mercoledì 6 maggio 2020

Il dubbio. - Massimo Erbetti

Psicoterapia cognitiva: diamoci il beneficio del dubbio

Insinuare il dubbio, screditare, infangare, deridere...e alla fine, se tutto questo non funziona...una bomba.
La mafia ha sempre usato questi metodi, la mafia non ti uccide subito, no, prima di farlo ti isola, fa in modo che tu rimanga solo, uccidere qualcuno che è appoggiato dallo Stato, che ha l'opinione pubblica dalla sua parte è pericoloso, fa troppo clamore. La mafia non vuole essere al centro dell'attenzione, agisce nel buio, in silenzio, non vuole i riflettori puntati. Lo stesso Falcone subì questo trattamento, quando fu vittima del primo attentato, al quale miracolosamente scampó, ci fu qualcuno che insinuó addirittura, che fu lo stesso Falcone ad organizzarlo, motivo? Per emergere, per farsi paladino dell'antimafia. "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno", questo diceva Falcone, "... perché si è soli... privi di sostegno". Così uccide la mafia, isolando. Oggi nella diatriba Bonafede Di Matteo, vedo tanto, troppo tifo da stadio, ha ragione uno, la ha l'altro.. si deve dimettere il Ministro...Di Matteo ha deluso...e se invece fossero entrati a far parte di "... un gioco troppo grande..."? E se invece di tifare, si cominciasse a pensare che entrambi sono vittime? O magari la vittima, la vittima designata fosse uno dei due e si usasse l'altro per screditarlo? Ci sono troppe cose che non quadrano in questa storia, prima la rivolta nelle carceri. Non trovate strano che siano scoppiate tutte insieme? Non pensate che dietro quelle rivolte, apparentemente singole, ci sia un'unica regia? Poi le scarcerazioni dal 41bis...colpa del Ministro, dicono in molti, ma non è così, "la colpa", se di colpa si può parlare, non è del ministro, ma di alcuni magistrati, per chi non lo sapesse in Italia c'è la divisione dei poteri, non è la politica ad attuare le scarcerazioni, ma la magistratura, che agisce attuando le leggi, quelle leggi che non ha certo fatto il governo attuale, leggi emanate sotto il governo Berlusconi e dovrebbero saperlo bene Salvini e Meloni, che oggi vogliono le dimissioni del Ministro...quelle leggi sono anche le loro, visto che con Berlusconi ci governavano. Altra cosa strana: sembrerebbe che alcune scarcerazioni siano state attuate da un magistrato che "casualmente" è moglie di un leghista, sicuramente le colpe dei padri, in questo caso delle mogli, non possono ricadere sui figli (in questo frangente dei mariti), ma qualche dubbio abbiamo il diritto di averlo no? E per ultimo, ma non ultimo, sembrerebbe che la mancata nomina di Di Matteo al ruolo ambito nel 2018 e la scelta dell'altro candidato sia dovuta a pressioni della Lega...è vero? È falso? Non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai.
Insinuare il dubbio, screditare, infangare, deridere...e alla fine se tutto questo non funziona...una bomba.
Bonfade per le sue leggi e Di Matteo per le sue lotte, sono personaggi scomodi e se vogliamo bene a questo paese, se vogliamo veramente combattere mafia e malaffare, se proprio vogliamo avere dei dubbi, non è certo su di loro che dobbiamo averli, ma su chi sta cercando di screditarli entrambi.

"Si muore... perché si è soli... privi di sostegno", non dimenticatelo mai.

Pignatone ammette: “Forti richieste da Centofanti”. - Antonio Massari

Pignatone ammette: “Forti richieste da Centofanti”

