venerdì 4 dicembre 2020

La Mes è finita. - Beppe Grillo

 

di Giuseppe Rag. Grillo – Non starò qui ad elencare le mille ragioni che fanno del Mes uno strumento non solo inadatto ma anche del tutto inutile per far fronte alle esigenze del nostro Paese in un momento così delicato.

A farlo, ogni qualvolta gli viene messo un microfono sotto al naso, ci ha già pensato il nostro Presidente del Consiglio Conte dicendo più e più volte che “disponiamo già di tantissime risorse (fondi strutturali, scostamenti di bilancio, Recovery Fund ecc..) e dobbiamo saperle spendere”.

Dunque non è una questione di soldi, che sembrano esserci, ma come e dove usarli.

Dal momento che però il dibattito italiano, rimpasto a parte, sembra impegnato esclusivamente su come reperire altri fondi per dar ossigeno alla sanità e alle imprese italiane, ecco due proposte assolutamente praticabili, sacrosante e soprattutto non vincolanti (che non prevedono alcun tipo di indebitamento per l’Italia) che porterebbero un sacco di miliardi nelle casse dello Stato in poco tempo, semmai ce ne fosse bisogno.

1. Far pagare l’Imu e l’Ici non versata sui beni immobili alla Chiesa.

Nel Novembre del 2018, una sentenza della Corte di giustizia europea, ha stabilito che lo Stato italiano deve riscuotere l’Ici non versata dalla Chiesa Cattolica tra il 2006 e il 2011 in virtù di una deroga concessa dal governo Berlusconi, successivamente ritenuta irregolare.

E’ giusto ricordare che, secondo i dati di Gennaio 2018, la Chiesa cattolica è proprietaria di 140 università, 6.228 scuole materne, 1.280 scuole primarie, 1.136 scuole secondarie, 399 nidi d’infanzia, 354 consultori familiari, 1.669 centri di difesa della vita e della famiglia, 111 ospedali di medie dimensioni, 10 grandi ospedali, 1.853 ospedali e case di cura, 136 ambulatori. Tutte queste strutture portano alle casse della Chiesa 620 milioni di euro all’anno dall’Imu non pagata. La questione può essere così riassunta: è giusto che i beni immobili della Chiesa, presenti sul territorio nazionale, siano sottoposti alla stessa tassazione a cui sono sottoposti anche tutti gli altri immobili di proprietà di privati cittadini? Aldilà di come uno la possa pensare, anche alla luce della recente sentenza Ue, la riposta è chiara. Si.

Al momento della sentenza della Corte di giustizia però, era in carica il governo Conte I che, si dice, non fece nulla perché la Lega (con la sua ostentazione di crocefissi e rosari) non intendeva mettersi “contro” la Chiesa. Come se chiedere il pagamento di tasse dovute fosse un atto vessatorio.

Il primo segnale positivo nella scia di quanto stabilito dall’Unione Europea arriva a fine Ottobre 2019 col governo Conte II quando 76 parlamentari del M5S depositano a Palazzo Madama un disegno di legge che punta a recuperare l’Imposta comunale sugli immobili (Ici) non pagata dalla Chiesa e dagli enti no profit tra il 2006 e il 2011 e far pagare la subentrante Imposta municipale (Imu) per quegli immobili sfruttati commercialmente dagli enti religiosi ma che «eludono l’imposta». Un arretrato che, secondo le stime Anci, varrebbe circa 5 miliardi di Euro. Il disegno di legge proposto dal Movimento puntava ad essere tradotto in emendamento nella manovra economica 2019 principalmente per evitare gli aumenti della cedolare secca, dei bolli sugli atti giudiziari, del biodisel e della plastic tax.

Il perché quella proposta sia rimasta sepolta nei cassetti di Palazzo Madama resta incerto, forse, come qualcuno sostiene, i tentennamenti del Pd che su questo tema (come per l’eutanasia) sembra dominato in modo inquietante dalla componente cattolica hanno svolto un ruolo decisivo.

Sta di fatto che ad un anno di distanza e col mondo totalmente stravolto dal Covid, quei soldi tornerebbero utili per un sacco di altri interventi più urgenti e non più prorogabili.

Per quanto ancora il Ministero dell’economia può continuare ad infischiarsene della sentenza dell’Unione Europea?

2. Una patrimoniale ai super ricchi.

Da giorni ormai rimbalza sui social come sui giornali l’ombra nefasta dell’avvento di una patrimoniale sui beni mobili e immobili degli italiani. La proposta presentata da Leu e Pd e subito bocciata dalla commissione Bilancio della Camera che l’ha definita “inammissibile” prevedeva un’aliquota progressiva minima dello 0,2% sui patrimoni la cui base imponibile è costituita da una ricchezza netta superiore a 500 mila euro e fino a 1 milione di euro, per arrivare al 2% oltre i 50 milioni di euro. Ma, fortunatamente, non è passata e quindi capitolo chiuso.

