giovedì 8 maggio 2025

Puquios di Nazca: Filosofia della Sopravvivenza e Ingegneria del Sacro. - @ndrea Milanesi

 

Nel cuore arido delle pampas peruviane, tra le sabbie e i misteri delle linee di Nazca, si celano i puquios, autentici gioielli di ingegneria idraulica precolombiana. Costruiti dalla civiltà Nazca intorno al V secolo d.C., questi sistemi di pozzi a spirale e gallerie sotterranee rappresentano non solo una soluzione tecnica, ma anche un simbolo della profonda armonia tra essere umano e ambiente naturale. 

Un Patrimonio di Pietra e Acqua.

La regione di Nazca, oggi nel dipartimento di Ica, è uno degli ambienti più aridi del pianeta, con precipitazioni che spesso non superano i 20 mm annui. In questo contesto estremo, la sopravvivenza dipendeva dalla capacità di captare e convogliare ogni goccia d’acqua. I puquios, disposti tra i fiumi Aija e Nazca, sfruttano ingegnosamente le falde acquifere sotterranee attraverso tunnel, canali e camini elicoidali, costruiti con pietre locali posizionate con tale precisione da sfidare il tempo e le intemperie. Le distanze tra i camini (50-120 metri) e la loro forma a spirale non sono casuali: permettono la circolazione dell’aria, la regolazione della pressione e la manutenzione periodica, evitando crolli e deterioramenti. 

Miti, Leggende e Sapienza Antica.

Secondo la leggenda, i puquios sarebbero stati creati dagli achachilas, spiriti ancestrali protettori delle acque sotterranee, invocati nelle cerimonie propiziatorie che ancora oggi sopravvivono nella cultura locale. Alcuni studiosi, come Maria Reiche (1903-1998), celebre “dama delle Linee di Nazca”, hanno ipotizzato che le stesse linee tracciate nel deserto fungessero da mappa sacra per la localizzazione delle fonti idriche, legando così arte, religione e ingegneria in un unico, grandioso disegno cosmico. 

Eredità e Futuro.

Oggi oltre 30 puquios sono ancora funzionanti, gestendo flussi d’acqua che irrigano campi di cotone, mais e fagioli, e rifornendo le popolazioni locali. Nel 1994, l’UNESCO ha inserito le Linee e i Puquios di Nazca tra i Patrimoni dell’Umanità, riconoscendo il valore universale di questa eredità tecnica e spirituale. La resilienza di queste opere invita a riflettere sulla sostenibilità, sull’importanza della conoscenza tradizionale e sulla responsabilità verso le risorse naturali. 

Interrogativi Filosofici.

È possibile che la tecnologia sia anche una forma di preghiera, una connessione sacra con la natura?**
Cosa ci insegna l’ingegneria dei Nazca sul rapporto tra progresso e rispetto dell’ambiente?**
Nel mondo moderno, siamo ancora capaci di progettare pensando alle generazioni future come fecero i costruttori dei puquios?**

Rispondere a queste domande significa ripensare non solo la nostra idea di progresso, ma anche il senso profondo che diamo al nostro abitare la Terra.

@ndrea Milanesi


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SORPRESA: IL RUBLO È LA MONETA PIÙ FORTE DEL MONDO. -

C’è una notizia che non leggerete su alcun giornale europeo e che nessuna televisione riferirà tramite la voce melliflua e ipocrita di qualche mezzobusto. Ma è una notizia bomba che testimonia del catastrofico fallimento delle sue politiche e della governance reale che si cela dietro di essa e proprio per questo i cittadini non devono conoscerla:
nel 2025 il rublo è diventato la valuta più forte del mondo, apprezzandosi del 38 percento rispetto al dollaro statunitense e riuscendo a superare persino la corsa dell’oro.

In più questa straordinaria performance è maturata sullo sfondo delle sanzioni imposte alla Russia e delle crescenti guerre tariffarie inaugurate dal presidente Trump le quali hanno contribuito alla destabilizzazione del dollaro.

Ciò illustra non soltanto la forza della Russia, ma soprattutto la debolezza occidentale che ovviamente ha ragioni direttamente economiche, ma che alla fine è determinata dalle mutate situazioni geopolitiche che hanno evitato un isolamento di Mosca di fronte all’avidità occidentale.

Secondo un rapporto di Bloomberg, tali sviluppi sorprendenti sono dovuti agli elevati tassi di interesse e ai controlli sui capitali in Russia, ma si tratta di considerazioni fatte da gente con i paraocchi che vede solo i tecnicismi finanziari e che non possiede una visione più ampia.

