venerdì 14 dicembre 2018

Condotte, il colosso del cemento fa crac. E spuntano i contratti d'oro del Giglio di Renzi. - Emiliano Fittipaldi

Condotte, il colosso del cemento fa crac. E spuntano i contratti d'oro del Giglio di Renzi
Maria Elena Boschi e il fratello Emanuele

Inchiesta della procura di Roma sul fallimento della terza società di costruzioni d’Italia. L’Espresso scopre un contratto fatto dal gruppo (che deve costruire la nuova stazione Tav a Firenze) a Emanuele Boschi, il fratello dell’ex ministro Maria Elena. Mentre gli operai non prendono lo stipendio, per lui consulenza da 150 mila euro. Incarico anche ad Alberto Bianchi, l’ex presidente della fondazione Open Matteo Renzi.


Da qualche settimana la procura di Roma sta lavorando a un'indagine giudiziaria che preoccupa, e non poco, un pezzo del potere romano. Al momento non ci sono indagati, ma durante i cocktail e le cene prenatalizie di questi giorni imprenditori, banchieri, dirigenti d'azienda e politici fanno capannelli per tentare di recuperare un retroscena, o uno straccio di informazione attendibile. Anche il Giglio magico, il gruppo di politici fedelissimi vicini a Matteo Renzi, segue con attenzione gli sviluppi. Perché, se i dettagli in circolazione sono pochissimi, tutti sanno che il crac di Condotte per l'Acqua spa, una delle più grandi aziende di costruzioni del paese a un passo dal fallimento, nasconde segreti e scandali che potrebbero fare molto rumore.

ESPRESSO +  L'INCHIESTA INTEGRALE 

Se i pm capitolini e la polizia giudiziaria, in primis il nucleo di polizia tributaria della Guarda di Finanza di Roma, non fiatano, l'Espresso ha lavorato a un'inchiesta autonoma. E nel numero di domenica prossima, attraverso testimonianze ed interviste, la consultazione di alcune relazioni dei commissari straordinari di Condotte spedite in procura, decine di documenti interni della società e delle sue controllate, contratti di consulenza, dossier dell'Anac e carte di altre procure della Repubblica, è in grado di ricostruire – al netto dei possibili e futuri rilievi penali - la storia di uno dei più grandi fallimenti del nuovo secolo.

Che si intreccia, come vedremo, ad alcuni affari d’oro di esponenti di primo piano del cerchio magico dell'ex premier. Come quelli del fratello di Maria Elena Boschi, il giovane Emanuele, e di Alberto Bianchi, consigliere e avvocato di Renzi e per anni numero uno della Fondazione Open.


Entrambi hanno infatti ottenuto contratti di consulenza da due controllate di Condotte, la Inso (che ha firmato il contratto con Boschi attraverso lo studio legale BL, tra i cui partner c'è anche il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi) e la Nodavia spa. Cioè le due società che stanno lavorando alla realizzazione della nuova Tav di Firenze e che, secondo i nuovi commissari, hanno contribuito «in maniera significativa» al crac dell'impero. 

Committente dell’opera è Rfi, controllata da Ferrovie dello Stato. 

Per la cronaca spulciando l’agenda elettronica della proprietaria di Condotte e delle sue controllate, Isabella Bruno Tolomei Frigerio, l’Espresso ha scoperto che ministri ed esponenti del governo Renzi e del governo Gentiloni hanno avuto alcuni appuntamenti con la donna, l’amministratore delegato del gruppo (il marito Duccio Astaldi, arrestato lo scorso marzo per corruzione in un’inchiesta della procura di Messina) e Franco Bassanini. Al tempo presidente del consiglio di sorveglianza di Condotte e pure “consigliere speciale” a Palazzo Chigi prima di Renzi e poi di Gentiloni. 

Nodavia firma un contratto a Bianchi, al tempo capo della Fondazione Open, nel 2016. La Inso, controllata da Condotte, decide invece di prendere a bordo Emanuele Boschi, il 35enne fratello di Maria Elena, nel 2018.
Come mai la società che lavora alla Tav di Firenze vuole assumere il giovane professionista? È il 9 maggio quando si riunisce il collegio sindacale della società. La crisi del gruppo è drammatica. Nelle settimane precedenti gli operai del cantiere della Stazione Foster avevano protestato duramente, anche scioperando, perché non gli venivano pagati gli stipendi. Per il giovane Boschi, invece, la Inso è pronta a staccare un assegno a cinque zeri. E da pagare pronta cassa.

Leggendo il verbale della riunione, è chiaro che i membri del collegio sindacale non sono convinti della decisione «dei vertici aziendali» di conferire a Boschi, «che già conosce la società» (aveva dunque avuto altri incarichi in passato?), un expertise legale. Così i sindaci chiedono al cda di selezionare l'esperto «tra una rosa» più ampia «di possibili candidati». Anche allo scopo di risparmiare: i suggerimenti di Romagnoli e Lisi costavano già un sacco di soldi.


Non sappiamo quali sono stati i contendenti di Emanuele per la ricca consulenza, ma è certo che tre settimane dopo, il 31 maggio (ultimo giorno in cui la sorella è a Palazzo Chigi come sottosegretario della presidenza del Consiglio) sarà proprio lui a conquistare l'incarico e la relativa parcella.L'Espresso ha visionato il contratto, una scrittura privata su carta intestata dello studio BL, i cui tre soci sono lo stesso Boschi, Federico Lovadina e Francesco Bonifazi, altro petalo del Giglio magico e tesoriere del Pd. Vengono elencate le prestazioni, il compenso finale (150 mila euro, a cui aggiungere l'Iva, la cassa di previdenza e spese varie), e la modalità di pagamento. I manager di Inso scrivono che «gli importi fatturati» da Boschi «saranno da pagarsi “a vista fattura”».

