lunedì 27 aprile 2020

Coronavirus, la cura c’è ma non se ne parla. - Antonio Amorosi

Coronavirus, la cura c'è ma non se ne parla. Da Pavia e Mantova la ...

Ospedali di Pavia e Mantova che non hanno morti da un mese. Curano con la sieroterapia, le trasfusioni di plasma dei guariti. Sintomi eliminati in 2 – 48 ore.

Quanto sta accadendo tra Pavia e Mantova ne è la prova: abbiamo medici eccezionali in un sistema globale discutibile, in tanti casi marcio. E’ stato normale mandarli a morire senza protezioni, come per la Cina ritardare di 2 settimane la comunicazione della sequenza del genoma o per l’OMS ripetere il 14 gennaio, a contagio diffuso, quanto affermava l’autorità cinese: “non ci sono trasmissioni da uomo a uomo”. Il 21 febbraio ancora dicevano che gli asintomatici non erano fonte di contagio.

Quando i morti sono tanti è sempre tardi per chiedersi se si poteva fare altro e se qualcuno ne risponderà mai. Nel nostro Paese ad un sistema sanitario che funziona a macchia di leopardo si contrappongono medici in prima linea che per salvarci ci stanno lasciando “le penne”. Per fortuna lo abbiamo nel dna: quando a noi italiani dici di fare qualcosa, non la facciamo. Cerchiamo prima di capire perché ci è stato dato quel comando. Come sarà successo al parassitologo molecolare Andrea Cristanti che facendo tamponi di massa a Vò Euganeo ha compreso che gli asintomatici sono fonte di contagio e andavano isolati. 

IN ALCUNI OSPEDALI NON CI SONO PIU' DECESSI PER COVID DA UN MESE.

L’autonomia di pensiero e una buona dose di coraggio e responsabilità, unita a molta competenza in un mare di mediocrità, porta oggi alcuni centri medici a raccontare la loro terapia di successo contro il Covid 19: la sieroterapia. Si, perché in alcuni ospedali non si verificano più decessi per Covid da un mese e il Coronavirus sparisce dopo un trattamento che va dalle 2 alle 48 ore, eliminando ogni traccia di sintomo. Wow, direte, e come mai non lo dicono in tv e non se ne sente parlare? 

“Non abbiamo un decesso da un mese. I dati sono splendidi. La terapia funziona ma nessuno lo sa”, racconta entusiasta ma con una vena di sarcasmo Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia e Terapia intensiva respiratoria del Carlo Poma di Mantova. In questo strano cortocircuito tra scienza, politica ed informazione accade infatti altro. “Tutti i giorni in tv ”, dice De Donno, “ascoltiamo chi negava che il Coronavirus potesse arrivare in Italia o parlava di influenza o che colpiva solo gli anziani. Gli unici che ci capiscono qualcosa lavorano ventre a terra dal primo giorno dell’epidemia e non hanno il tempo di vivere in televisione. Hanno inventato questa terapia fantastica ma purtroppo lo spazio avuto fino ad ora sui media è esiguo”.

De Donno: “Sono entusiasta di vedere le persone guarite così velocemente. E’ l’unico trattamento razionale, sia biochimico che immunologico del Coronavirus che c’è in questo momento. Non esisterà farmaco più efficace del plasma. E’ come il proiettile magico, si usano immunoglobuline specifiche contro il Coronvirus. Va utilizzato in fase precoce. Se invece si aspetta che il paziente sia moribondo... allora si fa un errore e ci vuole solo il prete, ecco! Ma è lo stesso discorso dell’aspirina nella prevenzione dell’infarto. Se la usi in una persona che è già cardiopatica, non conta nulla”. I limiti della terapia? Ce li spiega De Donno ridendo: “Costa poco, è fattibile e pure democratica. Abbiamo 7 o 8 donatori tutti i giorni”.

Sono circa 80 i pazienti del Carlo Poma di Mantova curati con successo, tra loro anche una donna incinta di nome Pamela, uscita dal Covid in poche ore. Tra i medici del Carlo Poma guariti c’è chi dona il sangue, come il dottor Mauro Pagani, direttore della Plasmaferesi: “Ora sto bene e voglio aiutare chi ha bisogno”.

