martedì 5 novembre 2019

Nino Di Matteo a Mezz'ora in Più: "O cambiamo noi magistrati o saremo normalizzati".


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Il magistrato ricorda: "Ci sono sentenze definitive sul patto tra mafia e Silvio Berlusconi".


“O cambiamo noi, o ci cambiano altri, magari a colpi di riforme con lo scopo di normalizzare la magistratura”. Lo ha detto il consigliere del Consiglio Superiore della magistratura Nino Di Matteo, ospite di Mezz’ora in Più su Rai Tre.  L’inchiesta di Perugia “ci deve indignare ma non sorprendere, soprattutto non piegare. Non dobbiamo rassegnarci all’idea di una magistratura malata. La magistratura italiana ha scritto pagine altissime nella nostra storia”. “Sono certo che sotto la guida del presidente Mattarella il Csm saprà emendarsi per le cose passate. Dobbiamo reagire e impegnarci per recuperare. Nel momento in cui avevano perso prestigio è prevalsa in me la volontà di dare una mano e un contributo al recupero dell’autorevolezza” ha aggiunto.
“Evidentemente questo paese sconta deficit di memoria su questi fatti. Voglio riferirmi alla sentenza di Cassazione che ha condannato il senatore Dell’Utri per concorso in associazione mafiosa. In quella sentenza viene consacrato un dato: nel 1974 venne stipulato un patto tra le più importanti famiglie mafiose palermitane e l’allora imprenditore Berlusconi, questo patto è stato rispettato almeno fino al 1992 da entrambe le parti. Dell’Utri è stato condannato come intermediario di quel patto che ha visto protagonista anche l’allora imprenditore Berlusconi””, ha poi ricordato Di Matteo.
“Sulle stragi del ’92 e ’93, e anche sul fallito attentato allo stadio Olimpico del ’94, si sa molto ma non si sa tutto”, ha detto.
“L’ergastolo è l’unica vera pena detentiva a spaventare i capimafia. Riina diceva ai suoi, ci dobbiamo giocare i denti per evitare l’ergastolo. Secondo il mio parere il legislatore deve stabilire che tipo di prova ci vuole per far accedere anche gli ergastolani ai premi, come l’assenza di rapporti con con i clan. Non può dipendere solo dal comportamento perché è noto che i capimafia normalmente in carcere si comportano meglio di tutti gli altri”, ha detto Di Matteo a proposito delle sentenze Cedu e Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo.
Di Matteo ha poi aggiunto di essere favorevole alla legge che blocca la prescrizione che entrerà in vigore a gennaio, mentre è contrario a qualsiasi intervento in tema di intercettazioni, come la legge Orlando che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 2020. Infine, sulla liberalizzazione delle droghe leggere, il magistrato si è detto contrario.

lunedì 4 novembre 2019

Arrestato il radicale Antonello Nicosia, ritenuto "messaggero dei boss mafiosi".

Nicosia

Assistente della deputata Occhionero (IV), secondo la Procura faceva da tramite fra capimafia in carcere e i clan. intercettato, insultava Falcone ed elogiava Messina Denaro. In manette anche il capomafia di Sciacca Accursio Dimino.


La Procura di Palermo ha fermato 4 persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa e favoreggiamento. In carcere, tra gli altri, sono finiti il capomafia di Sciacca Accursio Dimino e Antonello Nicosia, membro del Comitato nazionale dei Radicali italiani, per anni impegnato in battaglie per i diritti dei detenuti. Insieme a una parlamentare di cui si sarebbe detto collaboratore ha incontrato diversi boss detenuti. Secondo la Procura avrebbe fatto da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, portando all’esterno messaggi e ordini.

Intercettato, Nicosia insultava Giovanni Falcone e di Matteo Messina Denaro diceva: ”È il nostro premier”. 

