martedì 17 settembre 2019

Il morbo smemorino. - Marco Travaglio



Una terribile malattia sta colpendo tutti i Matteo che fanno politica. È una forma selettiva di demenza giovanile che attacca la memoria. I primi sintomi si sono riscontrati in Matteo Orfini, di cui avevamo perso memoria anche noi, finché non l’abbiamo rivisto in una Maratona Mentana tutto sdegnato per l’intesa “contro natura” Pd-M5S: aveva dimenticato che nel 2013 definì “inimmaginabile e inesistente in natura un governo Pd-Pdl-Monti e senza Grillo”, poi due mesi dopo votò il governo Letta senza Grillo con B. e Monti. 

Il contagio s’è diffuso rapidamente a Renzi, quello che doveva ritirarsi in caso di sconfitta al referendum e invece restò. Poi si diede un gran daffare per regalare il palcoscenico al terzo Matteo, l’altro Cazzaro, con l’astuta strategia dei pop corn. Infettato a sua volta dal virus smemorino, Salvini passò 15 mesi a rinnegare le sue battaglie precedenti: No Tav anzi Sì, No Triv anzi Sì, No inceneritori anzi Sì, No Benetton anzi Sì. Poi rovesciò il suo governo e iniziò ad accusare Conte e Di Maio che non c’entravano una mazza. Fino all’apoteosi di Pontida, dove mancava poco che si scordasse come si chiama. 

Lì ha sventolato una presunta bimba di Bibbiano (che però è di Milano), immemore di aver ordinato di “tenere i bambini fuori dalla politica” quando suo figlio scorrazzava nel mar del Papeete sull’acquascooter della Polizia. Poi ha accusato Conte, restando serio, di avere “svenduto l’Italia all’Europa per le poltrone”. Ora, Conte la poltrona ce l’aveva già grazie alla fiducia di Salvini. Che l’8 agosto presentò una mozione di sfiducia. Il 20 agosto Conte lo demolì in Senato e lui, mentre replicava a rutti, ritirò la mozione di sfiducia. Conte a quel punto avrebbe potuto restare. Invece salì al Quirinale a mollare la poltrona senza che più nessuno glielo chiedesse, mentre Salvini restò imbullonato alla sua. E iniziò a stalkerare Di Maio per offrirgli la poltrona di premier e tenere la sua e quelle degli altri leghisti incollate ai rispettivi culi. Intanto l’altro cazzaro Matteo, che da tre anni menava chiunque nominasse i 5Stelle, prese a menare chiunque si opponesse ai 5Stelle. E ora si scinde dal Pd che ha fatto quel che ha detto lui per fondare un bel centrino, come se qualcuno ne avvertisse l’impellente bisogno. Lui che nel 2017, quando la scissione la fecero Bersani &C., la bollò come “una delle parole peggiori” e così ritrasse i fuorusciti: “Se fossero rimasti nel Pd, in Parlamento non ci sarebbero più rientrati: frustrati nella prospettiva di tornare a occupare gli scranni... decidono di andarsene... nel tentativo di logorare il segretario”. Ora ovviamente ha rimosso tutto. Ma stava dipingendo, a futura memoria, il suo autoritratto. 

https://infosannio.wordpress.com/2019/09/17/il-morbo-smemorino/

Sanità, la denuncia: “I governi hanno sottratto 37 miliardi al Sistema Nazionale in dieci anni. A rischio le risorse del Patto per la salute”.

Sanità, la denuncia: “I governi hanno sottratto 37 miliardi al Sistema Nazionale in dieci anni. A rischio le risorse del Patto per la salute”

