martedì 9 gennaio 2018

Recessione forzata come strumento di guerra sociale contro il 99%. - Ramin Mazaheri



Se non capite subito questo titolo, non avete afferrato qual è l’obiettivo primario del capitalismo neoliberale degli ultimi 40 anni circa.
Smettetela di dare per scontato che l’1% voglia un’economia di crescita… per favore. Veramente, basta.
L’interesse dell’1% risiede nel sostenere il modello “mi tengo tutto quello che ho”. Accettate questa regola e sarete a metà della strada per l’illuminazione, e vedrete attraverso la menzogna tecnocratica secondo cui “l’economia è troppo difficile da capire”.
Eppure, il fondamento erroneo per il quale l’alta finanza effettivamente voglia un modello di “alta crescita” – solo che non riesca a capire come diavolo fare – è probabilmente destinato a persistere. Ciò è favorito dalla divinizzazione che i media mainstream da lungo tempo operano nei riguardi dei tassi di crescita economica; ma il colpo di scena recente è la loro ritrovata insistenza sul fatto che il tasso di crescita dell’1,7% previsto per l’Eurozona costituisca una svolta, ripresa, storia di successo, bla bla bla.
Parlatene con l’uomo della strada ed egli non saprà cosa sia questa ripresa tanto sbandierata. Che diamine, Cuba fa meglio dell’1,7%, anche con un embargo internazionale!
Questa divinizzazione del tasso di crescita non era mai stata preordinata – altre alternative erano state respinte: il tasso reale di disoccupazione (che include la sottoccupazione), il tasso di povertà, l’indicatore del potere d’acquisto, ecc.
Giochiamo al loro gioco: sicuramente saranno stati capaci di vincere seguendo le regole che hanno fissato?
Ovviamente…no. O come a loro piace dire: “Non ancora.”
Quindi, quando la Francia e l’Eurozona vedranno una vera crescita diffusa? Trattandosi della più grande macro-economia mondiale, la sua stagnazione dopotutto rallenta le economie di tutto il globo (che non fa uso della pianificazione socialista).
In poche parole, posso garantirvi che l’attuale quasi-depressione/recessione dell’Eurozona non rallenterà finché non saranno stati drasticamente ridotti i salari e peggiorate le condizioni dei lavoratori, questa è la capacità collettiva di pretendere una minore ridistribuzione della ricchezza consentita dal capitalismo.
Le mie due garanzie sono, dopotutto, essenzialmente quello che Juncker, Merkel, Schauble, Macron, Draghi, Dijsselbloem (Chi? Esatto.) e altri leader dell’Eurozona hanno ripetutamente ammesso… la gente semplicemente non vuole crederci (o diffonderle). L’economia, voi lo capite, non è costretta da imperativi economici ma da scelte politiche e culturali.
Vorrei tornare a citare l’ex Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis – ho usato il suo libro del 2016, “I poveri soffrono quanto devono?” come punto di partenza per questa serie di 7 articoli, che si conclude qui. Il primo articolo si è burlato di lui per il fatto che preferisce essere una rock star anziché un vero uomo di sinistra. Il secondo articolo ha sostituito la sua analisi falsamente di sinistra riguardo alla formazione dell’Eurozona con un’analisi che invece di sinistra lo è per davvero. Ma per la maggior parte, il resto degli articoli ha elogiato, rilanciato ed ulteriormente elaborato il suo ammirevole grido d’allarme riguardo alla natura spaventosamente corrotta e pericolosamente precaria dell’Eurozona di oggi.
Varoufakis ha riferito di una discussione avuta con un interlocutore della BCE e del FMI sulla natura economicamente controproducente dell’innalzamento dell’imposta sul valore aggiunto (tassa sulle vendite) in un paese come la Grecia. La metto qui per mostrare che l’introduzione di misure economiche chiaramente controproducenti e inefficaci – le politiche di austerità – è parte del progetto. Ma qual è il progetto?
“’Qualcuno le cui opinioni qui contano vuole dimostrare a Parigi cosa è in serbo per la Francia se si rifiuterà di mettere in atto riforme strutturali.”
Per prendere tempestivamente una citazione dall’essenziale economista moderno Michael Hudson – dal suo nuovo, superbo, completo articolo su The Saker “Socialism, Land and Banking: 2017 compared to 1917” [Socialismo, Terra e Sistema Bancario: il 2017 paragonato al 1917 in inglese]:
La parola ‘riforme’ come viene utilizzata dai media neoliberali di oggi significa annullare le riforme dell’Era Progressista, smantellando i regolamenti pubblici e il potere del governo – eccetto che per il controllo della finanza e gli altri interessi coincidenti (grassetto aggiunto).
Lo scopo di questa serie era di chiamare alle armi in Francia, ma la guerra è già finita
Questa serie era stata scritta per la maggior parte alla fine di agosto, quando le notizie si diffondono lentamente.
Ci si aspettava che la Francia sarebbe tornata dalle vacanze estive e avrebbe organizzato manifestazioni infernali contro le “riforme” del codice del lavoro di quell’automa neoliberale di nome Emmanuel Macron. Ma siamo a inizio novembre e la lotta è già finita da tanto tempo. “Per ora, sta vincendo la partita, non ha senso nasconderlo,” ha detto Jean-Luc Mélenchon, il più famoso politico di sinistra della Francia, lo scorso weekend.
Macron ha firmato la conversione del suo decreto sul codice del lavoro in legge a fine settembre. Non solo non era stato approvato dal ramo legislativo, non era stato neanche discusso. Ma alcuni dei media nel governo francese non hanno tenuto a freno del tutto la lingua riguardo alla falsa affermazione che i sindacati e i gruppi di base avrebbero aiutato a scrivere la legge: “… i ‘partner sociali’ hanno avuto appena due ore per leggere la versione finale di 159 pagine dei 36 cambi alla legislazione francese sul lavoro.”
Macron si era mosso molto rapidamente. È stato piuttosto intelligente… ma non intelligente al punto che io già ad agosto non chiedessi a tutti: “Perché i sindacati, i gruppi di sinistra e Mélenchon aspettano fino a fine settembre per programmare le loro proteste? È ovvio che è troppo tardi!”
Quindi, o io sono un genio, o loro sono degli incompetenti, oppure sono collusi, o i francesi hanno deciso di accontentarsi semplicemente di finirla con il regno multi-decennale dei partiti socialista e conservatore, e avevano solo voglia di affidarsi alla clemenza di Macron.
Cattiva idea… nonostante i sondaggi costantemente mostrassero un’opposizione significativamente maggioritaria ai cambiamenti, Macron ci ha riso in faccia e ha firmato la loro conversione in legge ancora prima di quando aveva anticipato, e in diretta TV.
Ma… comunque… torniamo alla settima parte – il vero obiettivo delle “riforme”.
“Le riforme strutturali” di Varoufakis non sono state inventate in Francia, naturalmente. Penso che tutti noi abbiamo un’idea molto precisa riguardo alla natura pro capitalista neoliberale/anti-socialista delle misure che sono state realizzate in tutta l’Eurozona negli ultimi anni nonostante una massiccia opposizione democratica.
Quindi non ha senso spiegarle – dopo sei anni di risultati in Francia abbiamo un insieme di dati abbastanza grande per tratteggiare delle conclusioni solide: queste riforme e misure di austerità sono controproducenti ai fini della creazione della crescita, e perfino la crescita ottenuta in futuro sarà necessariamente limitata: non puoi rendere più facile il licenziamento delle persone e non aspettarti che questo contrasti con i tuoi previsti aumenti occupazionali, no?
Le due condizioni proposte da me per terminare l’austerità – lo sbudellamento di salari/condizioni dei lavoratori e la assicurata impossibilità di rinegoziare – combinati con l’impossibilità di mettere fine democraticamente a queste politiche, rende inevitabile che l’Eurozona presto raggiungerà un “Decennio Perso”. E poi anche un “Ventennio Perso”, proprio come già successo al Giappone.
In entrambe queste importanti regioni economiche, la recessione è stata fabbricata al fine di muovere una guerra sociale contro il 99%. Torneremo alla citazione del Dott. Hudson di sopra per una spiegazione più approfondita.
Perché l’Occidente crede che il Giappone sia su un altro pianeta?
