mercoledì 12 dicembre 2018

Contro il padre di Di Maio hanno scatenato un’orgia mediatica violentissima. - Tommaso Merlo


(Tommaso Merlo) – Contro il padre di Di Maio hanno scatenato un’orgia mediatica violentissima. Le caste del vecchio regime di solito si devono inventare balle per infamare il Movimento 5 Stelle e non gli sembrava vero di aver finalmente qualcosa tra le mani e così vicino al capo politico. Alla fine sono emerse solo bazzecole. Nessuna condanna, nessuna indagine. Robetta comune a milioni di piccoli imprenditori e famiglie con giardino, ma comunque errori e illegalità commesse dal padre di Di Maio. Ma quello che conta è la reazione. Luigi non è scappato ma ha fatto chiarezza ed ha preso le distanze da certi fatti (non dal suo genitore). Quanto al padre di Di Maio, ha ammesso pubblicamente tutto ed ha perfino chiesto scusa assumendosi le sue responsabilità. Lo ha fatto in un video dignitoso e sincero che ha spiazzato l’orgia dei giornalai e di politicanti nemici del Movimento e del cambiamento. Un’orgia mediatica che come al solito voleva far perdere consenso al Movimento al motto di “siamo tutti uguali, siamo tutti bugiardi e disonesti, l’onestà è una utopia e il Pd e il renzismo sono crollati per colpa di campagne diffamatorie che si sono accanite contro persone perbene e innocenti come i Boschi ed i Renzi”. Già, il fallimento storico del Pd e del renzismo, il cambiamento di paradigma in Italia, sarebbe tutta colpa non degli errori politici devastanti di Matteo e dei suoi sodali, ma delle infamità dette su Tiziano e sul papino di Maria Elena. Vittime sacrificali di un clima creato ad arte. Poi alle Iene arriva una soffiata da un tizio che prendeva soldi in nero dai Renzi per distribuire in giro i giornali e scoppia un altro pandemonio. Vien fuori che diverse società riconducibili ai Renzi sono state condannate più volte e per diversi reati e che il padre aveva diversi stabili abusivi. Carte, non chiacchiere. Sentenze, non illazioni. Ma quello che conta è la reazione. I Renzi hanno diffidato le Iene, volevano bloccare il servizio, volevano non andasse in onda. Ma non ci sono riusciti e l’Italia intera ha potuto vedere Tiziano Renzi negare e ghignare spavaldo e sarcastico mentre Filippo Roma gli sventolava le sentenze sotto al naso (le sentenze!). Quanto al figlio Matteo da Roma gli faceva il controcanto cadendo dalle nuvole e assicurando che a suo dire i Di Maio avevano fatto peggio di loro. Due reazioni diametralmente opposte, due mondi distanti. Il vecchio e il nuovo. Reazioni che fotografano cristallinamente il cambiamento culturale (prima ancora che politico) portato dal Movimento 5 Stelle. Innanzitutto l’umiltà. Poi il dovere della trasparenza. Poi un’onestà che è però anche intellettuale e che è alla base del rispetto verso quei cittadini che sono dannatamente meno cretini e manipolabili di quanto hanno sempre pensato le caste del vecchio regime. Quanto a Renzi, la triste vicenda dei papà sfruttati a fini politici, finisce male. Aveva tentato con Maria Elena di ergersi a vittima sacrificale di chissà quali congiure climatiche e si è ritrovato con l’ennesimo boomerang sul nasone.
Qui l'intervista delle Iene ai Renzi:


EN RETROMARCHE-MACRON SI TRAVESTE DA POPULISTA ALLA RENZI.

