa volta, che un’altra componente sarebbe fondamentale in questo processo: osservazioni sulle cavie da laboratorio hanno infatti rivelato che un metabolita, chiamato gamma-butirrobetaina, svolge un ruolo ancora più importante del processo di aterosclerosi. Anch’esso, infatti, sarebbe prodotto dai nostri batteri dell’intestino a partire dalla L-Carnitina della carne rossa ma con un tasso superiore di ben mille volte rispetto alla trimetilamina: insomma, si tratterebbe evidentemente di una sostanza ancor più pericolosa per il nostro sistema cardiovascolare.

L’Aterosclerosi

Per aterosclerosi si intende l’infiammazione cronica di alcune arterie: tale infiammazione porta ad un ispessimento e conseguente indurimento della parete arteriosa dovuto alla presenza di placche. I fattori di rischio cardiovascolare sono responsabili della formazione dell’ateroma (che è sostanzialmente una placca formata da proteine, grassi e materiale fibroso): il fumo, quindi, ma anche il colesterolo molto alto, il diabete mellito, una grave ipertensione e l’obesità. Nello sviluppo del quadro dell’aterosclerosi entrano in gioco, chiaramente, anche fattori non modificabili come l’età avanzata o la storia familiare, tuttavia una importante forma di prevenzione può essere portata avanti proprio cercando di ostacolare i fattori di rischio modificabili: non fumando, quindi, e soprattutto tenendo sotto controllo la nostra dieta e limitando il consumo di carne rossa. Questo non ci vieterà, comunque, di concederci il piacere ineguagliabile di una bella fiorentina di tanto in tanto.

Ecco i 30 Cucchi d’Italia. - Carmine Gazzanni



Tutti i fermati e detenuti morti misteriosamente. Persino un paraplegico impiccato in carcere.

Morti per “infarto” con la testa spaccata. O per “suicidio” con ematomi e contusioni in varie parti del corpo. A volte basta una perizia o una cartella clinica per capire che quello che si racconta non corrisponde alla verità. Come nel caso di Stefano Cucchi, certo. Ma anche di Federico Aldovrandi e di Giuseppe Uva. Di questi abbiamo visto le foto dei volti e dei corpi tumefatti, a riprova di un omicidio insabbiato. Ma ci sono anche tanti altri casi di cui l’opinione pubblica sa poco o nulla: vite spezzate che ancora attendono giustizia.

I NUMERI
Basta partire da un numero per capire che qualcosa non torna. Secondo il report dell’associazione Ristretti Orizzonti, dal 2000 a oggi sono stati 2.356 i morti accertati nelle carceri (839 suicidi). Il calcolo è immediato: un decesso ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio. Queste le cause più comuni. Almeno sulla carta. Perché accanto ci sono casi di pestaggio, malasanità, cure non ricevute, istigazioni al suicidio. O, semplicemente, silenzi ed omertà.

SENZA GIUSTIZIA
Federico Aldrovandi è morto nel 2005 a Ferrara durante “un controllo di polizia”. Aveva solo 18 anni: picchiato fino a morire, pestato a sangue da chi lo aveva fermato. Un caso, uno dei pochi insieme a quello di Riccardo Rasman, che è giunto a sentenza con la condanna dei 4 poliziotti che lo avevano fermato. Non per tutti, però, la giustizia ha avuto il suo normale corso. È il 2008 quando viene fermato Giuseppe Uva a Varese. Qui viene massacrato: alla famiglia lo Stato riconsegnerà un corpo senza vita, pieno di ecchimosi sul volto sul corpo. Come detto, però, i casi sono diversi. Tanto che Ristretti Orizzonti ha stilato un dossier in cui si raccolgono ben 30 storie che “richiederebbero un approfondimento nelle sedi opportune”. Un numero, peraltro, che in crescita dato che, ad esempio, l’ultimo caso “sospetto” (per cui ci sono 11 indagati) di Riccardo Magherini non è conteggiato.

VITE SPEZZATE
Mauro Fedele aveva 33 anni. La versione ufficiale parla di “arresto cardiocircolatorio”. Peccato però che al padre Giuseppe, come lui stesso denuncerà, sia stato restituito un corpo pieno di lividi: “ha la testa fasciata e ha segni blu su collo, sul petto, specialmente a destra, come uno zoccolo di cavallo”. Esattamente come capita a Marcello Lonzi: arresto cardiaco, ma corpo ricoperto di lividi. O ad Aldo Bianzino a Perugia: fermato per possesso di stupefacenti, il giorno dopo muore. Ufficialmente per “infarto”. Peccato che tale ipotesi sia stata esclusa dal medico legale che invece avrebbe riscontrato 4 emorragie cerebrali, 2 costole rotte e lesioni a fegato. Esattamente quanto capitato a Manuel Eliantonio. Nell’autopsia si parla di “arresto cardiaco”. Ma, racconta la madre, in obitorio “l’ho trovato gonfio, di tutte le sfumature di colori, le orecchie blu, il petto gonfio, la testa come una palla da bowling, naso rotto, occhio livido”. Chiudiamo con Gianluca Frani, paraplegico. Si è suicidato, dicono gli atti. Impiccandosi. Come abbia fatto ad appendersi allo scarico del water però resta un mistero.

http://www.lanotiziagiornale.it/ecco-i-30-cucchi-ditaliatutti-i-fermati-e-detenuti-morti-misteriosamentepersino-un-paraplegico-impiccato-in-carcere/

Natura splendida - cactus