sabato 4 luglio 2020

C'era una volta.. - Massimo Erbetti




C'era, anzi c'erano una volta...
In principio c'erano i dossier. Nel lontano 2013 e precisamente l'11 luglio, Antonio Di Pietro affermava che: "Esistono nel nostro Paese organizzazioni che costruiscono rapporti su personalità politiche e le vendono al miglior offerente. Un magma in cui ci sono anche persone vicine ai Servizi"..."Ho consegnato a vari uffici giudiziari, tra i quali l'antimafia, documenti, riscontri e prove dell'esistenza di strutture criminali che hanno il compito di costruire dossieraggi su personalità istituzionali e pubbliche in generale. Me compreso"... "Esistono organizzazioni che hanno agito e agiscono con una duplice strategia: vendere dossier al miglior offerente, oppure svolgere trattative con i diretti interessati".
Per cui a quel tempo, ma sicuramente anche oggi, a distanza di sette anni, ci sono organizzazioni che su commissione, o per interessi propri, possono distruggere un politico con dei dossieraggi. Lo stesso Di Pietro fu vittima di un linciaggio, che decretò la sua fine politica. Poi le cose cambiarono, nella politica nacque un nuovo movimento fatto di gente normale, che non aveva scheletri nell'armadio, non appartenente a quel mondo, difficile fare dossier, difficile trovare scheletri, difficile, troppo difficile, anzi impossibile.
Come aggirare questo scoglio? Cosa poteva fare quel sistema marcio per poter controllare, gestire, distruggere persone non ricattabili?
Facile, si mette in atto la macchina del fango...
Il "sistema" non si da certo per vinto...e cosa fa? Scredita, sminuisce, denigra... Di Maio? Bibitaro...come se aver fatto lo steward al San Paolo, fosse una cosa di cui vergognarsi, come se lavorare e vivere di un lavoro normale sia una colpa...ma il sistema, lo fa passare per tale. Ma Di Maio, non è l'unico ad aver subito la gogna mediatica, l'ultimo in ordine di tempo è stato Toninelli. L'altro giorno era seduto al bar e mentre beveva un caffè, un gruppo di persone gli si è avvicinato e con una tecnica ormai rodata, lo ha dapprima coinvolto in una discussione apparentemente pacifica: "le posso fare solo una domanda?"...questo modo gentile di fare, rende la persona oggetto della domanda più disponibile...poi però la semplice domanda, si trasforma in un'offesa, in insulti...Bibbiano..assassini...e varie amenità che ormai conosciamo bene grazie ai social...peccato però che quegli insulti e quelle modalità, venissero da un tizio tatuato, che guardacaso, si è scoperto poi fosse un gilet arancione...strano no? No, non è affatto strano, se non puoi ricattare, se non hai dossier per distruggere, devi necessariamente scendere ai livelli più bassi, utilizzando magari un lavoro umile fatto in precedenza, o come nel caso di Toninelli, farlo passare come un ignorante che perde la pazienza per una "semplice domanda".
Poi tanto ci pensano i media a reti unificate, a dare voce alla macchina del fango...beh vi dico una cosa: fin quando ci daranno dei bibitari o degli ignoranti vorrà dire che non hanno niente di meglio per ricattare e su cui costruire dossier, dimostrando, così, sempre di più, la loro miseria e bassezza umana.