Agli atti dell’indagine su Palamara, le pressioni dell’imprenditore per far trasferire il fratello.
Che l’imprenditore Fabrizio Centofanti, indagato a Perugia con il pm romano Luca Palamara per corruzione dell’esercizio della funzione, fosse stato in contatto con l’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, è un fatto ormai noto. Quel che non si sapeva, ma si ricava dai documenti depositati nell’inchiesta perugina su Palamara, è che i rapporti di Centofanti con Pignatone erano tali da consentirgli di fare richieste pressanti per il trasferimento di suo fratello Andrea, che nel 2016 fu arrestato a Genova per tentata concussione. Al Fatto risulta che le vicissitudini di Andrea Centofanti erano piuttosto delicate sotto il profilo personale. E che, proprio per questo, suo fratello Fabrizio se ne occupò. Pignatone spiegherà al pm Stefano Fava (anche questi indagato a Perugia, ma per rivelazione di segreto), in un carteggio del 19 marzo 2019, che non si adoperò per il trasferimento anche se, come vedremo, in qualche modo affrontò l’argomento con alti generali della Guardia di Finanza. A segnalare l’argomento al pm Fava – titolare dell’indagine prima che fosse trasferita a Perugia – era stato il capitano della Gdf, Silvia di Giamberardino.
Scrive Pignatone: “Quanto alle notizie riferite dalla Di Giamberardino (…) Ho partecipato a una unica cena con il Centofanti Fabrizio e il gen. Minervini (Domenico, ndr) Comandante Interregionale della GdF e altre persone. Non sono andato, né sono stato invitato al matrimonio di Centofanti Andrea, non ho segnalato il Centofanti Andrea Ufficiale della GdF in servizio a Milano per il trasferimento al Nucleo PT di Genova, ma mi limitai su pressante richiesta del fratello, a informarmi se il predetto poteva restare in Lombardia per, così mi fu detto, una difficile situazione familiare”. Pignatone ne parlò con Saverio Capolupo, comandante generale della Gdf dal 2012 al 2016. “Chiesi notizie al gen. Capolupo, mio buon amico, che senza darmi particolari mi disse che la situazione era complessa e diversa da quella prospettatami, per cui era difficile che l’aspirazione dell’ufficiale potesse essere soddisfatta. Mi limitai a riferire la risposta in termini ancora più generici a Fabrizio Centofanti e, in effetti, il fratello fu poi trasferito a Genova sede a lui non gradita”. Nessun reato, com’è ovvio, ma un segnale d’interessamento, dopo la pressante richiesta di Centofanti, c’è stato.
Oltre ai rapporti con Centofanti – ed è anche questo il motivo del carteggio con il pm Fava – c’erano poi le consulenze del fratello di Pignatone, Roberto. In particolare quelle su Piero Amara del quale, come vedremo, Fava aveva chiesto inutilmente l’arresto. Piero Amara è un ex legale esterno dell’Eni. Era stato imputato in due procedimenti a Siracusa e aveva nominato consulente Roberto Pignatone che appare nella sua lista testi. Anche in questo caso, nessun reato. Ma Fava si chiede – e il 27 febbraio depositerà la sua richiesta al Csm – se Pignatone non avrebbe dovuto astenersi dai fascicoli che riguardavano Amara. Il 18 marzo, Fava si vede revocare l’inchiesta perché non è in linea con il pool di magistrati che segue il fascicolo, sull’esigenza dell’arresto di Amara. Accusato di rivelazione del segreto d’ufficio con Palamara, proprio perché, secondo la Procura di Perugia, gli ha rivelato il contenuto dell’esposto al Csm, Fava spiega ai pm perugini il senso del suo esposto: “Ribadisco che volevo solo rendere edotto il Csm di una situazione per me di incompatibilità, perché noi avevamo incontrato Amara molto prima del luglio 2017 che è il periodo al quale risulterebbe la richiesta di astensione del dr. Pignatone”.
Il 19 marzo, nella stessa lettera in cui parla di Centofanti, Pignatone spiega: “Ribadisco quanto affermato durante la riunione con i colleghi Prestipino, Sabelli, Ielo, Palazzi e Tucci e cioè di essere sicuro di aver informato la Signoria Vostra a suo tempo, e cioè nella seconda metà del 2016 ,quando divennero oggetto di indagini l’Amara Pietro e il Bigotti Ezio dell’esistenza di rapporti professionali peraltro già cessati tra il Bigotti e mio fratello avv. Roberto Pignatone”. In effetti, oltreché da Amara, Roberto Pignatone riceve consulenze anche da Ezio Bigotti, arrestato con lo stesso Amara e Centofanti.
Pignatone sottolinea che tutti i colleghi citati “hanno confermato di essere stati a suo tempo informati e che era stato concordemente ritenuto che non ci fosse motivo di astensione da parte mia”. Aggiunge infine di aver informato anche il procuratore generale “che aveva, con provvedimento formale, escluso che vi fossero ragioni di astensione”.

martedì 5 maggio 2020

Il post di Bonafede: “Condizionato da boss per mancata nomina di Di Matteo al Dap? Assurdo e infamante”. E il governo difende il ministro.