Un altro economista moderno tra i pochissimi veramente indispensabili è Richard Werner [in inglese].  Lui è noto per aver inventato il termine Quantitative Easing, ma il suo più grande contributo è aver stabilito il collegamento tra Europa e Giappone, due giganti economici. Il suo libro “Princes of the Yen” è un resoconto di prima mano dell’improvviso cambiamento subito dal Giappone, che in economia è passato dal ruolo di generatore di energia economica energetica a quello di malato – i giapponesi da che erano destinati a comprarsi tutto il mondo, si sono ritrovati in stagnazione perpetua. Il libro di Werner del 2001 è così interessante da aver ottenuto un risultato impossibile: è stato un libro di economia arrivato al numero uno nelle classifiche di vendita (in Giappone).
Sarà forse perché sono iraniano e sono abituato a sentir parlare delle glorie del 500 A.C., ma sento che perfino un’era di 16 anni fa possa avere ancora qualcosa da insegnarci oggi….
Ma Varoufakis non menziona Werner, non sembra avere una visione internazionale del capitalismo, del socialismo o dell’economia: si evince anche un pregiudizio eurocentrico. Nel suo libro menziona la Banca del Giappone solo due volte:
“Dalla fine degli anni ’90 in poi, le banche in Europa hanno copiato le pratiche del settore finanziario dell’anglo-sfera tutto balli e canti senza che avessero la rete di sicurezza di una Federal Reserve, di una Banca di Inghilterra o anche solo di una Banca del Giappone che li afferrasse quando avrebbe avuto luogo l’inevitabile caduta dalla grazia.”
Questa è una bella citazione, ma come si fa a dire “anche solo una Banca del Giappone “? Da quando, quella che per lungo tempo è stata la seconda economia più grande del mondo, vale quanto le patatine? Non c’è vergogna a essere sorpassati dalla Cina, e la Banca del Giappone è di gran lunga più potente della Banca di Inghilterra. L’unica ragione per questo atteggiamento di sufficienza a cui riesco a pensare è l’eurocentrismo. E questa sufficienza arriva da un ipotetico marxista… ed economista!
Ma se tutti noi studiassimo le scelte economiche degli ultimi anni in Giappone, non avremmo dubbi riguardo a due questioni chiave: l’Eurozona sta stupidamente seguendo le orme del Giappone, e i banchieri sono gli stessi ovunque. Sì, quelle caricature del 1917 sono ancora corrette….
L’ascesa, sostituzione & declino del modello giapponese
Devo ripetere che queste “riforme” non erano state inventate in Europa. Piuttosto, l’Europa sta mettendo in atto/ha già messo in atto le stesse riforme con la stessa ideologia, obiettivi e strumenti del “Ventennio Perso” giapponese – le uniche differenze sono colore della pelle, forma degli occhi e consumo di riso pro capite.
In modo molto simile alla Germania del dopoguerra, il Giappone era stato scelto dagli Stati Uniti per essere una centrale produttiva… nonostante entrambe le nazioni con il loro imperialismo immorale avessero provocato sconvolgimenti e decenni di sofferenza e repressione. Ma erano state entrambe sconfitte e pertanto facili da manipolare; entrambi i paesi tutt’ora ospitano il maggior numero di forze americane nel mondo, ancor più che una nazione “occupata” come l’Afghanistan.
Fino al 1985 il sistema industriale/bancario giapponese funzionava in modo superbo, con risultati ben noti. Era una versione più forte dell’”economia mista” della Francia, con una direzione governativa ancora più rigida riguardo a dove, a chi e quanto denaro prestare al fine di creare crescita diffusa.
Ciò che cambiò fu il declino della dominazione del dollaro, la fine di Bretton Woods e la creazione statunitense dell’economia neoliberale al fine di mantenere il dominio americano.
Con gli Accordi del Plaza del 1985, il Giappone adottò i cambiamenti neoliberali orchestrati dagli Stati Uniti, che erano stati progettati allo scopo di risucchiare i surplus del Giappone nuovamente verso gli Stati Uniti. (Anche la Germania (Ovest), la Francia, gli Stati Uniti & il Regno Unito aderirono, ma il Giappone era quello che aveva di più da perdere.) Dal punto di vista di un capitalista dell’1% aveva perfettamente senso e funzionava ottimamente, per questo l’1% del Giappone vi aderì. Ma da un punto di vista nazionalista o del 99% fu un suicidio economico.
Come riferì Michael Hudson nel 2008, il Giappone “agiva come il Tredicesimo Distretto della Federal Reserve e il Comitato per la Rielezione Repubblicano” attenendosi ad un piano che era chiaramente contro i propri interessi nazionali e la propria sovranità. Una tale affermazione dovrebbe fare infiammare i nostri lettori giapponesi, come anche le vittime dell’imperialismo americano in tutto il mondo. Ma è comunismo da manuale che l’1% si preoccupa più dei propri soldi che dei loro vicini e concittadini, che sia in Giappone o altrove.
Quale fu il più grosso cambiamento (e sbaglio) specifico che fece il Giappone? Rendere la Banca del Giappone “indipendente” dal Ministero delle Finanze, cioè dal governo… cioè da responsabilità, supervisione, dal popolo, dalla legge, dalla giustizia, dalla moralità, dall’influenza dei voti democratici, ecc.
Deridete il comunismo come ‘dominazione governativa’, ma esaminate il suo opposto
Il fondamento a cuore del capitalismo neoliberale significa una cosa su cui tutti noi saremo d’accordo: il governo si oppone al denaro (alla sua forza, e alla capacità degli individui di guadagnarne).
Pertanto, il sistema più sicuro di aiutare il grande capitale è di avere un governo fatto da politici e non da burocrati/servitori dello Stato.
Potrete aver sentito molte cose brutte riguardo agli impiegati pubblici, ma essi spesso conoscono il loro territorio limitato meglio dei tecnocrati nelle loro torri d’avorio o dei lobbisti/ricercatori al soldo di specifici interessi. E – fatto cruciale – per lo meno loro non stanno lì solo per i soldi. Qualcuno può dire lo stesso riguardo alle porte girevoli tra “politici/lobby/affari” occidentali?
Nessuno potrà affermare onestamente e giustificatamente che TUTTI i servitori dello Stato sono “corrotti”, naturalmente. La narrazione del mainstream è che il socialismo produce corruzione endemica, ma in special modo ai livelli più alti.
Ma (e io presumo che tutti noi questo lo sappiamo ma semplicemente non ne discuteremo) nel capitalismo occidentale non solo non è chiamata “corruzione” perché i vizi del capitalismo – unilateralismo (iniziativa personale), avidità, distruzione “creativa”, una rivalità di ispirazione mafiosa “famiglia contro società” che è l’eccezione più piccola all’individualismo sfrenato, che ignora i deboli e i vecchi, e troppi altri peccati da nominare – sono lodati come virtù. Tutto quello che dobbiamo fare è scatenare quelle “energie animali” dell’economia, giusto…?
Il fondamento centrale del capitalismo finanziario che non può essere negato è: gli azionisti e i banchieri regnano (anche i banchieri centrali).
È per questo che disfarsi dei ministri delle finanze indipendenti è un obiettivo reale – quelli buoni non lavorano per il profitto ma per il popolo. I banchieri possono essere certi di quello che motiva altri banchieri: non sono sicuri da dove arrivino persone come Varoufakis (a suo grande credito).
Quindi sappiamo tutti che il disaccoppiamento di finanza/banche commerciali negli Stati Uniti ha compiuto un grande passo avanti con l’abolizione del Glass-Steagal Act, e che la riduzione della supervisione governativa ha causato la crisi dei mutui subprime negli USA.
Ma quanti si ricordano questa “storia antica” di pochi anni addietro dall’altra parte del Pacifico? Cosa è successo quando il Giappone nel giro di una notte ha eliminato la supervisione governativa sulle banche seguendo gli accordi del Plaza? I banchieri giapponesi crearono il boom e il fallimento delle Tigri Asiatiche.
Come? Inondarono l’area di crediti facili, e dopo li revocarono. Non essere in grado di pagare i tuoi conti in effetti è una crisi….
E chi ha organizzato la Crisi del Debito Sovrano Europeo nei PIIGS? I banchieri nordeuropei: inondando l’area di crediti e poi revocandoli.
Molti dicono che la Crisi del Debito Sovrano dell’Eurozona sia finita, a dispetto di tutte le evidenze contrarie. (Le precedenti sei parti di questa serie hanno tentato di portare più prove possibili per questa tesi.)

