giovedì 26 agosto 2021

Camici, lo staff di Fontana bloccò il cronista: “Dissero ‘non scrivere, danneggi la famiglia’”. - Davide Milosa


Pressioni o “richieste”. Arrivate direttamente dallo staff del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana per non pubblicare un articolo sull’inchiesta dei camici che vede oggi il governatore leghista indagato per frode in pubbliche forniture. Motivo: non danneggiare Fontana e la sua famiglia. L’articolo non sarà pubblicato. La vicenda, che non ha riverberi penali, emerge dalle carte dell’indagine e riguarda un giornalista (non indagato) del sito Affari Italiani definito negli atti “giornale di area politica vicina alla Regione”. Tutto avviene a giugno 2020, quando il caso dei camici venduti alla centrale acquisiti della Regione (Aria) dal cognato di Fontana è da poco di dominio pubblico. Il giornalista, che dagli atti appare vittima di un sistema di potere, viene sentito dai pm l’8 maggio. Spiega: “Volevo scrivere un articolo durissimo di commento contro Filippo Bongiovanni (ex dg di Aria indagato, ndr) perché (…) una volta saputo della fornitura di Dama (l’azienda del cognato Andrea Dini, indagato, ndr) avrebbe dovuto chiamare Fontana e chiedere spiegazioni”.

L’articolo non uscirà mai anche a causa, ragionano gli inquirenti, delle lamentele di Bongiovanni arrivate ai vertici regionali. “Non ho anticipato a Bongiovanni che avrei scritto, non so chi possa averglielo detto”. Di certo il giornalista ne parla con Paolo Sensale, portavoce di Fontana. “Ricordo di aver detto che Bongiovanni aveva sbagliato. A Sensale ho detto che stavo per scrivere questo articolo durissimo”. Prosegue: “Non ho più scritto l’articolo perché Sensale mi ha convinto dicendomi che Fontana avrebbe avuto dei problemi con la sua famiglia”. Aggiunge: “Escludo sia stata una imposizione, ma una richiesta, e quando nelle intercettazioni parlo del presidente faccio riferimento al suo portavoce o alla sua segreteria”. Le intercettazioni sono con l’ex presidente di Aria Francesco Ferri. Qui Ferri dice “di sapere quale fosse il motivo per il quale Fontana aveva chiesto di non scrivere più sulla vicenda Dama”. Spiega Ferri a verbale: “Fu Bongiovanni a dirmi che lui sarebbe andato a parlare con i magistrati a riferire quanto a sua conoscenza se fossero continuati gli articoli di stampa contro di lui, in particolare di Affari Italiani. Mi disse che ne parlò con Antonello Turturiello (segretario generale della Regione non indagato)”. Interrogato sul punto Bongiovanni dice: “Ferri mi disse che quel giornale voleva indicarmi come capro espiatorio. In quel periodo Fontana raccontava una versione non veritiera”. Il giornalista, prima di rinunciare a scrivere, il 15 giugno incontra il deputato leghista Paolo Grimoldi. “Non fu Grimoldi a dirmi di non scrivere”. Richiesta che venne a suo dire dal portavoce del presidente.

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“Bisogna soffrire” (magari dopo le vacanze). - Tommaso Rodano

 

Ferie renziane - In viaggio a Formentera, il nuovo Giglio magico combatte la povertà (a modo suo).

L’ estate sta finendo, come da citazione dei Righeira. Gli sgoccioli di agosto portano con sé un senso di struggente malinconia. Il crepuscolo è particolarmente intenso per una banda di amici che ha preso il nome di Italia Viva: estate dopo estate la durata della legislatura si accorcia, l’orizzonte politico si restringe, la prospettiva personale e collettiva si fa asfittica. Del doman non c’è davvero certezza, in questo caso. Ma come sempre, chi vuol esser lieto, sia: Italia Viva è più di un partito, è una confraternita. I suoi affiliati sono pochi ma hanno i pensieri lunghi e la mente fina.

