sabato 3 aprile 2021

Depositati 3 ddl: “Ora via il reato” Cartabia dice no. - L. Giar. e G. Sal.

 

Mario Draghi lo aveva annunciato nel suo discorso programmatico in Senato il 17 febbraio scorso: “Occorre evitare gli effetti paralizzanti della fuga dalla firma”, aveva detto tra gli applausi dei parlamentari e dei tanti amministratori locali. Ora il centrodestra si sente con le spalle coperte per andare all’assalto del reato di abuso d’ufficio, il principale nemico di molti politici e amministratori. Obiettivo: smontarlo ulteriormente dopo che il governo Conte-2 la scorsa estate lo aveva già depotenziato nel decreto Semplificazioni, volto a sbloccare decine di opere pubbliche. A far partire l’attacco all’articolo 323 del codice penale è la Lega, che nei giorni scorsi ha annunciato una proposta di legge a prima firma di Andrea Ostellari, presidente della Commissione Giustizia del Senato. Ostellari sta ancora lavorando e limando il testo, co-firmato da tutto il gruppo della Lega a Palazzo Madama, ma ha già annunciato quale sarà il principio cardine della proposta: eliminare una volta per tutte la responsabilità penale degli amministratori nella “firma degli atti”.

Il governo Conte, con il decreto del 16 luglio 2020, aveva già ristretto i margini dell’applicabilità del reato escludendo tutte le violazioni contenute in fonti diverse da leggi o atti aventi forza di legge e tutti quei comportamenti che abbiano “margini di discrezionalità”. Adesso la Lega vorrebbe specificare che non sarà punito l’eccesso di potere degli amministratori. Ergo: smontare quel poco che rimane dell’abuso d’ufficio. La ratio che ha portato la Lega a dare un’accelerata per riformare il reato è la ripartenza delle opere pubbliche chiesta da Matteo Salvini: “L’Italia ha bisogno di cantieri – ha spiegato Ostellari all’AdnKronos – La disciplina attuale dell’abuso d’ufficio impedisce agli amministratori locali e ai dirigenti di prendere decisioni serenamente e finisce per rallentare un processo di sviluppo e crescita di cui il Paese è affamato”. E quindi, continua il presidente leghista della Commissione Giustizia, “non possiamo permetterci che l’Italia sia ferma perché sindaci e assessori hanno paura di firmare. Nel 2018 ci sono stati più di settemila procedimenti giudiziari per abuso d’ufficio, la gran parte finisce nel nulla, ma l’infamia resta a vita”. Il nuovo testo potrebbe unificare gli altri due già depositati in Parlamento in questa legislatura per abolire il reato, entrambi del centrodestra. Il primo è quello presentato il 21 ottobre 2019 da dieci deputati leghisti guidati da Roberto Turri, avvocato e capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia a Montecitorio, che esclude l’applicabilità per le “norme di principio o di norme genericamente strumentali alla regolarità dell’attività amministrativa”, mentre la punibilità è esclusa per tutti quei provvedimenti il cui contenuto “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” o “nei casi di particolare tenuità del fatto”. La modica quantità di abuso di potere.

Forza Italia invece propone proprio di abolire l’abuso d’ufficio con Silvio Berlusconi che nelle ultime settimane ha dato due interviste, prima al Messaggero e poi al Giornale, per chiedere di “rivedere” il reato. La deputata forzista Cristina Rossello, avvocato anche lei, ha depositato insieme a 18 colleghi una proposta di legge composta da una sola riga: “L’articolo 323 del codice penale è abrogato”. Nella scheda di presentazione del provvedimento i berluscones se la prendono con i magistrati colpevoli di indagare: “Una quantità enorme di procedimenti che iniziano a fronte di una quantità infinitesimale di quelli conclusi con condanna – si legge – nel frattempo, carriere, vite e famiglie di coloro che ne escono non colpevoli, dopo lunghissimi anni, sono rovinate e spesso costoro sono ridotti in miseria”. Per questo, sostiene FI, il reato di abuso d’ufficio va abolito. Non è della stessa opinione la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che ha già dato non pochi dispiaceri al fronte garantista: da Via Arenula fanno sapere che la modifica del reato di abuso d’ufficio non è all’ordine del giorno.

