venerdì 14 gennaio 2022

Gas e nucleare tra le fonti «green»: perché la Ue ha rinviato la decisione. - Giuseppe Chiellino

 

Slitta dal 12 al 21 gennaio la chiusura della fase di consultazione degli stati membri sull’atto delegato della Commissione europea che deve decidere se e fino a che punto il gas e nucleare possono essere considerate fonti energetiche “verdi” e dunque possono rientrare nella tassonomia, la classificazione che Bruxelles sta mettendo a punto per mobilitare gli investimenti privati sulle fonti più sostenibili per l’ambiente e dunque necessarie per raggiungere la neutralità climatica al 2050.


Le motivazioni del rinvio.

Il rinvio - di cui si parlava da qualche giorno - è stato motivato con l’esigenza di dare più tempo ai governi per valutare la proposta di tassonomia presentata alle capitali il 31 dicembre, poche ore prima dello scoccare della mezzanotte in modo da rispettare anche formalmente l’impegno che Ursula von der Leyen aveva preso con gli Stati membri.

Il rinvio della deadline riguarda solo la consultazione con la Piattaforma sulla finanza sostenibile e con i 27, mentre resta invariata - per ora - la scadenza di fine mese per l’adozione dell’atto che per sua natura non è modificabile: Consiglio e Parlamento hanno quattro mesi di tempo (che molto probabilmente diventeranno sei) per approvarlo così com’è o bocciarlo con una maggioranza qualificata.

Secondo il calendario dei lavori del collegio, la data per l’adozione del controverso provvedimento dovrebbe essere il 26 gennaio, ma è plausibile che venga posticipata anche questa.L’intervento della Commissione dal punto di vista degli equilibri politici tra gli Stati membri è di una delicatezza estrema, come dimostrano le fibrillazioni crescenti delle ultime settimane.

Gas e nucleare secondo Bruxelles.

Bruxelles da tempo ritiene che il gas naturale e il nucleare hanno un ruolo come fonti per la transizione verso un futuro basato prevalentemente sulle rinnovabili. La loro classificazione nella bozza del provvedimento perciò è subordinata a condizioni molto rigorose che stanno facendo molto discutere, e ha creato diversi fronti.

Il primo, guidato dalla Francia, è a favore del nucleare. Per il presidente Macron si tratta di una questione esistenziale: con 58 centrali (molte di vecchia generazione) il Paese è il primo produttore di energia nucleare della Ue (37%) e con essa copre il 75% del proprio fabbisogno energetico.

Il fronte a guida francese.

«Un compromesso è un compromesso. Per noi l’essenziale è che il nucleare figuri nella tassonomia Ue» ha detto il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, dopo aver incontrato il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis.

«Se vogliamo ridurre le emissioni di CO2, servono le rinnovabili, ma anche il nucleare». Posizione identica a quella del commissario al Mercato unico, il francese Thierry Breton: «Non c’è modo per l’Europa di raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette nel 2050 senza l’energia nucleare» che richiede investimenti per «500 miliardi di euro per le centrali di nuova generazione».

L’opposizione di Berlino.

La Germania, che dopo il disastro di Fukushima ha deciso si smantellare il nucleare entro quest’anno e che riceve il gas russo con i due gasdotti NordStream, conferma la contrarietà all’energia dall’atomo ma Bruxelles spera che non arrivi ad aprire uno scontro con la Francia che ha la presidenza di turno della Ue e con la quale deve discutere altri delicati dossier, a cominciare dalla riforma del Patto di stabilità.

Il governo di Berlino, con dentro i Verdi, dovrebbe dunque astenersi e non seguire il fronte antinuclearista duro e puro guidato dall’Austria che per opporsi al provvedimento si è detta disposta ad impugnarlo davanti alla Corte di giustizia.

Contrario al nucleare è anche il Lussemburgo ma non basta a cambiare gli equilibri in Consiglio dove Spagna e Portogallo sono contrari sia al gas che al nucleare e spingono per una scelta più netta sulle rinnovabili.

