venerdì 19 dicembre 2014

Province, 20mila dipendenti da piazzare in Comuni e Regioni. Con incognita costi. - Stefano Feltri e Carlo Tecce

Province, 20mila dipendenti da piazzare in Comuni e Regioni. Con incognita costi

Per non creare migliaia di disoccupati si profila un ricollocamento di massa, con ripercussioni sulle uscite degli altri enti locali. Uno dei dossier di Carlo Cottarelli proponeva interventi meno drastici che avrebbero permesso di risparmiare, ma il governo lo ha lasciato nel cassetto.

Con la spartizione politica di poltrone quasi simboliche, le Province si sono estinte un paio di mesi fa e sono risorte con la nomina di consigli e presidenti, che spesso sommano la carica di sindaco nel comune capoluogo. In attesa che il 31 dicembre le Regioni stabiliscano il perimetro d’azione di questi emaciati enti, che avranno in gestione soltanto il servizio scolastico e la manutenzione stradale, ci sono 20.000 dipendenti provinciali in bilico. Un emendamento del governo alla legge di Stabilità prevede riduzioni d’organico di 55.000 lavoratori, il 50 per cento per le vecchie Province e 30 per cento per le nuove Città Metropolitane. Ci sarà una ricollocazione di massa anche verso altri uffici pubblici, più per non creare 20.000 disoccupati che per esigenze reali.
Con il mancato trasferimento di 3 miliardi di euro nel prossimo triennio, le Province erano destinate a scomparire dai bilanci pubblici. Ma va letto lo studio del dimenticato (e mai rimpianto da Palazzo Chigi) commissario alla spending review,Carlo Cottarelli. L’economista di Cremona, assistito dall’Unione delle Province Italiane (che avrà tutelato i propri interessi), in un rapporto di 14 pagine che Il Fatto Quotidiano ha letto, suggeriva di rivedere il modello, ma non di smantellarne la struttura col rischio di spalmare competenze e dipendenti su Regioni e Comuni, facendo lievitare i costi. “Considerato che nel 2012 – scrive l’Upi e bolla Cottarelli – le assunzioni fatte da Regioni e Comuni hanno registrato un incremento del 3,43 per cento e del 2 per cento rispetto all’anno precedente, nel caso in cui il personale delle Province venisse equamente ripartito tra Comuni e Regioni, si avrebbe automaticamente un allargamento della platea sottoposta a turnover e dunque l’aumento del numero di assunzioni possibile”. Tradotto: non solo lo Stato continuerà a pagare i dipendenti provinciali, ma spostandoli creerà la premessa per ulteriori assunzioni. Altro che risparmio.
Ancora cattive sorprese potrebbero arrivare dal lato del debito: che succede se gli edifici e i beni a garanzia dei prestiti in capo alle Province vengono passati ad altre amministrazioni? Quali sarà l’impatto sui derivati costruiti su 2,5 miliardi di euro di debiti (dati a giugno 2013, oggi gli enti locali non possono più usare la finanza strutturata)? Nessuno lo sa: “Una stima di un simile scenario è impossibile da formulare, ma le conseguenze non sono, evidentemente, prive di elevati rischi a carico della finanza pubblica”, si legge nel dossier dell’Unione delle Province. Per dimostrare che gli sprechi stanno altrove, l’Upi presenta i seguenti calcoli: come effetto delle manovre di austerità, tra 2010 e 2013 le Province hanno ridotto la spesa in conto capitale , cioè quella “buona” degli investimenti, del 7,25 per cento mentre i Comuni la tagliavano del 15,9 per cento. La spesa corrente, quella dove si annidano gli sprechi maggiori, nel frattempo scendeva del-l’11,8 per cento a livello provinciale mentre continuava ad aumentare nei Comuni, +5,8 per cento. Chissà cosa succederà ora che la legge di Stabilità impone un ulteriore miliardo di tagli lineari alle Province.
C’erano alternative: gli interventi discussi dall’Upi con Cottarelli erano drastici anche se poco spettacolari, dal blocco in entrate dei lavoratori all’eliminazione dei direttori generali alla riorganizzazione degli acquisti e degli appalti. Risparmio potenziale: 184 milioni nel 2014 che poi salgono fino a 200 annui dal 2016. Lo studio di Cottarelli a Palazzo Chigi non è stato però preso in considerazione: invece di provare a rendere le province più leggere ed efficienti, ha prevalso l’idea di svuotarle del tutto e farle diventare inutili. E pure assai poco democratiche. Perché i nuovi vertici non li ha votati nessuno. Non per astensione, malavoglia al voto, ma perché era vietato nelle cosiddette “elezioni di secondo livello”, cioè sindaci che eleggono uno di loro in Provincia o nelle Città metropolitane.

Quirinale, Grillo: “Napolitano ha gravi responsabilità. Si è allungato la carriera”.

Quirinale, Grillo: “Napolitano ha gravi responsabilità. Si è allungato la carriera”

Il leader del Movimento 5 stelle contro il presidente della Repubblica nel giorno in cui ha ufficializzato l"'imminente" passo indietro: "Si è inventato le larghe intese". Il vicesegretario Pd Guerini: "Attacco intollerabile".