 

Boschi è fortunato: quando va bene, e anche in tempi di vacche grasse, i professionisti vengono in genere pagati a 60 giorni.

Ancor più curiosa, la decisione di Inso, visto il momento drammatico, con operai senza stipendio e il posto a rischio. Forse anche per questo l'ultimo articolo del contratto evidenzia una severa clausola di riservatezza: «Inso si obbliga a non divulgare a terze parti il contenuto del presente conferimento d'incarico, che riveste carattere di riservatezza per espressa pattuizione delle parti».



Il crac di Condotte e quelle ricche consulenze a parenti e amici di Renzi e Boschi.


Il crac di Condotte e quelle ricche consulenze a parenti e amici di Renzi e Boschi
Maria Elena Boschi con Alberto Bianchi, legale di Matteo Renzi e presidente della fondazione Open

Un buco da 2 miliardi: lo storico colosso delle costruzioni sull’orlo del fallimento. E dalle carte spuntano contratti di centinaia di migliaia di euro fatti dalle aziende controllate a esponenti di primo piano del cerchio magico dell’ex premier. Come quelli del fratello di Maria Elena Boschi, il giovane Emanuele, e di Alberto Bianchi, consigliere ed avvocato di Renzi e per anni numero uno della Fondazione Open.


IL RE E LA REGINA

Partiamo dall’ascesa e dalla caduta di Isabella Bruno e Duccio Astaldi. Fino a pochi mesi fa il “Re e la Regina” del calcestruzzo erano una delle coppie più potenti e ricche d’Italia, e si godevano il successo legato al boom della loro società, la Condotte per l’Acqua appunto.

Una spa di cui pochi lettori probabilmente conoscono il nome. Ma le sue opere sono usate, tutti i giorni, da milioni di italiani. Autostrade e superstrade, viadotti e acquedotti, stazioni ferroviarie, dighe, metropolitane, ospedali, scuole, tribunali, palazzi e infrastrutture celeberrime come la “Nuvola” di Fuksas e il Mose di Venezia: Condotte ha scavato e impilato mattoni in tutta la penisola, e oggi, dopo quasi 140 anni dalla sua fondazione nel 1880, è diventato il terzo gruppo di costruzioni nazionale.

La cavalcata di Astaldi (fino a pochi mesi fa presidente del consiglio di gestione) e di Isabella Bruno (che ha chiesto all’anagrafe di aggiungersi anche il cognome della madre, Tolomei Frigerio: sono le due donne a detenere - attraverso una holding organizzata in scatole cinesi - quasi l’intero pacchetto azionario dell’impero) si è interrotta bruscamente quest’anno. Condotte dal 14 agosto è ufficialmente sull’orlo del crac: quel giorno il tribunale fallimentare di Roma ne ha dichiarato lo stato d’insolvenza. A causa di un buco da quasi due miliardi di euro (si tratta di debiti nei confronti di banche e fornitori), di crediti non incassati dalla pubblica amministrazione, e di una presunta malagestione, molti cantieri sono bloccati e centinaia di operai (in tutto Condotte conta circa 3.000 dipendenti) per mesi non hanno ricevuto lo stipendio.

La crisi improvvisa ha portato Condotte all’amministrazione straordinaria e alla nomina di tre commissari (il professore dell’ateneo di Tor Vergata Giovanni Bruno, gli avvocati Alberto Dello Strologo e Matteo Uggetti), nominati dal ministro dello Sviluppo economico di Luigi Di Maio con una procedura inedita: quella dell’estrazione a sorte tra un panel di “professionisti qualificati”. I tre, che stanno lavorando notte e giorno da quattro mesi, sono riusciti a sbloccare il pagamento degli stipendi - tredicesime comprese - e a salvare alcune importanti commesse all’estero. Ma la bancarotta non è affatto scongiurata.

Lo tsunami che ha investito “il re e la regina” però non è solo economico. Se Isabella - dalle visure risulta ancora intestataria di tre Ferrari, di terreni e ville da mille e una notte tra Roma, Padova, Venezia e Sardegna - vede il suo regno a rischio collasso, il marito Duccio (cugino di Paolo Astaldi, il presidente dell’omonima azienda anch’essa in crisi) lo scorso marzo è finito agli arresti domiciliari. A causa di pesanti accuse dei magistrati della procura di Messina: Astaldi, indagato insieme ad un altro alto dirigente di Condotte, avrebbe infatti versato una mazzetta da 1,6 milioni di euro a un manager pubblico per ottenere l’appalto per la realizzazione di tre lotti della nuova Siracusa-Messina.

La presunta tangente sarebbe stata incassata tramite consulenze fasulle. «La dimestichezza nella realizzazione del disegno criminoso» è tale, scrive il giudice delle indagini preliminari Salvatore Mastroeni, che consiglia pure di effettuare «verifiche» anche sulle altre gare d’appalto vinte da Condotte in giro per l’Italia. Anche perché, come si legge in altro dossier dell’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, le intercettazioni di altri manager di Condotte suggerivano che il meccanismo delle consulenze fittizie non sarebbe circoscritto alla sola vicenda siciliana: «È un metodo d’azzardo» commentano in effetti i due dirigenti «se si viene a scoprire... ma stai a sentirmi: l’hanno sempre fatto». «Sì, sempre!».

Duccio Astaldi, già presidente di...

































Duccio Astaldi, già presidente di Condotte
IL "PACCO" DI FIRENZE.