Risultati immagini per macron

Per placare la Francia in rivolta Macron aumenta i salari minimi di 100 euro al mese (vedi bene come gli 80 euro di Renzi hanno fatto scuola!). A partire da gennaio parte un aumento di 1,8 per tutti. Si annulla la contribuzione sociale generalizzata (CSG) per i pensionati che guadagnano meno di 2.000 euro al mese. Si detassano gli straordinari in busta paga dal gennaio. Si chiede alle imprese che sono andate bene di dare un bonus fine anno ai dipendenti esentasse. Anche i dirigenti di grandi imprese francesi dovranno versare le imposte in Francia e così pure i giganti che fanno profitti in Francia. Nelle elezioni si terrà conto anche delle schede bianche (?). Se tutto ciò sarà approvato dall'Assemblea, lo Stato avrà 10 miliardi di spese in più. Il deficit al 2,8% nel 2019 appare “fuori portata” e anche il tetto del 3% “non è più garantito”, ma Macron dice che “superare il 3% non è più un tabù“.
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Marcus.
E la cosiddetta "Europa"? Non grida al disatro?
E la cosiddetta "Onu"? Quando chiederà alla Francia di smettere di saccheggiare l'Africa?
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Camacho.
Simpatico invece che per prevedere una procedura di infrazione verso la Francia ha bisogno che le misure vengano "formalmente annunciate e dettagliate", mentre per l'Italia è sufficiente considerare solo i saldi finali preannunciati, visto che una legge finanziaria dettagliata non è ancora presente. Vediamo ora se lui insieme a Moscovici si muoveranno da subito con le minacce e l'intransigenza preventive in modo da far salire lo spread francese, per portare Macron al rispetto delle norme fiscali (e stiamo parlando del deficit nominale sopra al 3%).
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Luciano.
Ora stiamo a vedere cosa diranno Bruxelles e il prode Moscovici sullo sforamento del Debito,
ma dopo le performance della grande Germania e di Deutsche Bank, ovviamente passato in sordina dai ns leccapiedi giornalai, ci si puo aspettare di tutto !!!!
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Allertasto.
Si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania ".
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.E il debito francese è di 2300 miliardi, superiore al nostro..
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Bassettoni.
Povero Macron, da una parte cerca di non fare la fine del suo compare Renzi dall'altra deve obbedire agli ordini del potere finanziario nella speranza che il popolo ("che brutta gente, signora mia...") non se ne accorga. Se poi ci mettiamo la ridicola figura che sta facendo la disperata signora May in Inghilterra il quadro è completo.
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Erina Bavetta.
Ah ecco... mi stavo proprio chiedendo come, con tutte quelle promesse, la Francia riuscirà a stare nei parametri europei..... per la Francia "si vigilerà" per l'Italia "la procedura di infrazione".. Senza contare gli introiti osceni e la speculazione sulle ex colonie!!!
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LEUCISCUS.
Per i francesi "passare oltre il 3% non è un tabù" mentre per noi si scatenano le sanzioni già facendo una manovra al 2,4%.
Usciamo dalla follia dell'€uro.
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Daniels.
La Francia ha gia' piu' volte violato i limiti imposti dallo stesso patto europeo di stabilita'.In questo momento l'attuale governo italiano ha le carte piu' in regola di Macron per centrare gli obbiettivi che si e' prefissato, la nostra economia non e' piu' debole ma è diversa. Allego uno stralcio da un link autorevole 
https://www.google.it/a…/amp.ilsole24ore.com/pagina/AE2nIVKC
"se si amplia lo sguardo al debito aggregato, ovvero ai livelli di indebitamento di tutti gli attori economici (Stato, imprese, banche e famiglie) l’Italia si rivela d'emblée un Paese nella media, senza grossi problemi di debito.
Sempre seguendo questa classifica - che però al momento non fa parte delle griglie con cui l’Unione europea giudica l’operato dei suoi membri - si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania."

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=562341664230991&id=100013654877344


Italia? No, è la Francia il Paese più indebitato dell’area euro. - Vito Lops

(Afp)

Nella classifica del debito pubblico in rapporto al Pil (che in Italia fa 130%, in Francia e Usa 100%, e nella media dell’Eurozona 90%) l’Italia ne esce, da tempo, come tra le economie più “a leva” del pianeta. Ma se si amplia lo sguardo al debito aggregato, ovvero ai livelli di indebitamento di tutti gli attori economici (Stato, imprese, banche e famiglie) l’Italia si rivela d'emblée un Paese nella media, senza grossi problemi di debito.
Sempre seguendo questa classifica - che però al momento non fa parte delle griglie con cui l’Unione europea giudica l’operato dei suoi membri - si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania.

