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domenica 16 gennaio 2022

Renzi, più parla di sé e più sta sulle palle. - Antonio Padellaro

 

Non è nuova la tesi secondo la quale Matteo Renzi stia facendo tutto questo casino per “bisogno di visibilità”. Lo ha ripetuto, lunedì sera a Otto e mezzo, Pier Luigi Bersani, caricando sul leader di Italia Viva il termine “vigliaccata” a proposito della salute degli italiani usata a sproposito per ottenere i soldi del Mes.

Ora, se è pur vero che la visibilità mediatica del senatore di Rignano è alle stelle (9.138 citazioni a fronte delle 8.754 del premier Giuseppe Conte) trattasi di una potenza di fuoco che non accresce di un solo decimale la “popolarità” del suo partitino personale, impantanata sotto un malinconico 3 per cento. Alla luce di questi numeri si potrebbe dedurre che il Rottamatore stia rottamando il principale postulato della civiltà dell’immagine (politica e non). Ovvero: parlate male di me purché parliate di me. Coniato sull’idea che la peggiore iattura che possa capitare a un essere umano sia quella di essere ignorato dai propri simili.

Ma, come è noto, Renzi è anche un innovatore e gli va perciò dato atto di avere creato, empiricamente, le basi per un secondo postulato. Ovvero: più parlo (parlate) di me e più sto sulle palle a tutti. Con un’eccezione (anche Carlo Calenda sta sulle palle a molti, pur tuttavia nei sondaggi cresce al 4%) e un paio di corollari.

Primo: provocare la crisi di governo con il Paese messo in ginocchio dalla pandemia avrebbe lo stesso effetto sulle persone di un tale che, poniamo, giura solennemente sul suo immediato ritiro della politica se perde il referendum (come è andata a finire si sa).

Secondo: si può considerare la reputazione più importante dei voti, o viceversa, ma perdere l’una senza neppure avere gli altri è da bischeri (scusate il toscanismo).

Esiste una terza ipotesi: che Renzi abbia deciso di sacrificarsi e di farsi esplodere, come Pietro Micca, per il bene supremo del Paese. Adesso però non c’è bisogno di ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/13/piu-parla-di-se-e-piu-sta-sulle-palle/6063842/?fbclid=IwAR2d7G7LbPl_c3pO-2cpasjRA3pSxEd_NERb16CjD6zMgvOI_pzDSV7xqjg

mercoledì 22 agosto 2018

Rogito, ergo sum. - di Marco Travaglio-sul Fatto Quotidiano del 21 agosto.

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Da quando, perdute rovinosamente le elezioni del 4 marzo, Matteo Renzi giurò che sarebbe scomparso dai radar per dedicarsi umilmente e silenziosamente alla nuova missione di “senatore di Scandicci, Impruneta, Signa e Lastra a Signa”, non passa giorno senza che lui parli di qualcosa o qualcosa parli di lui. Con effetti devastanti non solo per lui (che sarebbe il meno), ma per tutto il Pd (cioè per milioni di persone). 
Quando si imbocca un piano inclinato, non c’è più verso di risalire: la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo. 
E così quello che per quattro anni fu il Gastone della politica, che portava buono a se stesso e jella agli altri, è diventato l’esatto opposto: un incrocio tra Paperino, Fantozzi e Tafazzi che porta jella a se stesso e buono agli altri. 
Provate solo a immaginare quanti consensi in meno avrebbero M5S e Lega se dall’altra parte non ci fosse lui. 
Pare che Di Maio abbia eretto un altarino con la sua effigie (al posto di quella di Fassino) e ogni sera, prima di coricarsi, gli dedichi una preghiera riconoscente. 

L’unica mossa politica di Renzi dopo le elezioni è stata impedire la soluzione di governo più ragionevole per l’Italia e per il Pd: l’accordo fra un centrosinistra rinnovato e il M5S. 
Prima il Tafazzi di Rignano ha spinto i 5Stelle fra le braccia di Salvini (il Corriere raccontò una sua allarmatissima telefonata a Salvini: “Matteo, sono Matteo, ma davvero non ce la fate a fare il governo con i 5Stelle?”). Poi s’è messo a sbraitare contro i 5Stelle che governano con Salvini. 