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B. & il giudice: obiettivo grazia. “Parliamone a Napolitano” Le mosse di Silvio sul Colle. - Gianni Barbacetto

B. & il giudice: obiettivo grazia. “Parliamone a Napolitano” Le mosse di Silvio sul Colle

Agganciare direttamente Giorgio Napolitano – tramite un consigliere giuridico del Colle – per riaffrontare il tema della grazia. È una delle strategie che, il 6 febbraio 2014, Silvio Berlusconi pensa di mettere in campo dopo la batosta della condanna in Cassazione nel 2013 a quattro anni per frode fiscale e la decadenza da senatore. Di questo parla con Amedeo Franco, giudice relatore di quello stesso verdetto che poi davanti a Berlusconi ha rinnegato. Quel giorno la conversazione tra i due, come è noto, viene registrata ed è stata poi depositata dalla difesa dell’ex presidente del Consiglio nel ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Alcune frasi – quelle in cui Franco parla di “plotone d’esecuzione” e di sentenza “porcheria” – sono state già pubblicate. Altre no. Come quelle in cui Berlusconi parla con il giudice della grazia: richiesta che al Colle non arriverà mai.
Nella conversazione del 6 febbraio di sei anni fa, quindi, il giudice Franco (deceduto lo scorso anno) si mostra disponibile a lavorare per il riscatto di Berlusconi. “Bisognerebbe trovare un modo – dice – in cui sia efficace questa, perché a me non è che mi dispiacerebbe sollevarmi la coscienza e dire: ‘Io ho fatto, ho accettato di fare questa cosa perché è un modo per esprimere la mia solidarietà al presidente Berlusconi (…) perché a mio avviso… come si sono svolte le vicende, ma a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subìto una grave ingiustizia’”. “Però – aggiunge Franco – che si faccia una lettera… bisogna pensare il modo, perché se si fa una lettera al presidente della Repubblica, noi soprattutto se è segreta, secondo me non va bene”. Berlusconi interviene: “E chiedergli un incontro?”. E Franco: “E che gli dico? Io posso andare non da lui, posso andare da Lupo in qualsiasi momento, dico di ricevermi, ma non serve a niente”.
Il Lupo citato potrebbe essere Ernesto Lupo, presidente di Cassazione dal 2010 al 2013, che lascia il posto pochi mesi prima della condanna di Berlusconi. Poi diventa consigliere per gli Affari di giustizia al Quirinale, con Giorgio Napolitano presidente. Su Lupo il discorso torna più volte. Franco dice di avergli parlato della sentenza che, dopo aver firmato, rinnega. Circostanza questa che Lupo, in un’intervista al Corriere della Sera, ha già spiegato: “La camera di consiglio è segreta. Sarebbe stata una scorrettezza grave per lui violare quel segreto e anche per me se lo avessi indotto a farlo. (…) Per questo cambiavo argomento e tornavo sul motivo delle chiamate ripetute: la sua promozione. Non per sviare”.
Parlando dunque di Lupo, Franco ribadisce: “Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo, ecc ecc. Ho cominciato a dirglielo e ha cambiato subito opinione, ha chiuso il discorso. Ma lo sa, figurarsi…”. E Berlusconi: “Però aveva capito?”. “Sì che aveva capito – risponde il giudice – ma non è diciamo che c’ho molta confidenza con lui… non è che… mi posso permettere di dirglielo apertamente. Casomai ritorno al Quirinale, ci devo parlare per quell’altra questione, ci vado… ritorno al Quirinale, glielo dico (…) in via riservata”. “Va bene, ci pensi un po’, lei veda un po’”, conclude Berlusconi. Che poco dopo, durante la stessa conversazione, torna alla carica sul tema della grazia: “L’unico modo – dice l’ex premier – potrebbe essere questo, che lei telefoni a Lupo e gli dice (…) ‘Guarda, io ho un peso sulla coscienza, siccome so che adesso c’è il fatto grazia sì, grazia no per Berlusconi, vorrei venire a dire…’”.
Sentito dal Fatto, Ernesto Lupo smentisce nettamente: mai il giudice Franco gli ha parlato della grazia per Berlusconi. Insomma quella dell’ex presidente del Consiglio rimase una intenzione non realizzata, con Franco come pedina per provare ad arrivare al Colle. Ma Napolitano aveva già messo i suoi paletti: il 13 agosto 2013 aveva fatto sapere che non c’erano le condizioni per la grazia.