Il post di Bonafede: “Condizionato da boss per mancata nomina di Di Matteo al Dap? Assurdo e infamante”. E il governo difende il ministro

Il ministro della Giustizia è tornato sulla vicenda con un lungo messaggio sulla sua pagina Facebook: "Ho sempre agito a viso aperto nella lotta alle mafie". Vito Crimi lo difende: "Contro di lui attacchi politici, piena fiducia M5s". Ministro Costa: "Linciaggio fuori dalla storia".
Ieri il botta e risposta in tv, oggi un post su Facebook. E la difesa di tutto il governo, a partire dal premier Giuseppe Conte. Il tutto dopo che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è nuovamente intervenuto sulla questione della mancata nomina del pm antimafia Nino Di Matteo a capo del Dap, ruolo che – come raccontato da entrambi i protagonisti della vicenda, seppur con sfumature diverse – il Guardasigilli aveva proposto anche al magistrato antimafia insieme ad un altro ruolo di spicco all’interno del ministero. Poi non se ne è fatto più nulla e la questione è rimasta sotto traccia praticamente per due anni. Le recenti rivolte in carcere, la scarcerazione dei boss e sullo sfondo la questione coronavirus hanno riportato il Dap al centro della scena e delle polemiche. Ieri, dopo le dimissioni di Basentini e la sua sostituzione, l’ennesimo capitolo a L’Arena di Giletti, su La7: dibattito a distanza tra Di Matteo e Bonafede, con entrambi che hanno telefonato in diretta. Oggi, dopo che la questione è diventata l’argomento politico di giornata, il Guardasigilli ha deciso di ribadire la sua posizione in un lungo post su Facebook, che ricalca quanto detto in trasmissione da Giletti. Una difesa che ha incassato la solidarietà di tutto il Movimento 5 Stelle e anche del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Le parole di Bonafede – “Ieri sera, nella trasmissione televisiva “Non è l’Arena“, si è tentato di far intendere che la mancata nomina, due anni fa, del dottor Nino Di Matteo, magistrato antimafia e attuale membro del Csm, quale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) fosse dipesa da alcune esternazioni in carcere di mafiosi detenuti che temevano la sua nomina” ha scritto Bonafede, secondo cui “l’idea trapelata nel vergognoso dibattito di oggi, secondo cui mi sarei lasciato condizionare dalle parole pronunciate in carcere da qualche boss mafioso è un’ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda”. Detto ciò, il ministro ha ricostruito nuovamente tutta la vicenda: “E’ sufficiente infatti ricordare che, quando decisi di contattare il Dott. Di Matteo, quelle esternazioni di detenuti mafiosi in carcere erano già presso il mio Ministero da qualche giorno. Non solo – ha aggiunto – Furono oggetto di specifica conversazione in occasione della prima telefonata con cui, il 18 giugno 2018, proposi al dottor Di Matteo, in piena consapevolezza di ciò che questo rappresentava, di valutare la possibilità di entrare nella squadra che stavo costruendo per il ministero della Giustizia. D’altronde – è il ragionamento del Guardasigilli – se mi fossi lasciato influenzare dalle reazioni dei mafiosi non avrei certo chiamato io il dott. Di Matteo per valutare con lui la possibilità di collaborare in una posizione di rilievo – ha aggiunto – Sono consapevole che le mie scelte e le mie decisioni possono piacere o meno ma rigetto ogni e qualsiasi illazione al riguardo”.
La ricostruzione del Guardasigilli – La ricostruzione va avanti, con tanto di date e dettagli: “Alla fine dell’incontro, mi sembrava che fossimo concordi sulla scelta di quella collocazione, che gli avrebbe consentito di incidere su tutta la legislazione in materia penale – ha spiegato il ministro della Giustizia – Ad ogni modo, ci lasciammo con questa prospettiva. Più tardi ricevetti una chiamata del dottor Di Matteo, il quale mi chiese un secondo incontro, che si svolse l’indomani (mercoledì 20 giugno 2018, ore 11:00). In quell’occasione – ha sottolineato – mi disse che avrebbe preferito il Dap. Con profondo rammarico, gli spiegai che, dopo l’incontro del giorno prima, avevo già assegnato quell’incarico a un altro magistrato. Ricordo perfettamente che gli dissi che sarebbe stato comunque ‘la punta di diamante del Ministero contro la mafia’. Lui ribadì legittimamente la sua scelta. Ci siamo salutati entrambi con rammarico – ha specificato Bonafede – per non aver concretizzato una collaborazione insieme. Questi sono i fatti”.
In conclusione, poi, Bonafede ha difeso il lavoro sin qui svolto a via Arenula: “Ho sempre agito a viso aperto nella lotta alle mafie che, infatti, nel mio ruolo ho portato avanti con riforme – ha elencato – come quella che ho sostenuto in Parlamento sul voto di scambio politicomafioso; con la Legge c.d. “Spazzacorrotti”; con la mia firma su circa 686 provvedimenti di cui al 41 bis e con l’ultimo decreto legge che – ha concluso – dopo le scarcerazioni di alcuni boss, impone ai Tribunali di Sorveglianza di consultare la Direzione nazionale e le Direzioni distrettuali antimafia su ogni richiesta di scarcerazione per motivi di salute di esponenti della criminalità organizzata“.
Da Conte “piena fiducia” nell’operato di Bonafede. Crimi: “Attacchi politici – “Piena fiducia” nell’operato di Alfonso Bonafede come ministro della Giustizia. E’ quanto ha sottolineato, secondo le agenzie di stampa, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al termine della giornata di polemiche politiche sul Guardasigilli. A difendere il ministro della Giustizia anche il capo politico reggente del Movimento 5 stelle Vito Crimi: “Bonafede è il ministro della Giustizia che, nonostante numerose resistenze, è riuscito a portare a compimento riforme coraggiose: 100 detenuti in più mandati al 41 bis, Spazza-Corrotti, riforma della prescrizione, inasprimento della norma sul voto di scambio politico mafioso. L’opera svolta in questi 2 anni parla per lui – ha detto il viceministro dell’Interno in un post sulla sua pagina Facebook – Respingo con convinzione gli attacchi politici o le congetture prive di fondamento rispetto a scelte da lui compiute in piena autonomia, che non scalfiscono la fiducia mia e del M5S nei suoi confronti”.