C’è poi il fronte a Est, dove è ancora forte la dipendenza dal carbone e non ci sono preclusioni al nucleare. Da quelle parti i paletti in termini di riduzione delle emissioni previste dalla bozza di Capodanno non piacciono, vorrebbero quanto meno allentarle se non proprio un “liberi tutti”. E l’Italia?

La posizione italiana.

Il nostro governo non si è ancora espresso apertamente. Il sistema energetico nazionale ha bandito da decenni il nucleare ed è basato sul gas, il che spinge a pensare che il governo possa assumere una posizione molto vicina a quella tedesca che permetterebbe di non mettersi contro la Francia e nello stesso tempo - come ha spesso ricordato il ministro della Transizione ecologica, Cingolani - lascia aperta la porta per la ricerca sui reattori di IV generazione.

Le prossime settimane saranno segnate ancora da incontri, colloqui e trattative, alla ricerca dell’inevitabile «compromesso politico» richiamato da Dombrovskis dopo l’incontro con Le Maire.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/gas-e-nucleare-le-fonti-green-perche-ue-ha-rinviato-decisione-AEjWrB7

I Ferri del mestiere. - Marco Travaglio

 

“Noi i nostri li cacciamo, i partiti i loro li coprono”. Ogni volta che Davigo ricorda l’impunità di gregge della politica, opposta al maggior rigore dei magistrati, le vergini violate del garantismo all’italiana insorgono come un sol uomo. Salvo poi fare di tutto per dargli ragione. Era accaduto un mese fa col doppio salvataggio di Renzi (Open) e Giggino ’a Purpetta (camorra) nella giunta del Senato. È riaccaduto giovedì alla Camera col salvataggio quasi unanime di Cosimo Ferri (contrari solo i 5Stelle e gli ex). Ferri è un magistrato in aspettativa, già leader di Magistratura Indipendente e presidente dell’Anm, prestato alla politica (che per fortuna non l’ha più restituito): sottosegretario tecnico alla Giustizia in quota FI nel governo Letta jr. e in quota Alfano-Verdini nei governi Renzi e Gentiloni, deputato Pd dal 2018 e poi Iv, è un presenzialista degli scandali: il suo nome saltò fuori, senza conseguenze penali per lui, in Calciopoli, nella P3 e nei traffici di B. con l’Agcom per cacciare Santoro. Poi fu beccato a far campagna elettorale, da via Arenula, per due amici alle elezioni del Csm. Si scoprì che nel 2013 aveva accompagnato il giudice Amedeo Franco a casa di B. per rinnegare la condanna definitiva, peraltro firmata anche da lui e in veste di relatore. Nel 2019 i pm di Perugia che indagavano su Luca Palamara per corruzione lo sorpresero all’hotel Champagne di Roma col magistrato inquisito, con Luca Lotti e con 5 membri del Csm, in una cena per decidere i nuovi procuratori di Roma (dov’era imputato Lotti) e Firenze (dove l’Innominabile aveva già mezza famiglia nei guai).

Sapete che fine han fatto i commensali del Champagne? Palamara è stato radiato dalla magistratura e i 5 consiglieri del Csm han dovuto dimettersi. Invece Lotti resta deputato del Pd (“autosospeso”, qualunque cosa significhi, dal 2019) e Ferri di Iv. Siccome Ferri resta magistrato, il Csm ha aperto un procedimento disciplinare in base alle intercettazioni indirette della famosa cena (il bersaglio del trojan era Palamara). Ma siccome è pure un politico, la casta gli ha eretto un impenetrabile muro protettivo: tutti i partiti di destra, centro e sinistra (eccetto il M5S) hanno negato al Csm l’autorizzazione a usare le captazioni in base alla privacy (come se si parlasse di malattie, e non di Procure) e – udite udite – al fumus persecutionis. Invano il grillino Saitta ha provato a far notare ai colleghi che è difficile perseguitare Ferri indagando Palamara: per non farsi perseguitare, bastava non andare a quella cena o fuggirne non appena fu chiaro che si stavano pilotando nomine di procuratori in barba alla separazione dei poteri. Ma è stato tutto inutile. La casta non si processa. Anzi la cosca.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/14/i-ferri-del-mestiere/6455387/

giovedì 13 gennaio 2022

La Banda Bassetti. - Marco Travaglio


 