Merdaset.- (2) - Marco Travaglio

Berlusconi e il no a M5S e Lega. Ma il web e persino Feltri lo ...
1996. Stefania Ariosto rivela a Ilda Boccassini che B. e gli avvocati Previti e Pacifico compravano giudici e sentenze. Giornale e Panorama accusano la Boccassini di aver offerto 500 milioni a un pentito per incastrare l’ex pm e deputata FI Tiziana Parenti in un traffico di droga: tutto falso. Allora Renato Farina, sul Giornale di Feltri, scrive che la Boccassini ha arrestato ingiustamente una somala, Sharifa, sottraendole il marito e due bambini (“Quella Procura che rapisce i bambini”): balle anche quelle.
1998. L’Avanti! pubblica un falso dossier sulla Ariosto agente dei servizi segreti. E i media berlusconiani la accusano di essere prezzolata dalla Finanza: altra maxi-balla, con le solite condanne per diffamazione. Ma ecco due nuove campagne sulle testate di B. (Rai inclusa) contro la Boccassini e Gherardo Colombo: i due pm avrebbero manipolato con lo Sco l’intercettazione dei giudici romani Renato Squillante e Francesco Misiani al bar Mandara (tutto falso, appurerà il gup di Perugia). E occultato le prove dell’innocenza di B. e Previti nel fascicolo segreto 9520/95, negato illegalmente ai difensori (tutte balle, stabilirà il gup di Brescia).
2001.Mentre il governo B. è impegnato ad abolire le rogatorie che incastrano il premier e Previti e a opporsi al mandato di arresto europeo, Panorama e Giornale pubblicano uno scoop di Lino Jannuzzi (“Il gioco dei quattro congiurati”) che racconta nei dettagli un incontro segreto in un hotel di Lugano fra la Boccassini e i colleghi Carlos Castresana, Carla Del Ponte ed Elena Paciotti per architettare l’arresto del presidente del Consiglio. Poi i congiurati dimostrano che quel giorno si trovavano in quattro città diverse e piuttosto lontane: Boccassini a Milano, Castresana a Madrid, Paciotti a Bruxelles, Del Ponte in Tanzania. Jannuzzi, anziché andare a nascondersi, giura di avere “le prove”. Il Cda di Panorama chiede lumi al direttore Carlo Rossella. Che difende Jannuzzi perché, vertice o non vertice, “il problema esiste”. Sarà condannato per diffamazione. Jannuzzi si farà eleggere al Senato e nominare al Consiglio d’Europa, con doppia immunità.
2003. La Cassazione sta per decidere sulla richiesta di B. di traslocare i processi a Brescia per “legittimo sospetto”. La triade Tg1-Studio Aperto-Giornale spara un nuovo scoop. In una bacheca della IV sezione del Tribunale di Milano, quella del processo Mondadori, i giudici avrebbero affisso foto di Previti sotto una frase di Platone contro i tiranni: la prova del nove che tutti i giudici milanesi sono prevenuti. Ma è una bufala. Le foto, ritagliate dai giornali, non sono nell’ufficio dei giudici, ma dietro una colonna della stanza di una cancelliera.
E la frase di Platone non c’entra: è lì appesa da 12 anni e non è contro i tiranni, ma contro i governi troppo corrivi con i moti di piazza.
2009. Il giudice civile Raimondo Mesiano condanna la Fininvest e B. a risarcire con 750 milioni di euro Carlo De Benedetti per lo scippo della Mondadori col famoso verdetto comprato e definisce il premier “corresponsabile nella corruzione” del giudice Vittorio Metta. E viene linciato da tv e giornali berlusconiani e pedinato dalle telecamere di Mattino 5 dal barbiere e al parco zoomando sui suoi calzini turchesi. “Tra la stravaganza del personaggio e la promozione del Csm, qualcosa non funziona”, denuncia il direttore Claudio Brachino. E Sallusti: “Non è solo stravaganza fisica, ma anche professionale”. Brachino verrà sospeso dall’Ordine dei giornalisti per due mesi.
2011. B. è indagato per la prostituzione minorile di Ruby e le chiamate in Questura per farla rilasciare. Il Giornale di Sallusti contrattacca con “Gli amori privati della Boccassini”, che nel lontano 1981 fu sorpresa da un“addetto alle pulizie del tribunale” nientemeno che a “baciare un cronista di Lotta Continua”.
2013. Il processo Mediaset (B. condannato in I e II grado a 4 anni per frode fiscale) arriva in Cassazione. Il Giornale blandisce il presidente Esposito e i giudici Franco, D’Isa, Aprile e De Marzo: “toghe moderate e di lungo corso”. Ma, appena questi condannano B., per i suoi house organ diventano dei farabutti. Tranne Franco, risparmiato chissà perché dal linciaggio, sebbene abbia firmato la sentenza come gli altri. Il Giornale accusa Esposito di aver definito B. “grande corruttore” e “genio del male” in una cena privata a Verona nel lontano 2009. Lui smentisce. Libero e Panorama gli scagliano addosso le accuse più fantasiose: persino una cena con l’attore Franco Nero, oltre al solito fango su tutti i parenti fino al terzo grado. Anche i giornali “indipendenti”, Corriere, Sole 24 Ore, La Stampa e Messaggero, sdraiati sul governo Letta Pd-FI, attaccano la sentenza e invocano l’amnistia o la grazia. Il Mattino intervista Esposito, che risponde solo su questioni generali senza entrare nel processo, ma poi gli infilano una domanda mai fatta sulla condanna di B. Un assist al Pdl, che scatena il putiferio, ricorre a Strasburgo, chiede la testa del giudice e la revisione della sentenza. Esposito viene trascinato dinanzi al Csm, dove ovviamente sarà prosciolto da tutto. Intanto il suo collega Franco sta spifferando i segreti (peraltro falsi) della camera di consiglio al neopregiudicato armato di registratore. Ma questo ancora nessuno lo sa: se ne riparlerà soltanto sette anni dopo, su Rete4 e sul Giornale. Nella migliore tradizione della casa.
(2 – fine)

