domenica 31 ottobre 2010

L’ostaggio Ruby


La morsa del Caimano. Nei numeri del palmare della ragazza "Privato Villa" e "Privato Certosa", mentre il premier nelle conversazioni viene chiamato "il Capone". Poi gli acquisti da 180 mila euro pagati dal manager dei vip, Lele Mora


Mostra orgogliosa tre numeri di telefono, nell’agenda del suo palmare Nokia. Karima El Mahroug, per gli amici Ruby, è la ragazza minorenne che ha raccontato e poi smentito i suoi incontri con Silvio Berlusconi. I tre numeri sono “Privato Villa” (Arcore), “Privato Certosa” (Sardegna) e “Silvia Silv” (il nome al femminile nasconde il cellulare di Silvio). È stata anche a villa Certosa, Ruby? Difficile districarsi nel gioco delle affermazioni e delle smentite. Dopo aver raccontato, non senza particolari erotici e descrizioni del rito del “bunga-bunga”, di essere andata tre volte ad Arcore, ora riduce gli incontri a uno e derubrica Silvio da “amico” a “conoscente”. Ma poi dissemina tracce di altri incontri con Berlusconi, almeno due, a Milano: una cena al ristorante da “Giannino”, dopo la serata ad Arcore del 14 febbraio 2010; e una festa all’“Ibiza” di corso Garibaldi, per l’occasione chiuso al pubblico e riservato agli amici di Silvio.

Venerdì scorso, 29 ottobre, è stata una giornata importante per Ruby. Un incontro di un’ora e trenta minuti a Milano ha segnato una svolta nella sua storia. Per il viaggio da Genova, le ha telefonato “Andrea”, un personaggio del giro di Lele Mora che tiene costantemente i contatti con lei e di cui lei si fida pienamente. “Andrea” le ha spiegato che era necessario andare a Milano. Qui ha incontrato ancora una volta Luca Giuliante, legale di Lele Mora e di Roberto Formigoni, tesoriere milanese del Pdl e grande amico di Paolo Berlusconi, Giuliante finora le ha fatto da avvocato. Ora basta: le ha annunciato che da qui in avanti sarà assistita da un altro legale:Massimo Di Noia, che in passato ha difeso anche Antonio Di Pietro. Un cambio che ha il sapore di una mossa strategica: per dimostrare che Ruby non è manovrata dall’entourage del presidente del Consiglio. Lui, Di Noia, accetta la sfida, sa che la corsa sarà in salita e dichiara: “Mi interessa solo la difesa della parte che assisto”.

Ma il problema che resta aperto è proprio quello della rete attorno a Ruby: la rete di protezione e di controllo che si è rinsaldata attorno alla ragazza a partire dalla notte cruciale del 27 maggio 2010, quando Karima è stata fermata dalla polizia e portata nei locali della questura di Milano. Quella notte fu una telefonata proveniente dalla Presidenza del Consiglio a spingere gli agenti a rilasciare Ruby e ad affidarla a Nicole Minetti, ballerina di Colorado Cafè e igienista dentale dell’ospedale San Raffaele, che agli agenti si è qualificata come consigliere regionale “con incarico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri”.

È Silvio Berlusconi in persona a telefonare al capo di gabinetto della questura, Pietro Ostuni, per chiedergli di lasciar andare la ragazza, contro le disposizioni del Tribunale dei minori di Milano. Il pubblico ministero Annamaria Fiorillo, che era di turno quella notte, è un magistrato d’esperienza. Sa che cosa si deve fare in questi casi: aveva infatti disposto il collocamento della ragazza presso una comunità protetta. Ruby era senza documenti, risultava in fuga da una struttura per minori in provincia di Messina, era accusata di furto. Ma la Questura di Milano insiste: “Il magistrato di turno è stato informato” e “ha acconsentito che la minore fosse affidata al consigliere Minetti”; quanto alla qualifica di “consigliere ministeriale”, dice il comunicato della questura, è un errore del verbale di quella maledetta notte.