È quanto fotografato dal rapporto della Fondazione Gimbe che lancia quindi un appello al nuovo esecutivo affinché si occupi il prima possibile, già a partire dalla Nota di aggiornamento al Def della questione sanità pubblica. Italia agli ultimi posti anche tra i paesi Ocse per spesa sanitaria. Divario incolmabile con i paesi del G7.
Trentasette miliardi di euro in meno per il Sistema Sanitario Nazionale dal 2010, un’Italia agli ultimi posti rispetto ai paesi dell’Ocse e del G7 in termini di spesa sanitaria, e un Patto per la Salute che rischia di saltare, facendo venir meno le risorse aggiuntive previste per l’anno 2020-2021. È quanto denuncia un rapporto della Fondazione Gimbe, che ha lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario, sottolineando la necessità di rilanciare la sanità pubblica fin da subito, a partire dalla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2019.
Una situazione alla quale hanno contribuito “tutti i governi”, definanziando, per far fronte alle emergenze del Paese, proprio la sanità, “di fatto il capitolo di spesa pubblica più facilmente aggredibile”. Tra il 2010 e il 2015 sono stati tagliati “circa 25 miliardi” per “tagli conseguenti alle varie manovre finanziare”. Oltre 12, invece, quelli a cui la Sanità ha dovuto rinunciare tra il 2015 e il 2019, per “esigenze di finanza pubblica”. “In termini assoluti il finanziamento pubblico – si legge nel rapporto di Gimbe – è aumentato di 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,07%)”. Il Def, inoltre, ha ridotto progressivamente il rapporto spesa sanitaria/Pil, passato dal 6,6% dell’anno 2019-2020, al 6,4 previsto per il 2022.
La situazione italiana è critica anche rispetto agli altri paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Il nodo è la spesa media sanitaria, inferiore rispetto agli altri Stati sia se si guarda alla spesa totale ($3.428 vs $ 3.980), sia a quella pubblica ($ 2.545 vs $ 3.038). Dopo di noi ci sono solo i paesi dell’Europa orientale, oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. Nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica, inoltre, si è attestato al 10%, rispetto a una media OCSE del 37%. Il quadro si aggrava, poi, se si guarda ai soli paesi del G7: il divario diventa incolmabile. Ad esempio, se nel 2009 la Germania investiva “solo” 1.167 dollari (+50,6%) in più dell’Italia ($ 3.473 vs $ 2.306), nel 2018 questo divario è salito al 97,7 per cento: Berlino ne investe 5056, Roma 2545. Ma non solo. Ancora al palo, evidenzia la fondazione, è il Patto per la Salute 2019-2021, che dovrebbero stipulare Governo e Regioni e che permetterebbe di aumentare il fabbisogno sanitario nazionale per il 2020 di 2 miliardi e per il 2021 di 1,5 miliardi.
“Le prime dichiarazioni del neo Ministro della Salute – sottolinea il presidente della fondazione, Nino Cartabellotta – non lasciano dubbi sulla volontà di preservare e rilanciare una sanità pubblica e universalistica e di rifinanziare il Sistema sanitario nazionale”. Il riferimento è a quanto detto da Roberto Speranza, neo ministro della Salute, che ha identificato nella carta Costituzionale il “faro” del suo programma, affermando che “la spesa sanitaria non è un costo ma un investimento per la salute”. Impegno che, sottolinea il report, non si trova nel programma di governo, in cui si evidenzia la volontà attuare “un piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri”, senza però prevedere esplicitamente il rilancio del finanziamento per il Sistema sanitario. “In tal senso – puntualizza Cartabellotta – la prima cartina al tornasole è rappresentata dall’imminente Nota di Aggiornamento del DEF 2019: ad esempio, se si volesse attuare la cosiddetta “Quota 10” proposta dal Partito Democratico (cioè 10 miliardi di investimenti aggiuntivi nei prossimi 3 anni) occorrerebbe incrementare il rapporto spesa sanitaria/PIL almeno dello 0,2-0,3% per ciascuno degli anni 2020-2022″. Da tenere in considerazione anche il mancato allineamento delle retribuzioni del personale sanitario rispetto agli standard europei, che per essere “rimotivato” non deve solo essere “rimpiazzato”. Proprio dagli stipendi di “personale dipendente e convenzionato”, infatti, come evidenzia il report, è stato “scippato” il “50% degli oltre 37 miliardi sottratti alla sanità”.

lunedì 16 settembre 2019

Freno al contante in quattro mosse: bonus e sanzioni nel piano del Mef. - Marco Mobili

Risultati immagini per lotta all'evasione

Detrazioni e deduzioni fiscali riconosciute solo se pagate con moneta elettronica. Taglio delle commissioni su bancomat e carte di credito, obbligatori i pagamenti tracciati alla Pa.

