"Dimenticati" nel cassetto i ricorsi del figlio e degli amici Decorsi 60 giorni la sanzione veniva automaticamente annullata.
Avrebbe fatto annullare decine di multe, «dimenticando» nel cassetto i ricorsi degli automobilisti senza trasmetterli alla prefettura come previsto dalla legge e facendo in questo modo decadere le sanzioni.
Una distrazione sospetta, quella imputata a una vigilessa romana, visto che tra i «graziati», secondo la procura, ci sarebbe anche il figlio della donna oltre ad una pattuglia di suoi conoscenti. L’ultimo agguato al fegato dell’automobilista capitolino medio senza santi in paradiso, da tempo avvezzo a trasalire ed a sgranare il rosario ad ogni visita del postino dopo aver inondato più volte al mese di calde lacrime il parabrezza "battezzato" da vigili e ausiliari del traffico, si è consumato ieri in un’aula di piazzale Clodio. A processo davanti tribunale collegiale, accusata di abuso d’ufficio continuato, c’era una donna di 52 anni, istruttore di Polizia Municipale presso il XIII Gruppo Aurelio.
Secondo quanto ricostruito nel capo di imputazione, nello svolgimento delle mansioni di responsabile dell’attività istruttoria delle pratiche d’ufficio svolte dal Reparto Elaborazione Sanzionatorio, avrebbe omesso di trasmettere al prefetto di Roma gli atti relativi a 29 ricorsi contro multe comminate tra il 2011 e il 2012. In questo modo avrebbe procurato intenzionalmente agli autori delle violazioni un «ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nel mancato pagamento della sanzione amministrativa in assenza di qualsivoglia valutazione sulla fondatezza dell’accertamento». Il tutto «in violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e trasparenza incombenti sul pubblico ufficiale».
Il Codice della Strada infatti, all’articolo 203, prevede che il responsabile del comando cui appartiene l’organo «accertatore» trasmetta al prefetto gli atti del ricorso ricevuto contro un verbale di multa entro 60 giorni dal deposito. Se questo termine perentorio non viene rispettato il ricorso, secondo la legge, è da considerarsi automaticamente accolto. Nel caso specifico, come detto, i ricorsi degli automobilisti non sarebbero neppure stati inviati in prefettura: una versione aggiornata dell’antica prassi del «verbale stracciato», italianissima cortesia riservata all’amico o al parente ormai divenuta impraticabile e facile da smascherare negli uffici pubblici.
Ieri in aula, davanti al pm Francesco Scavo, hanno sfilato come testimoni alcuni colleghi della vigilessa a processo. È stato proprio il pm a sottolineare come, nella lista dei ricorsi che sarebbero stati nascosti, ce ne sia anche uno relativo ad una multa presa dal figlio dell’imputata ed altri riferiti a sanzioni elevate a carico di alcuni conoscenti della donna. In base a quanto ricostruito ieri in aula, la vigilessa sarebbe stata smascherata per puro caso dagli stessi colleghi del suo reparto ad ottobre 2013. Un giorno in cui lei era assente dal lavoro, la procura di Roma chiamò nel suo ufficio per chiedere urgentemente la pratica di un accertamento demaniale. Un collega avrebbe allora contattato la donna al telefono, per sapere dove potesse trovarsi il fascicolo che stava seguendo proprio lei. La signora avrebbe risposto di guardare dappertutto, anche nella vaschetta con le cartelle di sua competenza sistemata - insieme a quelle degli altri vigili dell’ufficio - sopra una mensola. Proprio lì il suo collega avrebbe rinvenuto una busta con la scritta «ricorsi 2012»: all’interno c’erano le multe ormai da tempo scadute e mai trasmesse al prefetto. «Sono cose mie», avrebbe replicato la donna alla richiesta di chiarimenti sul contenuto del plico come ha raccontato ieri in aula il pubblico ufficiale autore della scoperta. Da quella risposta evasiva sarebbe quindi partita l’inchiesta coordinata proprio dall’ex comandante del XIII Gruppo Aurelio Davide Orlandi, anche lui ascoltato ieri dal pm Scavo in qualità di testimone di polizia giudiziaria.
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