L’aumento del rublo testimonia del fatto che le dure sanzioni occidentali invece di limitare la capacità di azione di Mosca, hanno incoraggiato strategie finanziarie innovative, tra cui il commercio di valute nazionali e l’uso di prestiti in yuan cinesi per rifinanziare il costoso debito denominato in rubli.

Inoltre la forza della divisa russa deriva dalla crescita dell’industria dovuta non tanto alla produzione militare, quanto alla necessità di sostituire i prodotti provenienti in primo luogo dall’Europa e questo ha fatto crescere i salari e reso necessario importare manodopera in particolare dalle repubbliche centroasiatiche: le rimesse in rubli dei lavoratori stranieri di Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan hanno aumentato la domanda di rublo, incrementandone la circolazione sia in Russia che in Asia centrale e rafforzando ulteriormente il valore della valuta, nonostante le turbolenze economiche globali innescate dai dazi e dalle sanzioni statunitensi.

Tale sviluppo è di fondamentale importanza per i Paesi Brics all’interno dei quali si sta discutendo di un sistema di pagamento basato su un paniere di valute nazionali con l’obiettivo di sfidare il “monopolio del sistema monetario e finanziario internazionale”,
che serve prevalentemente gli interessi occidentali. Rafforzando le proprie valute e promuovendo il commercio in rubli, yuan o rupie, i Paesi Brics non solo si tutelano dalla volatilità del dollaro statunitense, ma rafforzano anche la propria sovranità monetaria ed economica.

Il successo del rublo, anche se non esente da rischi, incoraggia i Brics a sviluppare ulteriormente iniziative come, per esempio, la Cross-Border Payment Initiative che ha lo scopo di dare la priorità alle valute nazionali rispetto al dollaro statunitense.
Senza parlare del Brics pay ovvero un sistema di pagamenti internazionali per aggirare il sistema Swift dominato dagli Stati Uniti e facilitare il commercio nelle valute nazionali.

Oltre 50 Paesi hanno già espresso interesse, sostenendo così gli sforzi volti a rafforzare la propria autonomia finanziaria e a ridurre la dipendenza dal biglietto verde.

L’aggressività della Casa Bianca nel minacciare dazi a chiunque voglia distaccarsi dal dollaro rivelano la crescente preoccupazione di Washington per la sua influenza finanziaria in calo, ma nello stesso tempo incoraggia persino gli alleati di lunga data degli Stati Uniti a cercare alternative al dollaro.

L’India, tradizionalmente un membro cauto dei Brics, minimizza pubblicamente il processo di dedollarizzazione ma continua a commerciare con la Russia utilizzando altre valute, ad esempio per le importazioni di petrolio e quindi si impegna di fatto a raggiungere gli obiettivi strategici di contenimento del biglietto verde.

La Cina, a sua volta, sta diversificando sempre di più le sue riserve valutarie con l’oro e sta portando avanti lo sviluppo del suo yuan digitale.

Per il Sud del mondo non si tratta solo di resistere all’egemonia del dollaro, ma piuttosto di costruire attivamente un futuro che vada oltre questa egemonia.
In questo senso, l’aumento del rublo non rappresenta solo un successo economico per la Russia, ma per tutto il nuovo mondo in formazione.

In generale il fallimento dell’operazione Ucraina, grazie alla quale gli Usa (e i cagnolini europei) speravano di poter mettere mano a risorse che avrebbero potuto dare un senso al biglietto verde, dietro cui non c’è più da decenni un valore “sottostante” adeguato, è stato l’inizio di un cambiamento di paradigma.

https://ilsimplicissimus2.com/.../u-fsorpresa-il.../... 

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Tombe dei giganti. - @ndrea Milanesi

 

Nel cuore aspro e selvaggio della Sardegna, tra i profumi di elicriso e il vento che sussurra antiche melodie, si ergono le enigmatiche Tombe dei Giganti : monumentali formazioni rocciose costruite dal popolo nuragico tra il 1800 e il 1200 a.C., durante il pieno splendore dell’Età del Bronzo. Queste strutture, disseminate in tutto il territorio isolano da Arzachena a Dorgali, rappresentano uno dei più affascinanti lasciti della civiltà nuragica, che ha popolato la Sardegna molto prima dell’arrivo dei Fenici, dei Cartaginesi e dei Romani.