IlFattoQuotidiano

B. e Salvini, parte l’assalto all’abuso d’ufficio. - Lorenzo Giarelli e Giacomo Salvini

 

Cercasi impunità - Bye bye processi. Il leader leghista (indagato) adesso vuole modificare la legge insieme a Berlusconi: addio ai tanti guai con la giustizia degli ultimi anni.

A scorrere la lista di chi, dentro la Lega o Forza Italia, ha passato dei guai per l’abuso d’ufficio si capisce perché il destino del suddetto reato sia un tema particolarmente sentito dal centrodestra. Non sono pochi infatti i nomi illustri finiti indagati per una firma di troppo o per una nomina sospetta, sorte che negli anni ha accomunato anche i due leader Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Con loro, sindaci, presidenti di Regioni, ministri: tutti alle prese con quell’abuso d’ufficio “reato fantasma che blocca l’Italia” (il copyright è di Matteo, ma immaginiamo che Silvio potrebbe sottoscrivere).

I leader. Matteo e Silvio: voli, migranti e annozero.

Partiamo da loro, dunque. Un anno e mezzo fa Salvini ha saputo di essere indagato per abuso d’ufficio in relazione a 35 voli di Stato che, secondo la Procura di Roma, meritavano un approfondimento da parte del Tribunale dei ministri. Il caso riguarda infatti alcuni viaggi compiuti dal leader della Lega durante il suo periodo al Viminale: un’inchiesta di Repubblica svelò come a ridosso di certi impegni istituzionali – ovvero quelli che giustificavano il trasferimento col volo di Stato – Salvini avesse approfittato per svolgere attività di partito negli stessi luoghi. Contattato dal Fatto, lo staff del segretario del Carroccio conferma di non aver più ricevuto aggiornamenti sull’indagine. Peraltro, lo stesso Salvini è anche a processo a Palermo per omissione d’atti d’ufficio, oltre che per sequestro di persona: dovrà convincere il giudice che il mancato sbarco della nave Open Arms, deciso quando era ministro, non ha infranto la legge.

Quanto a Berlusconi, l’abuso di ufficio è solo una delle tante tappe di una pittoresca carriera giudiziaria. Silvio finì indagato nel 2011, quando la magistratura scoprì che l’allora presidente del Consiglio si lamentava della trasmissione Annozero di Michele Santoro parlando al telefono con l’allora dg Rai, Mauro Masi, e con il commissario Agcom, Giancarlo Innocenzi. I pm prima ipotizzarono che quelle telefonate potessero essere valutate come pressioni indebite per far chiudere il programma, ma poi chiesero l’archiviazione riconducendo le conversazioni intercettate a semplici sfoghi di un privato cittadino deluso dal palinsesto.

In corso Tutti i casi aperti.

Sono tante però le indagini aperte per abuso d’ufficio che ancora riguardano uomini di spicco del centrodestra. Uno degli ultimi a ricevere l’avviso di garanzia è stato il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, indagato insieme a un’assessora e al suo capo di gabinetto. Secondo la Procura di Cagliari, i tre avrebbero nominato due dirigenti che non avevano i titoli per ricevere l’incarico. Di pochi mesi fa è anche la storia di Claudio Corradino, sindaco leghista di Biella: ancora una volta, la colpa è di alcuni incarichi pubblici che l’accusa ritiene esser stati assegnati in maniera illegittima. Diverso invece il caso del senatore salviniano Giuliano Pazzaglini. I suoi guai con l’abuso d’ufficio risalgono a quando era sindaco di Visso, paese in provincia di Macerata. Il leghista è stato rinviato a giudizio perché la Procura sospetta che alcuni fondi per la ricostruzione post sisma siano stati dirottati sui conti di due società riconducibili a Pazzaglini, invece che sulle casse del Comune. Sotto inchiesta è poi Vincenzo Catapano, coordinatore provinciale della Lega a Napoli e sindaco di San Giuseppe Vesuviano: dovrà rispondere di una nomina sospetta. Da un leghista all’altro, a fine 2020 è emerso il caso di Pasquale Cariello, consigliere regionale in Basilicata, indagato per abuso d’ufficio in concorso per fatti risalenti al 2018, quando era consigliere d’opposizione nel Comune di Scanzano Jonico, poi sciolto per mafia.