E se per una volta, invece che sovraccaricare di tasse la classe media che sta lentamente scomparendo, si procedesse a tassare soltanto i patrimoni degli italiani più ricchi?

Nel nostro Paese, secondo l’ultimo rapporto sulla ricchezza globale del Credit Suisse, ci sono 2.774 cittadini con un patrimonio personale superiore a 50 milioni di euro; se sommati, i loro patrimoni, ammonterebbero addirittura a circa 280 miliardi. Secondo la prestigiosa rivista Forbes, che tutti gli anni si preoccupa di stilare le sue consuete classifiche dei paperoni in giro per il mondo, in Italia ci sono altre 40 persone miliardarie o multimiliardarie. Non sarebbe più equo, dunque, rivolgersi a loro piuttosto che al resto della popolazione già stremata da un anno tragico dal punto di vista finanziario, oltre che sanitario?

Un contributo del 2% per i patrimoni che vanno dai 50 milioni di euro al miliardo genererebbe un’entrata per le casse dello Stato poco superiore ai 6 miliardi. Uno del 3% dato dai multimiliardari potrebbe fruttare circa 4 miliardi ulteriori.

Si tratterebbe di ragionare come ragiona una qualsiasi famiglia in difficoltà economica che, prima di rivolgersi alle banche o (peggio) agli strozzini, decide di andare a bussare alla porta di un parente alla lontana che se la passa decisamente meglio. Quello che per una famiglia è tanto (una somma di denaro per uscire dalle difficoltà) per il ricco parente è niente o molto poco. In un momento devastante e di grande difficoltà come questo nessuno può tirarsi indietro e, proprio come una famiglia in difficoltà, l’Italia ha bisogno di dire ai suoi concittadini più abbienti che il Paese ha bisogno di loro.

Una patrimoniale così concepita, significherebbe per le casse dello Stato un’entrata garantita di almeno 10 miliardi di euro per il primo anno, e di ulteriori 10 se la misura venisse confermata anche per il 2022.

Se sommate, le due proposte, porterebbero nel biennio 2021/2022 all’incirca 25 miliardi di euro subito spendibili e liberi da vincoli di rientro.

Per questo motivo incaponirsi sull’assurda discussione sui fondi del Mes, che vengono descritti come la panacea di tutti i mali, è una mera perdita di tempo ed energie.

I soldi del meccanismo europeo, è giusto ricordare che (convenienti o meno) sempre debito sono. Un debito che ormai ammonta a oltre 150 miliardi e che, prima o poi, dovrà essere ripagato dalle vere vittime morali di tutta questa storia. I giovani e le nuove generazioni.

https://www.beppegrillo.it/la-mes-e-finita/

Da Zuckerberg 1 milione per una super 'TAC' che 'guarda' nel corpo.

 

Sviluppata a Grenoble, ha mostrato i danni da Covid nei polmoni. 

La fondazione benefica di Mark Zuckerberg e della moglie Priscilla Chan premia con un milione di dollari il progetto di ricerca europeo che ha messo a punto una nuova tecnica di tomografia a raggi X (chiamata HiP-CT) per guardare dentro il corpo umano con una risoluzione senza precedenti. La tecnologia è stata sviluppata grazie alla sorgente di raggi X più brillante al mondo, presso il sincrotrone Esrf di Grenoble, e ha già permesso di fare un 'viaggio allucinante' dentro al polmone di una vittima di Covid-19, mostrando i danni causati dal virus SarsCoV2 con una definizione decine di volte superiore a quella di una comune tac.

I risultati preliminari dello studio sul polmone malato sono stati tradotti in un'animazione 3D: il video, pubblicato su YouTube dal sincrotrone Esrf, mostra deformazioni in bronchi e alveoli polmonari e rende visibile tutta la rete di vasi sanguigni dell'organo, fino ai più piccoli capillari coinvolti nello scambio gassoso negli alveoli.

In blu sono evidenziate le parti del polmone piene di aria, in rosso i vasi sanguigni liberi e in giallo quelli ostruiti: l'ennesima prova di come le alterazioni della rete vascolare giochino un ruolo centrale nella malattia.

Il progetto di ricerca, che potrà imprimere una vera svolta nello studio del corpo umano e delle sue malattie, è coordinato da Paul Tafforeau della European Synchrotron Radiation Facility (Esrf) insieme a Peter Lee e Rebecca Shipley dell'University College di Londra. Cruciale per la sua realizzazione è stato il recente potenziamento del supermicroscopio europeo Esrf: costato 150 milioni di euro, ha permesso di installare la sorgente di raggi X più brillante mai ottenuta (Extremely Brilliant Source, Ebs), basata su un'idea del fisico italiano Pantaleo Raimondi.