L’audio choc: “Falcone vittima di un incidente sul lavoro”


La parlamentare al cui seguito Nicosia è entrato in istituti di pena di alta sicurezza è Giuseppina Occhionero, 41 anni, avvocato, molisana, eletta alle ultime elezioni politiche nelle liste di Leu e recentemente passata a Italia Viva, il partito di Matteo Renzi. La deputata non è al momento indagata, ma sarà sentita dai pm di Palermo come testimone. Sostenendo di essere collaboratore della donna, Nicosia poteva avere incontri con padrini mafiosi. Nelle conversazioni intercettate, l’esponente Radicale sottolineava il vantaggio di entrare negli istituti di pena insieme alla deputata in quanto questo genere di visite non erano soggette a permessi. Nicosia, secondo i magistrati, non si sarebbe limitato a fare da tramite tra i detenuti e le cosche, ma avrebbe gestito business in società col boss di Sciacca Dimino, con cui si incontrava abitualmente, fatto affari coi clan americani e riciclato denaro sporco.

Da alcune intercettazioni emergerebbero anche progetti di omicidi. L’inchiesta, condotta da Ros e Gico, è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Francesca Dessì.

Da Nicosia insulti a Falcone, Messina Denaro è “il nostro premier”. Insulti pesantissimi a Giovanni Falcone che, la cui morte viene definita “incidente sul lavoro” e che “da quando era andato al ministero della Giustizia più che il magistrato faceva il politico”. Un linguaggio volgare quello usato da Antonello Nicosia, intercettato per mesi dal Ros e dal Gico della Finanza. Sprezzanti i giudizi sul giudice ucciso dalla mafia a Capaci nel 1992. “All’aeroporto bisogna cambiare il nome... Non va bene Falcone e Borsellino... Perché dobbiamo arriminare (girare, ndr) sempre la stessa merda... Sono vittime di un incidente sul lavoro, no?”. Definiva inoltre il boss Matteo Messina Denaro “il nostro primo ministro”. Non sapendo di essere intercettato, Antonello Nicosia parlava così della Primula rossa di Cosa nostra. Al telefono discuteva animatamente del padrino di Castelvetrano. E invitava il suo interlocutore parlare con cautela di Messina Denaro. “Non devi parlare a matula (a vanvera, ndr)”, diceva.

Chi è Antonello Nicosia. Direttore dell’Osservatorio Internazionale dei diritti umani (Oidu), pedagogista, laureato in Scienze della Formazione multimediale con una tesi sul “Trattamento penitenziario, ascoltare e progettare per rieducare sorvegliare e rieducare, l’esperienza carcere”, Antonello Nicosia, originario di Sciacca, fermato oggi per associazione mafiosa insieme al boss di Sciacca Accursio Dimino, è stato eletto per due anni (2017-2018) come componente del Comitato Nazionale dei Radicali Italiani. Per i pm sarebbe vicino all’ala di Cosa nostra che fa riferimento al boss latitante Matteo Messina Denaro. Nel curriculum allegato al sito dell’Oidu elenca esperienze nella formazione professionale in particolare nella progettazione di corsi per svantaggiati sociali e disoccupati. Sempre nel curriculum si dice “assistente parlamentare” e “docente a contratto nella scuola pubblica come esperto nei corsi PON”. Nel 2011 è stato coordinatore del progetto “La Tavola Multiculturale” attività a favore della formazione e dell’integrazione degli immigrati. Nicosia indica tra i suoi titoli quello di ricercatore presso l’Invalsi, Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, e quello di insegnante di Storia della mafia nell’Università della California. Per i pm, oltre a portare all’esterno i messaggi dei mafiosi che incontrava durante le sue visite in carcere, avrebbe gestito gli affari del clan in America e riciclato denaro sporco.

Gigi Proietti parla un napoletano inventato

Il governo non si tiri indietro su tasse “verdi” e virtuose. - Luisella Costamagna

Il governo non si tiri indietro su tasse “verdi” e virtuose.