IL CONFRONTO 
Dati in % del Pil (Fonte: Bloomberg)
Questi numeri devono far riflettere, in particolare i tecnocrati europei che elaborano le soglie che stabiliscono se un Paese è virtuoso o no. Ignorare - o non pesare come probabilmente meriterebbe - il debito privato è un doppio errore. Sia perché c’è una stretta correlazione storica tra debito pubblico e debito privato (è dimostrato che laddove i Paesi sono chiamati a ridurre il debito pubblico con forme di austerità, sono quasi costretti ad andare a “pescare” la crescita attraverso l’aumento della leva privata). E sia perché, se con l’introduzione del bail-in (che stabilisce che i privati partecipano con i propri risparmi ai salvataggi delle banche) passa il principio che il risparmio privato è un “asset istituzionale”, allora forse sarebbe più logico considerare tale anche il debito privato.

L'IMBECILLE GLOBALE- Marco Travaglio - 12 dicembre 2018


Jean-Paul Fitoussi, rileggendosi, s’è spaventato dell’aggettivo usato nell’intervista ad Antonello Caporale per definire Emmanuel Macron: “imbecille”. Ma, per quanti sforzi facciamo, non riusciamo a trovarne uno più appropriato per definire il suicidio del presidente francese, eletto trionfalmente all’Eliseo un anno e mezzo fa e ora già da buttare come un Renzi qualunque. Si è trattato di un suicidio assistito dalle élite non solo di Francia, ma un po’ di tutta Europa e soprattutto d’Italia (quando c’è una causa cretina da sposare, il nostro establishment politico-economico-mediatico-intellettuale è sempre in prima fila). Tutti a magnificare il Genio Transalpino, il nuovo santo patrono dell’Europa dopo San Francesco d’Assisi, l’ultimo baluardo della Ragione e della Civiltà contro la barbarie del populismo sovranista. E lui ci ha creduto, passando i suoi primi 18 mesi a tagliare le tasse ai ricchi e a lasciare a bocca asciutta i poveri, cioè a fare ciò che più o meno tutti i governi di centrodestra e di centrosinistra han fatto negli ultimi vent’anni, convinti com’erano che, con la fine delle ideologie, anzi della Storia, l’unica ricetta possibile fosse quella di lasciare mano libera ai mercati e alle imprese, che avrebbero provveduto a creare sviluppo e posti di lavoro. Purtroppo questa ricetta poteva funzionare (e non sempre) nell’èra della spesa pubblica à go go e della piena occupazione, prima del Fiscal compact, della globalizzazione, della robotizzazione, delle migrazioni di massa e della crisi del 2009. Ma dopo, cioè ora, è un fallimento totale.
L’hanno capito per prime le destre antieuropee, che hanno archiviato le fascinazioni neoliberiste per riabbracciare il protezionismo, il nazionalismo e il welfare, facendo man bassa di milioni di voti delle periferie sociali. Solo in Italia i primi ad accorgersene non sono state le destre, prigioniere dell’incantesimo berlusconiano, ma un comico-attivista, tale Beppe Grillo, e un tecno-guru, tale Gianroberto Casaleggio, che dal 2007 hanno provato a incanalare il malcontento degli invisibili prima verso un Pd rinnovato (un ossimoro), poi verso Di Pietro e infine, respinti su entrambi i fronti, in un nuovo movimento post-ideologico, né di destra né di sinistra per etichetta ma molto progressista per programma. La reazione dell’establishment è nota: prima ha snobbato i 5Stelle come ribellismo fine a se stesso (“il partito del vaffa”, “la protesta”, “il neo- qualunquismo”), poi l’ha demonizzato come fascismo, autoritarismo, giacobinismo, avventurismo e vai con gli -ismi. Anche quando il M5S era ormai il primo partito.
Nel 2013 a pari merito col Pd, nel 2018 da solo al 32,5%. “Siamo l’unica alternativa democratica alle Le Pen e ad Alba Dorata”, ripeteva Grillo. Ma nessuno lo stava a sentire. E giù a ridere sul reddito di cittadinanza, il salario minimo, la legalità, l’ambientalismo, la lotta al precariato, ai privilegi della casta e alle grandi opere inutili. Intanto battaglie simili diventavano le bandiere delle nuove sinistre occidentali: Sanders in America, Corbyn in Gran Bretagna, Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna, i Verdi in Germania. Basta leggere i commenti sprezzanti che i nostri giornaloni, intellettuali, (im)prenditori e vecchi politici riservano tuttora al reddito di cittadinanza. Una misura di puro buonsenso che, chiamata e declinata in vari modi, esiste in tutto il resto d’Europa per colmare un vuoto occupazionale ed esistenziale figlio della globalizzazione, dell’automazione, dell’austerità e della crisi post-2009: i posti di lavoro continueranno a diminuire, perché le imprese preferiranno sempre più i robot e la manodopera a basso costo dei migranti e dei Paesi senza diritti. Dunque, per evitare crolli dei consumi e rivolte sociali che mettano a repentaglio le economie e i governi, sarà decisivo redistribuire risorse e protagonismi dall’alto verso le crescenti masse di nullatenenti e invisibili.
Di questo parlano in tutto il mondo i veri leader politici, i veri economisti, i veri intellettuali (leggete e regalate le strepitose 21 lezioni per il XXI secolo di Yuval Noah Harari, ed. Bompiani). Da noi fa scandalo che il governo Conte destini 7-8 miliardi l’anno – meno di quelli buttati da Renzi per gli 80 euro o per gli incentivi al Jobs Act – per dare un reddito e un volto a 5 milioni di poveri assoluti. Invece non fa scandalo gettare 10-15 miliardi in un buco di 60 km per far passare un treno merci ad alta velocità accanto a quello che già da decenni viaggia vuoto all’80-90%. E si continua a menarla con gli sgravi e gli aiuti alle imprese. Come se non avessimo già regalato abbastanza soldi alla classe macro-imprenditoriale più fallimentare e parassitaria del mondo. Perché Macron, degno spirito-guida dei nostri Micron, scoprisse l’esistenza dei poveri, c’è voluta la rivolta dei gilet gialli. E ora tutti a elogiarlo per quella che viene spacciata per una “svolta” epocale in favore degli invisibili di Francia, mentre è una penosa resa senza condizioni. Chi volesse capire perché gli invisibili d’Italia non scendono in piazza dovrebbe ammettere che siamo l’unico Paese d’Europa che li ha portati al governo, a causa di quel curioso disguido accaduto il 4 marzo e chiamato elezioni. Si può dire e pensare tutto il peggio possibile di questo governo. Ma solo chi non capisce nulla può seguitare a considerarlo un bizzarro incidente di percorso, una stravagante parentesi da chiudere al più presto (per fare che, dopo?). Se 5 Stelle e Lega sono al governo è proprio perché hanno promesso reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni. Ora le élite italiane ed europee devono scegliere: meglio che i giallo-verdi mantengano gli impegni o che anche le piazze italiane si riempiano di gilet, magari non gialli, ma neri?