Bonus e sconti fiscali riconosciuti in dichiarazione solo se il costo è tracciato o pagato con moneta elettronica. Abolizione delle commissioni dovute dagli esercenti per micro pagamenti o per quelli sotto una determinata soglia. Un sistema sanzionatorio efficace e soprattutto operativo per chi rifiuta il Pos. Infine, pagamenti elettronici obbligatori nei rapporti con la Pa. Sono alcune delle direttrici su cui a breve potrebbe essere orientata la lotta al contante inserita nel programma su cui il Governo ha incassato la fiducia delle Camere.

Tra i dossier consegnati al neo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, sotto la voce lotta all'evasione, c’è dunque anche quello sul contrasto al sommerso e ai pagamenti in nero. Un dossier su cui i tecnici e i rappresentanti dei Cinque Stelle hanno lavorato già dalla primavera scorsa e che da sempre rappresenta una battaglia dei nuovi alleati di Governo. Al momento si tratta di ipotesi di lavoro: saranno il ministro e l’Esecutivo ad avviare il lavoro di quantificazione, sia in termini di possibile recupero di gettito e allo stesso tempo di eventuali oneri, e quello di definizione delle norme e delle misure da mettere in campo.

La digitalizzazione dei pagamenti, a ben vedere, non è che l’altra faccia della lotta all’evasione “2.0” avviata dal Pd e resa operativa dal 2019 con la fatturazione elettronica e gli scontrini telematici. Una lotta che, con la moneta elettronica e la tracciabilità dei pagamenti, va al di là della sola evasione fiscale, estendendosi al riciclaggio, alle mafie e alla criminalità organizzata.

La strada che si vorrebbe percorrere è quella già battuta del contrasto di interessi e che in Portogallo dal 2013 ha consentito in un anno di far crescere il gettito Iva del 13 per cento. A Lisbona, ad esempio, chiedere la fattura elettronica in albergo, al ristorante, dal parrucchiere o a un meccanico d'auto consente di ottenere una detrazione del 15% dell’importo pagato e da utilizzare l’anno successivo al momento della dichiarazione dei redditi. Lo stesso potrebbe avvenire ora in Italia riconoscendo il diritto ad alcune deduzioni e detrazioni solo a chi utilizza moneta elettronica o traccia il pagamento. Sulla falsa riga di quanto già avviene con i bonifici per le spese di ristrutturazione edilizia o riqualificazione energetica degli edifici o per l’acquisto di mobili, i contribuenti potrebbero vedersi riconoscere detrazioni o deduzioni di spese mediche, canoni di locazione prima casa, istruzione, spese funebri, per addetti all’assistenza personale o per attività sportive dei giovani solo se l’onere sostenuto è stato pagato con moneta elettronica o con bonifico.

Una misura che non può prescindere da altre due azioni mirate e ritenute imprescindibili per incentivare l’uso della moneta elettronica: l’eliminazione delle commissioni per gli esercenti per i pagamenti al di sotto di determinate soglie (la carota); l’introduzione di sanzioni mirate per chi non accetta pagamenti elettronici e non attiva il Pos (il bastone). Per quanto riguarda “la carota” l’idea è quella di sottoscrivere con Abi un protocollo a cui dovrebbero aderire sempre su base volontaria i principali circuiti di pagamento e di emittenti carte di debito/credito con l’obiettivo di eliminare le commissioni per pagamenti sotto determinate soglie. Il sì di massima del mondo bancario è già arrivato: c’è ora da definire le soglie. Si parlava ad esempio dai 5 ai 25 euro, anche se poi il tetto sarà fissato solo al momento della piena operatività della misura e dell’accordo con gli istituti di pagamento. Sul fronte della sanzioni, invece, la strada è già tracciata. Esiste già l’obbligo per tutti gli esercenti di dotarsi di Pos e quindi di accettare pagamenti con carte di credito e debito. Al momento però non esiste l’importo della sanzione perché bocciato dal Consiglio di Stato in quanto privo di una norma specifica.