Sono quelli che odiano il reddito di cittadinanza. Che lo ritengono una misura “diseducativa”, una distorsione delle savie dinamiche del mercato, un sussidio che impedisce agli imprenditori di trovare forza lavoro a condizioni cripto schiavistiche: i pelandroni, incredibile, preferiscono starsene a casa a farsi pagare dallo Stato. Il reddito è “una vita in vacanza”, per citare un’altra canzone cara alla compagnia. I giovani invece devono essere forgiati negli stenti, “devono imparare a soffrire”. Parola di Matteo Renzi.

In effetti loro – quelli di Italia Viva – soffrono. Soffrono tanto e in genere soffrono insieme. Come quella volta che si fecero un selfie di gruppo in vacanza su un motoscafo. Era la prima estate in pandemia.

Quest’agosto niente natanti, ma c’è un senso di rinascita, si torna a viaggiare all’estero. Si va a Formentera. Luciano Nobili, Francesco Bonifazi, Federico Lovadina (il pistoiese piazzato da Renzi alla presidenza di Sia, la società di Cassa depositi e prestiti) e il coordinatore romano Marco Cappa: tutti insieme per un grande viaggio spirituale.

Ci sarebbe piaciuto poter ignorare la circostanza, ma come si fa? Sarà pure bassa sociologia, antropologia d’accatto, ma è soprattutto una questione estetica. Il diario di viaggio è su Instagram e le foto sono di una bellezza sconcertante. A metà tra Muccino e Vanzina: un po’ tardo adolescenti romantici, un po’ vitelloni italiani alla conquista delle Baleari.

Come si può ignorare il selfie abbacinante di Lucianone Nobili dopo la passeggiata al faro? Occhiali da sole, sorriso sfrontato e maglietta “Politics is like sex”. Erotismo e potere, fascino e mistero. Una foto da ammirare a specchio con quella di un Bonifazi languido, in camicia di lino e lenti scure, sullo sfondo si intravedono morbide dune e il mare celeste.

In quei giorni c’era la crisi afghana, certo. C’era Renzi che simulava un ritorno lampo in Senato, per presidiare le istituzioni in una fase tanto delicata sul piano internazionale, d’accordo. Ma non rompeteci le scatole.

I renziani in vacanza sono una “Band of brothers” (hashtag #Summer2021), come scrive Nobili. Una didascalia piena d’amore sotto una grande foto di gruppo. Si respira fratellanza, malgrado il commento goliardico di Marco Agnoletti (ex portavoce di Renzi): “Il Lovadina sembra sotto l’effetto di droghe pesanti: ma forse è solo la vicinanza del Nobili a fare questo effetto”.

Si va a cena tutti insieme al ristorante “A mi manera” e si aggiunge anche Andrea Ruggieri di Forza Italia. Confessiamo una certa invidia – qui è quasi ora di cena – per le bistecche da 70 euro (ma solo per i palati esigenti che scelgono la carne di Wagyu, volendo c’è un più abbordabile menù fisso da 90 euro a persona, bevande escluse).

I nostri ci regalano selfie, abbracci, foto in spiaggia, momenti di relax casalingo mentre studiano le prossime scorribande, ma il momento catartico della vacanza è senza dubbio il video insieme all’attore spagnolo che interpreta “Arturito”, il personaggio un po’ infamello della Casa di carta. Arturito, apparentemente a poche bracciate dal collasso etilico, inizia a intonare “Bella Ciao”. “O partigianooo, portami viaaa”. Subito dietro di lui si fanno spazio nell’inquadratura due figure imponenti, sono Cappa e Nobili: “O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciaooo”. È una scena che si può descrivere in un solo modo: raggelante. Ma non preoccupatevi, non c’è niente di politico, è solo Netflix.

Sappiamo bene di essere dei moralisti: non c’è niente di male a divertirsi in vacanza. Però viene in mente una frase del socialdemocratico svedese Olof Palme (non a caso molto amata da Walter Veltroni): “Il nostro dovere è combattere la povertà, non la ricchezza”. Quelli di Formentera combattono i poveri e la ricchezza la esibiscono.