Al netto del balletto quotidiano, insopportabile, di quello che entra e di quello che esce dalla manovra, dell’approccio un po’ democristiano di voler accontentare tutti – con tanti piccoli provvedimenti poco incisivi (tipo una rivalutazione delle pensioni che porterà in saccoccia ben 3 euro l’anno e manco per tutti i pensionati, da scialare…) – col rischio di non accontentare nessuno, e al netto del racconto strumentale su presunte stangate, il primo dato di fatto su cui bisogna insistere per difendersi dalla propaganda è che la Legge di Bilancio, che arriva in Parlamento la prossima settimana, toglie 26 miliardi di tasse pronte a scattare (23 solo di Iva) e ne mette 5. Toglie, non mette. Il secondo dato di fatto è che è ispirata a principi di coerenza ed equità, che il nostro Paese attendeva da tempo: intanto mantenere le promesse e le cose (buone) già fatte, perché la parola e le persone contano e non si può giocare sulla loro pelle (in questo senso vanno il sospirato disinnesco dell’aumento Iva nel 2020 e la conferma del Reddito di Cittadinanza, Quota 100 e Flat Tax sulle partite Iva); poi aiutare i lavoratori, prima delle imprese (taglio del cuneo fiscale, per rimpolpare buste paga tra le più basse d’Europa); aiutare le famiglie e i redditi più bassi (gratuità degli asili nido, abolizione del superticket, taglio delle detrazioni per redditi più alti, fondi per scuola e ricerca); tutelare l’ambiente e la salute, perché non ci si può riempire la bocca di peana per Greta e insieme ingolfarsi di zucchero, plastica e petrolio (Sugar Tax sulle bevande zuccherate, come hanno paesi civili come Francia, Danimarca, Irlanda, Regno Unito, la Norvegia addirittura dal 1922 e come impone il triste record italiano in Europa di bambini obesi o sovrappeso, uno su tre nella fascia 6-9 anni; Plastic Tax, come stanno facendo tutti i Paesi europei per adeguarsi alla direttiva Ue che, a partire dal 2021, metterà al bando prodotti di plastica monouso; bonus/malus per chi lascia/usa auto e scooter inquinanti); combattere seriamente l’evasione fiscale, abbassando la soglia sull’uso del contante e prevedendo premi per i contribuenti onesti e chi usa pagamenti tracciabili (cashback e lotteria degli scontrini) e punizioni per chi non usa il Pos (non prima di aver tagliato le commissioni delle banche) e per i grandi evasori (inasprimento delle pene e carcere per reati fiscali come dichiarazioni fraudolente), invece del classico ritornello nostrano dei premi per gli evasori (con condoni, scudi, voluntary disclosure, paci fiscali…).
Il terzo e ultimo dato di fatto è la retorica dominante che accompagna queste misure e che negli anni ha soffocato qualunque tentativo di cambiamento verso la civiltà nel nostro Paese: si ripete ossessivamente che è una “manovra delle tasse” di un “governo delle tasse”, che “si usano le imposte come strumento di indirizzo al Paese, persino per agevolare comportamenti virtuosi”, “una strada punitiva” e via a sostenere i soliti grumi di interesse, che sono “sul piede di guerra” e pretendono “una marcia indietro del governo”. E negli anni l’hanno sempre ottenuta, usando il ricatto del rifarsi sui cittadini.
Mi auguro che il governo, per una volta, dica basta e vada a avanti lo stesso. Anche con le tasse, ebbene sì. Se un principio è giusto, è giusto. Se un comportamento è virtuoso, è virtuoso. Punto. Gli imprenditori aumenteranno i prezzi dei prodotti? Prendiamocela con chi lo fa, tuteliamo i consumatori e le imprese serie, non smontiamo una rivoluzione possibile. In un Paese incancrenito come il nostro – lo sappiamo bene – non si riescono a cambiare le cose con le buone. Chi ci ha provato ha fallito. Per un ambiente, un lavoro, una società, un fisco, una vita e un futuro sostenibili, in Italia – ormai è chiaro – ci vogliono (anche) le cattive.

domenica 3 novembre 2019

Di Matteo: “Ergastolo è l’unica pena che fa paura ai boss. La politica intervenga dopo la sentenza della Consulta: non può bastare buona condotta per i permessi ai boss”.

