Gentile Fatto, non sono un giurista. Sono un cittadino come tanti. E tuttavia io penso che se più persone picchiano in modo brutale un ragazzo, con calci e pugni, in faccia, in testa e in altre parti del corpo, ripetutamente anche col ragazzo ormai a terra, fino a provocargli la morte quasi immediata, il reato di cui gli assassini dovrebbero essere accusati è “omicidio volontario” e non “omicidio preterintenzionale” (non volevamo ucciderlo). Come semplice cittadino attendo il processo. Povero ragazzo e povera famiglia. Tutta la mia solidarietà. Cordiali saluti.
Prof. Luigi Roselli
Gentile professore, è verosimile che la questione da lei sollevata se la porranno, sviluppando l’indagine, anche i magistrati competenti. Come sempre, si tratta di applicare le norme generali sull’omicidio adattandole al caso specifico, cioè alla ricostruzione del fatto materiale commesso. Stando alle brutali modalità con le quali è stata provocata la morte del giovane Willy Monteiro Duarte (che lei ha ben riassunto in base alle cronache), sarebbe assurda ogni ipotesi di semplice imprudenza, negligenza o imperizia e quindi di omicidio colposo. L’alternativa principale è fra omicidio preterintenzionale (quando si colpisce a morte qualcuno che però non si voleva uccidere) e omicidio volontario o doloso , che si ha quando si colpisce per uccidere. C’è però un’altra possibilità, quella dell’omicidio volontario con dolo cosiddetto eventuale o indiretto. Nella graduazione dell’intensità del dolo in relazione alla rappresentazione volitivo-conoscitiva del soggetto, dottrina e giurisprudenza hanno individuato la fattispecie della “accettazione del rischio”. Vale a dire che quando si accerta che il soggetto si è rappresentato seriamente la possibilità che si verifichi l’evento morte e tuttavia ha deciso di agire lo stesso, accettando tale rischio, l’omicidio può ritenersi doloso e quindi volontario, ma con dolo – appunto – eventuale. Un peso nelle valutazioni dei magistrati potrà indubbiamente avere anche la circostanza che due degli indiziati sono esperti praticanti di una disciplina “sportiva” etichettata come MMA: un mix di calci , pugni , colpi di karate e arti marziali assortite, che poco si confà con il ruolo di pacieri che i due si sono ritagliati nel primo interrogatorio. Sta di fatto che l’immenso sdegno e il ribrezzo suscitati dalla vicenda sono sacrosanti. E tuttavia persino nel tremendo e orribile caso cui si riferisce la lettera, è giocoforza ricordare – tecnicamente – la presunzione di non colpevolezza.
Gian Carlo Caselli
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