Niente da fare. Assolti, archiviati o prescritti.

Chi invece è appena uscito da un’inchiesta è Attilio Fontana. Il governatore lombardo era stato accusato di aver nominato in maniera illegittima l’ex socio Luca Marsico come membro esterno del “Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici”, ma poi è arrivata l’archiviazione del gip di Milano. Se si va più indietro nel tempo, non si fatica a trovare nomi noti. Agli sgoccioli dell’epoca d’oro berlusconiana, per esempio, fu indagato Denis Verdini, allora coordinatore nazionale del PdL. L’accusa era di aver tentato, attraverso relazioni politiche, di favorire il consorzio di un imprenditore amico nella spartizione dei lavori dopo il terremoto dell’Aquila. Il gup decise però di prosciogliere Verdini, dopo che la Camera aveva negato l’utilizzo delle intercettazioni sull’ex factotum di Silvio. Ricorda invece i tormenti di Salvini quanto successo a Roberto Maroni, anch’egli ministro dell’Interno della Lega e alle prese con i problemi dell’immigrazione. A provocare l’indagine – era il 2009 – fu il respingimento di 227 migranti salvati in acque internazionali, vicenda su cui il Tribunale dei ministri decise per l’archiviazione. Stessa fine dell’inchiesta sull’attuale ministro del Turismo Massimo Garavaglia, indagato per abuso d’ufficio per una strana operazione immobiliare risalente a quando il leghista era sia assessore in Regione Lombardia che componente del Cda di Cassa Depositi e Prestiti: nel 2014 la Regione vendette a Cdp la sede dell’ex Asl di Milano per 25 milioni di euro, ma lo stesso stabile otto mesi più tardi sarebbe stato rivenduto a un’altra società per 38 milioni. Una “operazione maldestra”, come la chiamarono i magistrati, ma non abbastanza da chiedere il processo per il ministro.

Se l’è cavata invece con la prescrizione il deputato forzista Ugo Cappellacci, già governatore della Sardegna. Il pubblico ministero lo aveva accusato di alcune nomine ballerine nel processo alla P3, ma tre anni fa sono scaduti i termini. Prescritto è anche Mario Mantovani, una vita al servizio di B. (e oggi in Fratelli d’Italia) tra Senato, Europarlamento e Regione Lombardia, dove fu vicepresidente. Arrestato nel 2015 per abuso d’ufficio, turbativa d’asta, corruzione e concussione, sospettato di aver truccato alcuni appalti, ha già visto esaurirsi la scadenza massima per l’abuso d’ufficio.

Dopo anni d’indagine si è invece chiusa con l’assoluzione la vicenda di Claudio Fazzone, senatore di FI finito a processo per alcune nomine all’Asl relative a quando era presidente del Consiglio regionale del Lazio.

IlFattoQuotidiano

“Messinscena Fontana: l’evasione fiscale scaricata tutta sulla madre”. - Davide Milosa

La rogatoria in Svizzera - La procura: operazioni costruite “per motivi di immagine politica”.