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Tutti dentro tutti fuori. - Marco Travaglio

 

Basta solo aspettare, poi la resa dei conti arriva sempre. Fino a un mese fa, tra i gargarismi “garantisti” contro i magistrati di Lodi che avevano osato arrestare e condannare l’ex sindaco Uggetti (poi assolto in appello), le pompe magne ai referendum radical-leghisti per una “giustizia giusta” (come no) e i salmi in gloria della “riforma Cartabia” per una giustizia rapida e senza la barbarie delle manette, la custodia cautelare in carcere era ai minimi storici del consenso politico-mediatico. Poi, ad Aci Trezza, lo stalker Tony Sciuto ha ucciso a colpi di pistola la sua ex Vanessa Zappalà dopo mesi di minacce. E ora tutti a strillare: ma perché non era in galera? La Procura, dopo l’arresto in flagranza per stalking, aveva chiesto i domiciliari, ma il gip aveva optato per la misura meno afflittiva introdotta dalle leggi sullo stalking e sul “codice rosso”: il divieto di avvicinamento alla vittima. Perché non il carcere? Senza precedenti penali specifici e violenze gravi, è impossibile che sia concesso per lesioni lievi e minacce come quelle denunciate dalla povera Vanessa: a furia di riformare al ribasso la custodia cautelare per non finirci loro, i politici l’hanno prevista solo come extrema ratio. Sta al giudice dimostrare che nessun’altra restrizione può impedire la reiterazione del reato. Infatti il gip ha ritenuto che il divieto di avvicinamento bastasse. Ma neppure i domiciliari avrebbero impedito a Sciuto di sparare alla ex: le evasioni dal domicilio sono all’ordine del giorno e non ci sono forze dell’ordine sufficienti per piantonare tutti.

Ora Francesco Merlo spiega su Rep che “solo il carcere ferma lo stalker”. Giusto. Chissà se è solo un omonimo di quel Francesco Merlo che il 6 luglio, sempre su Rep, esaltava “i sei referendum come una spinta e un aiuto al governo Draghi e alla ministra Cartabia, e come un monito al Parlamento… perciò mi fiderei ancora dei radicali” perché “dal 1946 solo i referendum hanno fatto volare l’Italia”. Ecco: mentre lui vola, magari scopre che il quesito n. 5 abolisce la custodia cautelare in carcere per tutti, salvo che si dimostri il “concreto e attuale pericolo” che uno reiteri “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale o di criminalità organizzata”. Per tutti gli altri, niente manette. E, fra questi “altri”, oltre a ladri, scippatori, bancarottieri, evasori, frodatori, corrotti, corruttori, concussori, truffatori, falsari ecc, ci sono gli stalker. Le forze dell’ordine dovranno continuare ad arrestarli in flagrante. Però, dopo 48 ore, il gip non solo potrà (come oggi), ma dovrà scarcerarli. Se la porcata passerà, segnatevi chi l’ha voluta: radicali, Lega, FI, Iv, Udc e Merlo. Così, per sapere chi andare a ringraziare.

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mercoledì 25 agosto 2021

Cemento nell’area protetta. Indagati 2 sindaci “totiani”. - Marco Grasso

 

Liguria - Asfaltato un sentiero tra Portofino e Santa Margherita.

All’origine di tutto c’è una colata di cemento, spuntata nel bel mezzo di un parco protetto. La giustificazione ufficiale era la più italiana delle emergenze: una spaventosa mareggiata che nell’autunno del 2018 aveva flagellato la Liguria, tagliando in due la strada che conduce all’esclusivo borgo di Portofino. Il nuovo collegamento, così si diceva, sarebbe servito al passaggio dei soccorritori. Peccato che quel percorso, conosciuto come “sentiero delle Gave”, anche con sopra del bitume, restava talmente stretto che al massimo avrebbe potuto consentire l’attraversamento a un quad. Inservibile, dunque, per Vigili del fuoco, Protezione civile e 118. Al contrario, molto remunerativo per il proprietario di un costoso terreno all’interno del parco, finalmente raggiunto da una strada: da queste parti, fra una villa a cui si arriva solo a piedi e una con accesso carrabile, ballano alcuni milioni di euro di differenza.