(Nella foto: Mark Zuckerberg e la moglie Priscilla Chan mentre presentano la loro iniziativa a favore della ricerca biomedica (fonte: Chan Zuckeberge Initiative)

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/nordamerica/2020/12/02/da-zuckerberg-1-milione-per-una-super-tac-che-guarda-nel-corpo_cfa35ebb-8dbc-4008-8932-ecaaaa56c201.html

Censis, il sistema Italia è ruota quadrata che non gira.

 

Italiani per stretta festività. Covid amplia gap ricchi-poveri.


"Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest'anno eccezionale, sotto i colpi dell'epidemia".
Lo evidenzia il 54mo Rapporto Censis. "Il virus ha colpito una società già stanca", si rileva: "Quest'anno però siamo stati incapaci di visione" e "il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un'alta via".

Il rapporto rivela inoltre che quasi l'80% degli italiani si dice a favore della stretta in vista delle prossime festività.
"In vista del Natale e del Capodanno - si legge - il 79,8% degli italiani chiede di non allentare le restrizioni o di inasprirle. Il 54,6% spenderà di meno per i regali da mettere sotto l'albero, il 59,6% taglierà le spese per il cenone dell'ultimo dell'anno. Per il 61,6% la festa di Capodanno sarà triste e rassegnata. Non andrà tutto bene: il 44,8% degli italiani è convinto che usciremo peggiori dalla pandemia (solo il 20,5% crede che questa esperienza ci renderà migliori)".

Inoltre, "il 90,2% degli italiani è convinto che l'emergenza coronavirus e il lockdown hanno danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili, ampliando le disuguaglianze sociali già esistenti". Se da un lato, da marzo a settembre 2020 "ci sono 582.485 individui in più che vivono nelle famiglie che percepiscono un sussidio di cittadinanza (+22,8%)", dall'altro 1.496.000 individui (il 3% degli adulti) hanno una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): di questi, 40 sono miliardari e sono aumentati sia in numero che in patrimonio durante la prima ondata dell'epidemia.   

Secondo il Censis, poi, l'esperimento della didattica a distanza durante la pandemia sembra non aver funzionato adeguatamente. "Per il 74,8% dei dirigenti la didattica a distanza ha di fatto ampliato il gap di apprendimento tra gli studenti" anche se "il 95,9% è molto o abbastanza d'accordo sul fatto che la Dad è stata una sperimentazione utile per l'insegnamento". 

"Il 37% degli italiani utilizza molto meno di prima i mezzi pubblici, sostituendoli con l'automobile, la bicicletta o spostandosi a piedi quando possibile". Lo rivela il Censis nel suo 54/mo rapporto annuale. "L'82,5% delle Pmi - si legge - ritiene che in futuro nessun lavoratore potrà operare in regime di smart working. La percentuale scende al 66,4% tra le aziende di dimensioni maggiori (10-49 addetti). Si può stimare che 14 milioni di persone, tra settore privato e impiegati pubblici, opereranno presso le abituali sedi di lavoro e 3,5 milioni con modalità nuove che non prevedono una presenza giornaliera costante".

Covid: Conte firma il nuovo Dpcm. Stretta sulle feste di Natale.


Regioni, il decreto approvato senza averci interpellato.

Con la firma del premier Conte sul nuovo Dpcm, il governo blinda il Natale. 'Non possiamo abbassare la guardia.

Dobbiamo evitare una terza ondata a gennaio che potrebbe essere violenta. Intanto, non faremo un un nuovo lockdown generalizzato. Niente divisioni, è il momento di agire uniti', dice Conte presentando le misure. Tensione con le Regioni, che esprimono rammarico per il metodo con cui è stato approvato il decreto con le regole per gli spostamenti dal 21 dicembre al 6 gennaio. Per il presidente della Lombardia Fontana, 'è inaccettabile il divieto di spostarsi a Natale e Santo Stefano per i ricongiungimenti familiari'. Toti: 'Le misure del governo non stanno in piedi'. 

 

Il governo blinda il Natale e va allo scontro con le Regioni imponendo il divieto di spostamento anche tra i Comuni per il 25 dicembre, Santo Stefano e Capodanno. "Abbiamo evitato il lockdown generalizzato - sintetizza all'ora di cena il premier Giuseppe Conte spiegando il provvedimento - ma ora non dobbiamo abbassare la guardia. Dobbiamo scongiurare una terza ondata che potrebbe arrivare già a gennaio e non essere meno violenta della prima". E' una misura "ingiustificata" rispondono i presidenti in rivolta, secondo i quali si crea una disparità di trattamento tra chi abita in una grande città e i milioni di italiani che vivono invece nei piccoli comuni. Ma lo scontro è anche nel Pd, con 25 senatori che chiedono al premier di rivedere le "misure sbagliate" e il segretario Nicola Zingaretti che ribadisce la necessità di "misure rigorose".