Ministro Costa: “Linciaggio fuori dalla storia” – Oltre al capo politico del Movimento, in difesa del Guardasigilli da segnalare anche la posizione del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, simbolo della lotta dei pentastellati contro tutte le mafie: “Conosco molto bene il ministro Bonafede, ed è un punto di riferimento per lealtà istituzionale e per la sua lotta al crimine organizzato – ha detto – Materia che come sapete, per la mia storia, conosco bene. Adombrare nei suoi riguardi dei condizionamenti è assolutamente fuori dal mondo”. Costa, infatti, è generale del Corpo Forestale e poi dei Carabinieri, per anni impegnato nella lotta contro le discariche abusive dei Casalesi. “Basti pensare alla legge Spazzacorrotti, al suo intervento normativo dopo le recenti scarcerazioni – ha aggiunto – ai provvedimenti da lui firmati anche per il 41bis; mi confronto spesso con lui su tematiche di giustizia e sugli strumenti contro la criminalità, proprio in considerazione della mia esperienza lavorativa. Il linciaggio a cui è sottoposto in queste ore – ha concluso – è davvero fuori dalla storia”.
Luigi di Maio: “Bonafede ha la schiena dritta” – “Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sempre dimostrato di avere la schiena dritta e – scrive su Facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio – di non fermarsi davanti a nessuno, mettendo al primo posto solo gli interessi dei cittadini. Siamo entrati in parlamento con il chiaro intento di fermare il malaffare e debellare le mafie. Il nostro impegno è sempre stato massimo, in poco tempo abbiamo approvato leggi contro i mafiosi e inasprito le pene contro i corrotti”.
Morra (Antimafia): “Auspicio per un chiarimento” – Anche il presidente della Commissione parlamentare Antimafia e senatore M5s Nicola Morra, difende il Guardasigilli: “Arrivare a sostenere che l’azione di Bonafede sia stata inficiata da subito da condizionamento, minacce e intimidazioni per cui avrebbe evitato la nomina di Di Matteo a capo del Dap mi pare un’inferenza illogica. Se Bonafede fosse stato condizionato, minacciato, intimorito avrebbe potuto chiamare qualcun altro e non Di Matteo invece lo ha chiamato, ma poi, presumo, c’è stato un problema di comunicazione per cui il posto al Dap è stato assegnato a un’altra persona“. Morra ha ricostruito quanto emerso nella trasmissione televisiva di ieri. “Bonafede ha chiamato Di Matteo per offrirgli la possibilità di scegliere tra due incarichi, il primo essere a capo del mondo carcerario”, ha ricordato Morra “oppure un altro incarico” ossia la “Direzione generale affari penali, ruolo in cui a inizio anni ’90 fu chiamato a Roma Giovanni Falcone“. Morra ha poi ricordato che erano state “pubblicate alcuni giorni prima delle intercettazioni di boss appartenenti a Cosa Nostra in cui si diceva ‘se fanno Di Matteo capo Dap è finita’ proprio perché si riconosceva lo straordinario spessore dell’uomo e del magistrato”. “C’è stato un cortocircuito, un qui pro quo su cui bisognerà tornare. Si dovranno chiarire il ministro Bonafede e Di Matteo: questo è il mio auspicio“.