L’ideona della Banda Bassetti&Draghetti di abolire il bollettino quotidiano del Covid perché i dati vanno sempre peggio e la gente si deprime, o magari capisce, è coerente con la politica del “rischio (s)ragionato” inaugurata a fine aprile con la fine prematura delle restrizioni. La politica del “meno salute e più pil(u) per tutti”, cara a Confindustria e i suoi derivati, pare pianificata da Boris Johnson travestito da Walter Ricciardi: si finge il massimo rigore (Green pass, Super Gp anche rafforzato, obbligo vaccinale, multe, garrote, anatemi), ma si lascia galoppare il virus sostituendo la quarantena ai trivaccinati con l’“autosorveglianza”, nella folle illusione che il Covid modello Omicron sia un’influenzetta per tutti fuorché per i No Vax. Intanto continuano a morire e a finire intubati anche migliaia di Vax, perché Delta sopravvive a Omicron e 16 milioni di bivaccinati non hanno ancora potuto o voluto farsi la terza dose. Undici mesi di guerra termonucleare hanno convinto appena il 2% dei No vax a vaccinarsi; ma in compenso i detti e contradetti di governo, autorità e scienziati sfusi stanno convincendo molti Sì vax a diventare No vax sul booster, per non parlare della quarta dose (si farà anzi no forse boh). Siccome i dati si ostinano a non collimare con le conferenze stampa del premier e dei suoi fan, non potendo abolire il premier (anzi, volendolo promuovere al Colle), non resta che abolire i dati. In attesa che Cetto La Qualunque assuma la guida del Cts, la soluzione si presta a interessanti applicazioni in altri campi.

Spread: siccome Draghi fu magnificato a febbraio dai giornaloni come “scudo anti-spread” che “ci fa guadagnare miliardi” con la sola forza del pensiero, ma ieri mattina il differenziale di rendimento fra Btp e Bund ha superato quota 142 (il putribondo Conte l’aveva lasciato a 105), lo spread verrà calcolato non più sul titolo di Stato tedesco, ma sulla pizza del fango del Camerun.

Meteo: siccome fa freddo e la gente in coda potrebbe dubitare della perfetta organizzazione Figliuolo, il meteo è abrogato fino alla bella stagione.

Sanità: siccome un terzo dei malati ufficialmente ricoverati per Covid entra in ospedale per altre patologie, il problema è risolto vietando i termometri.

Calcio: la Roma, squadra del cuore di Draghi, sta andando maluccio, dunque fino a nuovo ordine è abolita la schedina.

Quirinale: siccome i giustizialisti ritengono che un pregiudicato per frode fiscale che ha finanziato per vent’anni Cosa Nostra non possa fare il presidente della Repubblica, saranno cancellate tutte le sentenze di condanna per imputati con le iniziali S.B. Ah no, mi avvertono che è già così da anni. Come non detto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/13/la-banda-bassetti/6454156/

martedì 11 gennaio 2022

L’ambivalenza di raffinato stampo diccì. -- Antonio Padellaro

 

Naturalmente, la “postilla” di Mario Draghi “non risponderò a domande sul Quirinale”, riguardo cioè all’argomento più atteso dai giornalisti convenuti in conferenza stampa, come tutti i silenzi programmatici rappresenta di per sé una risposta possibile, o forse anche tre.