Fatto sta che dopo la telefonata di Berlusconi, i funzionari affidano la ragazza a Nicole Minetti, che comunque appena fuori dalla questura la lascia alle cure della brasiliana Michele, professione escort. Era stata Michele ad avvertire Berlusconi che Ruby era stata fermata: così ha dichiarato al Corriere della Sera, spiegando di aver conosciuto il premier qualche anno prima e di aver avuto da lui il suo numero, per le “emergenze”. Così, la ragazza viene affidata a una escort invece che a una comunità.

Karima era arrivata a Milano l’11 novembre 2009, in fuga dalla Sicilia. Subito contatta Lele Mora. Conosce Emilio Fede, che era stato presidente della giuria di un concorso di bellezza in Sicilia a cui aveva partecipato nel settembre 2009. Racconta le feste di Arcore che oggi smentisce. Ma continua ancora oggi a sostenere di essere sempre in contatto con Lele Mora, che la aiuta anche economicamente. Ruby ha un sogno. Sa che i soldi finiscono, e lei vuole un’attività che le garantisca la sicurezza economica nel tempo: vuole aprire un centro benessere. Racconta che gliel’hanno promesso. Dice di essere già andata a comprare alcuni macchinari che le serviranno nel centro: la primavera scorsa è stata con Lele Mora al Cosmoprof di Bologna, la fiera dedicata alla cosmesi e all’estetica, e ha speso 180 mila euro, naturalmente anticipati dall’amico Lele.

Mora è, nelle telefonate, “il capo”. Quando ha un dubbio, Ruby chiede al suo interlocutore: “Ma parli del capino o del capone?”. Il “capone” è Silvio, nella nuova versione delle dichiarazioni ufficiali “solo conoscente”, benefattore “come la Caritas”. Ma, nelle chiacchierate private, amico che “ha promesso di farmi fare politica”. Domani sarà il 1 novembre e Karima compirà diciott’anni. Sarà finalmente padrona della sua vita. Festeggerà, Ruby. Non dovrà più scappare dalle comunità imposte dal Tribunale dei minori. Si concentrerà nella realizzazione del suo sogno. Inchiesta permettendo.



Rifiuti, nuove tensioni a Giugliano Bertolaso scherza sul Vesuvio.





Un'eruzione del Vesuvio? “Da buon leghista vi dico che non sarebbe una grande disgrazia”. Parole pesanti come pietre. Se a pronunciarle poi è il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, proprio nei giorni della crisi campana dei rifiuti, quelle pietre diventano lava rovente che annienta le istituzioni dello Stato. L'uscita del “padre padrone” delle emergenze italiane risale al 15 ottobre scorso. Quel giorno a Terzigno i compattatori vanno in fiamme, le “madri vulcaniche” sono già sulle barricate a difendere la salute dei loro figli, la polizia ferma due giovani per gli incidenti.

Ma Bertolaso è a Roma per un impegno immancabile: la festa di saluto al suo vice, Bernardo De Bernardinis, appena nominato presidente dell'Ispra. Il potente sottosegretario ruba la scena al festeggiato davanti al personale della struttura. Parla a ruota libera, per una cinquantina di minuti. La Cgil è in possesso della registrazione e ne ha diffusi alcuni contenuti. La Protezione civile ha reagito subito: «Una «spregevole strumentalizzazione da parte del sindacato, che ha decontestualizzato e artatamente ricostruito ciò che ha detto il capo Dipartimento. il fatto che “non sarebbe una grande disgrazia” - conclude il Dipartimento - è semplicemente riferito alla consapevolezza che la Protezione Civile nazionale, come ha dimostrato sul campo e come è stato riconosciuto in più occasioni a livello internazionale, sarebbe in grado di affrontare e superare anche una eventuale crisi vulcanica in Campania».