Per il resto, ogni notizia che lo riguarda sembra fatta apposta per ricordare agli italiani che l’equazione “Pd=establishment” e “giallo-verdi=anti-establishment” non è una fake news made in Putin, ma una triste realtà: appena si parla di Renzi, di riffa o di raffa, saltano fuori i soldi. Cioè gli affari.
Lui denuncia un complotto contro i suoi genitori e quelli vengono imputati per false fatture. Strilla contro la Lega che ruba milioni e maltratta i migranti e le Ong, e suo cognato finisce indagato per aver rubato 6 milioni a un’Ong (l’Unicef) destinati ai bimbi africani, girandone una parte ai soliti genitori. Nega inciuci con B., e si scopre che sta girando un documentario sulle bellezze di Firenze (titolo provvisorio: “Firenzi”) per Mediaset, che per giunta alla fine si sfila perché il costo è troppo esoso (2-3 milioni). Mostra in tv l’estratto conto da nullatenente, poi si scopre che s’è comprato una villa da 1,3 milioni, versando al rogito una caparra di 400mila euro sull’unghia e stipulando il suo quarto mutuo in banca (un mutuo subprime, visto che gli lascia solo 600 euro l’anno per tirare avanti con i suoi cari).
Incolpa i leghisti per il lancio di uova razziste contro un’atleta nera, poi si scopre che il lanciatore è il figlio di un consigliere Pd. 
Chiede ai pm di deporre sui troll e le fake news russe anti-Mattarella, poi si scopre che i social che rilanciarono la campagna del M5S erano italiani e sorprendentemente vicini al M5S. Si danna a dimostrare che lui non è “casta”, diversamente dai giallo-verdi, i quali però desecretano gli atti sull’Air Force Renzi e disdettano il contratto capestro da 150milioni imposto ad Alitalia. Lui allora, per dimostrare che erano soldi ben spesi, giura: “Non ci sono mai salito”, così tutti – anche i suoi – capiscono che erano soldi buttati. Crolla il viadotto di Genova, affidato al controllo (si fa per dire) di Autostrade Spa, regalata da sinistra e destra ai Benetton con una concessione prorogata senza gara, in una notte, da Gentiloni&Delrio. 

Tacere e sperare nella smemoratezza italica sarebbe il minimo, ma i grandi twittatori renziani non resistono: è più forte di loro. Rinfacciano ai 5Stelle il no alla Gronda, presunta “alternativa al ponte Morandi”, ragion per cui Faraone chiede le dimissioni di Toninelli: “Se non se ne va lui, lo cacciamo noi”. Peccato che la Gronda non avrebbe mai sostituito il ponte Morandi, ma l’avrebbe mantenuto in funzione (e, iniziando i lavori adesso, sarebbe pronta nel 2029); se ne parla dagli anni 80, quando Grillo faceva la serate; ed è stata bloccata da giunte e governi di destra e sinistra, mentre il M5S non ha mai governato. 

A questo punto Di Maio fa una gaffe, accusando il Pd di prender soldi da Autostrade, mentre gli ultimi finanziamenti risalgono al 2006 (un anno prima che nascesse il Pd). Ma Renzi&C., disabituati a stare dalla parte della ragione, passano subito da quella del torto annunciando querele e negando che il centrosinistra abbia mai preso un euro: sbugiardati dal video di Report sui 150 mila euro di 12 anni fa.
Completa il quadro la difesa strenua del titolo Atlantia in Borsa (l’unico crollo che li preoccupa) e i timidi pigolii sulle colpe dei Benetton, che intanto festeggiano con grigliate e serate danzanti a Cortina. 
L’ultima tappa dello Sfiga Party è l’intervista di ieri a Repubblica: fra una supercazzola (“il passato non cambierà, cambiamo il futuro”) e una balla (la lista completa è a pag. 8), Renzi dice che revocare la concessione ad Autostrade significa “pagare 20 miliardi di danni”, tesi che ormai si vergognano a sostenere pure i Benetton. E aggiunge giustamente che il selfie di Salvini ai funerali è “squallido ma coerente”. A stretto giro, sul web, salta fuori un selfie del premier Renzi nel 2016 alle esequie di Tina Anselmi. Squallido ma coerente. Viene in mente il film La maledizione dello scorpione di Giada con Woody Allen nei panni dello sfortunatissimo investigatore Briggs, che indaga su una serie di furti e alla fine scopre che il ladro è lui. Però Matteo Tafazzi ci dà anche una good news: “Da qui a Natale nasceranno comitati civici contro questo governo in tutti i comuni”. Il primo sarà Lourdes, dove lui sta per trasferirsi per girare il suo prossimo docufilm. E, già che c’e per farsi un bagno integrale in piscina.[…]