Per Condotte avere buoni rapporti con la pubblica amministrazione, e dunque con la politica, è fondamentale. Da sempre gli appalti pubblici sono la sua linfa vitale. L’azienda, un tempo di proprietà di Bastogi e il Vaticano, finì prima nelle mani di Michele Sindona, ma il “banchiere di Dio” decise, nel 1970, di cederla all’Iri. Lo Stato italiano controlla la società di costruzioni fino al 1997 quando - durante le grandi privatizzazioni Fintecna - la vende al papà di Isabella, Paolo Bruno, che la fonde con la sua azienda di costruzioni, la Ferrocemento.

In meno di vent’anni, grazie anche alle ricche committenze pubbliche, Condotte diventa un top player mondiale del settore, con un fatturato che nel 2016 aveva superato gli 1,3 miliardi di euro e un portafoglio di ordini - si legge nel piano triennale 2017-2019 - di ben 5,6 miliardi, di cui il 40 per cento ubicato in Italia e il 60 all’estero.
Cos’ha dunque portato il “re e la regina” a un passo dal fallimento? L’Espresso ha letto due relazioni che i commissari straordinari hanno inviato alla procura di Roma, dove si elencano una serie di elementi che dovrebbero consentire ai magistrati di «effettuare tutte le valutazioni del caso rispetto a comportamenti aventi potenziale rilevanza penale». Nel rapporto vengono elencate vicende minori come l’utilizzo di auto (Smart e Lancia) intestate alla società ma in possesso della Frigerio Tolomei; le storie di immobili prestigiosi di proprietà dell’azienda usati dalla coppia come «incontri di rappresentanza» (i commissari hanno cambiato le chiavi di un appartamento in via in Lucina a Roma perché il portiere dello stabile avrebbe loro riferito che la Bruno era andata lì dopo Ferragosto per portare via «alcuni beni come quadri e oggetti di arredamento»), o altre «scelte non sempre consone e rispettose dell’interesse del gruppo», come alcuni contratti d’affitto intergruppo che hanno creato danni da milioni di euro a Condotte.

Ma il documento si sofferma anche su alcune grandi operazioni effettuate dal management. Quella con cui il colosso del calcestruzzo (attraverso l’acquisto di altre società che avevano vinto le gare d’appalto dalle Ferrovie dello Stato) s’è accaparrata la commessa relativa alla nuova stazione Tav di Firenze, una struttura firmata dallo studio dell’architetto Norman Foster che dovrebbe - insieme alla costruzione di un tunnel sotterraneo alla città - velocizzare quella tratta dell’Alta velocità e alleggerire il traffico su Santa Maria Novella.

Ecco: l’operazione «sin da un primo approfondimento», scrivono i commissari straordinari, «sembra aver contribuito in misura significativa al determinarsi dello stato d’insolvenza», creando «una perdita totale di oltre 123 milioni di euro».

Ma perché Duccio Astaldi e moglie credevano così tanto nel progetto della Tav, che faceva discutere da anni la città (Renzi da sindaco non era convinto del progetto, l’attuale primo cittadino Dario Nardella ha cambiato spesso posizione)? È un fatto che nell’ottobre del 2012 la coppia decide di allargarsi e crescere comprando la Inso, azienda dal grande fatturato specializzata soprattutto nella costruzione di ospedali e nella fornitura di tecnologie sanitarie in mezzo mondo.

A vendere, è il Consorzio Etruria (nulla a che fare con la banca) che era in liquidazione. Procuratore speciale del Consorzio era al tempo Fabrizio Bartaloni. Non un nome banale, ma uno dei manager dei trasporti più potenti della Toscana: ex assessore del Pci, ottimi rapporti con il Pd toscano, il suo nome risulta nella lista dei finanziatori della campagna elettorale di Renzi a sindaco di Firenze. Bartaloni è dal 2008 l’amministratore delegato di Tram di Firenze, la società (un tempo partecipata dalla municipalizzata Ataf) che sta lavorando alla realizzazione di due linee tranviarie nel capoluogo toscano.

L’acquisizione di Inso, almeno secondo i tre commissari, aveva alcuni vizi d’origine. Non solo l’azienda già precedentemente aveva «avviato un piano di risanamento» per riportarsi in equilibrio economico finanziario. Ma le relazioni segnalano pure che l’acquisto di Inso sia stato di fatto finanziato dalla banca Monte dei Paschi di Siena con un prestito, erogato nel settembre del 2013, da circa 40 milioni di euro. Ebbene, circa la metà del finanziamento sarebbe stato «reso disponibile dietro provvista di Cassa depositi e prestiti e la garanzia di Sace», due società di fatto controllate dal ministero dell’Economia.

I SEGRETI DELL'AGENDA 

Che c’è di strano? In teoria nulla, visto che la Cdp - che, ricordiamolo, eroga soldi pubblici - poteva credere davvero nell’investimento. Il fatto è che, come sottolineano i commissari straordinari nella relazione mandata ai pm romani, al tempo il presidente della Cassa depositi e prestiti si chiamava Franco Bassanini, più volte ministro e sottosegretario, nel 2013 rivestiva anche un altro incarico importante: quello di numero uno del consiglio di sorveglianza di una grande azienda delle costruzioni: Condotte per l’Acqua.

Franco Bassanini, presidente del...
                        

































Franco Bassanini, presidente del consiglio di sorveglianza di Condotte
Un conflitto d’interessi che sembra ancor più evidente spulciando l’agenda elettronica di Isabella Bruno Tolomei Frigerio, che L’Espresso è riuscito a consultare. Anche lei era membro del consiglio di sorveglianza presieduto da Bassanini. L’organismo fa parte della cosiddetta governance duale: invece del classico consiglio di amministrazione e del collegio sindacale che deve controllarlo, in Condotte c’è un consiglio di gestione (presieduto fino a pochi mesi fa da Duccio Astaldi) e uno di sorveglianza.