Qualche deroga sarà però concessa, anche alla luce del parere del Comitato tecnico scientifico secondo il quale, proprio in considerazione della differenza di dimensioni tra città metropolitane e comuni minori, vanno comunque garantiti per le realtà più piccole gli spostamenti "per situazioni di necessità e per la fruizione dei servizi necessari", a partire dal non lasciare gli anziani da soli. Lo stesso Conte conferma che tra i motivi che rientrano nello "stato di necessità" c'è l'assistenza alle persona non autosufficienti, così come sarà possibile sempre rientrare non solo alla propria residenza ma anche nel luogo "dove si abita con continuità", una formula per consentire il ricongiungimento delle coppie conviventi. Prevale dunque la linea dei rigoristi nel giorno in cui l'Italia registra purtroppo il record di vittime per Covid dall'inizio della pandemia, 993 in 24 ore. Il decreto legge 'cornice', già in vigore, e il Dpcm valido dal 4 dicembre fino al 15 gennaio, contengono tutte le restrizioni già annunciate nei giorni scorsi e nessuna delle 'concessioni' che erano state ipotizzate o chieste dai governatori. Niente centri commerciali aperti nei fine settimana e nei festivi, ristoranti chiusi la sera, niente sci fino al 7 gennaio, quarantena per chi viene dall'estero. Ma è sulle misure previste dal 21 dicembre al 6 gennaio che si è acceso lo scontro più duro. Chi va all'estero dovrà poi rimanere due settimane in quarantena, chi decide di passare l'ultimo dell'anno in albergo dovrà cenere in camera ma soprattutto non ci si potrà muovere dal proprio Comune a Natale, Santo Stefano e Capodanno, giorno questo in cui anzi il coprifuoco sarà posticipato dalle 5 alle 7. Unica concessione, l'apertura dei ristoranti a pranzo il 25 e 26 dicembre e il 1 gennaio, anche se il divieto di muoversi sarà comunque un ostacolo.

"C'è stupore e rammarico per il mancato confronto", attaccano le Regioni sottolineando che il metodo utilizzato dal governo "contrasta con lo spirito di legale collaborazione" tra istituzioni e impedisce di arrivare a "soluzioni più idonee per contemperare le misure di contenimento e il contesto di relazioni familiari e sociali tipiche" del Natale. I governatori criticano anche il fatto che né nel decreto legge né nel Dpcm si faccia riferimento ai ristori promessi per le attività costrette a chiudere. Il divieto di andare da un comune all'altro è una "limitazione ingiustificata e lunare" dice Attilio Fontana mentre Luca Zaia chiede "quale tecnico sanitario abbia avallato una cosa del genere". E se il presidente della Liguria Giovanni Toti definisce quello del governo un comportamento "scorretto" che "mortifica i sacrifici dei cittadini", quello della Valle d'Aosta Erik Lavevaz parla di una misura "iniqua" e Massimiliano Fedriga di "disparità di trattamento" tra chi abita in una grande città e chi invece nei piccoli comuni.

Posizione condivisa da Matteo Salvini. "Il governo non conosce l'Italia e i suoi ottomila comuni e divide le famiglie - accusa il leader leghista - Un conto è abitare a Milano o Roma, un altro è essere residente dei 5.495 comuni che hanno meno di 5mila abitanti e che spesso hanno figli e genitori, nonni e nipoti, divisi da una manciata di chilometri". Ai governatori risponde Boccia ribandendo che coprifuoco e limitazione alla mobilità sono punti "inamovibili": è "incomprensibile - afferma il ministro - "il loro stupore. Le norme sono state discusse in due riunioni durate 7 ore". Una crepa si apre però anche nel governo. Le ministre di Italia Viva Teresa Bellanova ed Elena Bonetti avrebbero chiesto che il verbale del Cdm registri la loro netta contrarietà alla misura e 25 senatori del Pd, molti vicini all'ex leader Matteo Renzi, chiedono di modificare la norma rendendo possibili i ricongiungimenti familiari a Natale. E' una misura "sbagliata" dice il capogruppo Andrea Marcucci, rivolgendosi direttamente al premier. A stoppare la fronda è pero il segretario Nicola Zingaretti: con mille morti, "rifletta chi non capisce quanto è importante tenera alta l'attenzione con regole rigorose". Una sponda a Conte che arriva anche dai sindaci, con il presidente dell'Anci Antonio Decaro che invita il governo a "non dare segnali di allentamento". Non c'è stato al momento scontro, invece, sul ritorno a scuola dei ragazzi delle superiori dopo le feste, con il premier che non ha escluso la possibilità di turni pomeridiani anche se la decisione sarà lasciata alle realtà territoriali. Dal 7 gennaio saranno in presenza al 75% e nel frattempo partirà un tavolo con i prefetti per affrontare il problema irrisolto da settembre, quello dei trasporti. Nella bozza del Dpcm era al 50% ma, dicono dall'Istruzione, su sollecitazione della ministra Lucia Azzolina si è arrivati al 75%.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/12/03/covid-regioni-il-decreto-approvato-senza-averci-interpellato_c334c149-36b8-4936-9652-48570e52123f.html