Le tombe, spesso composte da lunghe camere sepolcrali coperte da grandi lastre di pietra e precedute da imponenti esedre semicircolari, sono state interpretate dagli archeologi come luoghi di sepoltura collettiva e centri di aggregazione rituale per le comunità nuragiche. La loro disposizione richiama simboli di fertilità: teste di toro, falliche evocazioni della forza vitale della terra e della ciclicità della natura. Queste immagini sembrano suggerire che le tombe non fossero solo luoghi di morte, ma anche di rinascita spirituale e di comunione tra vivi e defunti.

Ma se la scienza ci offre spiegazioni razionali, la leggenda sarda intreccia la sua trama con quella della storia. Secondo la tradizione popolare, infatti, queste tombe sarebbero i sepolcri di misteriosi giganti che un tempo avrebbero abitato l’isola, esseri di straordinaria forza e saggezza. Racconti tramandati di generazione in generazione descrivono come, tra le pietre silenziose di S’Ena e Thomes, Coddu Vecchiu o Li Lolghi, si celino ancora le energie primordiali di questi antichi titani, custodi di conoscenze dimenticate e protagonisti di una mitologia che travalica i confini del tempo.

La monumentalità delle Tombe dei Giganti, la loro collocazione spesso in luoghi panoramici e la loro misteriosa aura, continuano ad affascinare viaggiatori, studiosi e sognatori di ogni epoca. Sono luoghi di incontro tra il visibile e l’invisibile, tra l’umano e il divino, tra la certezza della pietra e l’incertezza del mito. In esse si riflette la profonda spiritualità della cultura nuragica, che vedeva nella morte non una fine, ma una trasformazione, un ritorno all’unità primordiale della comunità.

Ma quale verità si cela dietro questi monumenti? Siamo in grado, oggi, di distinguere ciò che è storia da ciò che è leggenda, o forse entrambe le dimensioni sono necessarie per comprendere il senso profondo di questi luoghi? E ancora: la memoria collettiva, custodita tra pietre e racconti, può aiutarci a ritrovare il senso del sacro in un’epoca dominata dalla tecnologia e dalla velocità?

Forse, come suggerisce il silenzio millenario delle Tombe dei Giganti, la risposta non sta nel separare il mito dalla storia, ma nel riconoscerli come due volti della stessa, antica domanda umana: chi siamo noi, di fronte all’eternità della pietra e alla fugacità della vita?

#TombeDeiGiganti 

martedì 6 maggio 2025

PERCHÉ ALCUNI ANIMALI SONO DIVENTATI FOSSILI MENTRE ALTRI SONO SEMPLICEMENTE SCOMPARSI? - Guillermo Carvajal

 

Perché alcuni animali dell'antichità sono diventati fossili mentre altri sono semplicemente scomparsi senza lasciare traccia? Secondo uno studio dell'Università di Losanna (UNIL) pubblicato su Nature Communications , la risposta, almeno in parte, potrebbe risiedere nel nostro corpo.
I ricercatori hanno scoperto che le dimensioni e la composizione chimica di un organismo influenzano in modo decisivo la sua capacità di sopravvivere per milioni di anni o, al contrario, di perdersi nell'oblio del tempo geologico.
Non solo le ossa si fossilizzano, ma in rari casi si conservano anche i tessuti molli come muscoli, intestini e, perfino, il cervello . Gli scienziati si chiedono da tempo perché solo determinati animali e organi riescano a fossilizzarsi in queste condizioni.
Per risolvere l'enigma, un team di ricercatori dell'UNIL ha condotto esperimenti di decomposizione controllata , analizzando il modo in cui organismi come gamberetti, lumache, stelle marine e planarie (vermi) si degradano in ambienti attentamente monitorati.
Sono stati utilizzati microsensori per misurare i cambiamenti chimici nei corpi degli animali, prestando particolare attenzione alla fluttuazione tra condizioni ossigenate (ossidanti) e povere di ossigeno (riducenti). I risultati hanno mostrato che gli animali più grandi e quelli con un contenuto proteico più elevato generavano rapidamente ambienti riducenti, fondamentali per rallentare la decomposizione e attivare processi come la mineralizzazione o la sostituzione dei tessuti con minerali più resistenti.
In natura, due organismi sepolti insieme possono avere destini completamente diversi come fossili, semplicemente a causa delle differenze nelle loro dimensioni o nella chimica interna , spiega Nora Corthésy, dottoranda presso l'UNIL e autrice principale dello studio.
Uno potrebbe scomparire completamente, mentre l'altro resterebbe immortalato nella pietra , aggiunge Farid Saleh, ricercatore principale e coautore dello studio. Secondo i dati, i grandi artropodi , come alcuni crostacei, hanno maggiori probabilità di conservarsi rispetto ai piccoli vermi acquatici o alle planarie, il che potrebbe spiegare perché i fossili del Cambriano e dell'Ordoviciano (circa 500 milioni di anni fa) siano dominati dagli artropodi.
Assenze fuorvianti nei registri fossili
Lo studio aiuta anche a interpretare le lacune nei registri fossili . Simulando la decomposizione in laboratorio, possiamo distinguere tra assenze ecologiche (quando un animale non ha mai abitato un ecosistema) e assenze di conservazione (quando l'animale esisteva ma non si è fossilizzato) , osserva Corthésy. Gli organismi piccoli e poveri di proteine, non generando condizioni riducenti, hanno minori possibilità di preservarsi, quindi alcuni gruppi antichi potrebbero essere scomparsi senza lasciare traccia per questo motivo.
Tuttavia, anche fattori esterni come il clima, la salinità e il tipo di sedimento influenzano la fossilizzazione, ma riprodurre queste variabili in laboratorio è complesso. Sappiamo che gli ambienti salini o freddi rallentano la degradazione, ma il nostro studio si concentra sul ruolo della materia organica e delle dimensioni del corpo , spiega Corthésy. È un altro tassello del puzzle, ma c'è ancora molto da esplorare .
La ricerca, finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, rafforza l'idea che la documentazione fossile sia un archivio distorto, in cui ciò che vediamo non sempre riflette la vera diversità del passato. Comprendere questi pregiudizi ci avvicina un po' di più alla ricostruzione della vita antica così com'era, non semplicemente come l'abbiamo trovata , conclude Saleh.
di Guillermo Carvajal