Al netto della paradosso dovuto al fatto che l’azionista di maggioranza dovrebbe “sorvegliare” suo marito e gli altri membri del consiglio di gestione da lei stesso scelti, l’agenda mostra come dal 2015 in poi Bruno e Bassanini abbiano avuto appuntamenti con top manager di importanti fondi d’investimento (come Jean Marc Janailhac di Macquaire Capital) e manager pubblici di rilievo (per esempio Domenico Arcuri, ad di Invitalia). E questo nonostante i membri del consiglio di sorveglianza non potrebbero «avere nessun coinvolgimento nella gestione e nelle decisioni operative».

L’agenda segnala che Bassanini e Bruno Tolomei Frigerio, per di più accompagnati dallo stesso Astaldi, nell’estate del 2017 siano andati a trovare anche l’allora premier Paolo Gentiloni e l’ex ministro ai Trasporti Graziano Delrio. Un anno prima marito e moglie avevano pure incontrato il ministro Carlo Calenda. Non sappiamo il contenuto e l’esito degli incontri avvenuti nei palazzi istituzionali. A proposito di conflitti di interessi è però sicuro che nel 2015 - una volta dimessosi dall’incarico in Cdp - Bassanini era stato nominato “consigliere speciale” di Renzi a Palazzo Chigi. Un incarico prestigioso confermato a fine 2016 anche da Gentiloni. E si sa pure che il “re e la regina” non facevano simpatie e antipatie tra schieramenti politici: cercavano di avere relazioni con politici di ogni partito politico, da Gianni Alemanno a Luciano Violante.

Oltre alla politica, la coppia tra il 2016 e il 2018 sempre più spesso organizza pranzi di lavoro e rendez-vous con esponenti di primissimo piano del sistema bancario italiano: il gruppo naviga ormai in pessime acque, le commesse pubbliche vanno a rilento, e l’economia delle costruzioni non tira. I debiti con gli istituti di credito hanno raggiunto livelli insostenibili. Il peggio, però, deve ancora arrivare.

MALEDETTA TAV

Ora facciamo un passo indietro. Torniamo al 2013. Comprando la Inso, infatti, Condotte si trova a controllare il 33 per cento di un consorzio stabile, chiamato Ergon, che a sua volta deteneva un terzo delle quote della società Nodavia. Ossia la società consortile che aveva vinto l’appalto con le Ferrovie (per la precisione, con la controllata Rfi) per i lavori del passante ferroviario e della stazione Foster.

Nel 2014 Condotte ha solo una piccola partecipazione in un’operazione già chiaramente a rischio fallimento (il 70 per cento di Nodavia era ancora in mano alla Coopsette, la cooperativa rossa che aveva vinto l’appalto nel 2007). Ma quell’anno arriva il colpo di scena: Astaldi si prende tutto. Arriva prima al 70 per cento di Ergon e poi, tramite la stessa Ergon, compra tutte le azioni di Nodavia da Coopsette, afflitta da un buco di 800 milioni di euro e destinata al crac.
In pratica, Condotte decide di accollarsi l’onere dell’intera opera. Una scelta presa dal management nonostante «al momento dell’acquisizione», scrivono i commissari, «dal budget risultava una perdita di 89,5 milioni di euro». E a dispetto di un’inchiesta della procura di Firenze sullo smaltimento dei fanghi del cantiere che un anno prima, nel 2013, aveva già terremotato il progetto, indagando decine di dirigenti e sequestrando persino una mega trivella, una fresa chiamata “Monna Lisa”.

Perché il re e la regina si infilano dunque in questo ginepraio che contribuirà «in maniera significativa» al dissesto della loro azienda? Impossibile rispondere. Secondo un’intervista dello stesso Duccio Astaldi rilasciata all’Espresso «il lavoro della Tav di Firenze non l’abbiamo cercato ma ce lo siamo dovuti accollare per un problema di solidarietà contrattuale interna al consorzio Nodavia». Come commentava l’autore dell’intervista Gianfrancesco Turano a margine, capita che in Italia - nel rapporto costante tra Stato e imprese che costruiscono grandi infrastrutture - grandi società edili si facciano carico di lavori antieconomici che nessun altro vuole fare.
Una curiosità: nel 2014 il presidente del cda del Consorzio Ergon che vende le quote di Nodavia a Isabella e Duccio è ancora una volta Fabrizio Bartaloni, l’uomo che finanziava Renzi e che due anni prima aveva già curato la vendita di quote della Inso a Condotte.

IL GIGLIO D'ORO.

Nel 2015, la cosa è fatta. Tocca a Condotte fare la Tav di Firenze. Quell’anno l’agenda di Isabella è fitta di appuntamenti. Sfogliando le pagine, risultano segnati incontri di alto livello con esponenti di vari partiti. Saltano agli occhi anche quelli con il ministro più influente dell’esecutivo Renzi, l’allora titolare delle Riforme Maria Elena Boschi. Le due donne si incontrano una prima volta in un incontro pubblico, il 7 luglio (occasione è la cena con la Boschi organizzata dal “Cenacolo dei trenta”, un organismo ristretto del Canova Club i cui soci «rappresentano il massimo potere decisionale nel campo delle loro attività»). La seconda volta, il 7 agosto del 2015, l’agenda segnala un appuntamento direttamente a «Largo Chigi 19, terzo piano».