Funziona così. “Chi dona deve essere sano, guarito dal Covid e ad avere degli anticorpi neutralizzanti”, racconta il direttore di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale Massimo  Franchini. “Si prelevano 600 ml di plasma, da cui si ricavano 2 dosi da 300 ml ciascuna. Il protocollo prevede 3 somministrazioni. Dopo la prima somministrazione c’è un monitoraggio clinico di laboratorio e nel caso di mancata risposta c’è la seconda somministrazione e così di seguito. A distanza di 48 ore l’una dall’altra. La compatibilità per il plasma viene fatta sul gruppo sanguigno”. Franchini ci spiega che il plasma ha un notevole livello di sicurezza virale ed è un prodotto assolutamente sicuro e rigoroso e va nei dettagli: “Se il vaccino, che non abbiamo, ti farebbe produrre gli anticorpi, questa che è un immunoterapia passiva trasferisce gli anticorpi dal guarito al malato. Il paziente non produce nulla e non crea nulla. Ma funziona per salvarlo”. 

Quando gli chiediamo perché non si diffonde questa strada ci spiega che effettivamente in Lombardia si sta adottando. Tra Mantova e il San Matteo di Pavia è partita la sperimentazione su un nucleo di 45 persone, tutte curate con successo.

Chi di sicuro non ha tempo per le passerelle tv è il Direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del policlinico San Matteo di Pavia, Cesare Perotti, che ha sviluppato il protocollo e lo studio sul sangue e si chiama “plasma iperimmune”.

Ma è un intervento empirico? Perotti: “Qui di empirico non c’è niente ma si fa in situazioni di grandi epidemia. C’è una validazione della terapia con il plasma iperimmune che non ha eguali nel mondo. Sono conosciuto per non essere uno che ‘le spara’ e le posso dire che in questo momento è il plasma più sicuro al mondo, perché la legislazione italiana ha delle regole stringenti che non ci sono in Europa e in nessun altro Paese al mondo, neanche negli Stati Uniti. Non solo abbiamo gli esami obbligatori di legge sul plasma per essere trasfuso, ma abbiamo degli esami aggiuntivi e il titolo neutralizzante degli anticorpi che è una cosa che facciamo solo noi al policlinico di Pavia. Neanche gli americani sono in grado di farlo in questo momento. Non ha eguali al mondo. Noi sappiamo la potenza, la capacità che ciascun plasma accumulato ha di uccidere il virus. Ogni plasma è fatto in modo diverso perché ogni paziente è diverso, ma noi siamo in grado di sapere quale usare per ogni caso specifico”.

Uno strumento importante questo da utilizzare nel caso, usciti dalla quarantena, si ripresentasse uno scenario di contagio. Perotti: “Stiamo accumulando plasma per un’eventuale seconda ondata di contagi. E’ una terapia per chi sta male oggi. Ben venga il vaccino ma in attesa il protocollo funziona eccome! Lo studio è stato depositato. Tutto quello che le hanno detto, che si esce in 48 ore, è vero”.

Certo non ci sono ancora migliaia di persone testate ma la sieroterapia è una cura moderna utilizzata dal 1880. 

https://infosannio.com/2020/04/25/coronavirus-la-cura-ce-ma-non-se-ne-parla/

Naturalmente si tratta di terapie in sperimentazione autorizzate dal Ministero della Salute.