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CI MANCAVA ANCHE UNA BOMBA AL “BUCO NERO”. - di Guillermo Carvajal

 

Un team di ricercatori è riuscito a ricreare per la prima volta in un esperimento di laboratorio un fenomeno finora esistente solo in teoria nel campo dei buchi neri. L'esperimento dimostra che la rotazione di un oggetto può amplificare esponenzialmente le onde elettromagnetiche, imitando il comportamento di una pompa di buco nero , un concetto proposto più di 50 anni fa.
Tutto ebbe inizio nel 1971, quando il fisico Yakov Zel'dovich predisse che un cilindro metallico rotante avrebbe potuto amplificare le onde elettromagnetiche se avesse ruotato sufficientemente velocemente. L'idea è stata ispirata dai buchi neri rotanti, che teoricamente possono estrarre energia dalla loro rotazione e trasferirla alle onde che li circondano.
Zel'dovich pensò che se uno specchio fosse stato posizionato attorno all'oggetto rotante, le onde amplificate sarebbero rimbalzate indietro e si sarebbero propagate, crescendo in modo incontrollato fino a diventare instabili, trasformando il dispositivo in una specie di "bomba". Finora nessuno era riuscito a dimostrare questo effetto in un esperimento reale.
L'esperimento: un cilindro rotante e campi magnetici
Il team, guidato da ricercatori delle Università di Southampton e Glasgow, ha utilizzato un cilindro di alluminio che gira ad alta velocità, circondato da bobine che generano un campo magnetico rotante. Quando il cilindro gira più velocemente del campo magnetico, accade qualcosa di straordinario: invece di assorbire energia, la amplifica.
Il sistema funziona come un amplificatore, ma quando la resistenza elettrica nel circuito si riduce, accade qualcosa di ancora più curioso: le onde elettromagnetiche iniziano a crescere esponenzialmente da sole, alimentate dal rumore di fondo del sistema.
La "bomba" autodistruttiva.
In condizioni normali, questa crescita incontrollata causerebbe il collasso del sistema, ma gli scienziati sono riusciti a osservare un altro fenomeno previsto dalla teoria: man mano che il cilindro perde energia di rotazione, la sua velocità diminuisce fino a quando l'effetto di amplificazione non cessa, come se la bomba si stesse spegnendo prima di esplodere, un comportamento che corrisponde a quello che ci si aspetterebbe da un buco nero che perde energia fino a quando non si stabilizza.
Sebbene l'esperimento sia stato condotto su scala gestibile in un laboratorio, serve a convalidare teorie fisiche come la connessione tra la rotazione degli oggetti e l'amplificazione delle onde. Apre inoltre la porta a future ricerche volte a osservare effetti ancora più esotici, come la generazione di onde dall'energia del vuoto quantistico, un fenomeno anch'esso previsto da Zel'dovich ma che non è stato ancora rilevato direttamente.
di Guillermo Carvajal













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