“Hanno appena scoperto che il Covid si può curare con il plasma dei guariti, ma nessuno ce lo dice perché preferiscono venderci il vaccino così fanno più soldi!”. - Lorenzo Tosa

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Analisi logica del testo.

1. Se nessuno ce lo dice, voi come fate a saperlo? Perché lo avete sentito in TV, su internet, alla radio, sui giornali. Quindi lo dicono tutti, non è vero che non ce lo dicono, altrimenti non lo sapreste neanche voi.

2. Il fatto che il plasma dei soggetti guariti contenga anticorpi e quindi possa curare la malattia è un segreto top secret che abbiamo scoperto ieri? No, sappiamo questa cosa da quando conosciamo il concetto di anticorpo, infatti è una cosa che vale per tutte le malattie virali conosciute. L’ipotesi di curare col plasma è al vaglio degli esperti sin dall’inizio dell’epidemia, stiamo riuscendo a valutarne gli effetti solo adesso per un motivo molto semplice: appena scoppiata l’epidemia i guariti non c’erano, quindi non potevamo prelevargli il plasma.

3. Avete una vaga idea di come funziona il prelievo di plasma? Per poterlo donare devi avere le analisi del sangue a posto, non avere determinate malattie, non fare uso di determinate sostanze; inoltre, non puoi donare più di una volta al mese. Quindi l’approvvigionamento di plasma è molto limitato rispetto al numero di malati da curare, non è che possiamo dissanguare centinaia di persone per curarne centinaia di migliaia.

4. Ma voi ce l’avete una vaga idea di quante sacche di plasma servono per curare un malato? Pensate che ne basti qualche millilitro? Voi avete idea di quanto costi un vaccino e quanto costi una cura col plasma? Pensate che il plasma sia gratis solo perché lo prelevano dal sangue delle persone? Pensate che non servano medici, strumenti, tecnologie, macchinari per poter condurre quel tipo di cura? Cosa pensate: che vi fanno bere un bicchiere di plasma altrui e “voilà”, siete guariti, come se fosse una pozione magica?

5. Cosa c’entra il plasma coi vaccini? Il plasma è una cura, il vaccino è una forma di prevenzione; quindi, in ogni caso una non esclude l’altra: è come dire che la cintura di sicurezza è un complotto perché in realtà esistono già gli ospedali che ti curano se fai un incidente. La cura col plasma inoltre non assicura immunità, perché gli anticorpi potrebbero scomparire dopo un tot di tempo che si è guariti, rendendoci nuovamente esposti al contagio. Il vaccino, invece, lo stiamo studiando proprio perché ci garantisca una immunità più duratura e ci eviti di prendere il Covid, così da debellare l’epidemia. Il plasma ha senso usarlo per curare chi è già malato, ma se non troviamo un modo per immunizzarci – come il vaccino – dovremmo continuare a prelevare plasma alla gente per sempre, perché continueranno ad ammalarsi persone.

Smettetela di diffondere fesserie, fate solo la figura dei fessi.

Paolo TuttoTroppo, debunker e divulgatore scientifico.

Il direttore de La Notizia Gaetano Pedullà a Coffee Break (La7): “Bonafede ha fatto più di tutti nella lotta alla mafia. Cosa nostra sta ridendo di quello che è andato in onda da Giletti”



Il direttore de La NotiziaGaetano Pedullà, è intervenuto, questa mattina, a Coffee Break (La7) sullo scontro nato tra il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e l’ex pm di Palermo, Nino Di Matteo. “Da Non è l’Arena – afferma Pedullà nel suo intervento – un attacco al ministro Bonafede, quello che ha fatto più di tutti nella lotta alla mafia. Oggi la mafia sta ridendo di quello che è andato in onda da Giletti”.

http://www.lanotiziagiornale.it/il-direttore-de-la-notizia-gaetano-pedulla-a-coffee-break-la7-bonafede-ha-fatto-piu-di-tutti-nella-lotta-alla-mafia/?fbclid=IwAR3DjDHd1jY-NOvQAtvcq0S22KG1ab4KpUszR3cXZjlQEjgs6ssY1kOOtNA