Come mai Boschi, che guidava un dicastero che non aveva alcuna delega per le Grandi Infrastrutture, aveva deciso di incontrare la regina del calcestruzzo? Non possiamo saperlo. Qualche dipendente di Condotte racconta che l’ex ministra sarebbe stata avvistata anche nella splendida tenuta da mille ettari “Agricola Roncigliano” di proprietà di Condotte, ma l’ex ministra (che pure non nega di conoscere Isabella) smentisce all’Espresso di esservi mai stata.
L’ex ministra, oltre ad essere esponente di peso del governo Renzi, nel 2015 era anche segretario generale della Fondazione Open, l’organismo che raccoglieva i finanziamenti destinati alla corrente renziana e alla Leopolda. È un fatto che presidente della stessa fondazione, nel cui board sedevano anche Luca Lotti e Marco Carrai, era il suo amico Alberto Bianchi. Ossia l’avvocato e consigliere prediletto dell’ex premier, piazzato dal governo Renzi nel cda dell’Enel e finito sui giornali dopo che L’Espresso scoprì alcune consulenze da centinaia di migliaia di euro ottenute dalla Consip. La centrale acquisti dello Stato travolta dagli scandali dopo le accuse lanciate dall’ex amministratore delegato Luigi Marroni a Tiziano Renzi e a Carlo Russo.

Ebbene, analizzando documenti delle società controllate, anche nel caso Condotte spunta una consulenza ottenuta dal legale di Pistoia: come evidenzia un verbale del cda di Nodavia datato 8 agosto del 2015, è il presidente Antonio Picca ad affidare all’allora numero uno del Giglio magico una consulenza in merito alla revisione degli accordi sottoscritti con gli istituti di credito. Un contratto da 240 mila euro, somma che però Bianchi deve dividere con lo studio di Leonardo Romagnoli, un affermato professionista che la giunta Renzi nominò nel 2009 membro del cda di Ataf, la municipalizzata dei trasporti di Firenze.

Il conferimento ufficiale dell’incarico a Bianchi arriva sei mesi dopo, il 25 gennaio del 2016: l’uomo di Isabella e Duccio, cioè l’ingegner Picca, scrive però nero su bianco che i 240 mila euro saranno fatturati solo «dallo studio legale dell’avvocato Romagnoli, e a questi corrisposto». Bianchi lavora dunque gratis? Non proprio: «La ripartizione interna dei compensi è rimessa a un successivo vostro accordo», si chiarisce nel documento, «con la sottoscrizione del presente incarico vi impegnate a mallevare la scrivente in merito a qualsiasi controversia dovesse derivare da tale ripartizione».

Secondo il contratto, in pratica, sarebbe stato Romagnoli a “ribaltare” parte del compenso ricevuto (non sappiamo in che proporzione) a Bianchi. Un’operazione che desta qualche domanda. «Io non sapevo chi fosse Bianchi. Il vero operativo era Romagnoli, che ha fatto il lavoro vero e proprio. Bianchi in azienda nessuno lo aveva mai sentito nominare», spiega l’ingegner Picca. «Ce lo portò Romagnoli. Perché aveva bisogno di Bianchi? Non lo so. Forse per avere rapporti con le banche. Il contratto in quella forma comunque l’ha chiesto Romagnoli. E per dovere di trasparenza ricordo che Bianchi almeno una fattura ce l’ha fatta».
Per dovere di cronaca, lo studio fiorentino di Romagnoli, insieme a quello del tributarista Jacopo Lisi, sono da anni consulenti del gruppo Condotte. Ai due legali fiorentini il gruppo di Isabella e Duccio ha pagato parcelle che secondo i primi calcoli arriverebbero, secondo una fonte vicina al dossier, ad almeno 1,5 milioni di euro. Per fare solo un esempio, in un altro incarico professionale visionato dall’Espresso è la Inso spa che, il 9 febbraio 2018, chiede aiuto ai due studi per «il supporto professionale per la ristrutturazione del proprio indebitamento». Le parcelle sono notevoli: 330 mila euro a studio, oltre a bonus (le cosiddette “success fee”) che possono portare il compenso finale alla bellezza di 700 mila euro. A testa.

LA CONSULENZA DI EMANUELE

Ma nel 2018 la Inso decide di prendere a bordo anche Emanuele Boschi, il 35enne fratello di Maria Elena. È il 9 maggio 2018 quando si riunisce il collegio sindacale della società. Nelle settimane precedenti gli operai del cantiere della Stazione Foster avevano protestato duramente, anche scioperando, perché non venivano pagati gli stipendi. Per il giovane Boschi, invece, la Inso è pronta a staccare un assegno molto robusto. E da pagare pronta cassa.

Emanuele Boschi
















Emanuele Boschi
Cosa succede? Leggendo il verbale della riunione, è chiaro che i membri del collegio sindacale non sono convinti della decisione «dei vertici aziendali» (cioè di Fabrizio Pucciarelli, che nonostante l’arrivo di Astaldi e Bruno aveva conservato l’incarico di amministratore delegato, un caso più unico che raro in Condotte) di conferire a Boschi, «che già conosce la società» (aveva dunque avuto altri incarichi in passato?), una expertise legale. Così i sindaci chiedono al cda di selezionare l’esperto «tra una rosa» più ampia «di possibili candidati». Anche allo scopo di risparmiare: i suggerimenti di Romagnoli e Lisi costavano già un sacco di soldi.
Non sappiamo quali sono stati i contendenti di Emanuele per la ricca consulenza, ma è certo che tre settimane dopo, il 31 maggio (ultimo giorno in cui la sorella è a Palazzo Chigi come sottosegretario della presidenza del Consiglio) sarà proprio lui a conquistare l’incarico e la relativa parcella.