Di Matteo: “Ergastolo è l’unica pena che fa paura ai boss. La politica intervenga dopo la sentenza della Consulta: non può bastare buona condotta per i permessi ai boss”

Il magistrato membro del Csm ed ex pm del processo sulla trattativa Stato-mafia intervistato su Rai3: "La nostra è una situazione eccezionale. Abbiamo mafie che hanno raggiunto una potenza unica e che hanno avuto rapporti di collusione con esponenti della politica". Quindi, parlando delle stragi, ha replicato a chi (come fece Matteo Renzi) ha parlato "di accuse senza straccio di prove": "C'è deficit di memoria. Il senatore Dell'Utri è stato condannato in via definitiva per essere stato l'intermediario tra le famiglie mafiose e Berlusconi".

“L’ergastolo è l’unica pena detentiva a spaventare i capi della mafia”. Nino Di Matteoil magistrato membro del Consiglio superiore della magistratura ed ex pm del processo Stato-mafia, intervistato su Rai3 da Lucia Annunziataha ribadito la sua preoccupazione per il “varco” che si è aperto dopo le sentenze della Cedu e della Consulta contro l’ergastolo ostativo. “Auspico che il legislatore metta dei paletti”, ha detto, “e stabilisca che tipo di prova ci vuole per far accedere gli ergastolani ai permessi” perché “non può bastare la buona condotta carceraria”. Inoltre ha proposto un tribunale di sorveglianza nazionale che si occupi solo di questo “per evitare che i giudici sul territorio siano sottoposti a minacce e pressioni”. (FIRMA LA PETIZIONE DEL FATTO – NO A PERMESSI PREMIO AI BOSS STRAGISTI CHE NON COLLABORANO)
Il magistrato, che già aveva preso posizione dopo le storiche sentenze che hanno dato un duro colpo alla lotta antimafia in Italia, è partito da tre premesse per argomentare il suo discorso. Intanto ha appunto dichiarato che “l’ergastolo è l’unica vera pena detentiva a spaventare i capi della mafia”: “Ricordo sempre che Riina diceva ai suoi più stretti collaboratori: ‘Noi quindici anni di galera possiamo farli anche legati a una branda, ma dobbiamo batterci a tutti i costi contro l’ergastolo'”. La seconda considerazione invece è nata dal fatto che proprio “il tentativo di far attenuare l’ergastolo spinse Cosa Nostra a ricattare a suon di bombe lo Stato. Sono state commesse delle stragi proprio per quel risultato”, ha detto. E, come terzo punto, Di Matteo ha ricordato: “Fino a poco tempo fa dei capi mafia avevano iniziato a collaborare con la giustizia e poi non lo hanno fatto perché si attendevano l’apertura di un varco che evitasse l’ergastolo a vita”. Quindi ha concluso: “Massimo rispetto per la sentenza della Corte costituzionale che muove dall’esigenza di equiparare diritti costituzionalmente garantiti. Detto questo, io credo che sulla scia della sentenza dovremmo cercare di evitare che questo varco diventi molto più largo e che tutti i benefici possano essere concessi indiscriminatamente”. Perché, è la sua tesi, “abbiamo delle mafie che hanno raggiunto una potenza che non hanno raggiunto in altre parti. E abbiamo una mafia che ha avuto rapporti di collusione con esponenti della politica. La nostra è una situazione eccezionale che la Cedu non ha colto nelle sue sfaccettature”.
Quindi Di Matteo, pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, è tornato sull’intervista di maggio scorso a La7 che gli è costata il posto nel pool antimafia sulle “entità esterne”: “Io la rifarei”, ha detto. “Ho solo messo in fila i fatti”. E ha ribadito che secondo lui c’è una pista che riguarda le stragi su cui bisogna investigare ancora: “Deve essere approfondita la possibilità che ci sia la responsabilità di ambienti e persone che non sono mafiosi. Io ho messo in fila una serie di cose note sollecitando una riflessione. Il Paese deve avere la volontà di approfondire. Perché sulle stragi si sa molto, ma non si sa tutto. Questo Paese sconta un deficit di conoscenza e memoria su certi fatti“. Ed è entrato nel merito: “Voglio riferirmi solo a sentenze definitive: alla sentenza che ha condannato il senatore Dell’Utri per associazione mafiosa. In quella sentenza viene sancito un fatto”. Ovvero si dice che “venne stipulato un patto tra le famiglie mafiose con