Caos calmo all’assemblea nazionale del Pd all’Hotel Ergife di Roma. Caos perché sono volati fischi, quando il presidente Matteo Orfini ha annunciato la proposta di cambiare l’ordine del giorno: non più elezione del nuovo segretario, ma discussione sull’attualità, e cioè la nascita del governo Lega-M5s. Calmo perché alla fine è successo quello che i renziani chiedevano da venerdì: rinviare le decisioni calde a una prossima assemblea.
La riunione è iniziata a mezzogiorno, con due ore di ritardo, dopo una mattinata di frenetiche trattative e raccolte firme tra i renziani e i ribelli di Andrea Orlando, Dario Franceschini, Maurizio Martina e Michele Emiliano. Alla fine Martina e Franceschini hanno deciso di accettare la proposta dei renziani, e di cambiare l’ordine del giorno. In cambio, Renzi ha lasciato la scena al reggente, rinunciando ad aprire la riunione. Al momento del voto, però, i delegati di Orlando e Emiliano hanno votato no. Risultato: 397 sì, 221 no e 6 astenuti. La conta c’è stata, seppur solo sull’inversione dell’ordine del giorno.
Andrea Orlando e anche Luigi Zanda hanno votato contro. Così come altri delegati dell’area Franceschini che non hanno rispettato l’ordine di scuderia. E l’area renziana è arrivata al 57% dei 700 presenti, un netto calo rispetto al 70% di un anno fa, sostengono gli antirenziani. Di fatto però l’obiettivo di non eleggere un nuovo segretario è stato centrato da Renzi. In cambio Orfini ha ribadito all’assemblea che le dimissioni dell’ex segretario sono “irrevocabili”.
Formule e bizantinismi che danno l’idea della fatica del Pd a superare la stagione renziana. Anche per le divisioni e i tentennamenti del composito fronte dei ribelli. I numeri contano: prima di arrivare alle votazioni ufficiali le varie anime dem avevano fatto partire delle raccolte firme informali, con i renziani che erano arrivati intorno a 400 voti. Numeri che avrebbero fatto passare la richiesta di indire subito il congresso, cancellando Martina e passando tutti i poteri fino alle primarie al presidente Orfini.
“Chiedo di poter lavorare insieme a tutti voi per portare in maniera unitaria, forte, il Pd al congresso, senza la fatica dei detti e non detti che hanno generato ambiguità”, ha detto Martina nella sua relazione. “Non ho l’arroganza di fare questo lavoro da solo. Ma se tocca a me, anche se per poche settimane, tocca a me”. E ancora: “Non credo che il Pd debba essere superato, che si debba andare oltre o indietro. Chiedo in un nuovo centrosinistra alternativo a Lega e M5s e alternativo a Forza Italia”. Su questo ultimo passaggio, il no a Berlusconi, dai delegati più a sinistra è arrivata una ovazione. Dagli stessi banchi sulla sinistra della sala alla fine è arrivato un coro “Segretario, segretario”, rivolto a Martina.
Gelo nelle prime file, con tutto lo stato maggiore del partito, a partire da Renzi. Accanto alle critiche al contratto di governo Lega-M5s, Martina infatti ha criticato la formazione delle liste Pd. “Abbiamo sbagliato sulla formazione delle liste. Mettiamo a fuoco il problema per evitare di tornare a commettere quegli errori. Diciamolo”. E ancora: “Abbiamo perso male, abbiamo sbagliato noi, io penso che ci sia mancato il contatto con il bisogno. Abbiamo pensato che la crescita portasse con sé più uguaglianza, e invece no, la forbice delle disuguaglianze si allargava”.
“Tutto questo - ha detto il reggente - non smarrisce l’importanza dell’impegno di tutti noi, dei nostri governi, le tante cose buone vanno rivendicate”. Parole, quelle sulla sconfitta e sulle liste Pd, che hanno acuito le distanze tra Martina i renziani. Tanto che alla fine solo Orlando e Francesco Boccia hanno lodato la relazione. E chiesto un voto finale. Ma i renziani meditano di far mancare il numero legale, per far mancare a Martina l’incoronazione a segretario. Intanto, per il pranzo Gentiloni e il suo predecessore a palazzo Chigi hanno lasciato l’Ergife.