La quarta mossa per provare a dare scacco matto al contante potrebbe passare, infine, per l’introduzione dell’obbligo per la Pa di accettare solo pagamenti elettronici. In molte città gli sportelli dell’anagrafe già oggi accettano pagamenti solo elettronici. Un obbligo che potrebbe essere esteso a tappeto a tutta la Pubblica amministrazione includendo anche le società che forniscono servizi pubblici.

https://www.ilsole24ore.com/art/freno-contante-quattro-mosse-bonus-e-sanzioni-piano-mef-ACIfSvj

Intascava i soldi di una onlus a tutela della donne e le minacciava: arrestata ex presidente.

Intascava i soldi di una onlus a tutela della donne e le minacciava: arrestata ex

Speculava sfruttando le vittime di violenza sessuale, di maltrattamento in famiglia, le giovani madri in fuga da ex mariti violenti. A quelle donne, facilmente
vulnerabili, chiedeva soldi in cambio dell’aiuto che avrebbe dovuto fornire gratuitamente per volontariato.
Clarissa Matrella, 35 anni di Foggia, presidente di una Onlus contro la violenza di genere, denominata “Butterfly” con sede a Riccione, è stata arrestata nella mattina di ieri, giovedì 12 settembre, per reati che vanno dalla truffa all’estorsione.
Nascondendosi dietro l’associazione senza scopo di lucro, guadagnava soldi e favori. Si era accreditata presso gli enti pubblici e aveva vinto un bando per gestire una casa rifugio. Con un passato da investigatrice privata, una laurea triennale a Bologna e il paravento dell’impegno sociale, prendendo parte a manifestazioni pubbliche e fiaccolate, si era fatta conoscere come attivista contro la violenza sulle donne.
Diverse decine di migliaia di euro i suoi guadagni illeciti, tanto che il gip Benedetta Vitolo, che le ha concesso i domiciliari, ha accolto un sequestro preventivo per equivalente di circa 30 mila euro. Non è stato semplice per i carabinieri, coordinati dal sostituto procuratore Davide Ercolani, conquistare la fiducia delle donne, un centinaio quelle venute in contatto con l’associazione, in venti hanno denunciato.
Grazie al tatto della marescialla dei Cc, Rita Pellegrino, le vittime hanno trovato il coraggio di parlare. La prima denuncia è del 2017, a fine di quell’anno, con una perquisizione nella sede della Butterfly, gli investigatori scoprono nominativi e rendicontazioni che porteranno ad un paio di mesi di distanza alla chiusura della
onlus da parte della stessa indagata.
Gli inquirenti hanno anche appurato che Matrella, con i soldi concessi dal Comune di Cattolica e Regione Emilia-Romagna per la casa protetta, pagava l’affitto, il parrucchiere, le cene e le uscite. La 35enne che resta al momento l’unica indagata, fungeva per la Butterfly da presidente, avvocato e psicologa, investigatore privato e tecnico informatico. “Se le accuse saranno confermate, ci tuteleremo in ogni sede legale” e se vi sarà “fondamento saremo durissimi”, ha commentato l’assessore regionale alle Pari Opportunità, Emma Petitti.
Non solo fondi pubblici finivano per le spese personali ma anche quelli estorti alle donne. Da una vittima di violenza sessuale si era fatta pagare 900 euro per una perizia informatica, da un’altra tremila per un brutto divorzio. Per non essere cacciata dalla casa protetta, una straniera aveva pagato 1500 euro. Qualche tempo fa infine, era riuscita a sottrarre l’abitazione ad una vittima di maltrattamenti. In quella stessa casa, Matrella vi ha trasferito il proprio domicilio e l’ultima sede legale dell’associazione Butterfly.
Nei prossimi giorni la 35enne, assistita dall’avvocato Alessandro Sarti, sarà interrogata in merito ai capi di imputazione che sono truffa, estorsione, tentata estorsione, minacce, falso e malversazione.

domenica 15 settembre 2019

SudAfrica.