venerdì 3 luglio 2020

Un belga, dalla Germania, ha scritto:

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"L' Italia è come quella tipa che ha più talento di tutti, è come quella che le altre se le mangia, perché è nata bella, più bella di tutte e le altre se le asfalta. L' Italia è come quella più ingegnosa, che ha le mani di una fata, che si inventa mille cose, perché è piena di risorse. Sa discutere di storia, di mare, di montagne, sa di cibo, di buon vino, di dialetti, di pittori, di scultori, di scrittori, di eccellenze nella scienza, non c'è niente che non sa. E quando questa tipa bella e talentuosa inciampa e cade, la platea delle sfigate esulta. È la rabbia delle poverine ingelosite, quelle al buio, perché lei è comunque bella anche quando cade a terra. Ma l'Italia è una tipa con stivale tacco 12, ovviamente made in Italy, che nessuna sa portare meglio di lei... solo il tempo di rialzarsi.”

È alla sua ottava legislatura, e già questo è tremendo. - Andrea Scanzi

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Ha detto cose intelligenti solo una volta a Rai3, ma poi si scoprì che non era lui bensì Marcoré che lo imitava. Incarna, da sempre, la politica più vilipesa, caricaturale e irricevibile che si possa immaginare. Arrogante coi media e con la “plebe” (ricordate il dito medio?), di recente ha fatto il bullo (por’omo) con una giornalista di Report. Sui social gli ridono dietro tutti, nella realtà è pure peggio.

Ma c’è di più.

Dal primo giugno Gasparri è in pensione. Non da parlamentare (presto prenderà anche quella), ma da “giornalista”. Non sto scherzando. Il figaccione qua sotto ha “lavorato” 9 anni al Secolo d’Italia, per poi stare in aspettativa 28 (!?!) anni. Questi requisiti gli sono stati sufficienti per guadagnarsi, legalmente s’intende, la pensione.