Tra risatine, lazzi, applausi, Bertolaso si consente uno show non solo “poco signorile” (così lo definisce, smorzando volutamente i toni, Antonio Crispi, segretario nazionale Funzione Pubblica), ma anche inquietante per i risvolti che rivela sugli equilibri di potere all'interno del governo. Una trama in cui finisce sotto accusa anche il superministro Giulio Tremonti. L'eruzione del Vesuvio, infatti, è solo l'inizio. Non manca, qui, quella dose di volgarità cui ormai l'Italia è abituata. “Sapete tutti che l'unico rammarico che avremo è che purtroppo tra Napoli e i Campi Flegrei non è successo nulla, è l'unica che ci manca... inutile che vi grattate”. Poi la battuta sul leghismo. Ma Bertolaso non si ferma qui.

Parla quasi da Vicerè di un impero che lo vede al centro di una miriade di tentacoli. I “suoi” uomini sono definiti “nostri ministri” da contrapporre a quelli regolari. Parla di “uno schema”, di “un disegno” che vede uomini della Protezione Civile mandati nei vari ministeri, quasi a creare una rete parallela in ombra. Tremonti viene posto in antitesi con Angelo Borrelli, il quale viene presentato alla platea (che applaude) nel ruolo di vicecapo dipartimento dell'area amministrativa. “Come a livello nazionale il ministro dell'Economia pare che conti qualcosa, forse troppo... - dice Bertolaso ai funzionari – in casa nostra il nostro ministro dell'Economia (Borrelli appunto, ndr) ha dimostrato di essere molto diverso dal ministro a livello nazionale.

Perché lui sì che è una persona seria (sottinteso che Tremonti non lo è? Ndr), una persona per bene, una persona dotata di umanità, che sa quando si deve dire di no ma capisce anche quando è il caso di sire di sì”. Ogni spostamento, formalmente deciso dal consiglio dei ministri, Bertolaso lo attribuisce al suo potere d'influenza. “La nomina di Chicco (De Bernardinis, ndr) è sicuramente farina anche in parte del mio piccolo sacchetto – dichiara il sottosegretario - perché avevo immaginato che si dovesse organizzare una strategia visto che qua nessuno è immortale (...) c’è Franco Gabrielli con noi, che è un Prefetto della Repubblica (era a L'Aquila, ndr), ed è Franco quello che presto avrà il compito di rilevare il testimone al sottoscritto”. Il sottosegretario parla del ministero dell'Ambiente come “strategico per noi”, cioè per la sua squadra. Ecco perché si è partiti da De Bernardinis all'Ispra (che dipende appunto dall'Ambiente). Poi seguiranno gli altri ministeri...



giovedì 28 ottobre 2010

Vorrei avere Gogol (parodia di "Vorrei avere il becco" di Povia ) - TONY TROJA


Il grande Ratzinger - TONY TROJA


Vaffansilvio - TONY TROJA



L'eroica nonnina Annarella che inveisce contro il governo



In Campania la casta cresce sui rifiuti.


Sull'emergenza rifiuti Berlusconi e Bertolaso costruirono la vittoria alle elezioni del 2008. Ma nasconderla sotto il tappeto non è risolvere il problema

Sacchetti ricolmi di immondizia, abbandonati da giorni per strada. Roghi di spazzatura che sprigionano diossina. Rivolte popolari a Terzigno contro l’apertura della seconda discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio, mentre da mesi la prima appesta di puzza il circondario. Scontri tra manifestanti a volto coperto che lanciano molotov e polizia in tenuta antisommossa che manganella senza pietà. Barricate. Feriti. Arresti. Il ritorno di Bertolaso, che significa: nel napoletano c’è di nuovo l’emergenza rifiuti. Ma dall’emergenza non si era mai usciti. Per la felicità di chi ha speculato sull’affare monnezza: politici collusi, amministratori senza scrupoli, consulenti senza competenze, piccole ditte contigue alla criminalità organizzata, grandi imprese in cerca del business facile. Le responsabilità sono tante. E diffuse. Ecco un elenco di nomi e cognomi. Largamente incompleto.