Dunque i paralleli multinazionali, regionali tra il sudest asiatico e la crisi europea sono del tutto corretti.
Ma adesso dobbiamo aggiungerci gli USA: anche qui hanno inondato il proprio mercato con prestiti immobiliari, poi di finanziamenti per automobili e di crediti per elettrodomestici, e infine di carte di credito al fine di cannibalizzare il proprio ricco mercato interno.
Quindi si dovrebbe pensare che la lezione da adesso dovrebbe essere chiara, perché vediamo chiaramente gli stessi risultati in tutte e tre le regioni che sono i frutti delle stesse motivazioni – capitalismo neoliberale.
In tutte e tre il governo avrebbe potuto utilizzare i propri poteri per mettere fine alla crisi, ma non lo ha fatto/non lo fa. Il motivo si ritrova nel mio titolo: recessione forzata come strumento di guerra sociale contro il 99%, o, attuare “le riforme”.
Chiamate l’obiettivo finale come preferite – peonaggio da debito moderno, nuova servitù della gleba, Il Sistema del Latifondo Moderno – è innegabile che gli Occidentali vivono (soffrono) all’apice della dominazione globale del capitalismo.
Ma l’Eurozona è messa molto, molto peggio del Giappone, e continua a peggiorare
Questo perché la Banca Centrale Europea, creata nel bel mezzo del periodo d’oro del neoliberalismo americano e la morte dell’URSS, purtroppo custodisce l’indipendenza nel proprio statuto. Visto quanto vi ho riferito, questa cosa fa ridere – dovete ridere per non piangere!
La BCE non può essere limitata da nessun Parlamento nazionale, né i suoi uffici possono essere sottoposti a perquisizioni – è totalmente al di sopra della legge… proprio come l’ONU, al netto della solidarietà internazionalista. Il futuro dell’Eurozona è quindi senza speranza perché la BCE è esclusivamente controllata dai banchieri – e da banchieri esteri – più di quanto il Giappone o gli Stati Uniti siano mai stati.
Grazie all’allarme lanciato da Varoufakis, che abbiamo lodato nel terzo articolo di questa serie, è stata esposta alla luce quella cricca orribilmente antidemocratica di banchieri chiamata l’Eurogruppo.
Dunque adesso dovremmo capire che quelli al timone a Bruxelles/Eurogruppo hanno sempre avuto le risorse, il potenziale e la volontà di essere ancora più intenzionalmente distruttivi in modo capitalista che i loro colleghi di New York e Tokyo.
E questo è quanto hanno fatto con questo potere.
(Come verrà ulteriormente illustrato nella prossima sezione) Esattamente come il Giappone, il fallimento quasi decennale delle politiche di austerità dell’Eurozona sta producendo abbastanza apatia, paura, disperazione, e acquiescenza da riuscire a forzare importanti “riforme” alla rete di sicurezza e sociale e alla struttura sociale/lavorativa guadagnate a caro prezzo nell’Europa del dopoguerra:
I diritti dei lavoratori e dei sindacati non miglioreranno in un momento in cui i licenziamenti di massa vengono resi più facili; i lavoratori non avranno la forza per pretendere la loro quota di profitti se non riescono ad ottenere neanche una settimana lavorativa intera; quando la “disoccupazione piena” (i media mainstream non fanno mai menzione della “sottoccupazione”) fa ritorno, ciò avviene senza la stabilità dei contratti a tempo indeterminato, la norma in posti come la Francia; la consapevolezza che i rifugiati saranno felici di abbandonare le loro tende e prendere il vostro lavoro – combinata con il razzismo anti-sociale – sarà un’altra carta divisiva che i caporioni si giocheranno; e come possono “cadere” gli standard di vita quando quelli del 99% cadono tutti assieme? Questa sarà la nuova “normalità” e, naturalmente, un successo per l’1%.
Ma va ancora peggio: un’altra crisi è in arrivo per l’Europa – una crisi politica. In un grosso tradimento delle promesse dell’era del 1991, un’Europa a molte velocità è già stata annunciata dalle quatto maggiori economie. I paesi leader semplicemente si prenderanno i loro soldi, se ne torneranno a casa, e inizieranno a mandare le loro fatture mensili, e vi ho riferito di questa indiscutibile traiettoria nel quinto articolo di questa serie, “L’Eurozona è probabilmente entrata nel suo anno finale, contrazione in arrivo”.
A un certo punto l’Asia si disaccoppierà dall’Occidente
Ma non subito. Forse perché la Cina socialista non è abbastanza forte da costituire un partner migliore? Il Giappone dovrebbe rendersi conto che, con amici come questi, che bisogno ha di nemici?
Il giapponese Shinzo Abe può essere visto come un chiaro precursore di Macron: dopo 15 anni di quasi-recessione, una popolazione percossa, disperata e male indirizzata ha votato la Abenomics, che è basata sull’alleggerimento quantitativo e sullo stesso tipo di “riforme” strutturali contro cui i Francesi hanno resistito tanto a lungo.
Abe è stato appena rieletto Primo Ministro questa settimana. Il QE, proprio come in Europa oggi, è stato celebrato come un campione semplicemente per avere raggiunto il patetico obiettivo di “aver evitato la recessione”.  Ha anche tratto beneficio dalla crisi appena fabbricata con la Corea del Nord che gli ha dato la tipica spinta elettorale di un paese fortemente nazionalista come il Giappone. Abe è arrivato al potere solo nel 2012 quando il partito “di finta sinistra” da lungo tempo al potere,  è stato finalmente punito per aver continuato con le scelte economiche conservatrici, regressive e disprezzate successive all’Accordo del Plaza.
I risultati dell’Abenomics sono chiari: tristi per gli standard capitalisti, criminali per quelli socialisti.
Il QE di Abe – a parte i cambiamenti sociali alla struttura del lavoro che lo accompagnano – è astronomico se confrontato con quello della BCE e quello della FED: in percentuale al PIL del paese è tre volte più grande di quello delle sue controparti occidentali, approssimandosi al 100%.
Ma se pensate che il Giappone sia peggio dell’Europa, state sbagliando – la ragione è il nazionalismo economico, forse l’unica difesa rimasta contro la globalizzazione (assumendo che voi stupidamente respingiate il socialismo, la soluzione):
Il fatto è che il popolo giapponese possiede il debito giapponese. Il 95% del debito pubblico è detenuto da cittadini giapponesi; non si rischia quindi la fuga dei capitali; i cittadini non faranno crollare i propri Buoni del Tesoro; non puoi ipotecarti entrambi i nonni perché non avresti dove passare le vacanze; il governo del Giappone pertanto ha una flessibilità enorme nel tirarsi fuori dai problemi con la stampa di denaro (il problema è che loro non stampano per fare investimenti produttivi); la Germania, gli Stati Uniti  o la Cina non possono imporre i propri voleri su Tokyo come hanno fatto con Atene.
Pertanto, il problema del Giappone non sono i capitalisti internazionali, ma i capitalisti nazionali; se riuscissero a sottomettere il loro 1%, il mondo seguirebbe il loro esempio come in tanti stanno seguendo quello di Pechino.
Il Giappone, è stato scritto tante volte da quando è stato ”aperto” all’Occidente alla fine del XIX secolo, apparentemente ha ancora una specie di complesso di inferiorità riguardo ad esso: hanno scelto di scimmiottarlo pateticamente a esclusivo beneficio del loro 1%. Dovrebbero leggere Franz Fanon per capire la psicologia dei colonizzati, che è ciò che sono culturalmente, anche se non economicamente.
Per tornare all’argomento di questa serie – le previsioni per il prossimo futuro dell’Eurozona: il Giappone ne è un chiaro modello anticipatore:
Il tasso di crescita del Giappone dal 1990 è circa uguale a quello della Francia dal 2010 – sempre attorno all’1%. Questo è sufficiente ad evitare che sui giornali titolino “recessione” che fa cattiva stampa, ma non è sufficiente a produrre una vera crescita. È abbastanza perché politici senza idee possano dire che i tempi buoni siano “proprio dietro l’angolo”, e abbastanza perché cittadini “ che sempre di più devono sforzarsi per mettere il cibo sulla tavola” preghino che finalmente i politici abbiano ragione.
Che siano in giapponese o in francese, i media capitalisti e le risposte ufficiali dei governi sono le stesse. Il filo conduttore comune è che hanno abbracciato il capitalismo neoliberale di stile anni ’80, la peggior forma di capitalismo realizzato nell’era post-industriale. Questo è anche noto come “la American Way,” o globalizzazione.
Dunque la crisi del debito sovrano europea è stata risolta o posticipata da Draghi?
Questa intera serie si basa sull’idea che Draghi dovrà mettere fine al QE prima o poi, e che quando lo farà, i mercati obbligazionari torneranno alla crisi del 2012 perché niente è migliorato fondamentalmente da allora.
Il 25 ottobre, il presidente della BCE Mario Draghi ha tenuto il suo tanto atteso discorso. Così, si è trattato di più “soldi gratis” all’1%, o inizieranno a cercare altri investimenti spietati, capitalisti, speculativi?
Quindi…. Prego, rullo di tamburi…
Posticipata [in inglese]!
Draghi si è rifiutato di usare la spaventosa parola “tapering” [assottigliamento, attenuazione] ma la BCE sta facendo proprio questo passando da 60 miliardi di euro a 30 miliardi di euro in acquisti di obbligazioni ogni mese, per nove mesi. Questo porterà l’intero ammontare dalla BCE a circa 2.600 miliardi di €. Draghi proprio non aveva scelta riguardo alla durata di nove mesi – il QE deve terminare perché non ci sono quasi più Titoli di Stato da acquistare secondo le regole attuali.
Dunque è stato semplicemente un posticipo, e un’ammissione che l’economia dell’Eurozona non è ancora preparata a reggersi in piedi senza quotidiani salvataggi governativi dei banchieri. Ma, state attenti a non ingannarvi – niente è stato dato al 99%.
Quando avranno esaurito i Titoli di Stato, magari cambieranno le regole per comprarne di più…? Difficile, perché la Germania (Ovest) capitalista dura e pura è stanca di rimandare l’ovvio – e oh-tanto-conveniente sbudellamento condotto dalla Troika nei confronti di molto più che la sola Grecia.
Oppure, la BCE potrà fare la mossa di comprare obbligazioni societarie? Forse questo terrà buoni temporaneamente gli speculatori, ma non cambierà il fatto che i mercati obbligazionari nazionali – totalmente disaccoppiati tra loro, nonostante convivano in un progetto multinazionale – torneranno a dove si trovavano nel 2012 il prossimo settembre. I governi avranno ancora necessità di vendere obbligazioni…