Stormir di fronde. - Marco Travaglio























Per non farci mancare nulla, ora abbiamo pure le fronde. Tre, senza contare quella dei renziani che ce l’hanno nel Dna. C’è quella di un drappello di senatori Pd che contestano il governo sul divieto agli spostamenti tra Comuni durante le feste. C’è quella dei 46 parlamentari 5Stelle capitanati da Morra, Toninelli e Lezzi che contestano il sì dell’Italia alla riforma del Mes. E c’è quella di 4 eurodeputati M5S che se ne vanno con supercazzole sulla buonanima di Casaleggio, sulla “difesa del pianeta e la tutela della salute dei cittadini” e sulla “fine del Movimento” a far data da cotanta perdita. Tre fronde diverse, un comune denominatore: l’assoluto e irresponsabile distacco dalla realtà. Alla fronda pidina ha risposto, a stretto giro, il dato terrificante dei morti di ieri per o con Covid: quasi mille, record assoluto dall’inizio della pandemia. In quattro giorni abbiamo avuto più vittime dell’11 Settembre e certi decerebrati vanno dietro ai capricci dei parenti stretti ed eventuali elettori. La miglior risposta alle due fronde grilline sarebbe una risata, ma siccome c’è in ballo il governo va articolata meglio.

La riforma del Mes, secondo alcuni addirittura peggiorativa di quel prestito-capestro per gli Stati in bancarotta, passerà comunque: FI o chi per essa, viste le pressioni europee, nel voto del 9 dicembre rimpiazzerà i dissidenti 5Stelle. Che così avranno ottenuto questo triplice risultato: screditare vieppiù il M5S, proprio mentre i poteri marci vogliono buttarli fuori da Palazzo Chigi e i giornaloni fanno a gara a demolire le loro conquiste (vedi le fake news del Corriere sul Reddito di cittadinanza); indebolire il governo Conte (di cui il M5S è l’azionista n.1 e che per questo è così inviso ai padroni del vapore); rafforzare il partito delle larghe intese e del governo Draghi all’insaputa di Draghi. La solita eterogenesi dei fini, già sperimentata con la linea Di Battista-Laricchia alle Regionali: il M5S rifiutò l’alleanza col Pd in Puglia, perse per strada un bel po’ di elettori che provvidero da soli, salvo poi entrare nella giunta Emiliano con un peso molto più marginale di quello che avrebbe avuto con un’intesa preventiva. Una soluzione di buonsenso l’ha indicata il viceministro Pierpaolo Sileri: il M5S fa passare la riforma del Mes e gli alleati Pd-Iv-Leu la piantano di invocare il prestito anti-Covid di 36 miliardi, visto che Conte e Gualtieri hanno ribadito mille volte che l’Italia non ne ha bisogno perché non ha problemi di cassa, non è alla bancarotta e ha già stanziato per la sanità quasi 10 miliardi in 9 mesi con vari scostamenti di bilancio. Se ne servono altri, basta prenderli dalle convenzioni fra Regioni e cliniche private. Ma, come tutte le soluzioni di buon senso, anche questa ha un’aspettativa di vita sottozero.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/04/stormir-di-fronde/6026164/

giovedì 3 dicembre 2020

“Mafie e virus sono fatti l’uno per l’altro. Dallo smaltimento dei rifiuti sanitari all’affare dei farmaci: il business dei clan al tempo del Covid”: il rapporto di Libera. - Manuela Modica

 

Il rapporto dell'associazione antimafia riassume dati, fatti, intercettazioni, che disegnano un quadro chiaro su come la criminalità organizzata abbia già cominciato a trarre profitto dall’emergenza. Numeri raccolti e rielaborati che restituiscono un affresco dell’emergenza dal punto di vista criminale. Don Ciotti: "Covid e clan fatti l'uno per l'altro. È quanto risulta da questo rapporto, una fotografia inquietante del grado dell’infezione mafiosa ai tempi del Covid".