“Dovrebbe costituirsi, non dimettersi. Ha firmato di tutto”.Beppe Grillo ancora contro Giorgio NapolitanoNel giorno in cui il presidente della Repubblica per la prima volta ha ufficializzato il suo passo indietro “imminente”, il leader torna ad attaccarlo: “E’ una persona che ha gravissime responsabilità. Si è chiuso nell’ombra e si è inventato le larghe intese per allungarsi la carriera”. Dai nomignoli “Napisan” e “Morfeo” fino alla richiesta di impeachment depositata dai parlamentari M5s in Parlamento (e poi respinta). Chi più di tutti attende le dimissioni di Napolitano è il leader 5 stelle che, a Roma per la conferenza stampa sul referendum per l’uscita dall’euro, ha accolto le parole del capo dello Stato come un atto ormai necessario. In difesa del Colle si è schierato subito il Partito democratico: “Un attacco degradante”, ha detto il vicesegretario Lorenzo Guerini. “Basta idiozie”, ha aggiunto il presidente Matteo Orfini.
Grillo: “Napolitano dovrebbe costituirsi, non dimettersi”
La vera partita però è quella del voto sul successore a Napolitano.“Questa volta non ci saranno problemi”, aveva commentato poco prima Matteo Renzi. “Non sarà come l’elezione del 2013″. Grillo sa che i 5 stelle si giocano tanto: spetterà a loro scegliere se essere protagonisti e far pesare i voti, oppure se restare fermi sui propri nomi, come accadde nel 2013. Il comico non ha escluso la possibilità di votare un nome che sia proposto dai partiti, a patto però che non sia un “politico”: “Vorremmo trovare una persona al di fuori della politica e dei partiti. Lo sceglieremo attraverso la rete. Se lo sceglie un altro partito ed è una persona al di fuori di queste logiche, ci sta bene. Lo abbiamo già fatto alla Consulta e al Csm“. Il metodo ha funzionato quando è stato il momento di ostacolare l’elezione di Luciano Violante, nome non gradito ai 5 stelle. Sarà più complicato per la corsa al Colle: “Tutti rispettino il nostro metodo e facciano i nomi pubblicamente”, ha commentato il deputato M5s Danilo Toninelli.
Grillo: “Pronti a votare un nome che sia proposto dai partiti, ma che non sia un politico”
Ha risposto a Grillo il vicesegretario del Partito democratico: “Una volta faceva il comico – dichiara Guerini - Ora mette solo tristezza. Non sappiamo se definire le sue dichiarazioni odierne patetiche o inquietanti. Preoccupa che siano state pronunciate davanti alla stampa estera, dando un’immagine degradata e fuorviante del dibattito pubblico nel nostro Paese. Un’immagine che gli italiani non meritano. I reiterati attacchi del guitto genovese alla figura” del presidente Napolitano “sono intollerabili”. Ha difeso il presidente della Repubblica anche Emanuele Fiano, membro della segreteria del Pd: “Le parole scagliate da Grillo contro il presidente della Repubblica sono indegne. È uno spettacolo indecente che offende il Paese oltre che lo stesso capo dello Stato, al quale va la nostra vicinanza e solidarietà”.
Orfini (Pd): “Caro Beppe vai in tour sereno e risparmiaci le idiozie”
Lo scontro però tra Grillo e il Partito democratico non è solo sul tema Quirinale. Il leader del Movimento 5 stelle nel corso della conferenza stampa ha rievocato le intercettazioni tra Carminati e Buzzi, arrestati nell’ambito dell’inchiesta “Mafia capitale”, quando dicevano: “Il problema è che non ci stiamo più noi… una cosa incredibile… Grillo è riuscito a distruggere il Pd”. “Erano i loro referenti”, ha detto il comico. “Il disegno di legge di Renzi contro la corruzione? Fanno decreti su tutto. Ma non sulla corruzione, che stanno rubando tutti. No, sulla corruzione fanno un disegno di legge che ci vogliono due anni per approvarlo”. Su Twitter ha risposto il presidente democratico Matteo Orfini: “Caro Beppe, vai pure in tour sereno e risparmiaci idiozie: noi la mafia la combattiamo tutti i giorni, tu vai in giro a dire che non esiste“.

Non devi sapere che i semi sono farmaci potentissimi: costano pochissimo e ti fanno troppo bene.



Sai che i semi sono dei farmaci fantastici? Non te lo dirà mai nessuno in questo mercato di prodotti  costosissimi e alle volte molto dannosi.

Sei abituato a considerare “farmaco” un composto chimico con un brevetto, che si acquista con una ricetta medica in farmacia.

Nessuno ti dirà mai che i semi di chia ricavati da una specie vegetale, la salvia hispanica posseggono proprietà fantastiche specie a riguardo dell’alta concentrazione di omega 3 (acido alfa linolenico)  e un perfetto equilibrio con gli omega 6 (acido linoleico).

Specie se sei vegetariano/a e  incrementi la tua dieta con semi  di chia  aumenterai l’EPA e il DHA  che sono acidi grassi essenziali noti soprattutto per la loro fondamentale presenza nelle membrane cellulari e utili per il mantenimento della loro integrità. Talvolta sono denominati  vitamina F (dall'inglese fatty acids)

L’EPA e il DHA tutelano il tuo apparato cardiovascolare, il tuo cervello, i tuoi vasi, il tuo metabolismo, l’assetto lipidico, abbassano i trigliceridi ed il colesterolo e il loro equilibrio è fondamentale per la tua salute.

E' questo il consiglio di Dariush Mozaffarian e Jason Wu, esperti dell'Harvard School of Public Health di Boston (Usa), che hanno pubblicato sul Journal of Nutrition un'analisi dei benefici dei due acidi grassi  EPA e DHA rilevati in una serie di sperimentazioni condotte sia sull'uomo, sia sugli animali. Journal of Nutrition.