Quando pensate alla “casta”, e ai pregiudizi di cui gode, pensate che stiamo parlando di gente così.


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Fininvent. - Marco Travaglio

Berlusconi e il no a M5S e Lega. Ma il web e persino Feltri lo ...
Se un vecchio malvissuto come B. è ancora a piede libero, in politica e perfino nei sondaggi, è grazie all’orchestra mediatica di tv e giornali che da 26 anni suona quotidianamente il suo spartito. Ma anche grazie a tutti gli altri media che, l’uno dopo l’altro, si sono accomodati su posizioni “terziste”, come se l’imparzialità fosse l’equilibrio fra guardie e ladri: i soliti Mattia Feltri su La Stampa e Pigi Battista sul Corriere, ma anche la new entry di Repubblica modello Sambuca Molinari che, tradendo 44 anni di storia, l’altroieri ha taciuto in prima pagina l’ultimo scandalo della Banda B. (il giudice morto che parla) e ieri ha dato l’ultima parola sul caso indovinate a chi? A B., con un’intervista senza domande che imbarazzerebbe pure Sallusti. Intanto, mentre tutti disertano, il Premiato Bufalificio di Arcore seguita a sfornare balle a reti ed edicole unificate, come nell’ultimo quarto di secolo: non per prova l’onestà del padrone (non esageriamo), ma almeno per tentare di sputtanare i suoi giudici.
1994. B. è indagato per le mazzette Fininvest alla Guardia di Finanza. Il Giornale, appena finito in mano a Vittorio Feltri, parte all’assalto di Piercamillo Davigo, pm dei processi “Fiamme Sporche”: lo accusa di essere socio occulto del generale corrotto Giuseppe Cerciello; e di ricattare il giudice Romeo Simi de Burgis su vecchie accuse del pentito Epaminonda (poi archiviate). De Burgis sta giudicando alcuni stilisti per altre tangenti alla Gdf: se salta quel processo, B. si salva nel suo. Il secondo scoop viene ripreso da Paolo Liguori a Studio Aperto e rilanciato da Sgarbi quotidiani con una sigla-cartoon che mostra due maiali con la toga insanguinata e un coltello in mano danzanti sulle note di Ci vorrebbe un amico. Per la doppia bufala, Il Giornale&C. verranno condannati per diffamazione.
1995. Il Giornale insinua che il procuratore Francesco Saverio Borrelli cavalchi su un sauro di Giancarlo Gorrini, assicuratore condannato ed ex amico di Di Pietro. Balla sesquipedale: la sigla “G.G.” sulla sella è del proprietario Giuseppe Gennari. Ma B. teme pure l’entrata in politica di Antonio Di Pietro e chiama il comune amico costruttore Antonio D’Adamo: “Si prepari, siamo nelle sue mani!”. Promette aiuti finanziari in cambio di calunnie all’ex pm (5 miliardi dal banchiere-corruttore Pierfrancesco Pacini Battaglia tramite D’Adamo), che lui stesso registra e consegna ai pm di Brescia. Il Giornale dà una mano titolando a tutta prima: “Dal Messico gravi accuse a Di Pietro. Raggio dice che Pacini Battaglia ha dato una valigetta con 5 miliardi a Lucibello perché la consegnasse a Di Pietro”.