L’Espresso ha visionato il contratto, una scrittura privata su carta intestata dello studio BL, i cui tre soci sono lo stesso Boschi, Federico Lovadina e Francesco Bonifazi, altro petalo del Giglio magico e tesoriere del Pd. Vengono elencate le prestazioni, il compenso finale (150 mila euro, a cui aggiungere l’Iva, la cassa di previdenza e spese varie), e la modalità di pagamento. I manager di Inso scrivono che «gli importi fatturati» da Boschi «saranno da pagarsi “a vista fattura”». Boschi è fortunato: quando va bene, e anche in tempi di vacche grasse, i professionisti vengono in genere pagati a 60 giorni. Ancor più curiosa, la decisione di Inso, visto il momento drammatico, con operai senza stipendio e il posto a rischio.

giovedì 13 dicembre 2018

Per Natale, regaliamo un libro.



Garage del libro usato4 di Laura Sapienza

Un suggerimento: 

Peccati scarlatti è un romanzo-scandalo, avvincente e conturbante per la sua unicità sin dalle prime pagine. I Vizi capitali che insidiano l´animo umano istigano scabrose dissolutezze, desideri e rinunzie in un susseguo dissacratorio che percorre le più proibite vie dei sensi.

Una nuova storia vivacissima raccontata con lo stesso stile che conquistò l´interesse dei lettori negli anni ´90 con il romanzo Figlio di vescovo (30.000 copie vendute).
È ambientato tra la natura ancestrale dell´amata Sardegna e un mondo clericale, poco conosciuto, avido e corrotto, di frati conventuali, alti prelati, nobiltà nera romana e vescovi ortodossi. La narrazione suscita una curiosità mordente nel lettore e lo rapisce con una magnifica abilità di descrizioni quando si narra di Lussuria, Ira, Gola, Superbia, Invidia, Accidia e Avarizia in un crescendo che infarcisce le pagine del romanzo di peccati scarlatti ed esaltanti perversioni...

mercoledì 12 dicembre 2018

Contro il padre di Di Maio hanno scatenato un’orgia mediatica violentissima. - Tommaso Merlo


(Tommaso Merlo) – Contro il padre di Di Maio hanno scatenato un’orgia mediatica violentissima. Le caste del vecchio regime di solito si devono inventare balle per infamare il Movimento 5 Stelle e non gli sembrava vero di aver finalmente qualcosa tra le mani e così vicino al capo politico. Alla fine sono emerse solo bazzecole. Nessuna condanna, nessuna indagine. Robetta comune a milioni di piccoli imprenditori e famiglie con giardino, ma comunque errori e illegalità commesse dal padre di Di Maio. Ma quello che conta è la reazione. Luigi non è scappato ma ha fatto chiarezza ed ha preso le distanze da certi fatti (non dal suo genitore). Quanto al padre di Di Maio, ha ammesso pubblicamente tutto ed ha perfino chiesto scusa assumendosi le sue responsabilità. Lo ha fatto in un video dignitoso e sincero che ha spiazzato l’orgia dei giornalai e di politicanti nemici del Movimento e del cambiamento. Un’orgia mediatica che come al solito voleva far perdere consenso al Movimento al motto di “siamo tutti uguali, siamo tutti bugiardi e disonesti, l’onestà è una utopia e il Pd e il renzismo sono crollati per colpa di campagne diffamatorie che si sono accanite contro persone perbene e innocenti come i Boschi ed i Renzi”. Già, il fallimento storico del Pd e del renzismo, il cambiamento di paradigma in Italia, sarebbe tutta colpa non degli errori politici devastanti di Matteo e dei suoi sodali, ma delle infamità dette su Tiziano e sul papino di Maria Elena. Vittime sacrificali di un clima creato ad arte. Poi alle Iene arriva una soffiata da un tizio che prendeva soldi in nero dai Renzi per distribuire in giro i giornali e scoppia un altro pandemonio. Vien fuori che diverse società riconducibili ai Renzi sono state condannate più volte e per diversi reati e che il padre aveva diversi stabili abusivi. Carte, non chiacchiere. Sentenze, non illazioni. Ma quello che conta è la reazione. I Renzi hanno diffidato le Iene, volevano bloccare il servizio, volevano non andasse in onda. Ma non ci sono riusciti e l’Italia intera ha potuto vedere Tiziano Renzi negare e ghignare spavaldo e sarcastico mentre Filippo Roma gli sventolava le sentenze sotto al naso (le sentenze!). Quanto al figlio Matteo da Roma gli faceva il controcanto cadendo dalle nuvole e assicurando che a suo dire i Di Maio avevano fatto peggio di loro. Due reazioni diametralmente opposte, due mondi distanti. Il vecchio e il nuovo. Reazioni che fotografano cristallinamente il cambiamento culturale (prima ancora che politico) portato dal Movimento 5 Stelle. Innanzitutto l’umiltà. Poi il dovere della trasparenza. Poi un’onestà che è però anche intellettuale e che è alla base del rispetto verso quei cittadini che sono dannatamente meno cretini e manipolabili di quanto hanno sempre pensato le caste del vecchio regime. Quanto a Renzi, la triste vicenda dei papà sfruttati a fini politici, finisce male. Aveva tentato con Maria Elena di ergersi a vittima sacrificale di chissà quali congiure climatiche e si è ritrovato con l’ennesimo boomerang sul nasone.
Qui l'intervista delle Iene ai Renzi:


EN RETROMARCHE-MACRON SI TRAVESTE DA POPULISTA ALLA RENZI.