Quindi la dichiarazione di Draghi non ha scosso i mercati obbligazionari perché lo status quo non è stato cambiato – il barattolo è stato nuovamente scalciato per strada.
Ma niente cambia il fatto cruciale che cinque anni di QE sono andati verso l’1%, i mercati azionari e attività come gli immobili, i gioielli e le opere d’arte, anziché in investimenti produttivi congegnati per produrre lavoro, crescita e prosperità per il 99%… o qualunque altra cosa avrebbe migliorato l’”economia reale” e pertanto ridotto le possibilità di un’altra crisi.
Voilà…. Questa è la situazione in cui si trova l’Eurozona oggi – l’anello più grosso dell’economia globale, e anche il più debole.
Grazie per leggere questa serie, e posticipiamo il nostro appuntamento.
Vediamoci il prossimo settembre, Mario! Potreste sperare in un miracolo, ma non crescerà una coscienza all’alta finanza per quella data. Comprate Bitcoin, finché sono ancora a 4 cifre!
Spiacente di aggiungere qui che io non ho neanche parlato delle tre regioni occidentali, gli Stati Uniti, l’Eurozona e il Giappone, che non hanno un piano realizzabile per vendere tutto questo massiccio debito del QE al settore privato. Inonderanno il mercato nello stesso momento, quando non potrà esserci sufficiente domanda, e pertanto avranno reali difficoltà ad eliminare questi debiti dai loro registri. Qualcuno dovrà subire dei tagli – sotto il capitalismo tocca sempre al popolo. Ma… siccome il popolo ha già salvato le banche, i tagli li subiranno i salari e la stabilità.
Quindi da dove arriva questo “scarico del taglio del QE”? Ditemelo voi…
Gli errori pianificati non sono ‘errori’ – per questo è necessario il governo economico socialista
Alla fine, non c’è via d’uscita: la spesa pubblica è il solo modo. Dopotutto, riscuoteremo sempre le tasse.
Ma c’è la spesa pubblica nei paesi capitalisti (dove i banchieri decidono dove vanno i soldi – nelle loro tasche), e c’è la spesa pubblica nei paesi socialisti (dove burocrati eletti/nominati/licenziabili/imprigionabili decidono dove vanno i soldi): decidete voi qual è meglio.
Sia Werner che Hudson (con la sua essenziale critica moderna del settore FAI (Finanziario Assicurativo Immobiliare) che sta dissanguando l’Occidente con l’usura come aveva già fatto nel 500AC, nel 500 AD, nel 1500AD e in tutti gli anni in mezzo) non accusano l’alleggerimento quantitativo di per sé – denunciano il fatto che venga utilizzato a beneficio dell’1%. Questa è economia elementare e semplice storia economica….
Riguardo alla storia politica e al progetto pan-europeo: è conoscenza comune che i padri fondatori dell’Europa speravano che l’unione monetaria avrebbe condotto all’unione politica, al fine di sostenere la suddetta unione monetaria. È anche chiaro che speravano che una crisi economica avrebbe causato degli sforzi verso un’unione politica più stretta.
Ma questo non è un piano democratico, neanche per idea! Questo è un ricatto nei confronti del Popolo Europeo!
Questo è il mai discusso antidemocratico segreto a fondamento del progetto pan-europeo, simile alla schiavitù negli Stati Uniti, all’imperialismo nella Repubblica Francese, e forse alla fasciatura dei piedi nella moderna Cina Imperiale. Solo una di queste regioni ha messo in atto una rivoluzione popolare moderna per rigettare questo sistema empio….
E voi lo potrete chiamare prendere ostaggi, opportunismo, e pura e semplice crudeltà sadica, perché l’élite capitalista dell’Europa sapeva che quando sarebbe inevitabilmente arrivata la prossima crisi finanziaria nel capitalismo, in tutto il mondo sarebbe stata prodotta una grande sofferenza a causa di una mal congegnata unione monetaria.
Forse l’unico punto di questa serie è provare che niente è cambiato nell’Eurozona dal 2012, e che la Spagna e l’Italia sono ancora sulla soglia di un salvataggio punitivo ad opera della Troika. Proprio come le Tigri Asiatiche e la Grecia sono state buttate fuori – il pedaggio richiesto da banchieri/Troika è terribile, così terribile che le “riforme” vengono accettate in posti come la Francia in un appello per la carità preventiva.
Il che è il motivo per cui c’è una resistenza: la Brexit è stata seguita dalla Catalogna, che è stata seguita dalla Catalogna, che sarà seguita dalla partenza dell’Europa Centrale quando arriverà l’”Europa a velocità multiple”, che sarà seguita da qualche altra –exit finché esisterà questo atroce status quo in Europa.
Il comunismo è, dopotutto un intero sistema culturale e non solo un punto di vista economico. Perché lo scopo attuale di questo particolare progetto pan-europeo è così spietatamente capitalista eppure è stato così tanto assorbito senza neanche pensarci, che ci vorranno molti anni di rieducazione per imparare cosa sia la vera, armonica solidarietà pan-europea.
La giuria è pronta per quale verrà prima: solidarietà o rottura.
Conclusione: o aspiri all’1% imperialista oppure osi il sogno socialista
Ho recentemente intervistato un gestore di un importante fondo di investimenti, per il mio lavoro con Press TV. Dopo la nostra intervista di 15 minuti, me ne sono andato pensando che non ero d’accordo con niente di ciò che quell’investitore finanziario aveva detto – il che non è sorprendente data la mia adesione al comunismo. Dopo abbiamo chiacchierato mentre lui fumava, e ha sciorinato vari cliché e stereotipi per spiegare l’economia di ogni regione globale. Dovevamo filmare il suo ufficio per ottenere altre immagini per il nostro servizio e, poiché probabilmente aveva visto che stavo leggendo la sua rivista di investimenti per passare il tempo, stampò un articolo di 10 pagine che aveva scritto da poco tempo. Sono andato all’ultima pagina per leggere le sue conclusioni, ed eccovi la sua terzultima frase:
“Quando si considera il livello delle valutazioni del mercato azionario, scopriamo che si può individuare il momento per installare stabilmente le riforme fiscali che – finalmente mettere in atto il sistema americano.”
E questo tizio è un francese…. Non penso che “il sistema americano” fosse quello che voleva de Gaulle, o ciò per cui i francesi hanno combattuto contro i tedeschi e, cosa ancora più importante, è quello che vuole il popolo francese? Quest’ultimo argomento, dovuto ai dettami della sovranità nazionale, potrebbe essere più importante del punto chiave che il modello americano non funziona neanche per la persona media.
Penso che la frase finale dell’investitore finanziario riveli la ovvia collusione in atto tra l’alta finanza e le banche centrali:
“Sembra necessario che ci sia una maggiore chiarezza sulle politiche monetarie delle due banche centrali (US Fed & BCE) non solo nelle direzione verso cui conducono, ma sulle tempistiche e l’ampiezza di questo percorso.”
Siate pur sicuri che nessuno nella comunità di investitori, banchieri, o banchieri centrali leggerà questa serie di articoli.
Anche se solo ne sentissero l’odore, la scarterebbero immediatamente, poiché produrrebbe una dolorosa e immediata dissonanza cognitiva tra le loro false assunzioni e le loro egoistiche conclusioni.
Perché essi non riescono a tollerare idee differenti, vivono in una piccola bolla isolata, e non vogliono che niente li tocchi fisicamente o addirittura intellettualmente. Sembra che sperino di fare tanti soldi velocemente, al fine di sfuggire alla routine quotidiana, alle masse sudate, all’idea che tutto il lavoro sia uguale.
Terminerò questa serie di 7 articoli con una citazione da Varoufakis perché, a dispetto della mia esperienza-sul terreno da giornalista di inchieste quotidiane (in cui l’estensione e I’urgenza conferiscono reale virtù), le persone preferiranno ascoltare le sue parole (falsamente di sinistra) piuttosto che le mie.
“Credere che il problema dell’Europa sia il debito. Non il progetto architetturale dell’Eurozona. Non le sue regole inapplicabili. Ma il debito. Il debito non è mai stato il problema dell’Europa. Ma era un sintomo di un’orribile ingegneria istituzionale.”
La tragedia dell’austerità europea che vi ho riferito e che sto vivendo è che assicura che chi è indebitato non sarà mai in grado di ripagare: la Grecia non pagherà mai quello che deve – se ci credete, è la prova che siete stati ingannati dai media.
È stato detto loro “no salvataggi, e no bancarotte” … questo potrà finire solo con una rivoluzione o una sospensione della condanna a morte da parte dei loro padroni monetari. Il Terzo Mondo sa che il governatore non chiama mai in tempo….
L’imperialismo europeo si è rivolto al proprio interno. Questa lezione deve essere imparata. Il popolo deve pretendere nuove regole. Queste regole non possono essere capitaliste. Il socialismo resta la nostra unica opzione.
***********************************
Questo è l’articolo finale di una serie di 7 articoli sull’Eurozona attuale che combinerà alcune delle idee di Varoufakis con i miei 8 anni di esperienza fatta occupandomi direttamente della crisi da Parigi.
Eccovi la lista degli articoli che verranno pubblicati, spero che li troverete utili nella vostra lotta da sinistra!
Recessione forzata come strumento di guerra sociale contro il 99%
Ramin Mazaheri è il capo corrispondente a Parigi di Press TV e ha vissuto in Francia dal 2009. Ha fatto il cronista per vari quotidiani negli Stati Uniti ed ha svolto la sua attività in Iran, Cuba, Egitto, Tunisia, Corea del Sud e in altri paesi. I suoi lavori sono stati pubblicati in svariati giornali, riviste e siti web, oltre che alla radio e in televisione.
Articolo di Ramin Mazaheri pubblicato il 02/11/2017 su TheSaker.is
Traduzione in italiano a cura di Mario B. per Sakeritalia.it
6.01.2018
[Le note in questo formato sono del traduttore]