Buona fede. - Marco Travaglio

Polemica a viso aperto | L'HuffPost
Tutto potevamo immaginare, nella vita, fuorché di vedere il centrodestra (e dunque anche l’Innominabile e la sua Italia Morta) schierato come falange macedone in difesa di Nino Di Matteo, il magistrato più vilipeso e osteggiato (soprattutto dal centrodestra, ma non solo) degli ultimi vent’anni. Del resto, questa vicenda che lo contrappone al ministro Alfonso Bonafede è tutta un paradosso. Il Guardasigilli viene accusato di cedimenti alla mafia e alle scarcerazioni dagli stessi che gli davano del “giustizialista”, “manettaro” e per giunta colluso col “grillino” Di Matteo. Tant’è che l’altra sera, a “Non è l’Arena: è Salvini”, s’inchinavano deferenti a Di Matteo il capitano “Ultimo” (il neoassessore dell’immacolata giunta Santelli in Calabria, che Di Matteo fece a pezzi in varie requisitorie per la mancata perquisizione al covo di Riina) e l’ex ministro Claudio Martelli, che lo definì “uno stupido, forse anche in malafede” che “naviga nel caos” e “non escludo che si inventi delle balorde” nel processo Trattativa che “finirà in un nonnulla” (infatti, tutti condannati). Una lezione di legalità resa ancor più credibile da maestri del calibro di Flavio Briatore (imputato per evasione fiscale) e dello stesso Martelli (pregiudicato per la maxitangente Enimont). Gl’imputati, ovviamente assenti, erano due pericolosi incensurati: Bonafede e il suo capo uscente del Dap Francesco Basentini, che la vulgata salviniana e dunque gilettiana vuole colpevoli delle decine di scarcerazioni di detenuti (opera di altrettanti giudici di sorveglianza iper “garantisti”), quando tutti sanno che il Dap è corresponsabile solo in quella del fratello del boss Zagaria, scarcerato da un giudice di Sassari con la scusa del Covid e spedito a casa sua a Brescia (epicentro Covid).
Nel bel mezzo di quel frittomisto di urla belluine miste a notizie vere, verosimili e farlocche, fatto apposta per non far capire nulla, ha chiamato Di Matteo per raccontare la sua versione della mancata nomina a capo del Dap a metà giugno 2018. I lettori del Fatto sapevano già tutto. Il 27 giugno 2018 Antonella Mascali la raccontò insieme alle esternazioni di alcuni boss al 41-bis contro l’ipotesi di Di Matteo al Dap. Poi Marco Lillo criticò Bonafede per la “figuraccia” fatta con Di Matteo. L’altra sera l’ex pm ha evocato le frasi dei boss a proposito della presunta retromarcia del ministro sulla sua nomina al Dap. E, anche se non ha fissato alcun nesso causale fra le due cose, Giletti l’ha dato per scontato. Noi ovviamente non eravamo presenti ai tre colloqui (uno telefonico e due al ministero) intercorsi fra Bonafede e Di Matteo. E non ne conosciamo i particolari.
Ma già due anni fa ci facemmo l’idea di un colossale equivoco fra due persone in buona fede. Ecco la cronologia. Quando nasce il governo Salvimaio, voci di stampa parlano di Di Matteo al Dap o in un altro ruolo apicale del ministero della Giustizia. E fanno impazzire i boss (che evidentemente preferivano le precedenti gestioni). Il 3 giugno il corpo speciale della polizia penitenziaria (Gom) sente alcuni di loro inveire contro l’arrivo del pm anti-Trattativa. E il 9 giugno annota quelle frasi in una relazione al Guardasigilli e ai pm. Il 18 giugno, già sapendo quel che dicono i boss, Bonafede chiama Di Matteo per proporgli l’equivalente della direzione Affari penali (che già era stata di Falcone con Martelli) o il Dap. Il 19 giugno Di Matteo incontra Bonafede e dà un ok di massima per gli ex-Affari penali (questa almeno è l’impressione del ministro): ruolo che il Guardasigilli s’impegna a liberare riorganizzando il ministero e ritiene più consono alla storia di Di Matteo, oltreché alla sua esigenza di averlo accanto per le leggi anti-mafia/corruzione che ha in mente (all’epoca il problema scarcerazioni non era all’ordine del giorno). Il pm invece ritiene l’incontro solo interlocutorio. Bonafede offre il Dap a Basentini, ma in serata Di Matteo lo chiama chiedendo un nuovo incontro. E lì, il 20 giugno, gli dice di preferire il Dap e di non essere disponibile per l’altro incarico, forse per aver saputo anche lui delle frasi dei boss. Bonafede insiste per gli ex-Affari penali, imbarazzato perché il Dap l’ha già affidato al suo collega. Invano.
Il 27 giugno il Fatto pubblica le frasi dei boss: a quel punto, come osserva Lillo sul Fatto, Bonafede potrebbe accantonare Basentini e richiamare Di Matteo per dare un segnale ai mafiosi; ma, per non mancare alla parola data, non lo fa. In ogni caso l’ipotesi che la contrarietà dei mafiosi l’abbia influenzato è smentita dalla successione dei fatti, oltreché dalla logica: chi vuol compiacere i boss non offre a Di Matteo il posto di Falcone, ucciso proprio per il ruolo di suggeritore di Martelli agli Affari penali, non al Dap. Ma Di Matteo si convince, memore dei mille ostacoli incontrati nella sua carriera, che “qualcuno” sia intervenuto sul ministro per bloccarlo. Intanto Bonafede continua a sperare di portarlo con sé. Ma ormai il rapporto personale è compromesso, anche se poi Di Matteo non manca di sostenere le riforme di Bonafede (voto di scambio, spazzacorrotti, blocca-prescrizione ecc.) e la recente nomina a vicecapo del Dap del suo “allievo” Roberto Tartaglia, giovane pm del processo Trattativa. Un’altra mossa che a tutto può far pensare, fuorché a un gentile omaggio a Cosa Nostra.