L'immagine può contenere: oceano, cielo, spazio all'aperto, natura e acqua

L'immagine può contenere: oceano, cielo, spazio all'aperto, natura e acqua

Il primo giorno del Cenozoico. - Maura Sandri




Un nuovo studio condotto dall’Università del Texas ha confermato lo scenario dell’estinzione dei dinosauri grazie all’analisi di decine di metri di roccia raccolti all’interno del cratere da impatto. Frammenti di carbone e un mix di rocce trasportate dallo tsunami, così come l’assenza di zolfo, sarebbero le prove concrete della collisione di 66 milioni di anni fa, che portò a un cambiamento climatico globale responsabile dell'estinzione di massa dei dinosauri.

Su come sia andata l’estinzione dei dinosauri, gli scienziati sono abbastanza d’accordo. Ipotizzano che un asteroide si sia schiantato sulla superficie del nostro pianeta, scatenando incendi, innescando tsunami e rilasciando così tanto zolfo nell’atmosfera da bloccare la radiazione solare e causare quel raffreddamento globale che li ha inevitabilmente condannati. Ora ne abbiamo le prove concrete: un nuovo studio condotto dall’Università del Texas ha confermato questo scenario grazie a decine e decine di metri di roccia rinvenuta all’interno del cratere dell’impatto, depositatasi nelle prime 24 ore dopo l’impatto.
Le prove comprendono frammenti di carbone, un mix di rocce trasportato dal reflusso dello tsunami e l’evidente assenza di zolfo nei materiali rinvenuti. Tutte queste prove sono evidenti in un carotaggio che offre l’immagine più dettagliata di sempre della catastrofe che ha posto fine all’era dei dinosauri, ha affermato Sean Gulick, professore presso la University of Texas Institute for Geophysics (Utig) alla Jackson School of Geosciences.
«È un esteso campione che testimonia gli avvenimenti accaduti, che siamo riusciti a recuperare all’interno del “ground zero”», ha dichiarato Gulick, a guida dello studio e della missione scientifica di perforazione dell’International Ocean Discovery Program (2016) che ha recuperato le rocce dal sito di impatto, al largo della penisola dello Yucatan. «Il campione ci racconta quello che è successo in seguito all’impatto, direttamente dal luogo in cui l’impatto si è verificato, come se fosse un testimone oculare».
La ricerca è stata pubblicata il 9 settembre nei Proceedings of the National Academy of Sciences e prosegue lavori precedenti, condotti dalla Jackson School, che hanno descritto come si è formato il cratere e come la vita all’interno di esso si sia rapidamente rigenerata. Allo studio hanno contribuito più di due dozzine di scienziati a livello internazionale.
La maggior parte del materiale che riempì il cratere entro poche ore dall’impatto proviene dal sito dell’impatto o è stato portato dentro al cratere dall’acqua del mare, che si riversò al suo interno dal Golfo del Messico. In un solo giorno si depositarono circa 130 metri di materiale, un tasso di accumulo che è tra i più alti mai registrati nelle documentazioni geologiche. Questo tasso di accumulo così alto rivela che le rocce hanno registrato ciò che stava accadendo nell’ambiente, dentro e intorno il cratere, nei minuti e nelle ore successive all’impatto, e fornisce indizi sugli effetti più duraturi dell’impatto che ha spazzato via il 75 per cento della vita che allora c’era sul pianeta.