lunedì 8 gennaio 2018

Boom di dimissioni per le neomamme. In 25 mila costrette a lasciare il lavoro. - Claudia Luise


Secondo i dati forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro tra le donne che si sono licenziate 24.618 hanno specificato motivazioni legate alla difficoltà di assistere il bambino e di conciliare la vita da mamma con il lavoro.

Pochi posti al nido, troppi costi e nonni lavoratori: la fotografia dell’ispettorato nazionale.

Dalla Lombardia alla Sicilia: nonostante differenze anche sostanziali nel mondo del lavoro e nella rete familiare, per le donne ritornare al lavoro dopo la nascita di un figlio sta diventando sempre più problematico in tutte le regioni d’Italia, anche in quelle dove solitamente l’occupazione femminile è maggiore rispetto alla media nazionale. Alla base restano i problemi da affrontare quando si prova a conciliare carriera e cura della famiglia nei primi anni di vita di un bambino tra costi alti per i nidi, stipendi bassi e nonni, spesso ancora in servizio, che non possono badare ai nipoti. 

In Italia le dimissioni volontarie per genitori con figli fino a 3 anni d’età sono state 37.738. Secondo i dati forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro le donne che si sono licenziate sono state 29.879. Tra le mamme, appena 5.261 sono i passaggi ad altra azienda, mentre tutte le altre (24.618) hanno specificato motivazioni legate alla difficoltà di assistere il bambino (costi elevati e mancanza di nidi) o alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Per gli uomini la situazione è capovolta: su 7.859 papà che hanno lasciato il lavoro, 5.609 sono passaggi ad altra azienda e solo gli altri hanno deciso di farlo per difficoltà familiari. I dati si riferiscono al 2016, gli ultimi a disposizione di ministero del Lavoro e Ispettorato. 