La vicenda dei conti esteri e la presunta evasione fiscale del presidente lombardo Attilio Fontana sono descritte dalla Procura di Milano come “una complessiva messinscena” costruita “per motivi di immagine politica” e “per evitare di denunciare al fisco la propria pregressa evasione fiscale”. Parole nette quelle dei magistrati, scritte nelle conclusioni della richiesta di rogatoria inviata alle autorità svizzere. A pagina dieci (di 14), la Procura si fa più stringente: “La falsità ideologica che permea l’operazione di rimpatrio dei capitali illeciti ha consentito a Fontana di trarre illegittimo profitto dall’utilizzo della simulata causale della successione ereditaria”, risparmiando 171mila euro di sanzioni. Secondo i pm non tutti i 5,3 milioni scudati sarebbero da ricondurre al presunto “nero” dei genitori del presidente.

A pagina 2 si legge che, “secondo l’assunto investigativo” Fontana “nel corso della procedura di voluntary ha dichiarato falsamente che il denaro detenuto all’estero sarebbe da ricondurre all’evasione fiscale posta in essere dalla madre Giovanna Maria Brunella, malgrado siano emersi plurimi elementi per ritenere che si sia trattato di provento (tutto o in parte) riconducibile alla propria evasione fiscale”. Poco dopo: “A seguito dell’esito favorevole del procedimento in questione, Fontana ha poi impiegato tali proventi in attività speculative”. Seguendo l’impianto dell’accusa, a pagina 7 si riprende una nota dell’Agenzia delle entrate relativa ai redditi dei genitori del presidente: “Alla luce dei livelli reddituali dichiarati” tra “il 1988 e il 2004 si rileva che il patrimonio detenuto al 31 dicembre 2014 risulta potenzialmente incongruo”.

L’incipit delle conclusioni della richiesta rogatoriale è ancora più netto. È scritto che “gli elementi” raccolti dall’accusa “portano a concludere per la protagonistica gestione da parte” di “Fontana delle operazioni finalizzate a ripulire una parte consistente (almeno 2,5 milioni) dei proventi dell’evasione fiscale per il tramite di un distorto utilizzo della voluntary disclosure”. Distorsione legata anche al fatto che Fontana, secondo i pm, non ha fornito “i documenti (…) per spiegare come sono stati generati i capitali all’estero”. Tanto che “la relazione (…) al riguardo è totalmente muta”. Di più: i tentativi dei pm di recuperare i documenti sono falliti visto che “le procedure di voluntary” per come spiegato dai testimoni “hanno seguito percorsi (…) inverosimili”. Per questo il governatore lombardo è indagato per autoriciclaggio e false dichiarazioni in voluntary. Fontana è anche accusato di frode in pubbliche forniture rispetto al caso dei camici venduti alla Regione dal cognato.

Sempre a pagina 10 della rogatoria si spiega come è stato impiegato il denaro scudato nel 2016: “Non vi sono dubbi che il patrimonio ripulito (…) è stato reinvestito da Fontana in strumenti finanziari”, attraverso un mandato all’Unione fiduciaria e l’apertura di un profilo di investimento presso Ubs che, per la Procura, “è annoverabile nel genus delle attività speculative”. Dagli atti, poi, emerge che Fontana scuderà 5,3 milioni, ma solo 3,5 sono riconducibili al conto del 1997 intestato alla madre. Su altri 2,5 milioni vi sono dei buchi che la rogatoria tenterà di ricostruire. Si legge, infatti, che “con l’apertura della relazione (…) (quella del 2005) vi è stata “una immissione di liquidità ulteriore rispetto a quella proveniente dalla relazione (…) (quella del 1997)”.

Dalla rogatoria emerge poi un dubbio di autenticità sulle firme relative al conto del 2005 e anche al conto del 1997. Viene scritto: “L’elaborato peritale rileva (…) anomalie nelle firme apposte nel 1997 da Fontana e da sua madre all’atto dell’apertura del conto (…) in quanto apparentemente apposte in un primo momento dalla signora Brunella e solo successivamente in circostanze di luogo e di tempo diverse, da Fontana”. Insomma una “messinscena” e, per i pm, “un duplice movente: economico e di immagine”. Fontana dal canto suo ha inizialmente spiegato di aver saputo del primo conto nel 2015 e poi, ieri, di averlo saputo già allora, anche se il conto lo gestiva la madre. Ora da indagato, se vorrà, potrà spiegare tutto ai magistrati.