domenica 26 aprile 2020

Incassese mica tanto. - Marco Travaglio

Chi è Sabino Cassese
Sabino Cassese e Giorgio Napolitano

Noi, come i lettori ben sanno, siamo fervidi ammiratori del professor Sabino Cassese da Atripalda (Avellino), giudice costituzionale emerito ed ex tantissime altre cose. E ci rallegra vederlo apparire nelle tv (ultimamente collegato da casa con le cuffiette da teenager per evitare il contagio che prende di mira soprattutto i suoi coetanei), sempre arzillo e combattivo alla veneranda età di 85 anni, sempre teso al bene comune. Inteso, si capisce, come il bene suo e del suo cenacolo di allievi, che negli anni ha sparso dappertutto nella PA con la pervasività della mucillagine. Ai tempi belli dell’Italia e di Cassese, non c’era governo che, per ministri, viceministri, sottosegretari, capi di gabinetto, direttori generali, capuffici legislativi, comitati di saggi e saggetti, non attingesse a piene mani dal pescoso laghetto denominato, sulle carte topografiche, “Allievidicassese”. Una volta era per la trota Giulio Napolitano (incidentalmente figlio di Re Giorgio), una per la tinca Bernardo Giorgio Mattarella (casualmente figlio del più illustre Sergio), un’altra per la triglia Giacinto della Cananea (nominato nell’aprile 2018 dal povero Di Maio, via Colle, “saggio” per la ricerca di compatibilità fra i programmi di M5S e Pd e giunto invece alla terrificante conclusione che i programmi più compatibili erano quelli di Pd e Lega).
Il record di allievidicassese si raggiunse nei tre governi di larghe intese – Monti, Letta e Innominabile – usciti dal cilindro di Re Giorgio e del suo tigellino Sabino, che ha sempre avuto una predilezione per il ministero della PA (già Funzione pubblica, poi Semplificazione burocratica): prima ne fu titolare nel governo Ciampi (1993-’94), poi lo controllò con gli allievidicassese che facevano da balie asciutte ai ministri pro tempore, ultima l’ineffabile Madia. Il che rende umoristiche le sue filippiche contro la burocrazia che asfissia l’Italia per colpa di Conte, visto che lui e la sua progenie hanno avuto 30 anni per disboscarla. Ma ciò che più lo inquieta, ultimamente, è il “golpe di Conte” che, fra decreti legge e dpcm, avrebbe calpestato e “dimenticato la Costituzione”. Un’accusa gravissima anche per il presidente della Repubblica che i dpcm ha concordato e i decreti ha firmato. Ma anche esilarante, visto che quattro anni fa il Cassese disprezzava la Carta al punto da volerla stravolgere, da uomo-sandwich della scombiccherata controriforma renziana, scritta a quattro piedi da Boschi&Verdini. Dopodiché propose di commissariare la sindaca Raggi con un non meglio precisato “gestore” perché non l’aveva scelta lui, ma il lurido popolo romano.
Attaccò i giallo-verdi perché osavano nominare chi pareva a loro e non a lui, o perché insidiavano il dogma dell’infallibilità di Bankitalia in base al bizzarro concetto di una “democrazia ridotta a elezioni” (anziché a lezioni: le sue). E si batteva come un leone, dopo il crollo del ponte Morandi, in difesa di Autostrade Spa che gli aveva garantito un bel posto in Cda con allegati 700mila euro. Ma nessuno, nelle copiose ospitate televisive e nelle quotidiane interviste qua e là, osa mai rammentargli i suoi trascorsi. Anzi, gli intervistatori lo trattano come l’oracolo di Delfi: mani giunte, sguardo estatico e boccuccia a cul di gallina. Ieri, per dire, l’anziano stalker pontificava sul Giornale contro il premier e il governo che, non essendo allievidicassese, sono “improvvisati” e “procedono per continui aggiustamenti”. A chi obiettasse che così fan tutti i governi del mondo, Cassese risponderebbe che lui è molto meglio di Conte e Mattarella: sa tutto, sul virus e sul da farsi. Il Genio di Atripalda non gradisce neppure che Conte parli agli italiani, come del resto tutti i capi di governo del mondo. All’inizio della pandemia, disse in tv che avrebbe preferito “far parlare il ministro della Salute”. Ma Conte, incurante, perseverò. E ora l’Emerito Irpino gli rimprovera di “usare strumenti sbagliati” (tipo la voce e il microfono) e soprattutto di non essere “la cancelliera tedesca” (che inopinatamente parla ai tedeschi pur non essendo il ministro della Salute), candidandosi anche a nuovo Casalino. Già che c’è, si crede pure il Csm e dà una lezione alle Procure che osano indagare sui morti ammazzati nelle Rsa: guai a “tornare alla Repubblica giudiziaria, all’Etat de justice che si sostituisce all’Etat de droit, su cui lo storico francese Jacques Krynen ha scritto tre importanti volumi”, dunque i pm prendano buona nota. Quanto ai politici, dovrebbero avere “idee, progetti, menti. Ma non ne vedo in giro”, a parte se stesso, si capisce.
A leggere parole così sconsolate e a vederlo così imbronciato e malmostoso, come il vecchietto dei western che sputacchia per terra bestemmiando mentre raccoglie nelle casse di legno i cadaveri della sfida all’Ok Corral, noi fan restiamo un po’ male. Il buonumore è fondamentale per gli anticorpi, soprattutto a un’età a rischio come la sua. Quindi Conte faccia qualcosa per restituire il sorriso all’emerito stalker. Trovi un posticino a lui o a un suo allievo in una delle sue numerose task force, o magari nella prossima. Basta poco per farlo contento. Appena si accomoda in poltrona, si ammansisce subito: non disturba, non sporca, dove lo metti sta.

Mascherine cinesi importate da Irene Pivetti, sequestro milionario. Lei: regole cambiate in corsa, colpita per il mio cognome. - Claudio Bozza

Mascherine cinesi importate da Irene Pivetti, sequestro milionario. Lei: regole cambiate in corsa, colpita per il mio cognome

L’ex presidente della Camera aveva firmato un contratto con la Protezione civile. Poi dei farmacisti le vendevano al +250% ed è intervenuta la Finanza: manca la certificazione.