La Lombardia è in testa con un numero altissimo di dimissioni convalidate, ben 8.850. Tra queste 3.757 sono dovute al passaggio ad altra azienda, ma tutte le altre (5.093) sono legate a motivi familiari. Tra le donne, che sono state 6.767, quasi la metà (3.105) si sono licenziate per mancato accoglimento al nido, assenza di parenti di supporto e elevata incidenza dei costi di assistenza del pargolo. 

Tante, ancora troppe se si considera che la Lombardia garantisce una delle reti di nidi e supporto tra le più sviluppate in Italia. Non va meglio in Veneto, seconda regione per numero di dimissioni, 5.008 (3.658 mamme e 1.350 papà). In questo caso, a differenza delle altre zone d’Italia, sono 770 i genitori che sottolineano come nella scelta abbia inciso la mancata concessione del part time e la modifica dei turni. Terze, in questa classifica infelice, sono il Lazio (3.616) e l’Emilia Romagna (3.609), quasi a pari merito nonostante le enormi differenze sociali e lavorative dei due territori. In questi casi hanno scelto di perdere il lavoro perché non riuscivano a conciliarlo con la famiglia rispettivamente 1.519 e 1.243 donne. 

Considerando i dati aggregati, il numero più alto di dimissioni è stato registrato al Nord, 23.117, mentre al Centro sono state 8.562 e al Sud 6.059. In generale i cambi di azienda non incidono così tanto (al Nord sono stati circa 8.000). Ma al Sud sono davvero pochissimi, appena 350. Fanalino di coda è la Calabria. Nonostante il numero di abitanti, le dimissioni sono state appena 517. Si fa presto a considerare che in questo caso incide tanto la disoccupazione femminile. 

Analizzando la qualifica delle donne che lasciano il lavoro emerge chiaramente come meno guadagni più sei sola e “costretta” a dimetterti. Ecco che tra operaie e impiegate si arriva a 28.102 convalide, mentre quelle di dirigenti e quadri sono state 680. Con uno stipendio che a stento raggiunge i mille euro i conti sono presto fatti: ne spendi almeno 500 tra tata e nido e dai 500 che avanzano bisogna ancora sottrarre costi base come pannolini e prodotti per l’igiene. Sono in molte a pensare che non valga la pena stare almeno 7 ore lontano da casa per guadagnare così poco e non dedicarsi al figlio.  

Ma questo è un circolo vizioso perché dimettendoti perdi anche alcuni benefici come il Bonus baby sitter: risollevarsi e cercare un altro impiego diventa così ancora più difficile

Parte la missione spaziale (segreta) «Zuma»: il vettore è di Elon Musk. - Leopoldo Benacchio



La segretissima missione spaziale americana chiamata Zuma è finalmente partita, dopo un paio di rinvii nei mesi scorsi. Il vettore però non è Nasa, come ci si aspetterebbe almeno qui in Europa per un satellite in cui tutto, a parte lo strano nome, è secretato, ma la compagnia SpaceX, di Elon Musk.

Il satellite è partito come carico pagante, come si dice in campo spaziale, del Falcon 9, il vettore oramai collaudatissimo della compagnia, al suo ventunesimo decollo e successivo rientro a terra del primo stadio perfettamente riuscito. Per inciso Space X è la prima e unica compagnia, al momento, a poter vantare questo record di riutilizzo di parti così importanti, ingombrati e costose. Questa particolarità sviluppata da SpaceX va vista come la vera idea rivoluzionaria della compagnia, che ha come obiettivo finale la costruzione di razzi vettori completamente riutilizzabili, progetto che sta portando avanti con notevole successo dato che ha già riutilizzato cinque volte, per lanci successivi, un primo stadio del razzo vettore che era stato recuperato da un volo precedente.

Sembra insomma che la tanto decantata politica del low cost, perseguita con scarso successo da Nasa con lo Space Shuttle negli anni Ottanta e Novanta, che alla fine costò più di una missione convenzionale per i tanti guasti e rinvii, sia realizzata solo oggi proprio dal vulcanico imprenditore Musk, che con le automobili Tesla, le batterie elettriche per la casa dello stesso marchio e SpaceX ha realmente contribuito a rinnovare un mondo un po’ asfittico e povero di intraprendenza.

Il lancio alle ore 2 italiane.
Il lancio di Zuma è comunque avvenuto alle ore 2 italiane di questa mattina e dopo 2 minuti e 19 secondi il primo stadio si è separato dal secondo e ha iniziato a tornare a terra, dove è arrivato dopo otto minuti dal decollo. Allo stesso tempo il secondo stadio ha continuato verso lo spazio e portato in orbita il satellite realizzato dalla Northrop Grumann, un fornitore industriale storico della difesa americana. L’altezza raggiunta dal satellite viene classificata come Leo, orbita bassa in parole povere, sui 400 chilometri circa, come la Stazione Spaziale Internazionale.

Il «mistero» di SpaceX.
È la compagnia costruttrice che ha scelto la SpaceX come vettore, dopo aver stabilito che era quella che presentava il miglior prezzo, in condizioni di sicurezza del lancio ineccepibili.
Fin qui tutto bene insomma e occorre dire che il fatto che questa nuova ed efficiente compagnia spaziale privata utilizzi la piattaforma 39esima del centro spaziale Nasa intitolato a Kennedy fa una certa impressione, dato che fu quello da cui partirono i voli Apollo per la Luna dalla fine degli anni Sessanta.

Pochi gli indizi per capire cosa debba fare il satellite e chi lo gestirà, se una agenzia civile o militare, certo il segreto fa pensare a questa seconda ipotesi. L’orbita, anche se la si conosce pure questa approssimativamente, può starci per entrambe le ipotesi e per compiti di sorveglianza o trasmissione, tipicamente. In ogni modo SpaceX ha già portato due volte nello spazio carichi militari: in particolare, lo scorso settembre, ha messo attorno alla terra l’aereo navetta militare X37B, una specie di mini shuttle. La caccia al vero scopo della missione spaziale Zuma è appena cominciata ma forse il vero segreto è semplicemente che anche la Difesa Usa, o qualche altro importante Ente che ha bisogno di un occhio nello spazio, vuole spendere un po’ meno.

http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2018-01-08/parte-missione-spaziale-segreta-zuma-vettore-e-elon-musk-165744.shtml?uuid=AEFnQ6dD

Leggi anche:

http://www.ilsole24ore.com/art/motori/2017-12-20/elon-musk-non-abbiamo-bisogno-partner-ma-se-qualcuno-si-fa-avanti-non-chiudiamo-porta-100632.shtml?uuid=AEaMrDVD

e anche: 

http://www.ilsole24ore.com/art/motori/2018-01-04/tesla-delude-attese-nuovi-ritardi-la-model-3-ma-vendite-continuano-ad-aumentare-113308.shtml?uuid=AEbp52aD

Legge Fornero, canone Rai e tasse universitarie: fact-checking alle promesse dei partiti. - Marzio Bartoloni, Andrea Biondi, Davide Colombo.



Cancellare la riforma Fornero sulle pensioni, abolire il canone Rai, azzerare le tasse universitarie. Queste, rispettivamente da centro-destra, Pd e Liberi e uguali, le ultime proposte lanciate nei giorni scorsi in vista delle elezioni del 4 marzo. Tre promesse che tuttavia devono fare i conti con l’impatto sul bilancio pubblico. Il Sole 24 Ore è andato a vedere quanto costerebbero queste promesse elettorali, cominciando con quella più onerosa, cioè l’abolizione della riforma Fornero.