Carceri, Forza Italia ora usa Di Matteo per attaccare Bonafede. Ma fino a sei mesi fa lo insultava (perché parlava di Dell’Utri e i boss mafiosi). - Giuseppe Pipitone

Carceri, Forza Italia ora usa Di Matteo per attaccare Bonafede. Ma fino a sei mesi fa lo insultava (perché parlava di Dell’Utri e i boss mafiosi)

Tutto il centrodestra, guidato dai berlusconiani, è andato all'attacco del Guardasigilli sfruttando il botta e risposta col pm antimafia in diretta televisiva. Ma fino a pochi mesi fa sono molteplici gli attacchi e gli insulti (soprattutto dei forzisti) indirizzati proprio all'ex pm di Palermo, che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia, ha ottenuto la condanna di Dell'Utri a 12 anni di carcere, e ha spesso ricordato pubblicamente come Forza Italia sia stata fondata da un uomo riconosciuto colpevole di concorso esterno a Cosa nostra.

Chiedono le dimissioni del guardasigilli, vogliono che l’intero governo vada in Parlamento a spiegare, definiscono “gravi” le accuse al ministro e vorrebbero fosserro addirittura sollevate “nelle sedi opportune”. Il primo giorno della cosiddetta Fase due della lotta al coronavirus si fa segnalare per un fatto inedito che però nulla ha a che fare con l’epidemia: tutto il centrodestra si schiera compatto a difesa del più noto magistrato antimafia del Paese. Persino Forza Italia che in passato ha parecchio polemizzato con lo stesso pubblico ministero, arrivando più volte a insultarlo. Tutto pur di avere l’occasione di attaccare il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Anche usare le parole di Nino Di Matteo, l’ex pm della procura di Palermo ora consigliere del Csm, che i berlusconiani definivano “mitomane” non più tardi di sei mesi fa. D’altra parte Di Matteo è il magistrato che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia, che ha ottenuto la condanna di Marcello Dell’Utri a 12 anni di carcere, che ha spesso ricordato pubblicamente come Forza Italia sia stata fondata da un uomo che la Cassazione ha riconosciuto colpevole di concorso esterno a Cosa nostra.

L’assist per il centrodestra – La vicenda che fa da assist al centrodestra, con i berlusconiani tornati a guidare la coalizione almeno nella guerra di comunicati stampa, è quella che si consuma nello studio di Non è l’Arena su La7. In studio si discute di carceri, e si evoca la nomina di Di Matteo a capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria nel giugno del 2018, poi mai concretizzatasi. Il consigliere del Csm chiama in diretta per raccontare che nel 2018 il ministro gli aveva effettivamente offerto di dirigere il Dap. Alcuni giorni prima era iniziata a circolare la relazione con le reazioni rabbiose esternate dai boss mafiosi al 41bis sull’ipotesi di Di Matteo al capo del Dap. Quell’offerta sarebbe poi venuta meno. “Andai a trovare il ministro – è la ricostruzione di Di Matteo – dicendo che avevo deciso di accettare l’incarico al Dap, ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano deciso di nominare il dottor Basentini. Mi chiese di accettare il posto di direttore generale del ministero, ma il giorno dopo gli dissi di non contare su di me”. Sempre in diretta ecco la replica di Bonafede: Non sono uno stupido sapevo chi è Di Matteo, sapevo chi stavo per scegliere, e tra l’altro l’altro quella intercettazione era già stata pubblicata sul Fatto Quotidiano e sono intercettazioni di cui il ministro dispone perché le fa la polizia penitenziaria. Il fatto che il giorno dopo avrei ritrattato quella proposta in virtù di non so quale paura sopravvenuta non sta né in cielo né in terra. E’ una percezione del dottor Di Matteo”.