venerdì 7 dicembre 2018

Palermo, imprenditore filma l'estorsione e consegna video ai carabinieri.



Una persona alla quale va tutta la nostra solidarietà.

La città perduta di Heracleion.



Heracleion, nota anche come Thonis, era una città dell'antico Egitto situata nel Delta del Nilo, le cui rovine si trovano oggi sommerse nella baia di Abukir, a 2,5 km dalla costa. Wikipedia

Palermo, Catania, Enna e Agrigento Il grande summit dei boss al bar. - Riccardo Lo Verso

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A rappresentare i palermitani c'era Filippo Bisconti, uno dei capi della Cupola. Una pista porta a Messina Denaro.

PALERMO - Arrestato e condannato, poi di nuovo arrestato ma assolto. Sono anni che la cronaca giudiziaria si occupa di Filippo Bisconti. Ora si scopre che sedeva al tavolo della nuova Cupola di Cosa nostra. Era il capo del mandamento di Belmonte Mezzagno.


C'è molto di più, però, della sua partecipazione alla riunione del 29 maggio in cui nasceva la mafia 2.0. Negli ultimi anni, infatti, Bisconti ha fatto da cerniera fra le province di Palermo, Trapani e Catania. Un ruolo sovraordinato il suo,  di cui è ben consapevole Sergio Macaluso, il pentito di Resuttana che per primo ha parlato dell'esistenza della nuova commissione.