1) La riforma Fornero vale ancora 20 miliardi di risparmi l’anno.Nei primi anni di piena applicazione, tra il 2013 e il 2016, la Riforma Fornero avrebbe garantito una minore spesa pensionistica per circa un punto di Pil l'anno (15-16 miliardi). Sono numeri della vecchia relazione tecnica al decreto Salva Italia (201/2011) che andrebbero alleggeriti dal costo delle salvaguardie esodati che si sono succedute in quegli anni e nei successivi fino all'ottava e ultima (11 miliardi circa di maggiore spese cumulata) varata con l'ultima legge di Bilancio 2017, quella che ha introdotto anche le nuove forme di flessibilità, le nuove 14esime, l'Ape e il cui costo è stato stimato in 7 miliardi nei primi tre anni di applicazione e 26 nei primi dieci, sempre stando ai dati della relazione tecnica della penultima legge di bilancio confermate dalle stime della Ragioneria generale dello Stato.

Al netto di queste misure di maggiore spesa previdenziale, le regole della riforma 2011 dovrebbero garantire comunque risparmi attorno ai 20 miliardi annui tra il 2019 e il 2020, con una proiezione di 200 miliardi nei prossimi dieci anni. Questo numero comprende anche la piena applicazione degli stabilizzatori automatici che modificano i requisiti di pensionamento all'aspettativa di vita (altro strumento che molti vorrebbero depotenziare) e che fa scattare a 67 anni la vecchiaia dal 2019.   

Superare la Fornero significa confrontarsi con questi numeri che, naturalmente, possono essere anche solo in parte aggrediti se quello che in campagna elettorale viene venduto come “dopo-Fornero” si limitasse a misure più ridotte. Un altro set di numeri di partenza che bisogna tenere in mente è invece legato alla spesa per pensioni a legislazione vigente.

Se non si cambia nessuna regole si passa dai 264,6 miliardi dell'anno scorso ai 286,7 del 2020 (22 miliardi in più; +8% secondo la Nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre). Siamo attorno al 15% del Pil, un livello stabilizzato dalle ultime riforme, non solo dalla Fornero, secondo tutti i principali organicismi internazionali di valutazione (dall'ocre al Fmi).

Ma quel dato è esposto a un elevato rischio di rialzo: con l'attuale tasso di natalità nei prossimi 20 anni è altamente probabile che l'Italia perderà 3 milioni e mezzo di individui in età lavorativa (15-69 anni), proprio negli stessi anni in cui le assai popolose coorti dei baby boomers andrà in pensione. Tra il 2040 e il '45 salirebbe al 95-100% il numero di pensioni in rapporto al numero di occupati, oltre dieci punti al di sopra il livello di questi anni. La spesa per pensioni in rapporto al Pil salirebbe di oltre due punti, verso il 18%. 

Si dirà che la campagna elettorale si gioca nelle prossime 7 settimane, ma quando si toccano le pensioni è bene guardare agli impatti sui conti nei prossimi 30, 50, 70 anni.

2) L’abolizione del canone costerebbe 1,7 miliardi.
Un miliardo e 700 milioni. Stando a documenti ufficiali e bilanci intervenire sul canone vuol dire prevedere in sostanza compensazioni di questo tipo per la Rai. Del resto, nel momento stesso in cui l'indiscrezione è diventata di dominio pubblico è stato evidenziato come ci fosse la consapevolezza di richiedere allo Stato un miliardo e mezzo-due miliardi nella fase transitoria. Utile per capire le dimensioni economiche della questione rifarsi all'audizione in Commissione di Vigilanza Rai, lo scorso 6 settembre, del viceministro per l'Economia Enrico Morando secondo cui “per il 2018 le risorse da stanziare per la Rai, nel bilancio dello Stato, vengono calcolate in riferimento alle entrate derivate dal canone, stimate dal dipartimento delle Finanze in 1,881 miliardi.

La stima “si basa su un canone unitario di 90 euro (cosa ancora non certa allora, ma poi diventata certa con la legge di bilancio, ndr.) e l'importo, rapportato alla stima definitiva di entrata del 2016, pari a 1,681 miliardi, genera un plus di circa 200 milioni di euro da destinare per il 50 per cento alla Rai”. Per l'azienda, ha aggiunto Morando, è previsto uno stanziamento “di 1,7 miliardi di euro, una somma già al netto della quota del 5 per cento trattenuta dallo stato ai sensi delle manovre di finanza pubblica in vigore”. Va comunque tenuto in considerazione che l'inserimento del canone in bolletta ha prodotto un recupero dell'evasione fra 400 e 500 milioni. Dal 2019 questo introito, ora qualificato come extragettito andrà totalmente alla Rai. Una parte importante dell'idea di abolire il canone è legata all'eliminazione dei tetti pubblicitari per la Rai più stringenti rispetto a quelli della tv commerciale (12% orario e 4% settimanale contro un “tetto” orario del 18% di spot e del 15% giornaliero. Certo, con il varo del nuovo contratto di servizio quinquennale, con cui si declinano i vari impegni della Rai, il quadro diventa sicuramente più complesso.

3) Togliere le tasse a 1 milione e mezzo di studenti costa 1,6 miliardi. 
L'università a zero tasse per gli studenti, proposta dal presidente del Senato Pietro Grasso e leader di Liberi e Uguali, costa oltre un miliardo e mezzo e potrebbe garantire l’esenzione dalla tasse universitarie - in media 1200 euro l’anno con costi più alti al Nord rispetto al Centro Sud - a oltre un milione di studenti . Visto che sono circa 500-600mila gli studenti che dovrebbero già rientrare nell’esenzione (la no tax area) che scatta in questo anno accademico. Stime queste che potrebbe, però, essere riviste al rialzo visto che la gratuità potrebbe avere un effetto rimbalzo provocando una corsa alle immatricolazioni.

La proposta del leader di Leu quella cioè di «avere un’università gratuita, come avviene già in Germania e tanti altri Paesi europei» tocca in effetti un punto molto sensibile. Oggi l’Italia detiene il record negativo assoluto - superata solo dal Messico - per il numero di laureati tra i Paesi più sviluppati: solo il 18%, contro il 37% della media Ocse. Una vera emergenza a cui il Governo attuale ha cercato di dare una prima risposta introducendo da questo anno accademico una no tax area (zero tasse appunto) per chi ha un Isee sotto i 13mila euro e tasse calmierate per chi non supera la soglia dei 30mila euro. Una novità di cui dovrebbero beneficiare circa 350mila famiglie, ma che secondo un’indagine del Sole 24 Ore sale a 500-600 mila nuclei visto che molti atenei hanno stabilito limiti di esenzione a 15mila, se non addirittura a 23mila euro. A questa prima platea con la proposta di Grasso - se mai fosse attuata - si aggiungerebbe oltre un milione di studenti che oggi invece pagano le tasse. In tutto gli iscritti alle università statali sono infatti oltre un milione e mezzo.

Ma quanto si paga oggi per frequentare l’università? Secondo gli ultimi dati raccolti dagli studenti dell’Udu (l’Unione degli universitari) nell’ultimo decennio sulla base dei numeri ufficiali dell’anagrafe del Miur la media in Italia nel 2015/2016 del contributo pagato dagli studenti si è attestata a 1248 euro. Per una raccolta di gettito da parte delle università che in quell’anno è stata di 1,612 miliardi e l’anno successivo - avverte il Miur - è salita a 1,8 miliardi. Le tasse tra l’altro sono aumentate sensibilmente negli ultimi anni (+473 euro, il 61% in 10 anni sempre secondo l’Udu). E con differenze importanti tra le aree del Paese. In particolare nel 2015/2016 le tasse medie al Nord ammontavano a 1501 euro, mentre al Centro valgono 1196 euro, fino al Sud dove il contributo medio pagato dagli studenti non supera i mille euro (963 euro per l’esattezza).