Il gup di Brescia accerta poi che sono tutte balle e proscioglie Di Pietro, che farà causa al Giornale e a Feltri. Il quale nel 1997, non avendo uno straccio di prova, si scusa in prima pagina col Di Pietro “immacolato” per quella che lui stesso definisce “bufala”, “ciofeca”, “smarronata”. Titolo: “Il tesoro di Di Pietro non c’è”. Svolgimento: “Tonino, ti stimavo e non ho mai cambiato idea”.
1996. Il Foglio di Giuliano Ferrara pubblica un’intercettazione raccolta dal Gico, in cui Pacini Battaglia dice che Di Pietro e l’avvocato Giuseppe Lucibello “mi hanno sbancato” e che “per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato”. Segue una lunga campagna contro Di Pietro corrotto (“scespirianabaldracca”, “troia dagli occhiferrigni”, “trafficante”, “protettore di biscazzieri”, “golpista”, “fa vomitare”). Poi si scopre che “sbancato” era “sbiancato” e soprattutto che il Gico aveva tagliuzzato altre frasi di Pacini che scagionavano l’ex pm, tipo questa: “Io a Di Pietro (i soldi, ndr) non glieli ho dati”. Anche perché da Mani Pulite il banchiere non era mai uscito: era stato regolarmente arrestato e condannato. Seguono le solite condanne per diffamazione.
1997. Vittorio Sgarbi e gli house organ berlusconiani accusano Gherardo Colombo di aver falsificato il pass d’ingresso del deputato FI Massimo Maria Berruti a Palazzo Chigi, che prova il ruolo di B. nel depistaggio delle indagini sulle mazzette alla Gdf. Invece il pass è vero e Berruti sarà condannato, come pure i diffamatori di Colombo. Intanto B. denuncia il pool Mani Pulite a Brescia per “attentato a organo costituzionale” (cioè a lui) per l’invito a comparire per corruzione della Finanza recapitatogli il 21 novembre ’94 durante un convegno internazionale a Napoli. A sostenere il golpe corrono a testimoniare due marescialli dei carabinieri, Giovanni Strazzeri e Felice Corticchia: raccontano che il famoso invito a comparire fu una manovra orchestrata dal pool con Luciano Violante per rovesciare il governo B. con un avviso di garanzia “a mezzo stampa”. In allegato a Panorama, diretto da Ferrara, esce un pamphlet del giornalista Giancarlo Lehner: Articolo 289 Cp. Attentato a organo costituzionale. Strazzeri e Corticchia vengono poi arrestati e patteggiano per calunnia. Si scopre che Corticchia era amico intimo di Emilio Fede, non aveva mai una lira ed era inseguito dai pignoramenti: finché, dopo vari incontri col direttore del Tg4 e uno con B. ad Arcore per concordare la testimonianza fasulla, era diventato ricco sfondato (nuovo appartamento a Milano, villa a Santo Domingo e 250 milioni di lire versati in banca in contanti). Lehner verrà puntualmente condannato per diffamazione.
(1 – continua)