Se userai i semi ne ricaverai bennessere per le arterie, un minor rischio di infarto e di trombosi e  miglioreranno i parametri dell'infiammazione e dello stress ossidativo. -

Ma guarda che strano, con una spesa quotidiana irrisoria, la chia e i semi  ti garantiscono la salute apportando proteine nobili, carboidrati, fibre, grassi benefici.

I semi sono ricchi di antiossidanti, cioè molecole che combattono i radicali liberi e lo stress ossidativo prevenendo le patologie cronico-degenerative soprattutto neuro-degenerative.

Cento grammi di semi di chia hanno un ORAC=8.200 L’ORAC è l’unità di misura della capacità antiossidante di un alimento! Ricordiamo che cento grammi di prugne nere hanno 5440 ORAC e 100 g di mirtilli circa 2400 ORAC.

Devi sapere che i semi, tutti i semi, di lino, di zucca,  di sesamo, di girasole, di papavero possono realmente prevenire le malattie apportandoti un’ inesauribile carica energetica.
I semi di zucca contengono triptofano che è utile nella sintesi di serotonina, zinco, ferro, carotenoidi.
I semi di sesamo apportano molto calcio,  acido folico, manganese, zinco,  selenio.
I semi di lino donano omega 3 specie acido alfa linolenico.
Ti consiglio di non inghiottirli se non tritati finemente ed assunti subito perchè altrimenti irritano l’intestino. Inoltre l’olio di semi di lino lascialo perdere perché si ossida subito e dopo puzza di pesce.
I semi di girasole posseggono vitamine del gruppo B, acido folico, selenio ecc.

Mi raccomando, come per tutte le cose non abusare dei semi e come consiglio assumili al mattino a colazione. Munisciti di un frullatore, un macinino da caffè e trita i tuoi semi perché non irritino la mucosa intestinale. Tre cucchiaini misti di semi al mattino sono sufficienti.

Ne trarrà vantaggio enormemente il tuo microbiota intestinale e la tua digestione.
Barbara , mia consulente nutrizionale,  usa i semi come farmaci e conosce tutti i segreti di questi fantastici nutrienti.
Con il cervello libero da intossicazioni ed una buona salute ti potrai apprestare meglio al cammino spirituale con la meditazione, lo yoga, l’ipnosi medica regressiva evocativa.

Ci tengo a darti ogni tanto queste dritte salutari e mi farebbe piacere che tu mi rimandassi un tuo parere.

Domande: Conosci l’importanza dei semi? Sai che sono molto benefici? Credi che siano solo un cibo per uccellini? Lo sai che nel seme piccolo a volte puoi trovare un tesoro?

mercoledì 17 dicembre 2014

Curiosity, c'è gas metano su Marte: forse vita a livello microbico.



Su Marte ci sono tracce di gas metano. Sono le conclusioni cui è giunta la Nasa sulla base dei dati inviati da Curiosity, il robot che da più di due anni esplora la superficie del pianeta rosso. La presenza di metano, rilevata nel cratere Gale, potrebbe essere un elemento che indica la presenza di vita a livello microbico. Ma gli elementi attuali non permettono di giungere ad alcuna conclusione. 


Marte, Curiosity rivela tracce di gas metano e molecole organiche

Marte, Curiosity rivela tracce di gas metano e molecole organiche

"Eureka!", sembra gridare Curiosity da milioni di chilometri di distanza. L'urlò arriva da Marte. Il rover ha trovato quello che cercava: molecole organiche sulla superficie del pianeta rosso. Le ha scovate trapanando il suolo e analizzando i campioni attraverso il Sample Analysis at Mars (Sam). Lo spettrometro e cromatografo a bordo di Curiosity ha rilevato quindi, per la prima volta, la presenza dei cosiddetti "mattoni della vita", composti principalmente di carbonio, idrogeno e ossigeno. Lo stesso Sam ha inoltre misurato, 'sniffando' l'atmosfera, una presenza anomala di metano: dieci volte superiore alla media. Secondo gli scienziati significa che potrebbe esserci una sorgente di qualche tipo, nascosta nelle rocce del Gale crater, il cratere che una volta ospitava un lago con fiumi affluenti. Questa non è la prova, naturalmente, della presenza passata o presente, di vita. Queste molecole potrebbero essersi formate a seguito di reazioni chimiche non necessariamente biologiche, oppure essere precipitate su Marte 'a bordo' di comete. Ma per Curiosity si tratta, in sostanza, di una "missione compiuta". L'obiettivo della sua esplorazione, infatti, è quello di verificare se su Marte, in passato, ci fossero condizioni climatiche tali da supportare qualche forma di vita. Quest'ultima scoperta è un passo cruciale verso questa conferma
(a cura di Matteo Marini)

Il foro nella roccia ribattezzata "Cumberland", perforata dal trapano di Curiosity. Le analisi del materiale al suo interno hanno rilevato tracce di molecole organiche (reuters).


http://www.repubblica.it/scienze/2014/12/17/foto/spazio_curiosity_rivela_tracce_di_gas_metano_su_marte-103093852/1/#1

Protocollo Farfalla: 007, boss e segreti nei bracci speciali delle carceri. - Giuseppe Pipitone

Permessi premio e denaro contante <br>l’effetto Farfalla sui boss detenuti

La prima puntata dell’inchiesta sull’accordo segreto tra il Sisde di Mori e il Dap di Tinebra per monitorare i detenuti al 41 bis senza informare l’autorità giudiziaria. Pareva una leggenda ed invece tre mesi fa è saltato fuori l’appunto, oggi depositato nel processo sulla trattativa Stato-mafia, con l’elenco di otto nomi di mafiosi disponibili a fornire notizie “sensibili” in cambio di “un idoneo compenso da definire”.