Tutto inizia ai primi di aprile, nel momento più drammatico della pandemia. Nel Savonese vengono denunciati i proprietari (senza scrupoli) di alcune farmacie, che vendevano mascherine di protezione con ricarichi esorbitanti: 200-250%. La procura di Savona affida le indagini alla guardia di finanza, che inizia a risalire la filiera di questa fornitura. E gli uomini delle Fiamme gialle arrivano fino ad un hangar commerciale del terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa, dove sono custodite appunto migliaia di mascherine Fpp2 (modello che garantisce protezione medio-alta: di meglio ci sono solo le Fpp3, usate quasi esclusivamente negli ospedali. Qui l’inchiesta di Milena Gabanelli). Il carico viene sequestrato su disposizione della procura di Savona, che contesta l’assenza del marchio di certificazione. 

Il contratto. La Finanza scopre un particolare non da poco: le mascherine sono state importate dalla Cina dalla Only logistics Italia srl, società di cui è amministratrice unica Irene Pivetti, che nel 1994 (a 31 anni) con la casacca della Lega Nord diventò la più giovane presidente della Camera. Archiviata la carriera politica, Pivetti ha poi iniziato a fare l’imprenditrice, stabilendo tra l’altro una solida di rete di relazioni con l’estremo oriente. Nei giorni più tragici del Covid-19, con un’ondata di morti che sembra inarrestabile, le mascherine di protezione sono pressoché introvabili. La Protezione civile, per ragioni di estrema urgenza, firma con la società di Pivetti un contratto per la fornitura di 15 milioni di mascherine, al prezzo di 30 milioni di euro. E una buona parte di queste vengono appunto sequestrate a Malpensa. 

«Regole cambiate in corsa» Il motivo? «La mia società ha iniziato a importare questa partita sulla base della legislazione prevista dal decreto legge del 2 marzo, che poi è stata recepita in senso assai restrittivo nel Cura Italia — spiega Irene Pivetti, interpellata dal Corriere — . Noi abbiamo rispettato quanto previsto dal contratto con la Protezione civile, soltanto che poi le regole sono cambiate in corsa, affidando all’Inail la competenza di certificare i dispositivi di protezione», certificazioni che poi non sono state ritenute consone. 

La società di Pivetti. Pivetti è molto amareggiata mentre ripercorre la vicenda: « Abusivamente si pensa che una persona che venti anni fa ha fatto politica non possa fare l’imprenditrice: sono stata colpita per il mio cognome, mi fossi chiamata “Rossi” non sarebbe successo nulla — si sfoga —. Ma nel mio lavoro ho profuso anni di impegno e sacrifici». La società dell’ex presidente di Montecitorio nel 2018 ha fatturato 72 mila euro, con un utile di appena 2.300 euro. Poi un affare da 30 milioni, come è possibile un salto del genere? «Sono 10 anni che lavoro con la Cina: abbiamo grandi uffici e ampi spazi commerciali, un business poi strozzato dal Coronavirus — risponde Pivetti —. E grazie a queste relazioni ho pensato che avrei potuto dare una mano al mio Paese: che deficiente sono stata, ma lo rifarei». 

60% di pagamento anticipato. La struttura commissariale del governo per l’emegenza, guidata da Domenico Arcuri, ha previsto norme rigide per limitare i rischi di truffe: le forniture di mascherine oggi vengono pagate alla consegna. Mentre il contratto della società di Pivetti prevedeva il 60% di pagamento anticipato e il 40% alla consegna: perché? «Il contratto con la mia società era stato firmato con la Protezione civile: le regole erano quelle, poi sono cambiate. Io ho rispettato tutto, e quell’operazione era pure in leggera perdita per me». L’intesa stipulata tra la Only logistics Italia srl e la Protezione civile prevedeva anche che la società di Pivetti potesse vendere autonomamente a privati quelle mascherine. Che poi sono state acquistate dalle farmacie che, applicando rincari esorbitanti, hanno fatto scattare il sequestro.


Carta straccia. Ecco come l’offensiva al Governo si allarga sui giornali. - Gaetano Pedullà