“Col virus si fanno i soldi”. Così parlava lo scorso maggio Salvatore Emolo, sottoposto a sorveglianza speciale per camorra. Ignaro di essere intercettato Emolo chiariva il suo business plan: “In pieno lockdown, aveva trovato una soluzione: il cugino era già il titolare di un’impresa di lavaggio auto con sede a Pesaro, bisognava riadattare l’azienda alle esigenze, trasformandola in una ditta di sanificazioni”. È solo un esempio di come l’emergenza scatenata dal Covid sia diventata un’occasione per la criminalità organizzata, “l’altro virus” che si muove parallelo all’epidemia. “Mafiavirus“, lo ha definito don Luigi Ciotti, il fondatore dell’associazione antimafia Libera che con la rivista Lavialibera ha appena pubblicato un rapporto sulla pandemia e la criminalità organizzata, dal titolo: “La tempesta perfetta. Le mani della criminalità organizzata sulla pandemia”. “Mafie e Covid: fatti l’uno per l’altro. È quanto risulta da questo rapporto, una fotografia inquietante del grado dell’infezione mafiosa ai tempi del Covid. Fotografia che si è potuta sviluppare grazie alla camera non oscura ma chiara, trasparente, luminosa della condivisione e della corresponsabilità”, commenta Ciotti, descrivendo il dossier.

Sei interdittive antimafia al giorno – Sono 48 pagine di dati, fatti, intercettazioni come quella di Emolo, che disegnano un quadro chiaro su come la criminalità organizzata abbia già cominciato a trarre profitto dall’emergenza. Dati raccolti e rielaborati che restituiscono un affresco dell’emergenza dal punto di vista criminale: “Le attività investigative di Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza insieme alle procure, le direzioni distrettuali e la Procura Nazionale Antimafia tra penali e amministrative, hanno portato all’apertura di oltre tremila fascicoli di indagine, tutti con il codice Covid-19”. Tremila inchieste col nome della pandemia che ha acceso gli appetiti di camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra. Mentre nei primi nove mesi dell’anno il ministero dell’Interno ha registrate ben 1.637 interdittive antimafia, alla media di 181 al mese, sei provvedimenti al giorno. D’altronde si tratta di un’emergenza sanitaria, lì dove con “emergenza” si crea il contesto ideale per l’eccezione alla regola, ovvero per ottenere appalti legati alla distribuzione di presidi medicali ma anche allo smaltimento dei rifiuti speciali ospedalieri. E lo smaltimento di rifiuti, è ben noto, è da sempre nel mirino della criminalità organizzata, camorra in primis. La sanità è uno “strumento di consenso di cui si serve molto anche la politica, visto che spesso condiziona le nomine, dai primari ai vertici di ospedali e aziende sanitarie”, ricorda il report.

L’affare dello smaltimento di rifiuti sanitari – Secondo un calcolo dell’Anac tra il 1° marzo e il 9 aprile sono stati spesi 2.277 miliardi di fondi pubblici per l’acquisto di mascherine (23%), camici e altri dispositivi di protezione individuale (32%), respiratori polmonari (23%), tamponi (5%) e altro. Una tavola molto più che ghiotta che riguarda anche le opere di ristrutturazione delle Rsa, dove non mancheranno assegnazione di appalti e forniture di dispositivi sanitari. Una tavola che fa gola soprattutto alla ‘ndrangheta: “Certo, ora abbiamo la necessità di smaltire enormi quantità di rifiuti sanitari. Si tratta di materiali pericolosi, che hanno come unica destinazione l’inceneritore. Vorrei che ci fosse una maggiore tracciabilità, perché da tempo la criminalità è interessata al settore”, spiega il procuratore aggiunto, Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, che ha lanciato l’allarme sugli interessi della ‘ndrangheta legati all’emergenza sanitaria. I numeri spiegano di che interessi si tratta: dal 1° marzo al 27 novembre – ricorda il report di Libera e Lavialibera – sono state distribuite dalla Protezione Civile 2.012.798.391 mascherine sanitarie. Tutte da smaltire negli inceneritori una volta utilizzate. Perfino il Financial Times aveva rilevato che “alcune imprese del settore sanitario legate alla ‘ndrangheta hanno ceduto le fatture non pagate dalle aziende sanitarie pubbliche a intermediari per recuperare crediti; a loro volta gli intermediari hanno ceduto le fatture non pagate a società finanziarie che hanno creato ‘strumenti di debito‘ venduti agli investitori di tutto il mondo. Le inefficienze della sanità pubblica e gli affari delle mafie sono entrati così nel mercato finanziario globale”.

Le mani dei clan sui farmaci – E ora che siamo vicini ad una svolta, le mafie non saranno impreparate: solo poche settimane fa l’Agenzia delle dogane avvertiva sul rischio di immissioni di vaccini pericolosi. D’altronde anche il capo della Polizia Franco Gabrielli aveva evidenziato: “Pensate solo all’attenzione che c’è per la ricerca di nuovi vaccini, di strutture per l’accoglienza dei pazienti o per i dispositivi di protezione individuale. Oltre a tutta la partita sui farmaci per curare le malattie: alcuni valgono più dell’oro”. E questo è il Covid-19 per la criminalità organizzata: oro. “Con i farmaci faremo 100 milioni l’anno”. “Giovà…, gli antitumorali gli ospedali li comprano a mille, e nell’Inghilterra li vendono a 5 mila. Quindi tu compri a mille e vendi a 5 mila, e così guadagni 4 mila euro l’uno. Allora se noi entriamo con due ospedali, che ti danno 10 farmacie…”. Sono le parole del boss della ‘ndrangheta Grande Aracri. Il “nuovo business”, come lo ha definito Aracri al quale non poteva mancare la mafia.