1. Il muro innalzato su un possibile trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale confermerebbe la controversa battuta sul “nonno” a disposizione delle istituzioni pronunciata nell’incontro con la stampa del 22 dicembre. Quindi, sì, Draghi si sente ancora in corsa e proprio per questo sposa la linea del mutismo per non accendere nuovi fuochi nella sua stessa maggioranza. Quieta non movere, gli avrebbe suggerito il suo insegnante di latino all’Istituto Massimo.

2. E invece no, perché Draghi ha ben compreso che dovrà restare a Palazzo Chigi e ha già accantonato nel suo intimo l’ipotesi Quirinale. Infatti, la somma dei problemi illustrati – dall’emergenza sanitaria alle conseguenze prevedibili e imprevedibili connesse alla riapertura delle scuole in presenza – è tale che perfino alludere a una sua nonnesca disponibilità avrebbe costituito dinamite pura per il governo di unità nazionale. Tanto più che la frase chiave è: “Se c’è voglia di lavorare insieme, il governo va avanti bene”. E dunque si andrà avanti.

3. In realtà, Draghi, a due settimane dalla corsa per il Colle vuole lasciarsi tutte le strade aperte. E trasferisce la patata bollente nella mani dei partiti. Spetta a loro decidere se e come giocare la carta Draghi e lo faranno non potendosi aggrappare a un no ma neppure a un sì del presidente del Consiglio. Una mossa ambivalente di raffinato stampo democristiano anche se il premier ha chiuso con una seconda postilla sicuramente non ascrivibile ad ammiccamenti e furbizie. È stato quando ha definito un “atto riparatorio” la conferenza stampa di ieri, convocata, ha ammesso, dopo le critiche sollevate per il suo pesante silenzio (le sera del Consiglio dei ministri dedicato all’obbligo vaccinale) che ha definito “sottovalutazione delle attese”. Non ricordiamo precedenti del genere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/11/lambivalenza-di-raffinato-stampo-dicci/6451661/?fbclid=IwAR0BUPidoo32czyuVewok988kq1IE3Ijlroy3ZmmBaDECQh2zXHoBop5PUg

IL PRESIDENTE CHE VOGLIAMO .

 

Insieme alle elezioni politiche, l’elezione del Presidente della Repubblica è l’atto politico più prossimo alla sovranità democratica in forma rappresentativa e centrata sul Parlamento. Il legame è forte benché indiretto, tenuto insieme dagli eletti che, vale la pena di ricordarlo, non operano mai in nome proprio ma sempre in nome dei cittadini sovrani. Un legame indiretto, che si manifesta in una figura istituzionale, quella del Presidente, la quale è il volto della Nazione verso l’esterno e rispetto alle sue varie parti, quindi agli organi amministrativi e alle culture delle città e delle Regioni.

Nella Presidenza della Repubblica è rappresentato il Paese, di fronte agli altri e a se stesso.  Per questo, i Costituenti vollero la Presidenza sganciata dai partiti, benché ai partiti si debba lo sforzo maggiore di sintesi nella ricerca e di costruzione della candidatura.  Il Presidente è la figura nella quale tutte e tutti noi possiamo sentirci rappresentati, perché non risponde a nessuna volontà particolare o parziale. La sua volontà deve perseguire sempre e solo l’interesse generale – per questo la ricerca del candidato o della candidata è un compito difficile, un impegno serio che deve essere ispirato da una responsabilità disinteressata.

Nel caso dell’elezione del Presidente della Repubblica, il Parlamento dà il meglio di sé giungendo alla più ampia maggioranza, idealmente all’unanimità – una condizione che è diversa, se non opposta, alla sua attività ordinaria, quando esercita il potere legislativo. Questo complesso processo di sintesi raggiunta a partire dalle differenze dovrebbe concludersi nell’individuazione di una personalità onorevole, degna, e fedele alla Costituzione della Repubblica, per autentica convinzione e non per semplice atto formale di giuramento.