Il 13 aprile scorso Macaluso spiegava che Bisconti “è stato messo nella commissione provinciale per occuparsi dei mandamenti. Pensavamo che lo avesse messo Matteo Messina Denaro come persona di fiducia perché si occupava anche di Trapani. A parte della serietà della persona, lui si occupava delle problematiche dei paesi della zona di Trapani ad esempio Cinisi, Trapani e Partinico, sino ad Alcamo. Ci diceva che tutto doveva passare da lui".

Tra i mafiosi era maturata la certezza che "l'incarico poteva essere dato solo da Matteo, vista l'importanza del ruolo. Lui, Bisconti, però non lo ha mai detto esplicitamente”.

Bisconti, secondo i carabinieri del Nucleo investigativo, era l'alter ego di Salvatore Sciarabba, altro nome storico del mandamento di Belmonte Mezzagno, e pure lui fermato su ordine della Procura della Repubblica. Sciarabba era vincolato dall'obbligo di soggiorno a Palermo e così avrebbe delegato i poteri di rappresentanza a Bisconti soprattutto in trasferta.

Come quella che lo condusse a Catania nel febbraio 2016Fu un "summit interprovinciale”. Quel giorno una Bmw partì in direzione Catania. A bordo c'erano Antonio Giovanni Maranto (uomo forte a San Mauro Castelverde, arrestato nel maggio successivo all'incontro e condannato alcuni mesi fa), Filippo Di Pisa (arrestato nel blitz di due giorni fa e affiliato alla famiglia di Misilmeri) e il messinese Santo Di Dio.

L'appuntamento era fissato al bar “Pigno d'Oro”. I carabinieri del Ros di Catania si appostarono all'esterno del locale. Annotarono la presenza di “esponenti di spicco delle famiglie mafiose”: Giovanni Pappalardo di Catania, Giuseppe Costa Cardone di Catania, Calogerino Giambrone di Cammarata, Domenico Maniscalco di Sciacca, Giuseppe Marotta di Pietraperzia, Giuseppe Benigno e Filippo Bisconti di Belmonte Mezzagno.

Fu Bisconti ad accorgersi della presenza delle forze dell'ordine. Maranto, che diede subito la colpa ai catanesi, doveva consegnare qualcosa a qualcuno: “... glielo lascerei a lui stesso questo coso”. Ma, sentendosi braccato dalle forze di polizia (“c’è l’opera”), decise di allontanarsi. Quando Bisconti arrivò la riunione era già in corso. Lui sentì subito puzza di bruciato e fece finta di prendere solo un caffè.

Dalle parole di Maranto e Di Pisa emergerebbe che dentro il bar c'era pure Francesco Santapaola che sarebbe stato arrestato nell'aprile dello stesso anni. Pochi mesi fa Francesco Colletti, capomafia di Villabate, ha fornito un riscontro al ruolo ricoperto da Bisconti di ambasciatore lontano dalla provincia di Palermo: “... lui mi deve indicare con chi deve andare a parlare”. “Con Catania”, aggiungeva il suo autista Filippo Cusimano.

Le relazioni di Bisconti erano già emersi nel 2013. C'erano stati degli incontri fra boss palermitani e agrigentini. Incontri forse voluti da Matteo Messina Denaro. I militari seguivano Cosimo Michele Sciarabba, figlio di Salvatore, che dopo avere parlato con Alessandro D'Ambrogio, boss di Porta Nuova, partì alla volta di Agrigento in compagnia di Gaetano Maranzano, arrestato assieme a Sciarabba in un’operazione della Squadra mobila e indicato come il capo della famiglia mafiosa di Cruillas. Saranno fotografati in aperta campagna, nella zona di Sambuca di Sicilia, assieme a Leo Sutera, il boss che leggeva i pizzini di Matteo Messina Denaro, e ad un quarto uomo: Filippo Bisconti. Discutevano e leggevano qualcosa. Erano ancora lontani i giorni in cui, lo scorso maggio, Bisconti partecipava alla riunione della Cupola del dopo Riina, con il ruolo di capo mandamento di Belmonte Mezzagno.

https://livesicilia.it/2018/12/06/palermo-catania-enna-e-agrigento-il-grande-summit-dei-boss-al-bar_1018256/?fbclid=IwAR0_rr_Ukj6q2TlgjA4t2CjoKcEhYUKY6VcqqpEjRBM73jEV93fXNRCdtxQ