Silvio Berlusconi. Dell’Utri è stato condannato come intermediario di quel fatto almeno fino al 1992. C’è una sentenza di primo grado che dice che l’intermediario lo ha fatto anche nel 1994″. E proprio “questo elemento”, ha detto ancora Di Matteo, “viene continuamente ignorato. Io mi riferisco alla gran parte dell’opinione pubblica e anche a una parte della politica. Quando si parla di ‘accuse senza straccio di prova’, c’è una base di sentenze che viene dimenticata”. Il riferimento qui, anche se non esplicito è a Matteo Renzi che, a fine settembre, ha criticato i magistrati per aver indagato Silvio Berlusconi per le stragi di mafia e l’attentato a Maurizio Costanzo. “Le indagini sono doverose. A me stupisce lo stupore. E’ un po’ calata l’attenzione sulla necessità di approfondire tutte le piste investigative secondo le quali insieme a Cosa Nostra altri abbiano responsabilità. Quelle del 1993 sono stragi anomale, che non sono state fatte per mera vendetta. La storia di Cosa nostra ci insegna che loro hanno cambiato strategia a seconda dei momenti. Sono sempre pronti a riorganizzarsi”.
Di Matteo, rispondendo alle domande di Lucia Annunziata, ha anche parlato dello scandalo che ha travolto il Csm nei mesi scorsi. “I fatti”, ha esordito, “che sono emersi dall’inchiesta perugina ci devono indignare, ma non ci devono sorprendere. E soprattutto non ci devono piegare. Non dobbiamo rassegnarci a un’idea di magistratura malata”. Purtroppo, è stata la sua considerazione, “nell’ultimo periodo si era fatto spazio a un collateralismo politico. Ovvero si era fatto troppo ricorso al criterio dell’appartenenza a una corrente o una cordata. E’ un criterio inaccettabile: aggira la meritocrazia, ma anche l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. Anche per questo motivo Di Matteo ha deciso di candidarsi al Csm: “Io non ho lo avevo mai preso in considerazione prima, ma proprio nel momento di peggiore difficoltà è arrivata in me la volontà di dare una mano. Io sono certo che sotto la guida del presidente Mattarella il Csm saprà emendarsi delle colpe passate. Perché sono convinto di una cosa: o cambiamo noi, o ci cambiano altri. Magari a colpi di riforme con lo scopo di normalizzare la magistratura. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura non è un privilegio, ma una garanzia di libertà dei cittadini, soprattutto dei più deboli”.
Infine il magistrato ha anche commentato la riforma della prescrizione che entrerà in vigore a partire da gennaio prossimo: “Io ho un parere favorevole”. Mentre, ha aggiunto, sulle “disciplina delle intercettazioni, “penso che vada bene così com’è, non avverto una necessità di riforma”. Positivo il suo giudizio anche sul “carcere agli evasori”: “Un inasprimento delle pene è positivo, soprattutto nei casi in cui l’evasione alimenta la corruzione e soprattutto quando a beneficiare e a sfruttare l’evasione fiscale sono le mafie”. E allo stesso tempo si è detto contrario alla liberalizzazione delle droghe leggere: “Le mafie sanno cambiare le loro strategie come il serpente cambia la pelle. Liberalizzare le droghe leggere colpirebbe il crimine organizzato solo momentaneamente, perché poi indirizzerebbe le sue strategie su altro. Sono contrario alla liberalizzazione delle droghe leggere, sono contrario a uno Stato che si arrende e che faciliterebbe con la liberalizzazione una maggiore diffusione delle droghe”.
L’ultima domanda è stata sulla sua vicinanza al Movimento 5 stelle. “Io nella mia carriera e nelle mie esternazioni sono stato sempre indipendente né organico né collaterale rispetto a nessuno”, ha chiuso. “Se non erro i 5 stelle sono al governo dal 2018 e a me non è stato attribuito nessun incarico, quindi le voci di cui si è sempre parlato sono smentite dalla realtà”.
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Sacrifici umani nel mondo dei Maya: nuove scoperte dall'archeologia. - Nadia Vitali

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Accanto ad una piramide di Chichén Itzà, celebre sito Maya, sono stati ritrovati alcuni scheletri in una voragine: si tratta, probabilmente, dei resti di sacrifici umani.