Un nome in codice preso in prestito da un romanzo francese, un appunto di sei pagine senza sigle e simboli, un elenco di boss stragisti detenuti da mettere sotto contratto come confidenti, informazioni provenienti dalle celle di massima sicurezza finite chissà dove e utilizzate non si sa in che modo. E’ la storia del patto top secret tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Gianni Tinebra, che decidono di monitorare le conversazioni tra i boss detenuti al 41 bis, a caccia di notizie ”sensibili” sugli orientamenti del gotha mafioso, senza informare l’autorità giudiziaria. Se fosse totalmente verificata, con tanto di bollo della Cassazione a renderla definitiva, quella sul Protocollo Farfalla sarebbe la storia di un’operazione d’intelligence border line, con gli agenti segreti che fanno scouting di confidenti tra i boss al 41 bis, ricavandone informazioni mentre la magistratura viene tagliata completamente fuori. E invece di verificato sul Protocollo Farfalla c’è molto poco, quasi niente: ci sono una serie di appunti, oggi agli atti del processo sulla Trattativa Stato mafia, qualche dichiarazione, e alcune ricostruzioni che definire inquietanti è poco.
Un nome in codice preso in prestito da un libro
Pezzi di un puzzle che incastrati tra loro compongono una storia di spie, di 007 penetrati nelle carceri di massima sicurezza senza lasciare traccia, di compensi elargiti a boss stragisti mentre sono detenuti al 41 bis. Un puzzle che comincia con un nome cifrato preso in prestito da un romanzo, Papillon, il libro ambientato nella prigione dell’Isola del Diavolo, nella Guayana francese. Protagonista del racconto, lo stesso autore, Henri Charriere, soprannominato Papillon per una farfalla tatuata sul torace. Ed è proprio prendendo spunto dalla letteratura che gli agenti del Sisde avrebbero deciso di definire “Farfalla” l’operazione d’intelligence messa in atto a partire dal 2003, quando a dirigere il servizio segreto civile è il generale Mario Mori, già fondatore del Ros, agente del Sid negli anni ’70, oggi imputato al processo sulla Trattativa Stato-mafia e in quello per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Nel 2003, il direttore del Dap, invece, è Gianni Tinebra, oggi procuratore generale di Catania, capo della procura di Caltanissetta che indagò sull’indagine di via D’Amelio prendendo per buona la testimonianza del falso pentito Vincenzo Scarantino, il piccolo spacciatore della Guadagna elevato al rango di boss stragista.
Sarebbero i contraenti del patto per tenere sotto controllo le carceri, e avere in diretta informazioni utili senza dover attendere le autorizzazioni della magistratura o riferirne i contenuti all’autorità giudiziaria. Tra loro c’è un appunto di sei pagine, nessuna firma, nessuna intestazione e solo la dicitura “riservato” stampata in cima al primo foglio: dentro ci sono i dettagli dell’operazione segreta, cioè la possibilità per gli 007 di gestire in via esclusiva i flussi d’informazione provenienti dal ventre molle delle carceri italiane. È fatto così il Protocollo Farfalla, oggi depositato al Processo Trattativa, in corso davanti la corte d’assise di Palermo. Ma non solo: perché oltre a quelle sei pagine c’è anche un elenco, i nomi di otto boss di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, detenuti in regime di 41 bis, che il Sisde nel giugno 2004 voleva mettere a libro paga.
Stragisti confidenti al 41 bisIn quell’elenco di nomi allegato al Protocollo, gli 007 comunicano quali detenuti hanno “pre-individuato” dopo averne testato la “disponibilità di massima” a “fornire informazioni” in cambio di “un idoneo compenso da definire”. Denaro quindi, proveniente dai fondi riservati dei Servizi da versare a soggetti esterni alle carceri, ma indicati dagli stessi boss carcerati. Tra i detenuti che nel maggio 2004 sono pronti a fare da confidenti ai servizi in cambio di soldi ci sono pezzi da Novanta come Fifetto Cannella, il boss di Brancaccio condannato all’ergastolo per la strage di Via d’Amelio,Vincenzo Boccafusca, il padrino del mandamento di Porta Nuova che ordinava omicidi al telefono mentre si trovava agli arresti domiciliari; Salvatore Rinella, capomafia di Trabia vicino al pentito Nino Giuffrè; più il catanese Giuseppe Maria Di Giacomo, autore di recente di alcune rivelazioni sulla reale identità di Faccia da Mostro, presunto killer che a cavallo tra apparati dell’intelligence e Cosa Nostra si muove sullo sfondo delle stragi del 1992.
In quei mesi del 2004 però i servizi vogliono assoldare anche boss di altre associazioni criminali. Ecco quindi che gli 007 indicano tra i possibili confidenti i camorristi Antonio Angelino e Massimo Clemente, più Angelo Antonio Pelle, esponente della ‘ndrangheta che qualche anno dopo riuscirà ad evadere dal carcere di Rebibbia. Quali siano le informazioni che Cannella fornisce agli agenti dei Sisde non è ad oggi dato sapere, come un mistero rimangono le modalità effettive con cui furono utilizzate in seguito quelle confidenze: cosa ne fanno gli agenti dell’intelligence dei racconti forniti dal boss di Brancaccio? Informazioni sicuramente interessanti dato che Cannella, che è un boss di primo livello, è inserito – secondo il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori – nella cosiddetta SuperCosa, il gruppo riservato e segreto di uomini d’onore in seno a Cosa Nostra, creato all’inizio del 1991 da Totò Riina in persona. Dopo quell’appunto del giugno 2004, però, non c’è più traccia di ulteriori carteggi che certifichino le fasi successive dell’operazione Farfalla. E d’altra parte, fino a pochi mesi fa, l’esistenza stessa del Protocollo veniva messa in dubbio anche dagli addetti ai lavori: nonostante una copia dell’accordo tra il Sisde e il Dap fosse stata acquisita dalla procura di Roma già nel 2006: quella documentazione arriverà ai pm di Palermo, soltanto otto anni dopo.

