Ci eravamo appena ripresi dall’essere stati cacciati dal centro dell’universo per diventare gli abitanti di un pianeta periferico di una delle moltissime galassie che lo popolano, quand’ecco un altro colpo al nostro orgoglio. Ad essere messo ai margini questa volta è l’universo stesso che potrebbe essere solo uno fra tanti.
La realtà potrebbe consistere di moltissimi, forse infiniti, universi paralleli e separati tra loro di cui nulla sappiamo, ma nei quali condurrebbero la loro esistenza copie di noi stessi, diverse tra loro magari solo per qualche dettaglio.
Non è la mente di un romanziere visionario a partorire questa idea, ma il rigoroso pensiero di un fisico americano: Brian Greene. Greene insegna alla Columbia university di New York ed è l’autore di un best seller uscito una decina d’anni fa: L’universo elegante. Nel 2011 ha scritto un altro libro, uscito in Italia con il titolo La realtà nascosta, (Einaudi 2012), grazie al quale in questi giorni ha vinto il premio letterario Merck.
Greene vi descrive ben 9 versioni di universi paralleli, o multiversi come li chiama lui. A seconda della teoria della fisica che prendiamo in esame, dice Greene, si genera un certo tipo di multiverso: c’è quello patchwork, quello inflazionario, quello a brane, quello ciclico, quello quantistico e via discorrendo.
Ognuno di essi viene reso con una metafora appropriata e sapiente: gli universi potrebbero essere come le pezze della coperta patchwork che si ripetono identiche ogni tanto, oppure come i buchi nel groviera separati dal formaggio, o come le bolle in una infinita vasca da bagno piena di bagnoschiuma che si infilano una dentro l’altra.
“Molti differenti approcci della fisica prima o poi si imbattono nell’idea del multiverso, quindi, benché sia un’idea controversa, deve essere valutata seriamente”, ci spiega lo scienziato americano durante una chiacchierata in una soleggiata mattina di luglio davanti a una tazza di tè caldo corretto al latte di soia.
Mentre parliamo, sembra di essere catapultati in un libro dello scrittore giapponese più à la page del momento, Haruki Murakami, in cui giovani assassine, scendendo una scala, entrano in un universo parallelo e simile all’originale.
Ma Greene ci rassicura: “E’ virtualmente impossibile per una persona muoversi volontariamente da un universo all’altro”. In ogni caso, l’idea che ci siano altre dimensioni nelle quali si aggirano le nostre copie imperfette è un po’ inquietante e non solo per noi profani: “Alcuni dei primi ricercatori che hanno elaborato questa idea l’hanno definita deprimente e sconvolgente.
Secondo loro ci depredava della nostra individualità. Io non la penso così. Al contrario, sono pieno di stupore e meraviglia per la visione più ampia della realtà che emerge dall’indagine matematica”, Già perché di tutto questo è colpevole la matematica: è per soddisfare alcune equazioni che siamo incappati nell’idea di multiverso.
Ma la matematica non è una creazione della nostra mente? “Questo è un vero enigma. Abbiamo inventato noi la matematica per decifrare il disegno che è dietro a ciò che percepiamo con i nostri sensi? Oppure la matematica è cucita nella stoffa della realtà? Ci sono diversi punti di vista al riguardo. Un giorno potrebbero arrivare sulla Terra degli alieni e dirci: ma guardatevi, siete ancora intrappolati nel mondo della matematica!
Tuttavia al momento faccio fatica a pensare a qualcosa di diverso per decifrare il mondo”. Ammettiamo che l’ipotesi dei multiversi sia vera, il ruolo del caso nel nostro universo aumenterebbe: non c’è nessun motivo per cui l’universo che conosciamo è fatto così com’è, tant’è vero che ce ne sono molti altri. “Sì è così. Però ci dovremmo essere abituati.
La vita stessa è un fenomeno transitorio e raro, anche se fosse vero il multiverso. Dovremmo essere ben contenti della finestrella di opportunità che ci è stata data, anche perché in termini cosmici si chiuderà presto”. In che senso? “I dati ci dicono che nel futuro le condizioni non saranno tali da sostenere la vita”.
Ci rimane solo da sperare che Leibniz avesse ragione quando diceva che il nostro è il migliore dei mondi possibili. Ma Greene non condivide del tutto questa opinione: “Se penso alla mia famiglia, sono d’accordo con lui: non posso immaginare niente di migliore. Ma se considero l’universo in cui vivo come parte di un multiverso, non vedo perché debba essere speciale”.
Mi viene un sospetto: in un altro universo potrebbero esserci una copia di me e una di Greene che stanno parlando in questo momento? “Anche se non possiamo dire “in questo momento” perché la nozione del tempo non è applicabile a tutti gli universi nello stesso modo, tuttavia potrebbe avvenire.
Naturalmente, se è compatibile con le leggi della fisica. Forse in quell’universo però lei sarebbe il fisico e io il giornalista”. Forse anche il tè sarebbe freddo invece che caldo. [Cristiana Pulcinelli su unita.it]