Facciamo attenzione! Non è solo paradossale, ma decisamente inquietante che si sia scelto proprio il giorno della Liberazione per riportare in una logica di conservazione il governo del Paese, allargando ad alcuni grandi giornali il compito di cannoneggiare il cambiamento preteso dai cittadini alle ultime elezioni, e che seppure affannosamente sta impedendo ai soliti noti di trattare le istituzioni come cameriere. Ai più distratti, a cui sono sfuggite le novità di questo 25 Aprile, e che non danno grande importanza a quanto scrivono i giornali, perché convinti che non contano niente e non li legge più nessuno, mostriamo i puntini da unire per rivelare cosa si nasconde dietro.
I padroni di quella che una volta si chiamava Fiat, a cui l’allora premier Renzi non ebbe nulla da dire mentre traslocavano cuore e portafoglio dell’azienda ad Amsterdam, Londra e Detroit, hanno perfezionato il controllo de la RepubblicaLa Stampa, l’edizione italiana dell’Huffington Post e altro ancora, e cambiato – come è legittimo che sia – i direttori. Ora lasciamo perdere l’opportunità di spiegare come mai questi giornali siano detenuti attraverso un’anomala catena societaria, ma almeno all’esordio c’era da aspettarsi che MolinariGiannini e Feltri (non Vittorio, che preferisce dedicare il suo tempo ad insultare i meridionali, ma il figlio) facessero un po’ di chiarezza su una rotazione di poltrone che persino il loro ex presidente Carlo De Benedetti ha ammesso essere il segno di un cambio di rotta editoriale, di sicuro non a favore di quella parte di Sinistra che ha accettato l’accordo con i Cinque Stelle anche per non consegnare Palazzo Chigi alle destre. In una fase in cui: -1) c’è da investire tanti soldi per far ripartire il Paese dopo il Covid, -2) la maggioranza è in sofferenza e -3) le destre possono continuare a pasticciare perché tanto non si vota, la tentazione di una soluzione tecnica per il governo, magari per completare il lavoro iniziato da Monti, è chiaro che ha tanti estimatori. Se i politici si devono comprare (quando ci si riesce), i tecnici invece sono già al servizio dell’establishment. Perciò figure estranee al sistema, come Conte e soprattutto i Cinque Stelle, devono essere messe alla porta, rimettendo in sella chi può ripristinare l’ordine delle cose, socializzando i conti da pagare e privatizzando quel che resta nel fondo del barile. Così, per far capire dove butta il vento, più dei soporiferi editoriali dei nuovi direttori, su Repubblica brillava la festa della Liberazione ridimensionata in prima pagina rispetto al passato e poi relegata in coda al giornale: un bel segnale a chi ogni 25 aprile ha un attacco di ulcera. Altrettanto esplicito è stato Feltri, riuscito a spiegarci che per oltre 70 anni abbiamo creduto di festeggiare la Liberazione dal nazifascismo mentre invece andavamo ad affrancarci dal comunismo. Il più bravo di tutti, diciamo pure insuperabile, è stato però Giannini, che su La Stampa ci ha fatto deliziare con due perle. La prima era un’autentica fake news, cioè un titolo completamente fuorviante rispetto al testo di un’intervista all’ex capo politico dei 5S, Di Maio, in cui pare che il Movimento abbia deciso di accettare il Mes. Non meno luminosa la seconda perla: un’intervista inginocchiata all’amministratore delegato dell’Eni, Descalzi, ovviamente priva di accenni alla sua questione giudiziaria e ai padrini politici riusciti a farlo confermare nell’ultima tornata delle nomine. Insomma: poteri forti, informazione manipolata, strategia della restaurazione… bisogna essere davvero ciechi per non vedere l’offensiva che è in atto.

Ricordiamoci cosa ci sta salvando. - Tommaso Merlo

Concept of SARS-CoV-2 or 2019-ncov coronavirus


Ci stanno salvando gli operai che tirano avanti il paese, ci stanno salvando i camionisti e gli infermieri mentre tutti sono chiusi in casa a contare gli spiccioli sperando che finisca presto. Con le celebrità milionarie a far donazioni ed esibirsi davanti a qualche schermo per lavarsi la coscienza. Ci sta salvando il bistrattato Stato, quel mostro che fino a ieri doveva lasciare spazio al mercato perché considerato più efficiente e capace. Poi però quando scoppia un’emergenza chi pensa al profitto sparisce proprio nel momento del bisogno. Perché non gli conviene, perché per il mercato perfino la salute è un prodotto e il paziente un consumatore. Ci sta salvando l’Europa o almeno ci sta provando seriamente. Quell’Europa fino a ieri dipinta come la causa di tutti i mali e che invece si sta rivelando l’unica arma all’altezza per fronteggiare una crisi globale di questa magnitudo. Alla faccia dei sovranisti e di chi crede di poter sopravvivere a questo mondo rinchiudendosi in qualche giurassico confine nazionale e peggio ancora mentale. 

Ci sta salvando lo sforzo corale della maggioranza di governo che sta affrontando seriamente questa crisi inedita e complessa. Alla faccia degli uomini soli al comando e dell’insaziabile ego dei sovrani che sta facendo danni in tutto il mondo. E alla faccia delle opposizioni che si son date allo sciacallaggio sottovalutando l’intelligenza e la moralità dei cittadini. 