Non si è mai saputo chi fosse l’“utilizzatore finale” di quei lavori, né del resto il beneficiario si è mai dichiarato. Di certo c’è solo che, formalmente, il costo dell’asfaltatura e dei ponteggi illegali se lo è sobbarcato una società di costruzioni, mossa apparentemente da una vena filantropica. Due rappresentanti della ditta sono indagati per violazioni ambientali e all’azienda è toccato pure farsi carico dei costi dello smantellamento del manufatto. Ma la Procura di Genova, tre anni dopo i fatti, ha iscritto sul registro degli indagati anche gli amministratori locali, sotto indagine per aver permesso quello scempio: il sindaco di Santa Margherita Paolo Donadoni e quello di Portofino Matteo Viacava. Il primo diede il via libera da ex presidente del Parco regionale di Portofino. Il secondo autorizzò lavori che, pur compresi nell’area protetta, non riguardavano nemmeno il suo Comune, ma quello di Santa Margherita. Insomma, un pasticcio costato ai due un invito a comparire, notificato nelle scorse settimane. I politici sono stati sentiti dal pool reati contro la P.a., coordinato dal procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati. L’ipotesi è di abuso d’ufficio. Un’accusa respinta al mittente dai diretti interessati.

Su quella vicenda, tuttavia, rimangono ancora oggi molti punti oscuri. Su quella parte del promontorio di Portofino – borgo rifugio per molti multimilionari, vip e magnati di ogni provenienza – esiste un divieto di edificazione totale. E, notano le associazioni ambientaliste che hanno presentato la prima denuncia, un cantiere del genere non si improvvisa (almeno non senza un progetto): in mezzo al bosco sono comparsi dal nulla palificazioni, tubi innocenti, materiali edili, in una zona di difficile accessibilità. “Hanno tagliato alberi alti dieci metri, segato rocce, spianato scalinate”, racconta Ermete Bogetti, presidente della sezione genovese di Italia Nostra ed ex procuratore della Corte dei Conti ligure. Forse la frenesia dell’emergenza, e i tentativi di trovare una viabilità alternativa hanno indotto a commettere degli errori. Sta di fatto che i cantieri per una settimana sono andati avanti a spron battuto, realizzando un chilometro della strada. E si sono fermati quando poi il Comune non l’ha più ritenuta necessaria. Difficile dire oggi se a questo esito ha contribuito la denuncia presentata nel frattempo ai carabinieri forestali.

I due amministratori respingono ogni accusa. E, qualche settimana fa, si sono presentati dai magistrati per dare la loro versione dei fatti. “Non abbiamo commessi atti illegali, l’obiettivo era quello di risollevare la zona da un disastro in atto – hanno riferito agli inquirenti – In ogni caso è stato chiesto e ottenuto il ripristino del sentiero e lo smantellamento dei lavori fatti”. Donadoni, 46 anni, nasce politicamente nel 2014 come amministratore civico che sosteneva Raffaella Paita (ex Pd oggi Italia Viva), allora candidata dal centrosinistra alla Regione Liguria. Le elezioni furono vinte da Giovanni Toti, di cui Donadoni, dopo una rapida conversione, è oggi considerato un fedelissimo. Una stima ricambiata con un robusto sostegno di tutto lo stato maggiore di Cambiamo alla rielezione di Donadoni nel 2019. Viacava, 48 anni, è anch’egli saldamente ancorato al cerchio magico degli amministratori del centrodestra totiano, sebbene più in quota Forza Italia. Del resto Portofino è terra d’adozione di Silvio Berlusconi e certi amori non finiscono.