Dal 2018 il Governo ha messo sul piatto 105 milioni all’anno per finanziare la nuova no tax area, cifra che gli atenei considerano però troppa bassa per coprire il mancato gettito del contributo degli studenti. E così molte università con i regolamenti sulle tasse universitarie per coprire i costi in più hanno aumentato le tasse per i redditi più alti e per gli studenti fuori corso. Nei prossimi mesi comunque - quando si avrà il conto esatto delle nuove iscrizioni - si conoscerà meglio l’impatto economico di questa nuova riforma. 
Ma cosa accade nel resto d’Europa? In Germania l’università è pressoché gratuita a eccezione di alcuni Lander. Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia non applicano tasse agli studenti Ue. In Austria, niente tasse per gli europei, circa 700 euro a semestre per gli altri. In Francia la laurea triennale costa 189 euro l'anno, la magistrale 260, ma ci vogliono altri 213 euro per le coperture previdenziali. Più robusta la tassazione in Spagna: da 700 fino a 2.000 euro l'anno per la triennale (più o meno come in Portogallo), fino a quasi 4.000 per la magistrale. Quasi 2.000 euro anche nei Paesi Bassi.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-01-08/la-riforma-fornero-vale-ancora-20-miliardi-risparmi-l-anno-124229.shtml?uuid=AEFFmldD

venerdì 5 gennaio 2018

Sacchetti a pagamento: diktat del Governo (non di Bruxelles) per arricchire l'amica di Renzi.

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In materia di fake news la vecchia politica è sempre sulla cresta dell'onda. La loro punta di diamante parlando di notizie false è la capacità di crearle ad hoc, di nuove e originali, per ogni occasione. Ultima quella che sta imperversando in questi giorni nei media: "sacchetti di frutta a pagamento sono stati imposti dall'UE all'Italia". Mettiamo l'assunto appositamente tra le virgolette in quanto riporta il concetto che il PD sta cercando di diffondere tramite i suoi canali ufficiali al grido di: "ce lo chiede l'Europa". Ebbene, Bruxelles non ha mai chiesto al Bel Paese di far pagare ai suoi cittadini i sacchetti di plastica biodegradibili e compostabili.
La direttiva a cui il Partito Democratico vorrebbe fare riferimento è la 2015/720, che come si evince dal sito del Parlamento europeo su cui è riportata, non impone prezzi, ma obiettivi. La direttiva dice che le misure adottate dagli Stati membri devono assicurare che il livello di utilizzo annuale non superi 90 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2019 e 40 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2025 o obiettivi equivalenti in peso. Addirittura, le borse di plastica in materiale ultraleggero possono essere escluse dagli obiettivi di utilizzo nazionali.
Dunque, ricapitolando, è stato il Governo marionetta di Paolo Gentiloni ad aver infilato un emendamento la scorsa estate nel decreto legge Mezzogiorno, imponendo l'obbligatorietà. È anche precisata la possibilità di escludere i sacchetti ultraleggeri utilizzati per la frutta e la verdura; la direttiva riguarda principalmente le borse di plastica per fare la spesa, già al bando nel nostro Paese dal 2012.
Ma perché tanto accanimento? Forse perché Catia Bastioli - che guida l'azienda italiana leader del comparto (la piemontese Novamont che detiene l'80% del mercato) - è stata prima nominata da Matteo Renzi presidente della partecipata pubblica Terna, appena due mesi dopo il suo insediamento. Poi, a giugno 2017, Sergio Mattarella la nomina cavaliere del lavoro, appena prima che il segretario del PD tornasse a raggiungerla nel suo tour in treno a porte chiuse.
È sacrosanto che la plastica sia sostituita dalle bioplastiche, ma è come sempre la modalità a essere sbagliata e sospetta. Ad esempio, cosa si sta facendo per la riduzione degli imballaggi? E perché non prevedere il riutilizzo dei bioshopper? Insomma, la classica triste storia della vecchia politica italiana, fatti di amici degli amici che dettano regole e arricchiscono i pochi. Mandiamoli a casa.

giovedì 4 gennaio 2018

The Tesla Scooter



La complessità delle forme di vita di 3,5 miliardi di anni fa. - Dario Iori



Analisi effettuate tramite spettrometria di massa a ioni secondari (SIMS) confermerebbero l’origine biologica di alcuni resti fossili rinvenuti in Australia occidentale e risalenti a 3,5 mld di anni fa. Tali forme di vita erano già ampiamente diversificate, suggerendo che la vita sulla Terra possa essere comparsa ancora prima.

Alcuni resti fossili scoperti n Australia Occidentale apparterrebbero a microorganismi risalenti a 3,5 miliardi di anni fa, e costituirebbero pertanto una delle più antiche forma di vita conosciute. Sulla base delle loro complesse caratteristiche, non è da escludere che la vita abbia avuto origine 500 milioni di anni prima. E’ quanto afferma uno studio pubblicato su PNAS e realizzato da alcuni ricercatori provenienti dalla University of California di Los Angeles (UCLA) e dalla University of Wisconsin di Madison.

Non è la prima volta che la regione di Pilbara, in Australia occidentale, è luogo di ritrovamenti di resti fossili che permetterebbero, almeno ipoteticamente, di spostare indietro le lancette dell’origine della vita o di fare supposizioni a tal riguardo
(Pikaia ne ha già parlato qui). I reperti considerati in questo recente studio furono rinvenuti nel 1983 da William Schopf, professore di paleobiologia alla UCLA nonché primo autore dello studio.

Schopf, servendosi solamente dell’aiuto di un microscopio, riferì che i fossili erano appartenenti a microorganismi, e li identificò sulla base della loro morfologia (cilindrica o filamentosa), descrivendoli su Science; tale identificazione, però, in seguito venne messa in dubbio poiché, stando ai detrattori,
le forme osservate da Schopf avrebbero potuto originarsi anche a causa di processi geologici, e non biologici come si era pensato.


Il recente lavoro pubblicato su PNAS, oltre che confermare l’origine biologica dei microorganismi (dopo che ulteriori prove in tal senso erano state fornite anche nel 2002 su Nature) e datarli in maniera più precisa, ha permesso anche di descrivere approfonditamente le forme di vita presenti all’interno dei fossili, rivelandone una sorprendente complessità.

Per l’analisi di 11 di questi microfossili, Schopf ed i suoi collaboratori, tra cui John Valley dell’Università del Wisconsin, hanno utilizzato la Spettrometria di massa a ioni secondari (SIMS): tale tecnologia analitica permette di determinare la composizione chimica dei campioni analizzati, separandone gli isotopi del carbonio (C-12 e C-13) e calcolandone i rapporti. Gli esseri viventi hanno un rapporto isotopico differente da quello che si osserva nelle rocce, e, in più, organismi differenti presentano rapporti differenti.

Tutti i campioni analizzati avevano una composizione chimica differente da quella della roccia nella quale erano stati rinvenuti; in più, fossili dalla stessa forma avevano i medesimi rapporti isotopici (RI). Tali informazioni hanno permesso ai ricercatori di confermare l’origine biologica degli organismi presi in esame, ed anche di determinarne la fisiologia ed eventuali correlazioni con esseri viventi più moderni.

Gli 11 microfossili appartenevano a 5 grandi taxa: due di essi avevano lo stesso RI dei moderni batteri ed erano fotosintetici, pur non producendo ossigeno; altri due avevano lo stesso RI dei microbi definiti Archea, che dipendono dal metano come fonte energetica e che utilizzano come materia prima per la composizione della propria parete cellulare; un altro microfossile produceva metano.

In accordo con i ricercatori, il fatto che i rapporti isotopici riscontrati siano così diversi, costituisce una ulteriore prova a sostegno del fatto che debba trattarsi di veri fossili, poiché processi geologici avrebbero dato origine a rapporti molto più omogenei tra gli isotopi; nonostante ciò però, alcuni scienziati pensano ancora che i resti siano di origine geologica. La complessità di queste primitive forme di vita inoltre, lascerebbe supporre che la vita possa essere iniziata decisamente prima, e che non abbia avuto particolari difficoltà nell’evolversi in forme più complesse e diversificate.


http://pikaia.eu/la-complessita-delle-forme-di-vita-di-35-miliardi-di-anni-fa/