Antonio Bassolino. È il commissario dell’emergenza dal 10 maggio 2000 al febbraio 2004. Gli anni in cui gli impegni assunti nel contratto di gestione del ciclo dei rifiuti con la Fibe-Fisia-Impregilo vanno a rotoli: il contratto verrà rescisso l’anno successivo per inadempienze. In quel periodo si scava un ritardo che non è stato recuperato. L’ex governatore è sotto processo con l’accusa di non essersi accorto che tra il bando di gara e il contratto firmato “saltano” le righe relative all’obbligo immediato per Impregilo di smaltire il cdr (combustibile derivato da rifiuti) in impianti già esistenti, in attesa dell’inceneritore di Acerra che verrà. Così la Campania si intasa di 6 milioni di ecoballe che nessuno vuole bruciare. Quasi tutte abbandonate nel giuglianese. Le discariche si saturano, quelle chiuse perché in odore di camorra non vengono rimpiazzate, gli impianti di cdr funzionano male, la procura ogni tanto ne sequestra uno. Un processo nell’aula
bunker di Poggioreale sta cercando di appurare eventuali responsabilità penali. Ma la prescrizione galoppa velocissima.

Rosa Russo Iervolino. Incensurata e mai indagata, è giusto sottolinearlo. È il sindaco di Napoli da 10 anni. Con un milione di abitanti le percentuali di raccolta differenziata sono imbarazzanti, intorno al 19%. Ottenute tra una girandola di assessori che hanno lasciato poche tracce e meno rimpianti. Lei dice: “Napoli non ha nulla da rimproverarsi per l’emergenza, se Provincia e Regione (a guida Pdl,
ndr) mi finanziassero i progetti che abbiamo pronti, saremmo saliti al 25%”. La legge fissa il minimo al 35. Senza dimenticare che questo territorio vanta il record del più alto numero pro-capite di addetti all’igiene urbana, tra municipalizzate, consorzi, imprese pubbliche e semipubbliche. Sulla questione discariche, il sindaco ha avuto diverse posizioni. A Pianura si schierò dalla parte dei contrari (comunque l’invaso venne sequestrato dalla magistratura). A Chiaiano, invece, disse: “Scelta inevitabile, la meno dolorosa di tutte”. E si è aperta. Di fronte al ricorrere delle emergenze, il sindaco interpreta sempre lo stesso copione: intervenga il governo, noi non possiamo fare di più.

Nicola Cosentino. Sotto indagine per collusioni coi clan che hanno lucrato sull’emergenza spazzatura. Tra le carte dell’inchiesta culminata nell’ordinanza di arresto per camorra (respinta dalla Camera), ce ne sono molte dedicate agli interessi del coordinatore del Pdl campano nella localizzazione delle discariche e degli impianti. Ad esempio, secondo le rivelazioni del pentitoGaetano Vassallo, l’imprenditore “ministro dei rifiuti” del clan Bidognetti, “Cosentino aveva un interesse diretto nella società Eco/4, che avrebbe dovuto realizzare un termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa. Poiché i rapporti interni tra Schiavone e Bidognetti erano mutati, Cosentino e ifratelli Orsi lasciarono il gruppo Bidognetti, passando con Schiavone”. Tenendo fuori Vassallo dal consorzio. L’inchiesta dei pm Milita e Narducci giunge alla conclusione che se pubblicamente l’ex sottosegretario all’Economia dichiarava la sua contrarietà all’inceneritore, privatamente avrebbe brigato per portarlo a compimento. Attraverso un consorzio “controllato” da Cosentino, nel quale, secondo l’accusa, politica e camorra si erano fuse in un
business per realizzare profitti, compiere assunzioni, alimentare clientele, accumulare consenso.