Gulick lo descrive come un inferno di breve durata a livello locale (della regione interessata all’impatto), seguito da un lungo periodo di raffreddamento globale. «Abbiamo bruciato i dinosauri e poi li abbiamo congelati», spiega Gulick. «Non tutti sono morti quel giorno, ma per molti è stato così».
Una parte del campione di materiale che ha riempito il cratere lasciato dall’impatto dell’asteroide che ha spazzato via i dinosauri. Gli scienziati hanno scoperto rocce fuse e frantumate come arenaria, calcare e granito, ma senza minerali contenenti zolfo, nonostante l’elevata concentrazione nell’area di rocce contenenti zolfo. Questa scoperta suggerisce che l’impatto ha vaporizzato queste rocce formando aerosol di solfato nell’atmosfera, causando un raffreddamento su scala globale Crediti: International Ocean Discovery Program.
I ricercatori stimano che l’impatto dell’asteroide abbia avuto una potenza equivalente a 10 miliardi di bombe atomiche delle dimensioni di quelle utilizzate nella Seconda guerra mondiale. L’esplosione ha incendiato alberi e piante che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza e ha provocato un massiccio tsunami che ha raggiunto l’interno dell’Illinois. All’interno del cratere, i ricercatori hanno trovato carbone e un biomarcatore chimico associato a funghi del suolo all’interno o appena sopra strati di sabbia che mostrano segni di essere stati depositati dalle acque dello tsunami. Tali acque si pensa abbiamo trasportato all’interno del cratere il paesaggio carbonizzato dagli incendi che sono divampati in seguito all’impatto. Jay Melosh, professore della Purdue University ed esperto di crateri da impatto, ha affermato che l’evidenza degli avvenuti incendi permette agli scienziati di essere ragionevolmente sicuri del quadro che hanno ipotizzato sull’impatto dell’asteroide. «È stata una giornata importante nella storia della vita, e questa è una prova molto chiara di quello che è successo a ground zero», ha affermato Melosh, non personalmente coinvolto in questo studio. Uno dei più importanti aspetti della ricerca è proprio ciò che dai campioni manca: lo zolfo. L’area circostante il cratere è piena di rocce ricche di zolfo, ma ground zero di zolfo non ne è stato trovato. Questo supporta la teoria secondo la quale l’impatto dell’asteroide ha vaporizzato i minerali contenenti zolfo presenti nel sito dell’impatto, rilasciandolo in atmosfera, dove ha provocato grandi cambiamenti nel clima terrestre, riflettendo la luce solare verso l’esterno del pianeta e causando un raffreddamento globale. I ricercatori stimano che almeno 325 miliardi di tonnellate siano state liberate dall’impatto. Volendo fare un’analogia con un caso relativamente recente, si tratta di circa quattro ordini di grandezza maggiore dello zolfo rilasciato durante l’eruzione del Krakatoa del 1883, che raffreddò il clima terrestre in media di 2.2 gradi per cinque anni. Sebbene l’impatto dell’asteroide abbia creato la distruzione di massa a livello locale, è stato questo cambiamento climatico globale a causare un’estinzione di massa, uccidendo i dinosauri insieme a gran parte della vita sul pianeta in quel momento. «Il vero assassino dev’essere stato atmosferico», ha detto Gulick. «L’unico modo per ottenere un’estinzione di massa su scala globale come questa è chiamare in causa un effetto atmosferico».