Il boom dei reati spia: riciclaggio e usura – Dalla Calabria alla Sicilia: “Sorella sanità è il nome dell’inchiesta della Guardia di Finanza di Palermo che il 20 maggio scorso ha svelato il sistema costituito da Fabio Damiani e Antonino Candela. – ricordano nel Report -. L’inchiesta della Finanza riguarda un sistema di mazzette attorno a quattro appalti della sanità siciliana. Gare, per un valore totale di 600 milioni di euro”. Eppure Cosa nostra siciliana pare retrocedere nel grande affare del Covid: l’isola registra solo 178 interdittive e risulta quarta, dietro l’Emilia Romagna, che ne registra 218. Una regione del centro-nord che arriva terza dopo Campania che raggiunge quota 468 interdittive e Calabria con 343, in calo rispetto all’anno precedente. Ma la porta d’ingresso più pericolosa nell’economia da parte della criminalità organizzata – dopo il periodo di lockdown per contrastare il Coronavirus – è costituita dai mercati finanziari. I ricercatori della Banca d’Italia hanno tracciato le operazioni sospette: sono 53.027, in aumento (+3,6 per cento) rispetto al 2019. E, manco a dirlo, “la crescita complessiva del semestre è determinata dalle segnalazioni di riciclaggio, in aumento rispetto al primo semestre del precedente anno (+4,7 per cento)”. Secondo i dati elaborati dal rapporto di Libera e Lavialibera, poi, le operazioni sospette di riciclaggio hanno dato questo risultato: “Trentino col 47 percento, Lazio col 38, Sardegna con 37, Calabria col 17,8, Val D’Aosta 14,1, Campania, 9,7”. A conferma di una sempre maggiore operatività della criminalità organizzata nelle regioni del Nord. La crisi economica, tradotta praticamente in una mancanza di liquidi nelle tasche degli italiani, ha creato l’humus perfetto per l’acquisizione di società in difficoltà, trasformando l’emergenza in occasione propizia per riciclare denaro sporco. E tra i reati contro il patrimonio, l’usura è “l’unico reato che ha fatto registrare un aumento. Da sempre l’usura è uno dei reati spia quale indicatore significativo dell’operatività dei gruppi criminali e del controllo mafioso sul territorio”, sottolineano nel rapporto.

Crescono i reati online – Tutti chiusi in casa da marzo a maggio: ecco l’occasione per l’aumento dei crimini online: “Solo nei primi quattro mesi dell’anno in corso si sono registrati un totale di transazioni fraudolente pari ad oltre 20 milioni di euro in costante ed ulteriore ascesa… un aumento del 600 per cento nel numero di email di phishing in tutto il mondo, con sfruttamento di temi correlati al Coronavirus per raggirare persone fisiche ed aziende”. Un fenomeno che non ha limiti geografici, come rivelava l’Fbi, la scorsa primavera: “Il numero di segnalazioni di crimini informatici ricevute dall’agenzia sia più che triplicato durante la pandemia da Coronavirus”. Ma se non si può uscire come va avanti il traffico di droga? Basta aggiornare i modelli di trasporto, le rotte del traffico e i metodi di occultamento alle limitazioni imposte dalla pandemia. È così che in Spagna tra marzo e aprile sono state sequestrate 14 tonnellate di droghe: “Sei volte la quantità scoperta nello stesso periodo del 2019, altre 18 tonnellate in Belgio – sei in più dell’anno scorso, e 4,5 in Olanda (fonte Europol)”. Niente che sorprenda gli italiani: il 70 percento ritiene che della spinta dell’emergenza Covid la corruzione in Italia si stia diffondendo ancora di più, come rivela l’indagine condotta da Demos per Libera dal 10 al 13 novembre scorso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/02/mafie-e-virus-sono-fatti-luno-per-laltro-dallo-smaltimento-dei-rifiuti-sanitari-allaffare-dei-farmaci-il-business-dei-clan-al-tempo-del-covid-il-rapporto-di-libera/6024186/

La Palermo di Ciancimino esiste ancora: uno sfregio alla città. - Riccardo Lo Verso

 

La confisca subita dal costruttore Zummo riporta a galla gli anni del sacco edilizio. Migliaia di pratiche fuorilegge.

La Palermo del cemento selvaggio di Vito Ciancimino è uno sfregio eterno. La ferita ricorda, ad perpetuam rei memoriam, che una parte della città sarà per sempre come non avrebbe dovuto essere.