Risultati immagini per macron

Per placare la Francia in rivolta Macron aumenta i salari minimi di 100 euro al mese (vedi bene come gli 80 euro di Renzi hanno fatto scuola!). A partire da gennaio parte un aumento di 1,8 per tutti. Si annulla la contribuzione sociale generalizzata (CSG) per i pensionati che guadagnano meno di 2.000 euro al mese. Si detassano gli straordinari in busta paga dal gennaio. Si chiede alle imprese che sono andate bene di dare un bonus fine anno ai dipendenti esentasse. Anche i dirigenti di grandi imprese francesi dovranno versare le imposte in Francia e così pure i giganti che fanno profitti in Francia. Nelle elezioni si terrà conto anche delle schede bianche (?). Se tutto ciò sarà approvato dall'Assemblea, lo Stato avrà 10 miliardi di spese in più. Il deficit al 2,8% nel 2019 appare “fuori portata” e anche il tetto del 3% “non è più garantito”, ma Macron dice che “superare il 3% non è più un tabù“.
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Marcus.
E la cosiddetta "Europa"? Non grida al disatro?
E la cosiddetta "Onu"? Quando chiederà alla Francia di smettere di saccheggiare l'Africa?
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Camacho.
Simpatico invece che per prevedere una procedura di infrazione verso la Francia ha bisogno che le misure vengano "formalmente annunciate e dettagliate", mentre per l'Italia è sufficiente considerare solo i saldi finali preannunciati, visto che una legge finanziaria dettagliata non è ancora presente. Vediamo ora se lui insieme a Moscovici si muoveranno da subito con le minacce e l'intransigenza preventive in modo da far salire lo spread francese, per portare Macron al rispetto delle norme fiscali (e stiamo parlando del deficit nominale sopra al 3%).
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Luciano.
Ora stiamo a vedere cosa diranno Bruxelles e il prode Moscovici sullo sforamento del Debito,
ma dopo le performance della grande Germania e di Deutsche Bank, ovviamente passato in sordina dai ns leccapiedi giornalai, ci si puo aspettare di tutto !!!!
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Allertasto.
Si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania ".
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.E il debito francese è di 2300 miliardi, superiore al nostro..
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Bassettoni.
Povero Macron, da una parte cerca di non fare la fine del suo compare Renzi dall'altra deve obbedire agli ordini del potere finanziario nella speranza che il popolo ("che brutta gente, signora mia...") non se ne accorga. Se poi ci mettiamo la ridicola figura che sta facendo la disperata signora May in Inghilterra il quadro è completo.
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Erina Bavetta.
Ah ecco... mi stavo proprio chiedendo come, con tutte quelle promesse, la Francia riuscirà a stare nei parametri europei..... per la Francia "si vigilerà" per l'Italia "la procedura di infrazione".. Senza contare gli introiti osceni e la speculazione sulle ex colonie!!!
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LEUCISCUS.
Per i francesi "passare oltre il 3% non è un tabù" mentre per noi si scatenano le sanzioni già facendo una manovra al 2,4%.
Usciamo dalla follia dell'€uro.
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Daniels.
La Francia ha gia' piu' volte violato i limiti imposti dallo stesso patto europeo di stabilita'.In questo momento l'attuale governo italiano ha le carte piu' in regola di Macron per centrare gli obbiettivi che si e' prefissato, la nostra economia non e' piu' debole ma è diversa. Allego uno stralcio da un link autorevole 
https://www.google.it/a…/amp.ilsole24ore.com/pagina/AE2nIVKC
"se si amplia lo sguardo al debito aggregato, ovvero ai livelli di indebitamento di tutti gli attori economici (Stato, imprese, banche e famiglie) l’Italia si rivela d'emblée un Paese nella media, senza grossi problemi di debito.
Sempre seguendo questa classifica - che però al momento non fa parte delle griglie con cui l’Unione europea giudica l’operato dei suoi membri - si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania."

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=562341664230991&id=100013654877344


Italia? No, è la Francia il Paese più indebitato dell’area euro. - Vito Lops

(Afp)

Nella classifica del debito pubblico in rapporto al Pil (che in Italia fa 130%, in Francia e Usa 100%, e nella media dell’Eurozona 90%) l’Italia ne esce, da tempo, come tra le economie più “a leva” del pianeta. Ma se si amplia lo sguardo al debito aggregato, ovvero ai livelli di indebitamento di tutti gli attori economici (Stato, imprese, banche e famiglie) l’Italia si rivela d'emblée un Paese nella media, senza grossi problemi di debito.
Sempre seguendo questa classifica - che però al momento non fa parte delle griglie con cui l’Unione europea giudica l’operato dei suoi membri - si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania.

IL CONFRONTO 
Dati in % del Pil (Fonte: Bloomberg)
Questi numeri devono far riflettere, in particolare i tecnocrati europei che elaborano le soglie che stabiliscono se un Paese è virtuoso o no. Ignorare - o non pesare come probabilmente meriterebbe - il debito privato è un doppio errore. Sia perché c’è una stretta correlazione storica tra debito pubblico e debito privato (è dimostrato che laddove i Paesi sono chiamati a ridurre il debito pubblico con forme di austerità, sono quasi costretti ad andare a “pescare” la crescita attraverso l’aumento della leva privata). E sia perché, se con l’introduzione del bail-in (che stabilisce che i privati partecipano con i propri risparmi ai salvataggi delle banche) passa il principio che il risparmio privato è un “asset istituzionale”, allora forse sarebbe più logico considerare tale anche il debito privato.