Clemente Mastella. Arpac. È l’acronimo di Agenzia regionale per l’ambiente della Campania. Braccio operativo dell’assessorato regionale, per la tutela delle acque, dell’aria e dei suoli, attraverso analisi, sopralluoghi, azioni di salvaguardia del territorio. Un Arpac ben funzionante potrebbe svolgere un ruolo importantissimo nell’affiancare le istituzioni ad affrontare le emergenze rifiuti e mettere in sicurezza i siti. Ma al tavolo della grande lottizzazione della giunta Bassolino, che a metà degli anni 2000 distribuisce come fette di torta la sanità alla Margherita, i fondi europei ai Ds, il lavoro e il welfare a Rifondazione, Clemente Mastella ottiene per l’Udeur la delega all’Ambiente. E non la mollerà più fino a quando non farà cadere il governo Prodi. Con il partito di Mastella al timone dell’assessorato, sostiene un’inchiesta coordinata dall’aggiunto Francesco Curcio, l’Arpac viene lottizzata minuziosamente. Incarichi di direzione, superconsulenze, ma anche contrattini a tempo determinato, vengono assegnati per appartenenza politica e per sviluppare clientele. I pm mettono sotto inchiesta Mastella e la moglie Sandra Lonardo. E si scopre un file di 655 raccomandazioni: a ogni nome corrisponde un padrino politico. Quali garanzie ha offerto un ente dove compiti così delicati sono stati dati a persone scelte secondo criteri che non sono quelli della competenza? Forse il processo in corso, ora in udienza preliminare (senza Mastella, stralciato), potrebbe darci una risposta.

Alfonso Pecoraro Scanio. Il ministro dell’Ambiente del governo Prodi, che in un’intervista all’
Espresso del 2005 rivelava l’ambizione di diventare il primo premier ecologista d’Italia, da due anni e mezzo è un desaparecido della politica. Si è ritirato a vita privata e fa il docente di Scienze del Turismo alla Bicocca di Milano dopo essere rimasto fuori dal Parlamento. A causa del flop della sinistra, e di una violenta campagna mediatica che ha additato in lui e in Bassolino gli emblemi del fallimento del ciclo dei rifiuti a Napoli. Con l’accusa di essere il campione dell’ambientalismo del no: agli inceneritori, alle discariche, a tutto. Accusa non del tutto fondata. Va però detto che Pecoraro non è esente da responsabilità. Per aver cavalcato le proteste contro il termovalorizzatore di Acerra e contro l’apertura dell’invaso di Valle della Masseria a Serre, senza però riuscire, da ministro, a imporre soluzioni alternative. E accontentandosi di ottenere la testa di Bertolaso, dimessosi nel 2007 da commissario per l’emergenza in seguito ai numerosi scontri con Pecoraro. Rivela un suo ex fedelissimo, un esperto del settore, oggi passato ai vendoliani: “Durante la crisi del 2007 lo tempestavo di e-mail per indicargli proposte e idee, rimedi di breve e lungo periodo. Ignorava gli appelli. Non ha capito che se avesse risolto l’emergenza, camperebbe ancora di rendita”.

PICCOLI DIRIGENTI PER UN GRANDE DISASTRO

Provincia di Napoli. Soluzioni alternative: zero

Fa sorridere che il presidente della Provincia di Napoli si lamenti della provincializzazione del ciclo dei rifiuti e della scarsa solidarietà delle altre Province, che forti di quella legge non vogliono accogliere la monnezza napoletana. Luigi Cesaro, infatti, è anche un deputato del Pdl. Quindi quella legge l’ha voluta anche lui. Poi gli si è ritorta contro. Complici anche le indecisioni della sua amministrazione provinciale. Che si è baloccata per mesi su un documento approvato a maggio, col quale si stabiliva un “no” alla seconda discarica del Parco del Vesuvio in Cava Vitiello. Subordinato, però, alla ricerca di soluzioni alternative. Proprio qui Cesaro ha fallito. Le soluzioni non le ha trovate. Forse non le ha nemmeno cercate, auspicando in cuor suo che la protesta per la seconda discarica non avrebbe superato per intensità quella civile e composta che accompagnò l’apertura della prima. Non ha fatto i conti con l’esasperazione di una popolazione nauseata da mesi di miasmi e spaventata dalle notizie sulle infiltrazioni delle falde acquifere. E quando Cesaro è tornato in aula, ha solo farfugliato qualcosa sull’allargamento di invasi già esistenti e chiusi da tempo. Del suo impegno anti-spazzatura, al momento di concreto c’è solo la creazione della Sepna. È la società provinciale che dovrà gestire in futuro l’intero ciclo. Ha chiamato a guidarla l’ex commissario per l’emergenza Corrado Catenacci, retribuito per il primo anno con 60 mila euro. Lo statuto della società prevede un consiglio di amministrazione di cinque componenti, un direttore generale, un comitato tecnico scientifico, un collegio sindacale. Sono stati affittati gli uffici. Per ora non ha spostato nemmeno un sacchetto, ma la Sepna sta già per diventare un luogo di spartizione di nomine e consulenze.