Donadoni e Viacava hanno una visione politica comune, oltre che un feeling politico che li ha portati alla guida di una pattuglia di Comuni, tutti di centrodestra, che si oppone all’allargamento delle aree protette, preludio della trasformazione del comprensorio di Portofino in Parco nazionale. Le ragioni non sono del tutto chiare. Chi sostiene il Parco ricorda che sul territorio pioveranno milioni di euro: basti pensare che il bilancio del Parco Nazionale delle Cinque Terre (oltre tre ettari) viaggia sui 25 milioni di euro l’anno, quello regionale di Portofino (fino a oggi un ettaro) oltrepassa di poco il milione. Chi si oppone dice di temere il congelamento di turismo e sviluppo. Di certo non si potrà più costruire, né cacciare. Due bacini di voti molto cari al centrodestra e alla Lega.

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Consumo di acqua: chiudere i rubinetti è utile, ma il grande spreco viene dal cibo. - Elisabetta Ambrosi

 

In Italia il consumo procapite supera i duecento litri a testa al giorno e il Paese è in debito idrico. Dalla doccia allo sciacquone, sono molte le soluzioni pratiche e poco invasive che si possono adottare. Però il gesto più urgente è modificare le abitudini alimentari.

Ormai ci viene ripetuto su ogni fronte: mai lasciare aperto il lavandino mentre ci laviamo i denti, niente bagno nella vasca, fate la doccia. Insomma dobbiamo risparmiare l’acqua, riducendo il consumo individuale il più possibile. Ma per prendere sul serio la battaglia contro il consumo idrico, è fondamentale capire perché è davvero necessaria. Se il ciclo dell’acqua è circolare, infatti, come ci insegnano nei libri di scuola, perché allora dovremmo risparmiarla? Lo abbiamo chiesto a Emanuele Bompan, giornalista ambientale esperto, tra l’altro, proprio del tema idrico e autore del libro Atlante geopolitico dell’acqua (Hoepli 2019). “In realtà – spiega – l’acqua è una risorsa finita e soprattutto variabile. Il problema sono i cambiamenti climatici: fermo restando che lo scioglimento dei ghiacciai produce una diminuzione dell’acqua dolce, che viene contaminata da quella salata, il riscaldamento globale fa sì che in alcuni posti l’acqua diventi più abbondante, a causa di delle maggiori precipitazioni, in altre diventi sempre più scarsa”. Come ci ha confermato l’ultimo rapporto dell’Ipcc, continua Bompan, “la crisi climatica ha prodotto variazioni del ‘global cycle water’, anche a causa di un aumento dell’evaporazione dovuta al calore e alla deforestazione”. L’Italia, di fatto, consuma più acqua di quanta non ne riceva dalle precipitazioni e lo fa affaticando le falde acquifere, anche a causa di un consumo procapite molto elevato, oltre duecento litri al giorno a testa. Torniamo così al risparmio di acqua, che alla luce di questo appare sensato e urgente.

Quel rubinetto che perde vale un laghetto.

Il consiglio più diffuso è quello di chiudere l’acqua mentre ci si lava i denti, ma lo stesso vale mentre ci si fa la barba e pure se ci si mette lo shampoo sui capelli sotto la doccia. Fare la doccia invece del bagno è un altro consiglio ovvio ma importante, sono cento litri di acqua risparmiati (d’altronde lavarci rappresenta il 40% dell’acqua consumata in casa). Se però non riuscite a fare a meno di un bagno ogni tanto, usate la stessa acqua per tutta la famiglia, oggi non siamo certo sporchi come minatori e si può fare senza problemi. Un capitolo importante è quello dello sciacquone, che rappresenta il 20% dei nostri consumi: ormai davvero è assurdo avere un pulsante indifferenziato, visto che utilizzarne uno a flusso differenziato consente infatti di risparmiare fino a 30.000 litri all’anno. Non avete i soldi o la possibilità di cambiarlo? A parte che fino a dicembre è possibile usufruire di un bonus per gli sciacquoni che utilizzano fino a un massimo di 6 litri d’acqua, esiste anche un vecchio trucco: mettete una bottiglia piena di acqua nella cassetta, ridurrà il volume di acqua scaricata. Un’altra fonte di vero scialo idrico è rappresentata dalle perdite dei rubinetti: se una goccia vi sembra poco considerate che 90 gocce al minuto fanno 4.000 litri all’anno. Sul fronte rubinetti si possono fare vari interventi: riparare le perdite, anzitutto, installare un riduttore di flusso sui rubinetti, che vi garantirà un risparmio idrico del 50% (circa 6.000 litri in meno all’anno), mentre un piccolo miscelatore farà mescolare acqua calda e fredda in maniera molto rapida e veloce. Esistono infine anche limitatori di pressione, vaporizzatori e rubinetti fotocellula che chiudono automaticamente il flusso d’acqua quando non serve. Anche su questo fronte, si può utilizzare ancora per qualche mese il bonus governativo per gli apparecchi di rubinetteria a limitazione di flusso d’acqua.