Qualcuno che, come accaduto a Silvio Berlusconi, ha subìto una condanna penale definitiva e che per tale ragione è stato dichiarato decaduto dalla carica di senatore non è degno di essere candidato alla Presidenza della Repubblica. Come pure è indegna qualsiasi operazione che intenda usare il nome di Silvio Berlusconi per condizionare quei voti dai quali potrà dipendere l’elezione del Presidente. Eppure,  se pur indirettamente l’impresentabile leader di Forza Italia potrebbe determinare l’esito di questa elezione.

Una simile eventualità, che trapela dai mezzi di informazione, disturba il senso etico dei cittadini.  Le istituzioni della Repubblica, già pesantemente sfigurate dal referendum del 2020, che ha gravemente limitato il numero dei parlamentari e quindi la rappresentanza, potrebbero subire un ulteriore colpo se chi siede in Parlamento non avrà il senso civico e il coraggio politico di impedire che questo miserevole gioco abbia successo.

L’elezione del Presidente potrebbe essere per i partiti un’opportunità per mostrare la loro dignità di associazioni politiche democratiche. Libertà e Giustizia si rivolge a loro e ai parlamentari affinché avvertano la responsabilità di “nobilitare” l’elezione del Presidente. I cittadini vogliono una figura di cui essere orgogliosi, che rappresenti un modello civile e che parli al Paese con una voce sola, autorevole e indipendente. Vogliono, soprattutto, che rispetti la Costituzione e ne incarni i valori più profondi.

http://www.libertaegiustizia.it/2022/01/09/il-presidente-che-vogliamo-2/

domenica 9 gennaio 2022

Goldman Sticaz. - Marco Travaglio

 

Come se non fabbricassero abbastanza cazzate in proprio, i giornaloni le importano dall’estero. Il Financial Times implora Draghi di restare a Palazzo Chigi e tutti: “Evviva evviva, l’abbiamo detto anche noi! Fino al 2023! No, fino al 2028! Anzi, meglio, a vita!”. Poi, sempre sul Ft, Bill Emmott gli dà il via libera per il Quirinale, e gli stessi che esultavano per il piano A tripudiano per il piano B: “Al Quirinale, al Quirinale, è quel che diciamo anche noi!”. Intanto l’Economist (gruppo Elkann) premia l’Italia come Paese dell’anno e tutti a spellarsi le mani: “Hip hip hurrà! Con i Migliori siamo Er Mejo!”, salvo scoprire che prima di noi i Paesi dell’Anno furono Armenia, Uzbekistan e Malawi (mai visti da Draghi se non in cartolina). Poi arriva Scholz e saluta cortesemente SuperMario: tanto basta ai nostri aruspici per arguirne che la Germania lo vuole a Palazzo Chigi in saecula saeculorum, ma contemporaneamente anche al Quirinale. E, siccome anche Macron gli fa gli occhi dolci e gli stringe la mano per 12 secondi (“oltre un minuto” per il Corriere e mezz’ora per la Questura), ne deducono che anche lui vuole imbullonarlo vita natural durante a Chigi (sicuramente più a lungo di quanto lui resterà all’Eliseo). Deduzione confermata ieri dalla frase di Manu “Draghi e Mattarella sono una fortuna”, indice della sua volontà di imbalsamare i nostri presidenti lì dove sono.

Voi vi domanderete: ma con tutti i casini che ha in casa sua, che gli frega a Macron dei nostri? Ingenui: Bresolin spiega sulla Stampa che “una crisi nel nostro Paese può ostacolare il cammino di Macron verso il bis”: è noto infatti, dalla presa della Bastiglia in poi, che i francesi prima di fare qualunque cosa chiedono il permesso agli italiani. E nella pagina accanto la Cuzzocrea rivela che “l’emergenza Covid spinge Draghi al Quirinale”: noi credevamo che un anno fa l’emergenza Covid l’avesse spinto a Palazzo Chigi ed, essendo peggiorata, lo inchiodasse lì per tentare di risolverla. Mah. A illuminarci in cotanto buio arriva una fonte super partes: la banca d’affari americana Goldman Sachs, che ebbe Draghi ai vertici nel 2002-‘05. Noi non ci dormivamo la notte: che vorrà da noi Goldman Sachs? Il responso è alfin giunto: “Goldman ammonisce l’Italia: ‘Le riforme rallentano se il premier si dimette’” (Stampa). Quindi niente, non si muove di lì. Sapete chi firma la dotta analisi? Tal Filippo Taddei, ex cervellino della sinistra Pd assurto a consigliere economico dell’Innominabile, con gli esiti a tutti noti. Mica pizza e fichi. In attesa che si pronunci il divino Otelma, torna alla mente una battuta che girava ai tempi delle leggi (finte) anti-casta: “Abolite le province, ci resta il provincialismo”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/09/goldman-sticaz/6449710/