Il caso Provenzano: “Spostatelo dal carcere di Terni”
Neppure Sebastiano Ardita, dirigente dell’ufficio detenuti del Dap tra il 2005 e il 2014 ha mai visto il Protocollo. L’attuale procuratore aggiunto di Messina, però, è testimone di alcuni fatti inconsueti mentre è dirigente dell’ufficio detenuti. Primo tra tutti, il tentativo di spostare Provenzano, subito dopo l’arresto, dal carcere di Terni al carcere di L’Aquila, dietro suggerimento di alcuni funzionari del Gom (il Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria). Perchè quella proposta di trasferimento? “Nel carcere abruzzese – ha detto il magistrato, testimoniando al processo di primo grado per la mancata cattura di Provenzano – era già detenuto un altro super boss, Piddu Madonia, per cui la scelta naturale era mettere Provenzano nel carcere di Terni, dove si erano recentemente fatti importanti investimenti a livello di sicurezza in previsione del trasferimento di Totò Riina. E dunque il trasferimento non si concretizzò, perchè comunque Terni offriva una sicurezza massima che non avrebbe consentito a Provenzano di entrare in contatto con nessun boss di primo livello”.
Poco tempo dopo però, sul quotidiano La Repubblica compare la notizia secondo la quale Giovanni Riina, secondogenito del capo dei capi, all’entrata di Provenzano nel carcere di Terni, avrebbe esclamato: “Questo sbirro qui l’hanno portato?”. “Fatto che – racconta sempre Ardita, che di questi fatti scrive nel libro Ricatto allo Stato – mi sorprese non poco dato che proprio in quei giorni ero andato in visita nel carcere di Terni e il direttore non mi aveva riferito nulla in proposito. Con una rapida chiamata ho subito verificato come quella notizia fosse destituita da ogni fondamento”. Nonostante lo scoop sui dissidi tra Provenzano e il figlio di Riina fosse falsa, iniziano delle continue pressioni sull’allora dirigente del Dap per spostare Provenzano da Terni. “Si formò un vero e proprio carteggio sulla mia scrivania con richieste di trasferimento di Provenzano. Iniziarono anche a fioccare gli esposti anonimi contro la mia persona. Provenzano però rimase a Terni ancora per un altro anno. Non c’era un reale motivo per spostarlo.”
In precedenza anche Massimo Ciancimino aveva raccontato ai magistrati dettagli sulla carcerazione di Provenzano. In particolare Ciancimino Junior riferisce che subito dopo l’arresto di Provenzano il signor Franco – ovvero il misterioso personaggio legato ai servizi che sarebbe stato il continuo contatto di Vito Ciancimino con apparati dello Stato – gli avrebbe rivelato l’episodio dello screzio tra Riina Junior e Provenzano suggerendogli di diffonderlo il più possibile. E sui giornali dunque la notizia arriva grazie al figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Alla fine però, il padrino corleonese viene effettivamente spostato, finendo nel carcere di Parma. Ed è nel penitenziario emiliano che Provenzano verrà poi ritrovato più volte ferito alla testa nella sua cella, dove non c’erano telecamere, che per un detenuto al 41 bis devono essere sempre attive. “Qui mi vogliono male”, sibilò Provenzano durante un incontro col figlio, quando ancora sembrava lucido, mentre oggi è in stato di coma farmacologico e la sua posizione è stata stralciata dal processo sulla trattativa. 

Permessi premio e denaro contante 
l’effetto Farfalla sui boss detenuti.


La seconda puntata della nostra inchiesta sull’accordo segreto tra il Sisde di Mori e il Dap di Tinebra che dal 2003 garantì la gestione ”riservata” dei flussi di informazioni provenienti dai detenuti al 41 bis, al di fuori del controllo della magistratura. Dal caso del boss Antonio Cutolo alla vicenda del pentito Sergio Flamia, tutti gli interrogativi dell’operazione di intelligence che oggi è al vaglio dei pm della trattativa.