I depistaggi di Autostrade: “Ora dobbiamo prepararci”. - Vincenzo Iurillo



NELLE CARTE DELLA PROCURA LE STRATEGIE PER “METTERSI IN SICUREZZA” DALLE INDAGINI DEI PM, ANCHE GRAZIE AI “JAMMER” ANTI-INTERCETTAZIONI.

Invece di mettere in sicurezza i viadotti, si mettevano in sicurezza dalle indagini. Istruendo i dipendenti chiamati a testimoniare, bonificando i pc, installando telecamere di protezione e disturbando con i jammer le frequenze dei telefonini per ostacolare le intercettazioni. Una quindicina di pagine dell’ordinanza del Gip di Genova Angela Maria Nutini raccontano le strategie, scientifiche, di inquinamento probatorio. Avvenuto nell’ambito dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari tre tecnici di Autostrade per l’Italia, mentre altri sei tecnici di Aspi e di Spea, la controllata da Autostrade, sono stati interdetti dai pubblici uffici per un anno. È il fascicolo bis sul ponte Morandi, con le accuse di aver prodotto falsi report sui viadotti Pecetti e Paolillo.

Ieri si è scoperto che c’è anche un avvocato indagato per favoreggiamento. Si chiama Fabio Freddi, dello studio legale Andreano. La Finanza e il procuratore aggiunto Francesco Pinto hanno perquisito il suo ufficio a Milano. Secondo gli investigatori, il legale fece acquistare agli indagati i jammer. Oltre all’ufficio è stata perquisita anche la Muteki srl, specializzata nel campo investigativo-informatico. “Emblematica – si legge nel provvedimento – è la telefonata di Valentina Maresca (responsabile dell’ufficio legale di Spea, ndr) al legale rappresentante della Muteki srl per chiedergli se vi sia il modo di rintracciare il “disturbatore”: “Nel senso che l’altro giorno abbiamo usato il disturbatore e non si trova più… io l’ho dimenticato nella sala riunioni”.

L’azienda era andata oltre un normale “zelo” nel supporto ai dipendenti indagati. Che venivano “istruiti” prima degli interrogatori. In un caso vennero convocati in un hotel romano, lo Zeta 3, per un “discorso di incoraggiamento”. A quell’incontro c’erano il presidente, l’amministratore delegato e i dipendenti di Spea. La riunione fu convocata dopo la diffusione della notizia di alcune iscrizioni nel registro degli indagati. Una vera e propria “procedura aziendale”. Che spinge il giudice a scrivere che lo “spirito di corpo” che contraddistingue l’agire dei lavoratori Aspi e Spea “si traduce in condotte ai limiti del lecito, e in specifici episodi, anche oltre”.

“Con il riferimento all’audizione di una persona sentita nell’ambito dell’inchiesta – si legge nell’ordinanza – si recrimina di non esserlo riuscito a preparare sufficientemente”. “Eh l’ho saputo il giorno prima dalla Valentina: chiamano Ascenzi. Il problema è che dovremmo capire chi chiamano. E ci si prepara”. Altra telefonata segnata dal giudice è quella del 26 ottobre 2018. Avviene tra i dipendenti di Spea dell’Utsa du Genova Maurizio Massardo e Maurizio Morbioli. Durante la quale Morbioli “si lamenta del fatto che Allemanni sia troppo sotto pressione e che rischi di non reggere lo stress, mettendo nei guai lei stessa ed anche loro, cosa che invece non può succedere per quanto riguarda l’altro collega Vezil: “… Vezil è un animale (…) non crolla… ma questa (…) il giorno che va in tribunale (…) questa crolla e se crolla ci mette in difficoltà…”.

Tra i tecnici e dirigenti di Spea c’è il sospetto di essere i “parafulmini” di Autostrade. E per tutelarsi qualcuno registra le riunioni con i vertici di Aspi e li conserva pure nel proprio computer. Grazie a quei file custoditi nel pc di uno degli indagati, gli investigatori scoprono che già nel 2017 le carte venivano truccate sempre per un obiettivo: ridurre i costi, una logica che “prevale sulla finalità di garantire la sicurezza dell’infrastruttura”.

Nel maggio del 2017 si discute del ripristino del viadotto Giustina, sulla A14, nelle Marche, dove a marzo morirono due persone schiacciate dal crollo di un ponte. A fare la voce grossa è Michele Donferri Mitelli, l’ex responsabile nazionale delle manutenzioni di Aspi. “Devo ridurre i costi – dice Donferri – Adesso te inventi quello che c… te pare e te lo metto per obbligo”. Lucio Torricelli Ferretti, di Aspi, (ai domiciliari da ieri insieme a Gianni Marrone di Aspi e a Massimiliano Giacobbi di Spea) prova a fare capire che non basta e Donferri risponde che “non ha alcuna rilevanza se sia vero o no”.

La Procura di Genova ha infine trasmesso ad Avellino le intercettazioni di Paolo Berti, all’epoca del crollo del Morandi direttore Operazioni centrali di Autostrade. In una telefonata, Berti si lamenta per la condanna nel processo per i 40 morti precipitati dal viadotto di Acqualonga e il suo interlocutore gli prospetta “un accordo col capo”.


https://infosannio.wordpress.com/2019/09/15/i-depistaggi-di-autostrade-ora-dobbiamo-prepararci/