Le buone pratiche comunque non si fermano qui: l’utilizzo dell’acqua della bollitura della pasta può essere utile per lavare i piatti se non avete la lavastoviglie (che va sempre mandata piena, ma proprio piena). Anche lavare le verdure comporta un grande impiego di acqua: invece che sciacquarle nel lavandino, meglio pulirle dentro una bacinella e usare l’acqua per innaffiare le piante. Piante che è comunque meglio irrigare la sera – magari con l’acqua ricavata dai condizionatori, ottima anche per il ferro da stiro – perché l’acqua evapora meno. Altri consigli sparsi riguardano l’utilizzo degli elettrodomestici a pieno carico e di classe A+, con un risparmio di acqua fino al 50%, lo scongelamento degli alimenti in un contenitore invece che sotto l’acqua corrente, l’impiego di una coperta galleggiante per evitare l’evaporazione – e risparmiare da 1.000 a 4.000 litri di acqua al mese – nel caso fortunato in cui abbiate una piscina.

Inutile fare la doccia ma poi mangiare una bistecca.

Una pratica davvero utile sarebbe il recupero dell’acqua piovana, che dovrebbe diventare una regola per tutti, visto che la sola acqua piovana potrebbe coprire il 50% dell’acqua usata in casa ed è acqua priva di calcare. Si può fare con i classi secchi ma anche con impianti più complessi, come serbatoi di accumulo sia interrati che fuori terra, che prevedono filtrazione dell’acqua dalla sporcizia. Ultima regola d’oro, banale ma poco praticata è quella di controllare regolarmente il contatore facendo attenzione ai consumi e ad eventuali perdite, per evitare sprechi e insieme non rischiare bollette salatissime, perché l’azienda partecipata locale non vi farà certo sconti per il fatto che non ve ne siete accorti.

Tutti questi consigli sono validi ma rischiano di essere inutili se non si tiene sotto controllo una cosa fondamentale: la nostra impronta idrica, in particolare quella dei cibi che si consumano. In altre parole, potrebbe essere inutile farsi una doccia di pochi secondi se poi si mangia una bistecca la cui produzione richiede migliaia di litri (su www.waterfootprint.org potete controllare quanta acqua serve per il cibo che mangiate). Lo stesso vale per tutti i prodotti che compriamo, “sui quali in teoria dovrebbe essere spiegata con chiarezza, oltre l’impronta carbonica e sociale, anche quella idrica”, spiega sempre Bompan. In assenza di etichetta, scegliere prodotti a chilometro zero, ridurre i consumi di prodotti industriali e gli spostamenti, optare per il riuso sono tutti comportamenti che riducono il consumo di acqua. Insomma: l’acqua consumata non è solo quella che si vede, perché la produzione di qualsiasi cosa la richiede. E allora ben venga lo sciacquone differenziato, a patto poi di non mangiare, o utilizzare, cibi e oggetti fortemente idrovori, fermo restando che ogni comportamento esemplare in casa vale anche per l’educazione dei vostri bambini. I quali certamente non avranno da adulti a disposizione l’acqua che voi avete avuto (il flusso continuo e senza regole sarà un ricordo, al pari dello sciacquone riempito con acqua potabile). Meglio dunque abituarli subito, in modo che vivere in una società con l’acqua controllata, se non razionata, non sarà troppo frustrante per loro.