Prima di essere acquisito dai pm di Palermo, prima di essere mostrato tre giorni fa in aula nel processo Trattativa all’ex dirigente del Dap Sebastiano Ardita, prima di essere oggetto d’inchieste giornalistiche, il Protocollo Farfalla era già finito agli atti di una procura, quella di Roma. Tra il 2006 e il 2007 l’ufficio inquirente capitolino prende visione dei documenti che fanno cenno al patto segreto tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Gianni Tinebra: e così appena due anni dopo la data riportata in quell’appunto riservato, il Protocollo arriva sui tavoli della procura di Roma, impegnata nelle indagini sulla gestione penitenziaria del boss camorrista Antonio Cutolo.
Farfalla di Rientro
Il caso Cutolo esplode nel 2005, quando il pm della Dda di Napoli Simona Di Monte, che conduce un’indagine sulla Camorra, registra la presenza del boss campano fuori dal carcere di Sulmona, dove doveva essere detenuto, essendo condannato all’ergastolo. “Ricevetti una telefonata dalla collega Di Monte: si era imbattuta in un camorrista, Antonio Cutolo che, nonostante dovesse essere detenuto, aveva partecipato ad una riunione fuori dal carcere”, ha raccontato giovedì scorso deponendo nel processo sulla Trattativa lo stesso Ardita, all’epoca direttore dell’Ufficio detenuti del Dap.  “Feci subito un controllo – continua Ardita – e mi accorsi che il direttore del carcere aveva declassificato la posizione di detenuto mafioso di Cutolo, che poteva addirittura vantare permessi d’uscita: ovviamente dopo il mio intervento, il boss fu subito classificato di nuovo come detenuto mafioso e gli fu applicato il regime di 41 bis”.
La procura di Napoli, a quel punto, apre un fascicolo sulla vicenda e interroga un ispettore della polizia penitenziaria, Alfredo Lapiccirella, e un dirigente amministrativo del Dap, Annarita Burrafatto: i due, però, subito dopo l’interrogatorio, avrebbero riferito i contenuti dei colloqui con i pm partenopei, coperti dal segreto istruttorio, ai loro diretti superiori.  A quel punto la procura di Roma apre un fascicolo ”parallelo”: nel 2009 i pm Erminio Amelio e Maria Monteleone avviano un’indagine che dopo due anni di approfondimenti si conclude con la richiesta e poi il rinvio a giudizio di Giacinto Siciliano, ex direttore del carcere di Sulmona, e di Salvatore Leopardi, capo dell’ufficio ispettivo del Dap. Cosa scoprono i pm della capitale? Amelio e Monteleone si fanno mandare le carte dai pm di Napoli e ricostruiscono come tra il 2005 e il 2006, Cutolo avesse manifestato l’intenzione di collaborare con la magistratura, raccontando anche diverse vicende inedite sulla sua cosca: Siciliano non avrebbe, però, avvertito l’autorità giudiziaria, limitandosi a girare quei verbali a Leopardi. Secondo l’accusa neanche Leopardi avrebbe avvertito la competente Procura di Napoli, riferendo invece i contenuti di quei verbali al colonnello Pasquale Angelosanto, in forza al Sisde: per questo motivo Leopardi e Siciliano sono finiti a processo per falso e omissione. Un processo in cui è stato invocato il segreto di Stato, e dove non verrà mai depositato il Protocollo Farfalla, nonostante fosse stato acquisito dalla procura di Roma dopo una perquisizione al Sisde.
Gli atti del Sisde che fanno riferimento all’operazione d’intelligence denominata Farfalla non vengono considerati rilevanti dagli inquirenti romani. 
Eppure quello che si verifica nel carcere di Sulmona ha caratteristiche molto simili a quanto previsto dal Protocollo: le informazioni che arrivano dai detenuti mafiosi vengono gestite in esclusiva dagli 007, senza che l’autorità giudiziaria ne fosse informata. In che modo quelle notizie provenienti dai boss siano poi state utilizzate dai servizi non è dato sapere.
Flamia, il picciotto confidente.
Un caso simile a quello di Cutolo si verifica qualche anno dopo a Palermo, al carcere Ucciardone, dove è detenuto Sergio Flamia, boss di Bagheria. Il picciotto di Cosa Nostra, durante la sua detenzione riceve diverse visite da parte di due persone che si presentano come avvocati: in realtà sono agenti dei servizi, dato che Flamia è un confidente dell’intelligence da diversi anni. Un raro caso di boss informatore, quello di Flamia, che prima di saltare il fosso e di collaborare coi magistrati, ha ammesso di aver avuto rapporti opachi con uomini dei servizi: forniva informazioni in cambio di denaro. Il “gancio” di Flamia nei servizi è un tale Enzo, che a volte si fa chiamare anche Roberto, e che i pm della procura di Palermo hanno già individuato, dopo aver messo a verbale il racconto del boss bagherese.
Sono costanti e proficui i rapporti di Flamia coi servizi: dopo aver soffiato agli 007 di un incontro tra boss di primo piano alle porte del comune in provincia di Palermo, dai fondi riservati dei servizi arrivarono al boss bagherese 160mila euro in contanti. Denaro consegnato a un emissario di Flamia, che in quel momento era detenuto, durante un incontro all’Hotel Zagarella: la stessa modalità che nel 2004 gli uomini del Sisde mettono nero su bianco nell’appunto al Protocollo, in cui spiegano di volere mettere a libro paga 8 boss detenuti al 41 bis, elargendo somme di denaro a soggetti esterni alle carceri indicati dagli stessi boss carcerati. Il rapporto di Flamia coi servizi però nasce prima del suo arresto: ai pm che indagano sulla Trattativa Stato mafia il boss ha raccontato che prima di essere formalmente affiliato a Cosa Nostra, di essere “punciuto” mentre un’immaginetta sacra veniva bruciata,  chiese il “permesso” agli 007 con cui era in contatto. E gli uomini dell’intelligence glielo accordarono: apparati dello Stato avrebbero dunque consigliato al boss di Bagheria, già considerato uomo di Cosa Nostra ma affiliato soltanto nel 2010, di entrare formalmente nell’organizzazione. E in seguito furono gli stessi agenti dei servizi a dare parere positivo al boss mafioso in merito alla sua intenzione di collaborare con la magistratura.
Ma c’è di più: nel 2008, infatti, Flamia sa in anticipo che sarebbe stato arrestato durante l’operazione Perseo. E sa anche che per un errore nella data di nascita riportata nel provvedimento di fermo, il suo arresto slitterà di qualche giorno: dal 16 al 19 dicembre 2008. A soffiargli quelle informazioni è sempre lo stesso Enzo, che poi si attiverà per far derubricare l’imputazione contestata a Flamia: da associazione mafiosa, il boss sarà accusato soltanto di assistenza agli associati. La vicenda Flamia è confluita nel fascicolo aperto dalla procura di Palermo sul Protocollo Farfalla: oltre all’identità dello 007 Enzo, i pm vogliono capire se le dichiarazioni fatte dal pentito che puntano a screditare Luigi Ilardo, principale fonte di prova del processo a Mario Mori per la mancata cattura di Provenzano, siano o meno arrivate su suggerimento degli stessi uomini dei servizi.
Rapporti border-line tra pezzi dello Stato e uomini di Cosa Nostra, notizie che dal ventre delle carceri di massima sicurezza arrivano sui tavoli degli 007 senza passare dall’autorità giudiziaria competente, denaro proveniente dai fondi riservati dei servizi finito sui conti correnti di familiari dei boss di Cosa Nostra: effetti diretti di quel Protocollo top secret siglato dieci anni fa, che per Rosi Bindi, presidente della Commissione Parlamentare Antimafia non sarebbe più in vigore. Gli interrogativi da sciogliere nell’indagine sull’operazione Farfalla, però, rimangono ancora parecchi. (2-fine)