Studi archeologici e storiografici hanno spesso sottolineato come presso le popolazioni precolombiane, in particolare quelle mesoamericane e sudamericane, fosse uso compiere dei sacrifici umani, per lo più di bambini: le ragioni ideologiche e religiose che spingevano queste genti verso un così macabro rituale non sono mai state chiarite del tutto, ma, verosimilmente, si suppone che lo scopo fosse quello di ingraziarsi il favore degli dei nei momenti di normalità come in quelli di difficoltà che, si immagina, un popolo la cui economia si basava principalmente sull'agricoltura, poteva attraversare.
La cultura Maya, che fiorì in un arco di tempo che oscilla, a seconda delle varie opinioni, tra il 1800 ed il 1000 a. C. nel Sud della penisola dello Yucatan tra Guatemala, Belize, El Salvador ed Honduras, non faceva eccezione su questa usanza: testimonianze artistiche come stele o vasi, ritraggono giovani fanciulli nell'atto di essere sacrificati. Le circostanze durante le quali questo rito aveva luogo dovevano essere particolari: per lo più si è ipotizzato che l'insediarsi di un nuovo sovrano oppure l'inizio del calendario, fossero date significative durante le quali si operava la terribile asportazione del cuore dai toraci di ragazzi o bambini.
L'ultimo ritrovamento che ci parla di questo antico popolo scomparso intorno al 900 d.C. per circostanze che, inevitabilmente, mai del tutto saranno chiarite, è avvenuto in un cenote, sorta di voragine molto profonda che contiene acqua dolce, caratteristica del Messico: i cenotes erano probabilmente considerati dai Maya dei varchi della Terra grazie ai quali umano e divino potevano entrare in contatto, come ha sottolineato Guillermo Anda, docente della Universidad Autonoma de Yucatàn, che ha diretto le ricerche durante le quali altre 33 grotte sono stati esplorate.

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All'interno del cenote chiamato Holtun, che si trova nel sito archeologico, patrimonio dell'UNESCO, di Chichén Itzà, nei pressi del celebre tempio a gradoni consacrato alla divinità Kukulkàn, sono stati ritrovati i resti di sacrifici umani tributati al dio della pioggia Chaak: con tutta probabilità, all'epoca in cui risalgono questi rituali, dopo l'850 d. C., il livello dell'acqua nella grotta doveva essere più basso; circa venti metri sotto la superficie, infatti, un passaggio orizzontale nella parete della voragine celava questi segreti, il che fa pensare che, al tempo, l'acqua lì non arrivasse. Il sacrificio al dio, presumibilmente, doveva servire per scongiurare la siccità che, stando a quanto sostiene Anda, avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella scomparsa della civiltà Maya.

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Nella grotta colma d'acqua sono stati ritrovati i resti di sei individui: quattro di questi erano adulti ma due bambini. Accanto ad essi vasi, perline, conchiglie, coltelli, ossa di animali quali cani e cervi: oggetti certamente connessi al terribile rituale svoltosi in quel luogo probabilmente reputato ideale per comunicare con il divino, forse offerte per lo stesso dio. Tracce di carbonella hanno fatto pensare ad un fuoco che avrebbe accompagnato il compimento delle operazioni; l'analisi dei resti ha consentito anche di verificare che, sebbene si trattasse di prigionieri di guerra -di norma questi erano le vittime immolate- essi non risultavano essere denutriti.
Non è la prima volta che scoperte del genere squarciano le nebbie del tempo su scenari tenebrosi e così lontani da noi: ma lo stupore per questa pratica così atroce resta invariato ogni volta che ci si imbatte in ritrovamenti che fanno luce su questa tipologia di comportamento rituale. Incomprensibile e tremendamente diverso, eppure frutto di uomini come noi. (fonte Nationalgeographic)

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