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Salvini s’arrende, Durigon no. Braccio di ferro tra capo e ras. - Giacomo Salvini

 

Ultimi giorni - Il leader leghista apre alle dimissioni: “Vediamo cosa è più utile per il governo”. Ma lui resiste: “Non lascio”.

Dopo venti giorni di silenzi e difese d’ufficio, Matteo Salvini si arrende. Dal meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini, il leader della Lega apre per la prima volta alle dimissioni del suo sottosegretario all’Economia Claudio Durigon. Un passo indietro che potrebbe arrivare anche in tempi brevi: secondo una fonte autorevole della Lega, Durigon potrebbe fare un passo indietro già entro questa settimana. Eppure il sottosegretario resiste: “Non mi dimetto” ha detto a chi gli ha parlato nella giornata di ieri. Anche nella Lega, dunque, ci sono tensioni sul caso scoppiato il 4 agosto scorso quando il sottosegretario al Tesoro ha proposto di reintitolare il parco di Latina ad Arnaldo Mussolini (fratello del duce) invece che a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino provocando la reazione indignata delle associazioni antimafia e antifasciste e di Pd e M5S che a settembre, quando riaprirà il Parlamento, presenteranno una mozione di sfiducia. “Ho la massima fiducia e stima di Claudio ma valuteremo cosa è meglio fare per lui, per la Lega e per il governo” ha detto Salvini a margine del dibattito a cui hanno partecipato tutti i leader di partito. Una prima crepa dopo giorni in cui Salvini aveva derubricato la questione a polemica “strumentale” sperando che tutto si sgonfiasse nel giro di pochi giorni, una volta passato Ferragosto. E invece non è stato così.

Salvini ieri ha definito Durigon come il “papà di Quota 100” e spiegato che con lui sta parlando “di pensioni e del saldo e stralcio delle cartelle esattoriali” ma poi ha fatto capire che nei prossimi giorni i due prenderanno una decisione per togliere il governo Draghi dall’imbarazzo: “Noi siamo qui per risolvere i problemi e non crearli, per spegnere le polemiche e non per alimentarle”. Poi al Fatto conferma: “Non possiamo passare l’autunno a parlare di fascismo e comunismo: troveremo una soluzione io e lui”. Una dichiarazione che arriva il giorno dopo il faccia a faccia a Palazzo Chigi tra Salvini e il premier Mario Draghi (e tra quest’ultimo e Giorgetti) che fino ad oggi non ha detto nulla sul caso. Secondo fonti vicine a entrambi, nel colloquio di lunedì i due non hanno parlato di Durigon ma la giravolta di Salvini è quantomeno sospetta. E soprattutto, è l’interpretazione dei suoi fedelissimi, apre alle dimissioni del sottosegretario al Tesoro già entro questa settimana. Nei prossimi giorni i due si vedranno e decideranno il da farsi. Salvini sembra pronto a scaricarlo ma dovrà vincere le resistenze del suo fedelissimo. Negli ultimi giorni la pressione politica sul sottosegretario leghista ha messo in imbarazzo il governo e l’obiettivo del leader della Lega è quello di non creare problemi a Draghi quando si aprirà l’autunno caldo delle riforme – fisco, pensioni e concorrenza – e alla vigilia dell’elezione del presidente della Repubblica. Una mozione di sfiducia metterebbe in grosso imbarazzo il governo e provocherebbe una spaccatura profonda tra centrosinistra e centrodestra. E così Salvini vuole togliere le castagne dal fuoco a Draghi prima del voto. L’ipotesi più probabile è che Durigon si dimetta e accetti un posto più pesante nella Lega, oltre alla promessa della candidatura a presidente della Regione Lazio nel 2023.