IlFattoQuotidiano

Mario si chiama Mario. - Marco Travaglio

 

Gira voce i comunicatori di Draghi stiano implorando i giornaloni di frenare le loro lingue più vellutate che, a furia di spacciarlo per il Messia, promettono miracoli che poi la gente non vede e s’incazza. Se è vero, vuol dire che Draghi ha degli ottimi comunicatori. Ma pure che la lingua, in certi esseri umani, è un muscolo molto più involontario di quell’altro. Ieri, per dire, il sito di Repubblica titolava “Draghi a Città della Pieve: il premier torna ad essere ‘Mario’ nel weekend di Pasqua”, onde evitare che qualcuno sospetti che diventi inopinatamente Ugo, lo chiami col nome sbagliato e lui non si giri. E la scorta? È posizionata “davanti alla casa di Draghi” (sul retro servirebbe a poco). Quanto al premier, “si è presentato ieri sera al cancello della sua villa a mezzogiorno e mezzo” e quello di far calare la sera alle 12.30 è un prodigio che riesce solo a Lui. Del resto aveva un “sorriso benedicente sul volto e la mano sinistra levata per salutare la scorta”, tipo Papa, “adagiato sul sedile del passeggero di un’utilitaria Fiat”. Un altro sarebbe stato seduto, Lui è “adagiato”. Abbigliamento: “Il due bottoni austero degli impegni istituzionali è rimasto nell’armadio a Roma, rimpiazzato da una t-shirt blu cobalto. Divisa più appropriata per un giro in paese” prima di mettersi “presumibilmente a tavola con in familiari”, sennò violerebbe il suo decreto.

In paese non si parla d’altro: “Davanti a una tazzina fumante al Caffè degli artisti raccontano” che mangerà “torta al formaggio”. E non sarà l’unico fenomeno paranormale: “I segnali della presenza del ‘professore’, come lo chiamano all’ombra del campanile del duomo dei santi Gervasio e Protasio, si erano iniziati ad avvertire già nei giorni scorsi, con un intensificarsi dei movimenti attorno alla proprietà”: pieno così di gente col ballo di San Vito che non stava ferma un attimo. Un vicino di casa: “Nel pomeriggio le imposte erano aperte e la sera, a differenza delle scorse settimane, era tutto illuminato a giorno”, anche perché lì fa buio già alle 12.30. Un commerciante “sussurra” ma “chiede di non comparire”, temendo l’arresto per spionaggio: “La signora Serenella è passata a fare la spesa al Conad”. Roba forte, compromettente. Talvolta il “divo quasi normale in maglietta blu cobalto”, che poi sarebbe Draghi, va in farmacia. E lì è tutta gente sveglia, che si “scambia un’occhiata” interrogativa: “Ma era lui?”. Pare infatti che il divo quasi normale indossi regolarmente un passamontagna (sempre blu cobalto, ton sur ton). Poi gli astuti farmacisti scrutano “la firma sullo scontrino della carta di credito, la stessa dell’allora presidente della Bce impressa su una qualsiasi banconota da 10 euro” e lo riconoscono: è lui, “non c’è dubbio”. Non Ugo: Mario.

ILFattoQuotidiano


venerdì 2 aprile 2021

In Sardegna aumentano i ricoveri. Non si ferma l'ondata di contagi.

 

A Nuoro scatta l'allarme per 188 nuovi contagiati. I pazienti di Cagliari hanno tra i 30 e i 60 anni.

Non un disastro come quello dell'altro ieri (con 444 nuovi contagiati), ma sempre troppi casi di coronavirus nell'Isola: l'ultimo conteggio riporta una novantina di casi in meno, 351, secondo il report dell'Unità di crisi regionale, con quattro nuovi decessi (il totale da inizio pandemia è di 1.238) e un tasso di positività del 4,8%.