Ci sta salvando un premier non partorito dalla pancia di qualche partito ma dalla società civile. 

Un premier cittadino, espressione di un movimento di cittadini, alla faccia dei tromboni sempreverdi della partitocrazia italiana. Alla faccia dei presunti competenti della politica che hanno devastato per decenni l’Italia e scalpitano per tornare in sella. Ci sta salvando il senso di responsabilità di tutti coloro che rispettano le regole e si consolano a vicenda. Alla faccia dell’individualismo sfrenato e dell’illusione di non aver bisogno di nessuno nella vita. E alla faccia dell’egoismo pompato da un sistema che ti spinge a produrre e consumare perdendoti il meglio della vita. 

Ci sta salvando la prudenza dei cittadini che danno retta alle autorità e s’informano adeguatamente ignorando il baccano che piantano giornali e televisioni. 

Dopo decenni di fake-new e giornalismo servo delle lobby, i cittadini si son fatti il callo e fanno in proprio grazie alla rete e al passaparola. Ci sta salvando la scienza e una politica che procede al suo fianco. Una scienza emarginata dal terrapiattismo ma anche dalla politica che preferisce buttar via immense risorse pubbliche per produrre armi invece che investire in ricerca scientifica e salute pubblica. Con operatori sanitari sottopagati e ricercatori costretti ad emigrare. Ci sta salvando la parte ancora sana della nostra società e di noi stessi. Una parte da ricordare e preservare fin che siamo in tempo. Perché solo così potremo ambire ad un mondo migliore.


Lottizzazione selvaggia a Mps. Nel cda pure il suo fornitore. - Giorgio Meletti e Carlo Tecce

Lottizzazione selvaggia a Mps. Nel cda pure il suo fornitore

Renzi piazza l’amico Bassilichi, che fa affari con Siena. Il Tesoro (azionista) lo sa?
La notte del 21 novembre 1986 il governo Craxi celebrò una porcheria destinata a passare proverbialmente alla storia come la “notte delle nomine”, in cui furono lottizzate 108 poltrone di vertice di 60 banche (allora erano quasi tutte pubbliche). Umiliando il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, i partitocrati imposero alla presidenza della Cariplo un parlamentare dc, Roberto Mazzotta. Ora viene il sospetto che lunedì scorso, nella concitata notte delle nomine in miniatura – allora si scontrarono Ciampi e Giuliano Amato, oggi i frontmen sono Riccardo Fraccaro e Roberto Gualtieri sia stato battuto ogni record di irresponsabilità. E che gli stessi cacciatori di teste, profumatamente retribuiti per far finta di vagliare i curriculum, si siano adattati al clima da “un, due, tre, casino!” in cui sono state partorite le liste.
Solo così si spiega – ma è solo un esempio tra i tanti – la designazione per il cda del Monte dei Paschi di Siena di Marco Bassilichi, 54 anni, imprenditore fiorentino di solida tradizione familiare, con riconosciuta competenza nel settore bancario e un difetto stranamente sfuggito ai tenutari del suk: è uno dei principali fornitori della banca che l’azionista, il ministro dell’Economia Gualtieri, ha chiamato ad amministrare.
Lunedì allo scoccare della mezzanotte, i partiti di maggioranza hanno concordato col Tesoro le liste per i cda di Eni, Enel, Poste e Leonardo, a tempo quasi scaduto, e approvato una bozza per quella di Mps, da depositare invece giovedì. In due giorni lo schema ha retto, soltanto un nome è saltato: fuori l’ingegnere Salvatore Manzi, che fu indicato dal governo Renzi nel consiglio di sorveglianza di StMicroelectronics, una società mista italo-francese, dentro Marco Bassilichi, accolto negli elenchi da Pd e 5S senza fare troppe domande perché quella seggiola spettava a Iv, cioè a Matteo Renzi in persona.