Nel nome del nonno. - Marco Travaglio (8-12-2021)

 

Un anno fa, 8 gennaio 2021. Da tre giorni l’Italia, malgrado il taglio delle forniture, batte gli altri grandi Paesi Ue per numero di vaccinati e nessun giornalone lo scrive (0,71% di abitanti vaccinati in Italia, 0,6 in Germania, 0,44 in Spagna, 0,06 in Francia), né parla delle polemiche in Germania contro la Merkel per il ritardo sul governo Conte. A reti ed edicole unificate si reclama una bella crisi al buio in piena seconda ondata (620 morti, positività al 12,5%, 2.587 in terapia intensiva, 23.313 in area medica) perché Conte è il colpevole del Covid, del “fallimento” sui vaccini (con Arcuri) e del Pnrr schifoso, in ritardo e bocciato dall’Ue. Purtroppo lo stesso giorno la Von der Leyen dichiara: “Negoziato molto buono con l’Italia, come con tutti gli altri governi, nello specifico ci sono buoni progressi”. Ma basta non scriverlo su nessun giornale, né ricordare che da un mese il Pnrr è tenuto in ostaggio in Cdm da Italia Viva. Meglio intervistare 10 renziani al giorno su Mes, 007, banchi a rotelle e rapporto Barr.

Per sapere quel che accade in Italia bisogna leggere i giornali stranieri. Financial Times: “Nel mezzo di una pandemia globale e di una brutale recessione, potrebbe non sembrare il momento più opportuno per far cadere il governo. A meno che tu non sia Renzi… Conte è un ostacolo alle ambizioni di Renzi dopo la nascita del suo piccolo partito”. Les Echos: “Nuovo duello tra Conte e un Matteo. Non più Salvini, che provocò la crisi nel 2019, ma Renzi”. Handelsblatt: “Il disturbatore d’Italia gioca col fuoco in piena pandemia”. Die Welt: “L’Italia ha bisogno di un nuovo governo nel bel mezzo della peggior crisi degli ultimi decenni?”. El Paìs: “Renzi minaccia una crisi irresponsabile”. Conte riunisce i partiti della maggioranza per chiudere l’accordo sul Pnrr, modificato secondo le richieste dei renziani, che però s’inventano altri pretesti (pure il ponte sullo Stretto) per tenerlo sotto sequestro. La crisi verrà ufficializzata il giorno 13 col ritiro del trio Bellanova-Bonetti-Scalfarotto, per lo “sgomento” di Mattarella. Da mesi aleggia il nome di Draghi, che giura a tutti di non essere interessato, ma è troppo ambizioso per dichiararlo pubblicamente. E così incoraggia il partito dello sfascio: è nel suo nome che si apre (e chiude) la prima crisi in piena pandemia. Oggi, un anno dopo, sempre nel suo nome e in piena pandemia, sta per aprirsi la seconda crisi perché il “nonno al servizio delle istituzioni” (soprattutto una) pretende di traslocare al Quirinale, mollando il governo con 911 morti in quattro giorni e gli ospedali al collasso dopo cinque decreti in un mese. Quando faremo l’inventario dei danni dei Salvatori della Patria, sarà sempre troppo tardi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/08/nel-nome-del-nonno/6448859/