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giovedì 3 dicembre 2020

La Palermo di Ciancimino esiste ancora: uno sfregio alla città. - Riccardo Lo Verso

 

La confisca subita dal costruttore Zummo riporta a galla gli anni del sacco edilizio. Migliaia di pratiche fuorilegge.

La Palermo del cemento selvaggio di Vito Ciancimino è uno sfregio eterno. La ferita ricorda, ad perpetuam rei memoriam, che una parte della città sarà per sempre come non avrebbe dovuto essere.

La Palermo di Ciancimino resiste nelle fondamenta e nei muri delle case dove vivono migliaia di palermitani. Interi palazzi costruiti con i soldi sporchi della mafia quando don Vito controllava la macchina burocratica. Fu assessore ai lavori pubblici della giunta di Salvo Lima negli anni ’60 e sindaco per meno di due mesi nel 1970, ma i suoi legami con la mafia corleonese lo resero potente fra i potenti anche negli anni successivi.

La sua storia è tornata di attualità con la confisca, decisa pochi giorni fa dalla Corte di appello di Palermo, dei beni del costruttore Francesco Zummo, che alla soglia dei 90 anni, e al termine dell’ennesimo step di un lungo iter processuale non ancora definitivo, si è visto togliere un patrimonio da 150 milioni di euro dagli agenti della Direzione investigativa antimafia, guidati dal capo centro Paolo Azzarone.

La Corte (presidente Fabio Marino, consigliere Filippo Messana e consigliere estensore Pietro Pellegrino) sono stati piuttosto critici con i giudici che in primo e in secondo grado (prima che la Cassazione stabilisse la necessità di celebrare un nuovo processo di appello) avevano deciso di restituire i beni a Zummo.

Il principio adottato era che non ci fosse la prova che il costruttore avesse impiegato i soldi di Cosa Nostra. Mafiosa, però, e il collegio ora lo ribadisce, è anche quell’impresa che “tragga dal rapporto col sodalizio di criminalità organizzata rilevanti vantaggi e concrete agevolazioni economiche”.

C’è di più però, perché chi decise di restituire i beni a Zummo lo fece ritenendo “arduo”, alla luce del tempo trascorso, approfondire i singoli affari illeciti nonostante le sentenze passate in giudicato avessero dato ampia prova dei rapporti di Zummo con Ciancimino e altri mafiosi. Solo che “non è affatto necessario”, scrivono i giudici, individuare i singoli affari, ma sarebbe bastato verificare se Zummo avesse avuto vantaggi economici.

Ed ecco il passaggio cruciale della vicenda: i rapporti con Ciancimino e con altri mafiosi hanno contribuito, secondo l’accusa, in maniera decisiva ai “faraonici utili imprenditoriali” di Zummo. Nessuna concorrenza, facile accesso al credito, controllo della manodopera: grazie alla mafia Zummo ebbe vita facile. Lui e il consuocero Vincenzo Piazza, un altro costruttore d’oro, capace di accumulare un impero da mille miliardi di vecchie lire.

C’era don Vito Ciancimino a facilitare le procedure per ottenere le concessioni edilizie. Migliaia di concessioni, tenendo conto che Zummo negli anni del ‘sacco’ edilizio ha costruito qualcosa come 2500 appartamenti nella sola Palermo. Via Petrazzi, via Brunelleschi, Via Pietro Scaglione: palazzoni su palazzoni costruiti da Zummo. “Un paese, un intero villaggio”, lo chiamava Rosario Naimo, garante della pax mafiosa fra gli scappati della guerra di mafia e i corleonesi di Totò Riina, infine divenuto collaboratore di giustizia.

Don Vito Ciancimino metteva a posto le cose. Si superavano ostacoli altrimenti insormontabili, come la mancanza dei piani di lottizzazione preventiva. Si rendeva possibile l’impossibile come il cambio di destinazione d’uso di intere aree industriali in zone di residenziali in barba al piano regolatore.

Un esempio fra tanti sommerso delle scartoffie della malaburocrazia: anche l’area dove oggi sorge il rione Marinella, tra Tommaso e lo Zen, era un’area industriale. Le regole erano chiare. Per cambiare la destinazione serviva una delibera del Consiglio comunale dopo il parere della Commissione urbanistica. Ed invece il 25 gennaio 1974 una delibera di giunta, la numero 123, diede il via libera alla cementificazione senza alcun piani di lottizzazione.

Altrove – allo Sperone, a Partanna Mondello, nelle vie Oreto, Messina Marine e dell’Orsa minore – la Commissione edilizia del Comune fra il 1969 e il 1973 diede il via libera alla costruzione di interi in assenza di piani di lottizzazione.

O meglio fu stabilito che si poteva procedere anche senza lottizzazione perché i piani volumetrici erano contenuti. Ed invece arrivarono le solite colate di cemento, senza preoccuparsi non tanto del gusto estetico, che sarebbe stato fin troppo pretenzioso, ma della vivibilità.

Migliaia e migliaia di pratiche con irregolarità eclatanti che “solo la mano interna di un personaggio di spicco, capace di di manovrare uomini ed apparati poteva portare a termine”. Erano gli anni in cui Vito Ciancimino dettava legge e ha sfregiato Palermo in maniera permanente.

https://livesicilia.it/2020/12/03/la-palermo-di-ciancimino-resiste-nei-palazzoni-dellillegalita/?refresh_ce

domenica 24 marzo 2013

Casta, delibera per riassumere senza concorso i trombati al Parlamento.



Nella prima settimana di insediamento in parlamento, il Movimento 5 Stelle ha svelato l’esistenza di una vecchia delibera secondo la quale i gruppi parlamentari hanno a disposizione un budget. Il 55% di tale paniere va obbligatoriamente destinato all’assunzione di personale che già ha prestato servizio per i partiti. Lo ha rivelato il deputato del M5S Laura Castelli ai microfoni di Martina Proietti, inviata de “L’ultima parola”, su Rai Due. Questa delibera, adottata dalla Camera nel dicembre 2012, obbliga a riassumere senza concorso. Il tutto, quindi, fa pensare ad un astuto escamotage per sistemare le vecchie guardie lasciate fuori. Il personale include ex dipendenti di partiti rimasti fuori dal Parlamento, ora senza lavoro. Tra tutti spicca Gianfranco Polillo, sottosegretario del governo Monti, che proprio qualche giorno fa si è reso protagonista di uno scontro concitato col giornalista del Fatto Quotidiano, Fabrizio d’Esposito, e ha ammesso di essere entrato nel governo tecnico grazie anche a Fabrizio Cicchitto (Pdl). Martina Proietti cerca di chiedere lumi a Rosy Bindi (Pd), che all’epoca era all‘ufficio della Presidenza della Camera. “Non ho visto mai nulla, chieda ai questori” – risponde irritata il deputato Pd – “Se uno non vuol parlare, non parla perché le ho già risposto. Io non ho mai visto questa delibera“.