Sia chiaro, la potenza della famiglia Bassilichi precede il renzismo e gli sopravvive. L’azienda prospera dagli anni 60, grazie all’iniziativa di Giovan Gualberto Bassilichi. Quando Renzi si affaccia alla ribalta della politica toscana, Leonardo e Marco Bassilichi, figli del fondatore, hanno in mano mezzo sistema bancario toscano e non solo. Il Monte dei Paschi è il loro feudo principale, forniscono tutto, i bancomat, i computer, la manutenzione dei sistemi, il trasporto valori. Sono loro a prendere Renzi sotto la loro ala protettiva e non viceversa. Finanziano la Fondazione Open e mal gliene incoglie: finiscono perquisiti (non indagati) nell’inchiesta dello scorso novembre condotta tra gli altri da Antonino Nastasi, uno dei magistrati che a Siena aveva bombardato il sistema di potere di Giuseppe Mussari.
All’onnipotente presidente, dalemiano prima e tremontiano poi, i Bassilichi sono così legati da vedersi attribuire un potere enorme su tutta Siena. Il gruppo Bassilichi vola. Poi Mussari cade, travolto dallo scandalo dei derivati, e la nuova gestione (Fabrizio Viola e Alessandro Profumo) taglia le unghie ai regi fornitori. Non fino in fondo però: gli affidano l’esternalizzazione di 1.100 persone per attività cosiddetti back office, i Bassilichi costituiscono appositamente la Fruendo, azienda con Accenture socio di minoranza al 40 per cento. Anche qui le cose vanno male: i lavoratori esternalizzati fanno causa in massa grazie a un pool di avvocati tra i quali si distingue Luigi De Mossi, futuro sindaco di Siena con il centrodestra. E vincono, cosicché oggi 450 di loro vengono riassunti dal Monte mentre gli affari di Fruendo languiscono. Sul punto il nuovo cda eredita un casino galattico. Nel frattempo Accenture è passata al 90 per cento di Fruendo, lasciando ai Bassilichi (con Marco che ha lasciato la presidenza solo a fine febbraio scorso) il 10 per cento delle azioni attraverso la B222 srl.
Ma il vero punto nevralgico della vicenda si chiama Abs Technologies. Nel 2017 i Bassilichi mollano tutto a Nexi, colosso dei servizi bancari, mantenendo però un piede nella scatola Ausilia nella quale finiscono alcuni pezzi dell’impero, tra cui Abs Technologies, di cui Leonardo Bassilichi è presidente. A fine febbraio, cioè due mesi fa, proprio mentre entrava nel vivo la partita delle nomine, Abs Technologies esce da Ausilia e finisce sotto Base Digitale, una holding di cui Leonardo e Marco Bassilichi hanno personalmente il 25 per cento del capitale ciascuno.
Nell’ultimo bilancio depositato, quello del 2018, Abs Technologies dichiara di aver “svolto attivita di fornitura, gestione e manutenzione di impianti di sicurezza per il Gruppo Monte dei Paschi di Siena su circa 1.500 filiali”, ottenendo da questo cliente principale 14 dei 21 milioni di fatturato dell’anno, due terzi pari pari.
Fermo restando che Marco Bassilichi per la sua storia di imprenditore sa di banca e, soprattutto, di Mps molto più di Guido Bastianini – designato come amministratore delegato a guidare una banca in profonda difficoltà; e fermo restando che il conflitto di interessi esiste a prescindere dalla moralità del portatore, resta ferma anche una domanda: ma al ministero dell’Economia, quando il politicante di turno fa arrivare il pizzino con il nome del lottizzato, non c’è uno che vada a vedere chi è quel signore?

