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giovedì 22 ottobre 2020

Corte Ue ri-taglia i vitalizi agli eurodeputati italiani. - Ilaria Proietti

 

Non c’è trippa per gatti, almeno in Europa. Perché i giudici della Corte di Giustizia dell’Unione (Cgue), con sede in Lussemburgo, hanno promosso il taglio dei vitalizi caduto come una mannaia anche sugli assegni degli europarlamentari italiani eletti in passato a Bruxelles che sono parametrati a quelli degli ex inquilini di Camera e Senato. Come noto questi ultimi stanno facendo fuoco e fiamme dopo la sforbiciata operativa dal 1° gennaio 2019. E da ultimo sono tornati a sperare di riavere il malloppo grazie a una decisione della Commissione Contenziosa di Palazzo Madama presieduta dal forzista Giacomo Caliendo a cui si erano appellati.

È invece andata malissimo ai loro colleghi eurodeputati, che per ottenere lo stesso risultato hanno trascinato in giudizio il Parlamento europeo. I cui uffici si erano permessi di applicare le regole, comunicando loro una notizia che mai avrebbero voluto ricevere: ossia che pure per i loro cedolini era imminente il ricalcolo e pure l’intenzione di procedere al recupero delle somme che fossero eventualmente indebitamente versate in eccedenza dopo l’entrata in vigore del taglio agli assegni deciso dai due rami del Parlamento nostrano.

Apriti cielo: quelli, gli ex eurodeputati si sono precipitati a chiedere aiuto all’avvocato di Maurizio Paniz che li aveva accolti ben volentieri, avendo già collezionato centinaia di clienti tra i parlamentari desiderosi di fare ricorso per riavere tutto intero il vitalizio erogato da Montecitorio e Palazzo Madama. Nonostante i suoi ottimi uffici, però, resteranno però a bocca asciutta. Perché secondo la sentenza dell’alta Corte europea non sono stati affatto violati i loro diritti: né quello di proprietà, né il legittimo affidamento, né qualsiasi altro argomento che pure invece ha fatto breccia alla corte di Caliendo&C.

Per i giudici europei il taglio deciso in Italia che si è riverberato nei suoi effetti anche sui trattamenti degli eurodeputati ha come obiettivo quello di adeguare l’importo delle pensioni versate a tutti i deputati al sistema di calcolo contributivo. Un obiettivo legittimo, anzi di più.

Perché gli Stati membri “dispongono di un ampio margine discrezionale in sede di adozione di decisioni in materia economica e si trovano nella posizione migliore per definire le misure idonee a realizzare l’obiettivo perseguito”. Ossia risparmio pubblico e austerità “imposti da una grave crisi economica”. E non è tutto.

Hanno anche messo nero su bianco che il taglio agli assegni degli ex onorevoli operativo dal 1° gennaio 2019 non è stato sproporzionato rispetto agli scopi perseguiti. Ché, del resto, tra i ricorrenti nessuno ha neppure provato a dimostrare di essere indigente in modo da avvalersi del diritto all’incremento dell’assegno sforbiciato. Hanno invece provato, senza successo a invocare l’immutabilità delle regole pensionistiche e anche l’intangibilità degli assegni che però in passato sono mutati al ribasso ma pure al rialzo, in applicazione del calo o dell’aumento dell’importo dell’indennità parlamentare.

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