lunedì 15 dicembre 2014

Parco del Vesuvio, amianto e rifiuti tra gli alberi. Fermi 6 milioni per la bonifica. - Vincenzo Iurillo

Parco del Vesuvio, amianto e rifiuti tra gli alberi. Fermi 6 milioni per la bonifica

Le discariche autorizzate durante l'emergenza rifiuti seppelliscono i ritrovamenti archeologici. Ma i fondi sono inutilizzati da 8 anni per un palleggio di competenze. Interrogazione M5S: "Che fine hanno fatto i soldi?"

Il fiume di denaro stanziato per bonificare le discariche abbandonate nel Parco Nazionale del Vesuvio e uno dei litorali più inquinati d’Italia si è prosciugato. Perso, smarrito. I finanziamenti incanalati chissà dove. Quasi 6 milioni di euro sono fermi da 8 anni, inutilizzati per un palleggio di competenze. Mentre i rifiuti restano a fermentare e finiscono per seppellire anche i ritrovamenti archeologici. Ed allora c’è poco da meravigliarsi se la Corte di Giustizia Europea condanna l’Italia a una sanzione pecuniaria di oltre 40 milioni di euro per ogni ulteriore semestre di ritardo nell’attuazione delle direttive dell’Ue sui rifiuti pericolosi e le discariche, ricordando che la chiusura o la semplice copertura di uno sversatoio con terra e detriti è troppo poco per adempiere all’obbligo di mettersi in riga con l’Europa.
L’impietosa fotografia scattata nei dati di un’interrogazione parlamentare del M5S, ancora inedita, che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, riassume in quattro pagine più di dieci anni di disastri ambientali all’ombra del Vesuvio. Luoghi dove, unico caso al mondo, sono state aperte discariche autorizzate all’interno di un parco naturale protetto e nel 2010 stava per essere inaugurata quella più grande d’Europa, Cava Vitiello, fermata dopo una rivolta di popolo sfociata in scontri contro le forze dell’ordine inviate dal governo Berlusconi, commissario straordinario Guido Bertolaso.
Erano gli anni dell’emergenza spazzatura in Campania. Si andò poco per il sottile. I danni sono ancora visibili, tra i due ex sversatoi di Cava Sari ma anche nei quintali di monnezza depositata di nascosto e ovunque: nelle pinete, tra i sentieri, a cielo aperto. Nei sacchi neri c’è di tutto, pure l’amianto. “Eppure le risorse per bonificare ci sarebbero” afferma il deputato grillino Luigi Gallo, firmatario dell’interrogazione che chiede che fine abbiano fatto 5 milioni e 712mila euro stanziati con un decreto ministeriale del novembre 2006 per il risanamento ambientale del “litorale vesuviano” dove ricadono i 13 comuni del Parco e rimasti in un cassetto.
Fondi che fanno parte di quasi 7 milioni stanziati, dei quali in otto anni ne è stato speso uno solo. “Le risorse ci sarebbero – prosegue Gallo – ma si perdono nel districato groviglio di competenze amministrative sulla gestione del Parco del Vesuvio e dei suoi gravissimi problemi ambientali, che genera discordanze e conflitti tra il Commissariato di Governo, la Regione Campania, i Comuni, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente, l’Ente Parco e la Soprintendenza Archeologica. L’esempio più lampante è negli ingenti fondi messi a disposizione per la bonifica di Cava Ranieri a Terzigno, dove sono state individuate ville romane rustiche risalenti al primo secolo avanti Cristo: nonostante l’impegno ufficiale di rimettere in pristino il sito dopo un anno dalla sua istituzione, avvenuta nel 2000, ancora oggi nessuna bonifica è stata realizzata e questo, come altre centinaia di siti di stoccaggio più o meno esistenti nel Parco, versa anch’esso in una condizione di degrado incipiente”.
Gallo annuncia che il M5S ha messo in cantiere un disegno di legge per snellire le procedure con l’aiuto di alcuni consulenti del territorio napoletano che si sono fatti le ossa negli anni dell’emergenza rifiuti. “Purtroppo l’Ente Parco in questi anni è rimasto inerte” commenta il parlamentare. Anche perché nel frattempo veniva declassato da sito di interesse nazionale a sito di interesse regionale. E’ accaduto nel 2012. In che stato sia, lo testimoniano le foto.