Il passo indietro di Salvini è stato provocato anche dalla pressione che Pd e M5S hanno messo su Durigon con la minaccia della mozione di sfiducia. Da Rimini il segretario dem Enrico Letta ieri ha confermato che il leghista “si deve dimettere” perché “l’apologia di fascismo è incompatibile con Costituzione e governo”, mentre il leader del M5S Giuseppe Conte ha concordato raccontando che nel 2019, da premier, chiamò Salvini per “revocare le deleghe” al leghista Armando Siri (indagato per corruzione): “Sono fiducioso che Draghi risolverà il caso” ha concluso Conte. Se arriveranno le dimissioni di Durigon, però, non sarà gratis. E Salvini lo ha fatto capire alzando i toni contro il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese su cui pende una mozione di sfiducia di FdI. “Serve un cambio, deve iniziare a fare il ministro” ha detto Salvini.

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Tutti a casa. - Marco Travaglio

 

L’abilità tutta italiota di trasformare anche la peggior tragedia in farsa è nota. Ma su Kabul si esagera. Per giorni i mejo strateghi del bigoncio si lambiccavano in avvincenti spiegazioni dell’ignominiosa ritirata americana, roba che Caporetto al confronto fu un capolavoro di compostezza. Per alcuni era tutta colpa di Di Maio: se non andava in spiaggia poteva tagliare la strada ai talebani. Per altri era il titolo del Fatto “I talebani fanno i democristiani” che rafforzava i mullah e fiaccava la resistenza dei nostri (come se fare, cioè fingersi, equivalesse a essere). Merlo su Rep ci dava degli “italiban” e spiegava che “i talebani mettono bombe e tagliano gole nelle città dell’Occidente” (chi di voi non ne ha mai incontrato uno sotto casa con cinturone esplosivo e coltello da picnic?). Poi Conte diceva un’ovvietà: “serrata trattativa coi talebani” coinvolgendo Cina e Russia.

Apriti cielo! È “l’avvocato dei tagliagole” (Sallusti, Libero), subisce “il fascino del kalashnikov” (Messina, Rep), “Il dna del M5S è la fascinazione per regimi e autocrazie: Iran, Venezuela, Russia, Cina” (Cappellini, Rep),“Conte ha una grave lacuna: gli Esteri” (Sorgi, Stampa), “I talebani ringraziano Cina e 5Stelle” (Minzolingua, Giornale). In sottofondo, gli alti lai dei Nando Mericoni twittaroli, da Johnny Riotta a Polito el Drito ai poveri Iacoboni e Lavia, ormai tutt’uno con l’orchestrina renziana. Poi purtroppo il mondo intero si fa grillino e diventa una gigantesca Volturara Appula. Borrell (Ue): “La Ue deve dialogare coi talebani”. Grandi (Unhcr): “I talebani mostrano pragmatismo, bisogna trattare”. La Merkel, Johnson, Prodi, il G7: “Trattare coi talebani”. Angela chiede financo aiuto a Putin e Draghi, oltreché Russia e Cina, vuol coinvolgere pure il Pakistan (che ospitava Bin Laden): gli italoyankee in gramaglie. Ieri, il giorno più nero. Lucio Caracciolo, firma di punta di Stampubblica, si dà alla clandestinità sul Riformista per dire che “è ovvio, bisogna trattare coi talebani”, “sono cambiati”, ma non sono mai andati “a fare attentati in giro per il mondo: si son sempre e solo occupati dell’Afghanistan” (un modo elegante per dare del somaro al Merlo). Ieri, i due colpi di grazia: Biden agli ordini dei talebani (“Ok, ok, ce ne andiamo il 31”) e la serrata trattativa fra il mullah Baradar e il capo della Cia Burns, altro noto burattino di Conte. Colpiti e affondati, gli amerikani a Roma si chiudono in un luttuoso silenzio: solo marce militari. Se fossero spiritosi, chiamerebbero qualcuno dal bar, come Sordi in Tutti a casa: “Signor colonnello, accade una cosa incredibile! I tedeschi si sono alleati con gli americani! Ah no? È tutto finito?! Ma non potreste avvertire i tedeschi? Ci stanno continuando a sparare!”.

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