L'IMBECILLE GLOBALE- Marco Travaglio - 12 dicembre 2018


Jean-Paul Fitoussi, rileggendosi, s’è spaventato dell’aggettivo usato nell’intervista ad Antonello Caporale per definire Emmanuel Macron: “imbecille”. Ma, per quanti sforzi facciamo, non riusciamo a trovarne uno più appropriato per definire il suicidio del presidente francese, eletto trionfalmente all’Eliseo un anno e mezzo fa e ora già da buttare come un Renzi qualunque. Si è trattato di un suicidio assistito dalle élite non solo di Francia, ma un po’ di tutta Europa e soprattutto d’Italia (quando c’è una causa cretina da sposare, il nostro establishment politico-economico-mediatico-intellettuale è sempre in prima fila). Tutti a magnificare il Genio Transalpino, il nuovo santo patrono dell’Europa dopo San Francesco d’Assisi, l’ultimo baluardo della Ragione e della Civiltà contro la barbarie del populismo sovranista. E lui ci ha creduto, passando i suoi primi 18 mesi a tagliare le tasse ai ricchi e a lasciare a bocca asciutta i poveri, cioè a fare ciò che più o meno tutti i governi di centrodestra e di centrosinistra han fatto negli ultimi vent’anni, convinti com’erano che, con la fine delle ideologie, anzi della Storia, l’unica ricetta possibile fosse quella di lasciare mano libera ai mercati e alle imprese, che avrebbero provveduto a creare sviluppo e posti di lavoro. Purtroppo questa ricetta poteva funzionare (e non sempre) nell’èra della spesa pubblica à go go e della piena occupazione, prima del Fiscal compact, della globalizzazione, della robotizzazione, delle migrazioni di massa e della crisi del 2009. Ma dopo, cioè ora, è un fallimento totale.
L’hanno capito per prime le destre antieuropee, che hanno archiviato le fascinazioni neoliberiste per riabbracciare il protezionismo, il nazionalismo e il welfare, facendo man bassa di milioni di voti delle periferie sociali. Solo in Italia i primi ad accorgersene non sono state le destre, prigioniere dell’incantesimo berlusconiano, ma un comico-attivista, tale Beppe Grillo, e un tecno-guru, tale Gianroberto Casaleggio, che dal 2007 hanno provato a incanalare il malcontento degli invisibili prima verso un Pd rinnovato (un ossimoro), poi verso Di Pietro e infine, respinti su entrambi i fronti, in un nuovo movimento post-ideologico, né di destra né di sinistra per etichetta ma molto progressista per programma. La reazione dell’establishment è nota: prima ha snobbato i 5Stelle come ribellismo fine a se stesso (“il partito del vaffa”, “la protesta”, “il neo- qualunquismo”), poi l’ha demonizzato come fascismo, autoritarismo, giacobinismo, avventurismo e vai con gli -ismi. Anche quando il M5S era ormai il primo partito.
Nel 2013 a pari merito col Pd, nel 2018 da solo al 32,5%. “Siamo l’unica alternativa democratica alle Le Pen e ad Alba Dorata”, ripeteva Grillo. Ma nessuno lo stava a sentire. E giù a ridere sul reddito di cittadinanza, il salario minimo, la legalità, l’ambientalismo, la lotta al precariato, ai privilegi della casta e alle grandi opere inutili. Intanto battaglie simili diventavano le bandiere delle nuove sinistre occidentali: Sanders in America, Corbyn in Gran Bretagna, Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna, i Verdi in Germania. Basta leggere i commenti sprezzanti che i nostri giornaloni, intellettuali, (im)prenditori e vecchi politici riservano tuttora al reddito di cittadinanza. Una misura di puro buonsenso che, chiamata e declinata in vari modi, esiste in tutto il resto d’Europa per colmare un vuoto occupazionale ed esistenziale figlio della globalizzazione, dell’automazione, dell’austerità e della crisi post-2009: i posti di lavoro continueranno a diminuire, perché le imprese preferiranno sempre più i robot e la manodopera a basso costo dei migranti e dei Paesi senza diritti. Dunque, per evitare crolli dei consumi e rivolte sociali che mettano a repentaglio le economie e i governi, sarà decisivo redistribuire risorse e protagonismi dall’alto verso le crescenti masse di nullatenenti e invisibili.
Di questo parlano in tutto il mondo i veri leader politici, i veri economisti, i veri intellettuali (leggete e regalate le strepitose 21 lezioni per il XXI secolo di Yuval Noah Harari, ed. Bompiani). Da noi fa scandalo che il governo Conte destini 7-8 miliardi l’anno – meno di quelli buttati da Renzi per gli 80 euro o per gli incentivi al Jobs Act – per dare un reddito e un volto a 5 milioni di poveri assoluti. Invece non fa scandalo gettare 10-15 miliardi in un buco di 60 km per far passare un treno merci ad alta velocità accanto a quello che già da decenni viaggia vuoto all’80-90%. E si continua a menarla con gli sgravi e gli aiuti alle imprese. Come se non avessimo già regalato abbastanza soldi alla classe macro-imprenditoriale più fallimentare e parassitaria del mondo. Perché Macron, degno spirito-guida dei nostri Micron, scoprisse l’esistenza dei poveri, c’è voluta la rivolta dei gilet gialli. E ora tutti a elogiarlo per quella che viene spacciata per una “svolta” epocale in favore degli invisibili di Francia, mentre è una penosa resa senza condizioni. Chi volesse capire perché gli invisibili d’Italia non scendono in piazza dovrebbe ammettere che siamo l’unico Paese d’Europa che li ha portati al governo, a causa di quel curioso disguido accaduto il 4 marzo e chiamato elezioni. Si può dire e pensare tutto il peggio possibile di questo governo. Ma solo chi non capisce nulla può seguitare a considerarlo un bizzarro incidente di percorso, una stravagante parentesi da chiudere al più presto (per fare che, dopo?). Se 5 Stelle e Lega sono al governo è proprio perché hanno promesso reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni. Ora le élite italiane ed europee devono scegliere: meglio che i giallo-verdi mantengano gli impegni o che anche le piazze italiane si riempiano di gilet, magari non gialli, ma neri?