Gelmini: da “supposizioni infamanti” a “gravissime accuse” – È su questo botta e risposta che il centrodestra tutto si è trovato unito vicino al magistrato ed è andato all’attacco del Guardasigilli. “Riassumendo: prima Bonafede permette che diversi boss escano dal carcere. Poi Di Matteo dichiara di non essere stato nominato a capo del Dap per le pressioni della mafia e i 5s non ne chiedono le dimissioni? Il Governo deve riferire in Aula e dare spiegazioni agli italiani”, twitta Gabriella Giammanco, vicepresidente del partito azzurro al Senato. “Dopo le parole di Nino Di Matteo da Giletti a Non è l’arena, Alfonso Bonafede venga immediatamente in Parlamento. Le gravissime accuse del pm non possono cadere nel vuoto: o Di Matteo lascia la magistratura o Bonafede lascia il Ministero della Giustizia”, scrive sempre sui social Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. La stessa che il 3 novembre scorso definiva quelle di Di Matteo “le solite farneticanti teorie“, “ancora una volta ridicole accuse“, “supposizioni infamanti” “illazioni inaccettabili e insultanti“. Quel giorno il magistrato aveva ricordato in diretta televisiva su Rai3 il patto tra le famiglie mafiose e Silvio Berlusconi, durato almeno fino al 1992 e al centro di una sentenza definitiva della Cassazione che ha condannato il braccio destro del Cavaliere e fondatore di Forza Italia per concorso esterno in associazione mafiosa.
Mulè: da anarchia informativa a censura preventiva – Un intervento inattaccabile dal punto di vista giuridico. E forse proprio per questo aveva fatto finire l’ex pm nel mirino dei berlusconiani. “Contro l’ex Cavaliere un vaniloquio da mitomane“, aveva detto il deputato Fi e membro della Vigilanza Rai Andrea Ruggieri. “Vergognosa propaganda senza contraddittorio”, erano le accuse di Maurizio Gasparri. Per la senatrice azzurra Alessandra Gallone, si trattava “ad accuse infondate” e a una “delle più brutte pagine” della Rai. Per Giorgio Mulè eravamo addirittura “all’anarchia informativa“. Dopo le parole di Di Matteo su Bonafede cosa avrà detto il portavoce dei gruppi parlamentari berlusconiani? Mulè se la prende di nuovo con la Rai per i motivi completamente opposti a quelli di novembre. Sei mesi fa era anarchia informativa far parlare un pm di processi e sentenze, oggi “lascia basiti che il Tg1 non abbia dato alcuno spazio allo scontro avvenuto in diretta tv tra il pubblico ministero e componente del Csm e il ministro della Giustizia”. Di più: “È che si sia totalmente taciuta la notizia. Oramai siamo alla censura preventiva pur di compiacere e non disturbare il governo, un comportamento indegno per chi ha il dovere di informare: il Tg1 ha definitivamente tradito la missione di servizio pubblico”. Insomma: seguendo la logica di Mulè censurare Di Matteo è giusto quando parla di Berlusconi e Dell’Utri, sbagliato quando invece cita Bonafede.
Zanettin, che voleva Di Matteo punito da Bonafede – Un altro deputato berlusconiano, Pierantonio Zanettin, nel settembre scorso aveva presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia per chiedere di valutare l’apertura di azioni disciplinari nei confronti del pm antimafia. Adesso riesce in una piroetta completa: prende spunto dallo scontro con Di Matteo per attaccare Bonafede: “Il ministro dimostra ancora una volta la propria inadeguatezza, o ha mentito o ha dimostrato in diretta televisiva di non conoscere l’organizzazione del ministro della Giustizia”. Tra i grandi sostenitori del pm palermitanno anche Giorgia Meloni. “Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia”, dice la leader di Fratelli d’Italia, nota estimatrice della figura di Paolo Borsellino. Nel 2008, però, quand’era ministro del governo Berlusconi, non si smarcò dalla sequela d’insulti lanciati quotidianamente da esponenti del Pdl nei confronti della procura di Palermo. Erano talmente tanti che alcuni pm definirono “pericolosa la violenza verbale usata nei confronti della magistratura”. “Non credo che il problema della lotta alla mafia sia legato alla veemenza verbale nei confronti della magistratura“, disse una giovane Meloni. Per inciso, all’epoca, tra i pm di Palermo quotidianamente sotto attacco c’era anche Di Matteo.