Provincia di Benevento. Impianti di Cdr col trucco

Aniello Cimitile è un politico, ma ha avuto un ruolo esclusivamente tecnico nell’emergenza rifiuti. E come tale è finito indagato (l’udienza preliminare non è ancora cominciata) – e per un breve periodo agli arresti domiciliari – nell’ambito di una delle diverse indagini sul disastro spazzatura. Il presidente della Provincia di Benevento, del Partito democratico, in qualità di docente di ingegneria informatica dell’Università del Sannio, di cui è stato rettore, ha fatto parte delle commissioni di collaudo dei sette impianti di cdr (combustibile derivato dai rifiuti) realizzati da Fibe spa e Fibe Campania. Impianti che avrebbero dovuto produrre cdr ma dai quali usciva spazzatura “tal quale”. Secondo la procura di Napoli la vicenda è infarcita di progetti esecutivi difformi dagli atti di gara, e impianti realizzati a loro volta in maniera diversa dai progetti esecutivi. L’inchiesta si è conclusa stabilendo che gli impianti di cdr avrebbero lavorato male anche a causa di commissioni di collaudo formate in base a criteri politici e clientelari. Commissioni che ne avrebbero attestato falsamente il buon funzionamento. La procura ha chiesto quindici rinvii a giudizio. Ma l’udienza preliminare non è ancora cominciata, perché per ben tre volte l’ufficiale giudiziario non è riuscito a notificare il provvedimento a Cimitile: risulta sconosciuto al suo indirizzo di residenza, in quel di Pomigliano d’Arco (Napoli).

Da An alla piazza. Le violenze di Pianura

Marco Nonno, consigliere comunale di Napoli, eletto in An, è un duro oppositore dell’amministrazione Iervolino. Ma quando ci fu da lottare contro la riapertura della discarica di Pianura, pezzi di destra e di centrosinistra si saldarono in un’alleanza per stoppare l’annunciato sversamento di rifiuti nell’invaso. Questo almeno sostiene la Dda di Napoli che nell’ottobre del 2008 chiese e ottenne l’arresto di Marco Nonno (libero dal novembre 2009 dopo tredici mesi tra carcere e domiciliari), dell’assessore del Partito democratico Giorgio Nugnes (poi morto suicida) e di altre trentacinque persone coinvolte negli scontri, che durante i primi giorni di quell’anno devastarono il quartiere di Pianura. La magistratura mise nero su bianco l’esistenza “di una regia politico-affaristica che ha fomentato la rivolta contro l’apertura della discarica di Pianura fino a farla trascendere in veri atti di guerriglia urbana”. Il processo è in corso. Le violenze sono sempre ingiustificabili. Ma la paura dei residenti di Pianura era fondata. Lo sversatoio infatti venne sequestrato e non è stato più riaperto. Un’altra inchiesta (che non coinvolge Marco Nonno e gli altri arrestati per le violenze di Pianura) ha accertato che per decenni Pianura ha accolto le scorie tossiche dell’Acna di Cengio (in provincia di Savona) e di altre aziende del Nord, e che la bonifica promessa e finanziata non è mai stata realizzata. Ma in assenza di una correlazione certa tra quei veleni e i casi di morte per tumore accertati nel comprensorio, il pm Stefania Buda ha chiesto l’archiviazione per i reati di omicidio colposo ed epidemia colposa.

Da
il Fatto quotidiano del 27 ottobre 2010