Regione: il maxi-mutuo da due miliardi verrà approvato al buio, come a poker. - Paolo Patania

Regione: il maxi-mutuo da due miliardi verrà approvato al buio, come a poker

Il governo Crocetta punta ad avere il via libera di Sala d’Ercole all’accensione del prestito, senza aver presentato né il Dpef né il disegno di legge su Bilancio e Finanziaria 2015. Mancano anche i documenti comprovanti le scoperture bancarie di Asp e aziende ospedaliere. Il tutto nel silenzio più assoluto dei vertici istituzionali.

Qualche tempo fa, davanti alle solite proposte di indebitamento della Regione, l’ufficio del Commissario dello Stato ricordava che, senza una proiezione triennale dei conti economici, una pubblica amministrazione non può accendere alcun debito. La figura del Commissario dello Stato è stata sostanzialmente abolita meno di un mese fa dalla Corte Costituzionale e già assistiamo a una scena parlamentare a dir poco incredibile: il governo Crocetta che presenta un disegno di legge che prevede l’accensione di un mutuo da due miliardi di euro senza aver prima presentato il Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria) e, soprattutto, senza aver prima presentato il disegno di legge su Bilancio e Finanziaria 2015. E, cosa ancor più grave, assistiamo alla scena di un Parlamento dell’Isola che ha già iniziato a discutere il nuovo indebitamento da due miliardi di euro senza avere la minima idea di quelli che saranno i conti economici e finanziari della Regione nel prossimo anno.
Senza l’ufficio del Commissario dello Stato che cercava di mettere un po’ di ordine tra Palazzo Reale e Palazzo d’Orleans, ne stanno succedendo di tutti i colori. Siamo a fine dicembre e non c’è ancora il “Bozzone” con il progetto di Bilancio e Finanziaria 2015. Tutto questo ben sapendo che, ormai, non ci sono più i tempi per approvare la manovra entro il 31 dicembre. E che si dovrà per forza di cose ricorrere all’esercizio provvisorio. Tutto questo ben sapendo che l’Ars è un Parlamento e non un semplice consiglio comunale. E che per l’approvazione del disegno di legge sull’esercizio provvisorio il governo regionale è obbligato a presentare prima il disegno di legge su Bilancio e Finanziaria.
Invece, a metà dicembre, il solito Crocetta strombazza sui giornali tagli di qua e tagli di là senza aver prima consegnato i documenti ufficiali all’Ars. Ma chi dovrebbe far rispettare le regole parlamentari e lo stesso Statuto? Anzitutto, il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone. Ma anche il presidente della commissione Bilancio e Finanze, Nino Dina, e il presidente della commissione Sanità, Pippo Digiacomo, visto che il maxi-mutuo, almeno a parole, dovrebbe servire a coprire il buco provocato dalla spesa per Asp e ospedali.
Eppure, Ardizzone non ha trovato nulla da dire ad un governo che presenta il ddl per un mutuo da due miliardi senza aver prima presentato Bilancio e Finanziaria 2015 con relativa proiezione triennale, come prescrive il buon senso e come avvertiva l’ufficio del Commissario dello Stato. Il governo Crocetta – questo è noto – ha scoperto che la Regione (non si capisce ancora con esattezza se dal 2001 o dal 2006), non ha erogato alle Aziende sanitarie provinciali (Asp) e alle Aziende ospedaliere circa cinque miliardi di euro. Il “buco” finanziario di cassa non è quindi della sanità, ma della Regione che, per ammissione dello stesso governo, non ha erogato appunto i cinque miliardi di euro alla sanità pubblica siciliana. Quindi, invece di parlare di “buco” della sanità pubblica siciliana, sarebbe forse il caso di parlare di un settore vittima di una Regione male amministrata. Ci si sarebbe aspettati che, nella relazione tecnica di accompagnamento al ddl sul mutuo da due miliardi il governo spiegasse, in primo luogo, dove sono finiti questi cinque miliardi non erogati alla sanità. Perché in una Regione “normale” cinque miliardi di euro non possono sparire nel nulla. Invece, nulla di tutto questo. Silenzio assoluto da parte di Crocetta, di Ardizzone, di Dina e di Di Giacomo.
Ma la cosa ancora più grave è che nella relazione tecnica – che definire incompleta è poco – mancano i riferimenti agli indebitamenti, veri o presunti, di Asp e Aziende ospedaliere. Dice il governo Crocetta: la Regione, in questi anni, non ha corrisposto a tali strutture sanitarie tutto il dovuto, così Asp e Aziende ospedaliere si sono indebitate con le banche. Poiché, per ogni Azienda sanitaria o ospedaliera si tratta di indebitamenti per centinaia di milioni di euro, ci si sarebbe aspettati, sempre nella relazione tecnica, di leggere i riscontri documentali – forniti dalle banche tesoriere – di tali indebitamenti. Invece, nulla. Carte che mancano, e che adesso alimentano dubbi su qualsiasi intervento finanziario di ripianamento.

Domani riprenderà la settimana parlamentare siciliana. E Sala d’Ercole è già pronta ad approvare il maxi-mutuo da due miliardi senza conoscere nulla dei conti del 2015 e della proiezione triennale. Forse, il governo alla fine della prossima settimana, porterà il “Bozzone” 2015. Magari dopo che l’Ars avrà approvato, al buio, come a poker, il mutuo miliardario.