La Palermo di Ciancimino resiste nelle fondamenta e nei muri delle case dove vivono migliaia di palermitani. Interi palazzi costruiti con i soldi sporchi della mafia quando don Vito controllava la macchina burocratica. Fu assessore ai lavori pubblici della giunta di Salvo Lima negli anni ’60 e sindaco per meno di due mesi nel 1970, ma i suoi legami con la mafia corleonese lo resero potente fra i potenti anche negli anni successivi.

La sua storia è tornata di attualità con la confisca, decisa pochi giorni fa dalla Corte di appello di Palermo, dei beni del costruttore Francesco Zummo, che alla soglia dei 90 anni, e al termine dell’ennesimo step di un lungo iter processuale non ancora definitivo, si è visto togliere un patrimonio da 150 milioni di euro dagli agenti della Direzione investigativa antimafia, guidati dal capo centro Paolo Azzarone.

La Corte (presidente Fabio Marino, consigliere Filippo Messana e consigliere estensore Pietro Pellegrino) sono stati piuttosto critici con i giudici che in primo e in secondo grado (prima che la Cassazione stabilisse la necessità di celebrare un nuovo processo di appello) avevano deciso di restituire i beni a Zummo.

Il principio adottato era che non ci fosse la prova che il costruttore avesse impiegato i soldi di Cosa Nostra. Mafiosa, però, e il collegio ora lo ribadisce, è anche quell’impresa che “tragga dal rapporto col sodalizio di criminalità organizzata rilevanti vantaggi e concrete agevolazioni economiche”.

C’è di più però, perché chi decise di restituire i beni a Zummo lo fece ritenendo “arduo”, alla luce del tempo trascorso, approfondire i singoli affari illeciti nonostante le sentenze passate in giudicato avessero dato ampia prova dei rapporti di Zummo con Ciancimino e altri mafiosi. Solo che “non è affatto necessario”, scrivono i giudici, individuare i singoli affari, ma sarebbe bastato verificare se Zummo avesse avuto vantaggi economici.

Ed ecco il passaggio cruciale della vicenda: i rapporti con Ciancimino e con altri mafiosi hanno contribuito, secondo l’accusa, in maniera decisiva ai “faraonici utili imprenditoriali” di Zummo. Nessuna concorrenza, facile accesso al credito, controllo della manodopera: grazie alla mafia Zummo ebbe vita facile. Lui e il consuocero Vincenzo Piazza, un altro costruttore d’oro, capace di accumulare un impero da mille miliardi di vecchie lire.

C’era don Vito Ciancimino a facilitare le procedure per ottenere le concessioni edilizie. Migliaia di concessioni, tenendo conto che Zummo negli anni del ‘sacco’ edilizio ha costruito qualcosa come 2500 appartamenti nella sola Palermo. Via Petrazzi, via Brunelleschi, Via Pietro Scaglione: palazzoni su palazzoni costruiti da Zummo. “Un paese, un intero villaggio”, lo chiamava Rosario Naimo, garante della pax mafiosa fra gli scappati della guerra di mafia e i corleonesi di Totò Riina, infine divenuto collaboratore di giustizia.

Don Vito Ciancimino metteva a posto le cose. Si superavano ostacoli altrimenti insormontabili, come la mancanza dei piani di lottizzazione preventiva. Si rendeva possibile l’impossibile come il cambio di destinazione d’uso di intere aree industriali in zone di residenziali in barba al piano regolatore.

Un esempio fra tanti sommerso delle scartoffie della malaburocrazia: anche l’area dove oggi sorge il rione Marinella, tra Tommaso e lo Zen, era un’area industriale. Le regole erano chiare. Per cambiare la destinazione serviva una delibera del Consiglio comunale dopo il parere della Commissione urbanistica. Ed invece il 25 gennaio 1974 una delibera di giunta, la numero 123, diede il via libera alla cementificazione senza alcun piani di lottizzazione.

Altrove – allo Sperone, a Partanna Mondello, nelle vie Oreto, Messina Marine e dell’Orsa minore – la Commissione edilizia del Comune fra il 1969 e il 1973 diede il via libera alla costruzione di interi in assenza di piani di lottizzazione.

O meglio fu stabilito che si poteva procedere anche senza lottizzazione perché i piani volumetrici erano contenuti. Ed invece arrivarono le solite colate di cemento, senza preoccuparsi non tanto del gusto estetico, che sarebbe stato fin troppo pretenzioso, ma della vivibilità.

Migliaia e migliaia di pratiche con irregolarità eclatanti che “solo la mano interna di un personaggio di spicco, capace di di manovrare uomini ed apparati poteva portare a termine”. Erano gli anni in cui Vito Ciancimino dettava legge e ha sfregiato Palermo in maniera permanente.

https://livesicilia.it/2020/12/03/la-palermo-di-ciancimino-resiste-nei-palazzoni-dellillegalita/?refresh_ce