Ad essere sorvegliati speciali sono i dati sui ricoveri: negli ospedali sardi, 236 letti di terapia non intensiva sono occupati da pazienti Covid, quindi 14 in più rispetto a mercoledì, mentre restano 34 quelli in terapia intensiva. Si aggiungono gli oltre quattordicimila in isolamento a casa.

Mentre a Nuoro scatta l'allarme per 188 nuovi contagiati, a Uri si proroga la zona rossa fino al 12 aprile: "Con 129 contagiati e 169 in quarantena, non c'era scelta", spiega il sindaco Lucia Cirroni. I Comuni dell'Isola in zona rossa sono Bultei, Soleminis, Burcei, Villa San Pietro, Donori, Samugheo, Sindia, Gavoi, Golfo Aranci, Bono, Uri e Pozzomaggiore. Non lo è più Sarroch, lo diventa Pula (fino al 16 aprile).

L'impennata dei contagi, collegata alla maggiore infettività delle varianti, al momento, preoccupa per l'economia ma non per i posti letto nei reparti Covid.

Sergio Marracini, a capo di un gruppo di ospedali di cui fanno parte quelli Covid di Cagliari: Santissima Trinità, Marino e Binaghi, spiega: "Non sono preoccupato: abbiamo svuotato il Marino, dove c'erano nove persone contagiate dal coronavirus, per liberare personale che ora sta inoculando i vaccini, al Binaghi abbiamo trenta pazienti Covid su cento posti letto disponibili, al Santissima Trinità 115 su una capacità di 200. Siamo lontani dall'emergenza".

Una settimana fa, nell'Isola i contagi quotidiani erano ben sotto i duecento, ora siamo a 270 al giorno dopo averne contati 344. Siamo nel pieno della terza ondata e c'è un dato che salta all'occhio: "I pazienti Covid di Cagliari", analizza Marracini, "hanno un'età fra i trenta e i sessant'anni. Sono spariti i grandi anziani, e sapete perché? Li stanno vaccinando, quindi diventano immuni. Ecco perché non temo che il sistema ospedaliero rischi il collasso: stiamo costantemente sottraendo ospiti al virus".

L'UnioneSarda.it

“Basta debolezze con gli evasori!” 15 anni di balle politiche e condoni. - Primo Di Nicola, Antonio Pitoni e Ilaria Proietti

 

In libreria - Esce oggi “Parassiti - Ladri e complici: così gli italiani evadono (da sempre) il fisco”.

Esce oggi in libreria Parassiti – Ladri e complici: così gli italiani evadono (da sempre) il fisco”, il libro di Primo Di Nicola, Antonio Pitoni e Ilaria Proietti edito da Paper First.

Promettono, promettono ma sono tutti uguali. Dalle cariatidi della Prima Repubblica agli ultimi salvatori della Patria. Ugualmente compiacenti con gli evasori fiscali. Da Luigi Preti a Mario Draghi. “Basterà spingere un bottone e avremo i nomi degli evasori”, aveva giurato, agli inizi degli anni Settanta, l’allora ministro socialdemocratico delle Finanze, Preti, lanciando l’avveniristico Progetto Athena, il rivoluzionario embrione dell’anagrafe tributaria, rivelatasi poi un fiasco completo. La stessa guerra totale dichiarata, mezzo secolo dopo, dall’attuale presidente del Consiglio Draghi il 17 febbraio 2021 al Senato, promettendo “un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale”. Impegno smentito appena un mese dopo con l’ennesimo condono a favore dei furboni del fisco. E questa volta senza neanche nasconderlo: “Sì, è un condono…”, ha ammesso l’ex capo della Bce.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere di fronte ai numeri della grande vergogna: 107,2 miliardi di euro di evasione – 95,9 di mancate entrate tributarie e 11,3 di mancate entrate contributive – stando all’ultima relazione della Commissione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Tutto in perfetta linea con le dichiarazioni e proclami di capi di governo, ministri e presunti leader che si sono spesi in promesse roboanti salvo poi calare le braghe di fronte ai milioni di evasori i cui voti, evidentemente, fanno gola a tutti. Ecco qualche esempio delle tante balle rintracciabili negli annali parlamentari e sui giornali solo degli ultimi quindici anni.