I 4 incontri propiziati da Ferri: così si decise di registrare il giudice. - Gianni Barbacetto


l'onorevole renziano cosimo ferri rivela: fui io a portare il ...
Nessun complotto: caso Mediaset deciso subito perché si prescriveva il 1.8.2013. i 10 misteri dei 4 incontri fra B., il suo giudice e il solito Ferri.
È lui “il magistrato” che porta il giudice Amedeo Franco da Silvio Berlusconi. È Cosimo Ferri, leader storico della corrente Magistratura indipendente, che però nel 2013 riveste un ruolo politico, perché è sottosegretario alla Giustizia (berlusconiano) del governo di Enrico Letta, nato dalle “larghe intese” tra Pd e Berlusconi. È Ferri che chiede un incontro al leader di Forza Italia, perché deve riferire quanto gli ha detto uno dei giudici che hanno firmato la sua condanna definitiva in Cassazione. Silvio tira in lungo, rimanda. “Da tempo aveva chiesto di parlarmi e io mi ero rifiutato”, racconta, “perché ero troppo amareggiato per quello che avevo subito”.
In verità, sono i suoi avvocati, Niccolò Ghedini e Franco Coppi, a suggerirgli prudenza: un giudice che va a parlare con il suo condannato è inconsueto perfino nel magico mondo berlusconiano. Dopo le insistenze di Franco e del suo ambasciatore Ferri, Ghedini e Coppi dicono sì, raccomandando però di registrare gli incontri. Sono quattro o cinque, avvengono a Roma a Palazzo Grazioli tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. Ad almeno un paio è presente anche Ferri. Nelle trascrizioni compaiono anche due voci femminili, che potrebbero essere segretarie e assistenti di Berlusconi. Ghedini e Coppi ne restano fuori, anche per non diventare testimoni dei fatti e dover rinunciare alla difesa. Finché Franco è vivo, non esibiscono gli audio, che sono però evocati in una memoria alla Corte di Strasburgo del 2015. Nel 2017 ne accenna Berlusconi nel programma di Bruno Vespa, dicendo che “aveva la prova” che la sentenza di Cassazione era viziata. Il 20 maggio 2020 – dopo la morte di Amedeo Franco – Ghedini e Coppi depositano a Strasburgo anche i file audio. Uomo-chiave degli incontri è Ferri. È lui a contattare Berlusconi per farlo parlare con Franco. È lui ad accompagnarlo a Palazzo Grazioli.
Figlio d’arte, Cosimo ha ereditato le sue due anime dal padre, Enrico Ferri, magistrato ma anche ministro socialdemocratico dei Lavori pubblici ai bei tempi della Prima Repubblica. Fa il giudice al Tribunale di Massa, sezione penale di Carrara. Ma la sua vera passione sono le relazioni. A soli 35 anni viene eletto, grazie alla campagna elettorale paterna, al Consiglio superiore della magistratura. Poi diventa segretario generale di Magistratura indipendente, che trasforma nella sua rete di rapporti e di potere. Nel 2012, alle elezioni dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), stabilisce il record italiano delle preferenze, raccogliendo 1.199 voti. Si butta in politica. Sotto l’ombrello di Berlusconi: nel 2013 diventa sottosegretario alla Giustizia del governo Letta. È questo il momento in cui porta Amedeo Franco a Palazzo Grazioli. Resta sottosegretario anche dopo la fine delle “larghe intese”: autoproclamandosi “tecnico”. Mantiene la poltrona anche nei successivi governi Renzi e Gentiloni. Nel 2018 viene eletto deputato del Pd, che lascia nel settembre 2019 per aderire a Italia Viva.
Il suo nome compare come il prezzemolo in molti succulenti piatti-scandalo italiani. In Calciopoli entra, da gran collezionista di poltrone qual è, come membro dell’Ufficio vertenze economiche della Federcalcio. Nel 2005, in una telefonata intercettata, ringrazia il vicepresidente Figc, Innocenzo Mazzini, a nome dell’amico Claudio Lotito, patron della Lazio, per aver fatto designare un arbitro che ha favorito i biancazzurri: “Mi ha detto Claudio di ringraziarti. Sei un grande”. Nel 2009 si occupa di Michele Santoro: Giancarlo Innocenzi, commissario berlusconiano all’Agcom, dice a Berlusconi di “aver trovato una chiave interessante” per bloccare il programma Annozero, grazie ai preziosi consigli di Ferri. Nel 2010, compare nelle intercettazioni dello scandalo P3: si dava da fare per piazzare magistrati nei posti desiderati.
Per lui, la frontiera tra politica e magistratura è frastagliata e incerta come i crinali della sua Lunigiana. Così nel 2014 fa campagna elettorale per il Csm, mandando sms ai suoi ex colleghi magistrati, per invitarli a votare due suoi protetti. L’Anm denuncia l’interferenza della politica e del governo nelle attività elettorali del Csm. Tutte medaglie. Il 21 luglio si presenterà alla sezione disciplinare del Csm, per lo scandalo Palamara: dovrà spiegare i suoi incontri con il deputato renziano Luca Lotti, con cui discuteva la nomina del procuratore di Roma. Chissà se spiegherà anche il suo ruolo di mediatore tra il giudice e il condannato.