Coronavirus, in Africa mancano terapie intensive, ventilatori e il lockdown è inapplicabile. Così i 30mila casi (ufficiali) fanno paura. - Giusy Baioni

Coronavirus, in Africa mancano terapie intensive, ventilatori e il lockdown è inapplicabile. Così i 30mila casi (ufficiali) fanno paura

I letti in intensiva vanno dai 3mila del Marocco, 2.500 dell’Algeria e mille del Sudafrica ai 15 di Burkina Faso e Somalia. In molti Paesi i macchinari per la respirazione assistita sono meno di dieci. I governi attuano la serrata, ma è una misura difficile da imporre con la maggior parte dell’economia che è informale, i lavori alla giornata e stipendi, contratti e tutele statali inesistenti.
Quasi 30mila casi, più di 1.300 morti: sono le cifre che provengono dall’Africa. O perlomeno le cifre ufficiali. Ben poca cosa rispetto ai numeri del resto del mondo. Tuttavia, qui più che altrove, non v’è certezza alcuna sui numeri reali della pandemia. Quello che è noto, invece, è la mancanza delle terapie intensive e dei ventilatori polmonari. Ma anche qui, senza certezze: i numeri sono aleatori, tanto che alcuni giorni fa la stessa direttrice dell’Oms per l’Africa, Matshidiso Moeti, ha lanciato l’allarme, deplorando la mancanza di informazioni attendibili.
La rivista Jeune Afrique ha tentato di calcolare i numeri delle terapie intensive e dei respiratori: c’è una grande disparità fra i pochi paesi che dispongono di un numero decente di presidi e i molti che invece non hanno quasi nulla. I letti di terapia intensiva vanno dai 3mila del Marocco, 2.500 dell’Algeria e mille del Sudafrica ai 15 di Burkina Faso e Somalia, con diversi altri Paesi che ne hanno sotto i 100. Ancora peggiore la situazione dei respiratori: 3 per tutta la Repubblica Centrafricana, 4 in Togo (ma ne sono stati ordinati 250), 5 in Niger, 10 in Congo Brazzaville, 11 in Burkina Faso, fra i 15 e i 20 in Camerun. In tutta la Sierra Leone, secondo il Financial Times, ce ne sarebbe uno solo. Qualche decina in altri Paesi, per poi trovarne 2.500 in Algeria, 3mila in Marocco e ben 6mila in Sudafrica, 4mila dei quali in mano però nella sanità privata.
I numeri sono ancora più drammatici se si considera che diversi di questi Paesi hanno focolai attivi piuttosto rilevanti. Nell’Africa settentrionale e nel Sud sono concentrate le situazioni peggiori: circa 4mila casi in Sudafrica, Egitto e Marocco, pochi meno in Algeria. Ma hanno superato i mille casi Camerun e Ghana. Oltre 900 contagi in Tunisia, più di mille in Costa d’Avorio e anche nella piccola Gibuti, dove potrebbe aver inciso la presenza di basi militari straniere, fra cui la prima base navale cinese nel continente.
In molti altri paesi i numeri restano sotto controllo, in genere qualche decina. Poche unità si segnalano in MauritaniaBurundiSao Tomè e Sud Sudan. Zero casi, per ora, solo nelle isole Comore e nel piccolo Lesotho, dove è stato comunque dichiarato lo stato di emergenza per due settimane, data la posizione geografica nel mezzo del Sudafrica.
Le misure intraprese dai vari governi sono quasi ovunque molto rigide e puntano sulla prevenzione. Il lockdown, unica prevenzione efficace, è stato dichiarato quasi ovunque, con la consapevolezza però che misure come quelle cinesi o europee non sono proponibili in un continente dove la maggior parte dell’economia è informale, i lavori alla giornata, stipendi e contratti inesistenti, tutele statali pure. Impensabile imporre di “restare a casa” nelle baraccopoli, dove la “casa” è solo un luogo coperto in cui dormire. Impensabile imporre di non uscire dove non esistono frigo per conservare gli alimenti e il cibo va comprato fresco ogni giorno. Vietate quasi ovunque invece le celebrazioni religiose, sia nei paesi a maggioranza cristiana che in quelli musulmani. Basti dire che l’unico luogo dove si è celebrata la Pasqua con messe affollate di fedeli è stato il Burundi, che ufficialmente è fermo a 8 casi.
Le forti restrizioni decise dal governo sudafricano, che ha imposto chiusure draconiane provocando lo stop del commercio informale, stanno già provocando problemi di ordine pubblico, saccheggi dei supermercati, rivolte sociali duramente represse. Ogni giorno, oltre al bollettino dei contagi, arriva quello degli arresti. Per evitare tali rischi, il governo del Senegal ha optato per un modello ibrido, con il coprifuoco dalle 20 al posto del lockdown: attività commerciali aperte, ma alla sera tutti a casa.
Diversi Paesi stanno adottando come farmaco la clorochina, antimalarico abbondantemente disponibile e a prezzo contenuto. Si sta inoltre estendendo l’obbligo di mascherine e laddove mancano i presidi supplisce il fai-da-te in coloratissimi wax (la tipica stoffa africana), ma anche in foglie o vimini intrecciati. Non manca chi raccoglie per strada le mascherine usate, le lava bene con acqua e sapone e le riutilizza o le rivende.
Di altro tenore l’impegno degli atenei africani: molti laboratori universitari hanno avviato la produzione di gel idroalcolici, mentre altri si sono dedicati alla produzione di mascherine e soprattutto visiere per il personale medico con le stampanti 3D. In Marocco e Tunisia diverse fabbriche si sono rapidamente riconvertite per produrre mascherine e respiratori.
E se diversi cantanti hanno lanciato nuovi brani di sensibilizzazione sul Covid-19, anche molti leader politici si stanno esponendo in prima persona sui social per sponsorizzare le misure di prevenzione: Alpha CondéFélix TshisekediMohammed VIAlassane OuattaraPaul Kagame mostrano come lavarsi le mani e invitano a portare la mascherina in luoghi affollati. Di contro, il presidente malgascio Andry Rajoelina ha appena annunciato la creazione di una mistura a base di artemisia in grado di prevenire e sconfiggere il coronavirus: “È un rimedio a base di piante officinali locali. Dà risultati in 7 giorni”. Che il Madagascar sia terra unica per biodiversità è noto, ma l’Oms si è affrettata a dichiarare che ad oggi non esistono evidenze scientifiche che tale preparato sia efficace.