Stabilità vo’ cercando: “Dobbiamo proporre una politica fiscale stabile, accompagnata da un rafforzamento della lotta all’evasione…”. Francesco Rutelli, 16 maggio 2005, vicepresidente del Consiglio dal 2006 al 2008.

Più o meno: “Venendo meno le una tantum e la stagione dei condoni, l’attenzione si sposterà alla lotta all’evasione…”. Domenico Siniscalco, ministro dell’Economia, 20 maggio 2005.

La Lega vede nero: “Abbiamo un ampio margine se ci impegniamo nella lotta all’evasione fiscale…”. Roberto Maroni, ministro del Lavoro, 26 maggio 2005.

Regole prima di tutto: “Rispettare le regole e fare una vera lotta all’evasione fiscale…”. Vincenzo Visco, 2 giugno 2005, pluriministro delle Finanze.

Feroci, miei Prodi: “Lotta feroce all’evasione e far emergere il sommerso”. Romano Prodi, 5 luglio 2005, due volte presidente del Consiglio.

Quel fenomeno del Cav: “L’evasione fiscale sarà una priorità per il governo”. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, 15 luglio 2005.

Chez Giulio: “L’evasione è mal contrastata. Si combatte abbassando le aliquote”. Giulio Tremonti, pluriministro dell’Economia, 8 novembre 2006.

Re Giorgio va alla guerra: “Basta debolezze nella lotta all’evasione”. Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, 22 agosto 2011.

Mari e Monti: “Io penso che l’Italia si trova in difficoltà soprattutto a causa dell’evasione fiscale: siamo in uno stato di guerra…”. Mario Monti, presidente del Consiglio, 18 agosto 2012.

All’ultimo respiro: “La lotta senza quartiere all’evasione proseguirà e lo faremo con interventi di più lungo respiro”. Enrico Letta, presidente del Consiglio, 11 luglio 2013.

L’evasione secondo Matteo: “Meno si parla, più si agisce e più siamo seri”. Matteo Renzi, presidente del Consiglio, 7 giugno 2014.

Meloni, presente!: “Se volete veramente combattere l’evasione, be’, allora andate a farlo dove sta davvero”. Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia 20 ottobre 2019.

La resa di Conte: “La politica non ha il coraggio di affrontare di petto la questione dell’evasione”. Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, 16 ottobre 2019.

IlFattoQuotidiano

Consulta. Sì ai domiciliari per gli over 70 anche se recidivi. - Antonella Mascali

 

I detenuti ultrasettantenni potranno ottenere gli arresti domiciliari anche se condannati con l’aggravante della recidiva. La Corte costituzionale, relatore Francesco Viganò, ha dichiarato illegittima la norma dell’ordinamento penitenziario, che prevede per loro il divieto assoluto. La magistratura di sorveglianza dovrà valutare caso per caso se il condannato recidivo “sia in concreto meritevole di accedere” ai domiciliari, “tenuto conto anche della sua eventuale residua pericolosità sociale”. La misura, spiega la Corte, “si fonda su una duplice presunzione. Da un lato, il legislatore presume una generale diminuzione della pericolosità sociale del condannato anziano, secondo, le prescrizioni del giudice e con i dovuti controlli”. Inoltre, aggiunge la Corte, la norma è stata ritenuta irragionevole “anche in rapporto ai principi di rieducazione e umanità della pena” e in modo conforme “alla costante giurisprudenza che considera contrarie” alla Costituzione (3 e 27) “le preclusioni assolute”. Questa sentenza non riguarda i detenuti anziani mafiosi o terroristi. La Corte, però, ribadendo il suo no alle preclusioni automatiche per benefici o misure alternative potrebbe applicare lo stesso concetto quando, dopo Pasqua, deciderà in merito al divieto attuale per mafiosi ergastolani di accedere alla libertà condizionale se non hanno collaborato.

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