domenica 20 marzo 2011

Rostagno e la coperta di Linus di una generazione con i paraocchi.


L'inchiesta giornalistica de I QUADERNI DE L'ORA fa saltare i nervi ad un gruppo di ex simpatizzanti di Lotta Continua.

Mauro Rostagno, giornalista di RtcNell’Italia mediatica di oggi non c’è niente di più rassicurante e quindi di sicuro -meritevole del timbro della “verità indiscutibile” - di una tesi che mette d’accordo due antichi antagonisti sul palcoscenico della cronaca: le indagini di uno Stato che scopre i colpevoli mafiosi dell’omicidio Rostagno e il coro stonato dei nipotini di una stagione esaltante sul piano delle emozioni, ma fallimentare su quello politico, perché strizzava l’occhio alla violenza e definiva “giustizia” l’omicidio. Rassicurante a tal punto da coprire di insulti il lavoro giornalistico, lo stesso per il quale, secondo questa tesi, è morto Mauro Rostagno.

Quello che colpisce è il livore dei toni e la violenza verbale, ben oltre i confini della diffamazione. Ci hanno definiti "sciacalli","fiancheggiatori" della mafia, hanno chiamato "merda" il nostro lavoro, ci hanno persino accusati di prendere soldi – non si sa bene da chi – per depistare le indagini. Accuse di cui ciascun crociato di questa guerra santa della disinformazione on-line dovra’ – al piu’ presto - rispondere in Tribunale. Tutto questo perche’?

Noi de I Quaderni de L’Ora abbiamo provato semplicemente a mettere in fila dubbi e interrogativi, riproponendo ai nostri lettori un percorso giornalistico a 360 gradi per ricostruire un caso controverso della cronaca con le sue luci ed ombre, con tutte le sue sfaccettature. Non un fatto, un episodio, un verbale, non un solo dato della ricostruzione è stato contestato dal coro di nostalgici indignati: saremmo “depistatori” solo perché osiamo stimolare la riflessione su un movente e su mandanti ancora oscuri, come sostengono, allargando le braccia, gli stessi pubblici ministeri.

Il paradosso e’ che Maddalena Rostagno, figlia di Mauro, e’ tra coloro che gridano ‘’merda’’ contro di noi per l’unica ragione che -dietro l’esecuzione di mafia - ipotizziamo una committenza piu’ alta nell’uccisione di suo padre. In trent’anni di mestiere e’ la prima volta che veniamo accusati dai familiari di una vittima di mafia per aver chiesto luce sui mandanti occulti. E’ come se il padre dell’agente Nino Agostino, che da undici anni non taglia la sua barba per testimoniare la sua aspettativa di giustizia, ci insultasse per aver scritto un articolo che chiede la verita’ completa sulla matrice, non solo mafiosa, dell’uccisione di suo figlio. E’ come se Giovanna Maggiani Chelli, madre di una delle ragazze ferite nella strage dei Georgofili, e presidente dell’associazione familiari delle vittime di quell’eccidio, ci bacchettasse ricorrendo addirittura al turpiloquio per aver posto domande sui committenti ancora misteriosi del tritolo del ’93. Noi rispettiamo il dolore di tutti i parenti di tutte le vittime di mafia, terrorismo, servizi "deviati" e di qualunque agenzia della violenza abbia seminato morte e lutti nel paese, ma non comprendiamo la ratio di questa aggressione violenta e immotivata. Le contumelie, gli insulti, le parolacce non sono certo l’espressione di una divergenza di opinioni – ovviamente legittima, anche se diventa una radicale contrapposizione di idee – serena e democratica.

Ma allora? Di che sono espressione? Perche’ questi toni scomposti? C'e' un'indagine aperta alla Dda di Palermo ancora oggi a caccia del movente e dei retroscena nascosti dell’omicidio Rostagno. Si scava dietro un delitto che riassume, in modo paradigmatico, tutti i misteri di una stagione ancora irrisolta dei rapporti tra mafia, terrorismo e servizi segreti. E' lecito -in assenza di certezze -porsi tutte le domande e i dubbi del caso? Agitare ancora lo striscione con lo slogan “la mafia è una montagna di merda” (azione utilissima negli anni ’70), oggi, nel 2011, può non bastare più e rischia di essere, questo sì, riduttivo e davvero depistante.

Significa non avere compreso struttura ed evoluzione di una Cosa Nostra trasformata, in questi anni, in una “Cosa Nuova”, nelle sue relazioni con apparati dello Stato - come tante indagini sulle stragi hanno portato a galla - individuando l’origine di questa mutazione proprio nella fine degli anni ’80, lo stesso periodo in cui il piombo mafioso ha ucciso Rostagno. Significa, per un giornalismo sensibile alle onde mediatiche diffuse da un’oggettiva saldatura di obiettivi, dimenticare che la prima regola del giornalista è riferire i fatti coltivando i dubbi.

Specie in presenza di un’indagine sui mandanti occulti del delitto Rostagno, che va oltre la mafia, come adesso scrivono anche numerosi colleghi nelle loro cronache. Nessuno mette in dubbio il livello mafioso, nell’ideazione e nell’esecuzione dell’omicidio Rostagno, ma il dubbio che per qualcuno possa trasformarsi in una coperta di Linus che riscalda le coscienze e copre tutti i buchi neri di un passato in cui Mauro fu protagonista, dopo quest’offensiva mediatica di insulti e contumelie, si rafforza.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=39


Due uomini alla moglie di Calcara ''Devi dire a Vincenzo di stare muto''.


La donna minacciata e strattonata davanti casa,nella località segreta dove vive col marito e le figlie. L'episodio denunciato ai carabinieri.

Vincenzo CalcaraL’hanno strattonata afferrandola per il bavero del giubbino. L’hanno sbattuta al muro di casa sua. Poi, ancora più minacciosi, le hanno gridato in faccia. “Devi dirci dov’è Vincenzo o ti facciamo schizzare sangue”. E ancora “ Devi dire a Vincenzo di stare zitto, di stare muto. Sta parlando troppo e non deve parlare più.” Con queste parole due uomini, molto alti e ben vestiti, parlando in dialetto siciliano molto marcato hanno minacciato, strattonandola, la moglie del pentito Vincenzo Calcara, ex pupillo del boss di Castelvetrano Don Ciccio Messina Denaro, poi diventato collaboratore di giustizia.E' accaduto nel nord Italia, nel paesino ai confini con la Francia, dove il pentito vive da anni con la moglie e le figlie, e l'episodio e' stato immediatamente denunciato ai carabinieri. La vittima dell’aggressione si chiama Caterina Durgoni e da diciotto anni è la moglie di Calcara, considerato uno dei “soldati” più promettenti della famiglia mafiosa castelvetranese, al punto che a lui venne affidato l’omicidio di Paolo Borsellino. Ma Calcara si rifiuto' e il 3 dicembre del 1991, si presentò in procura a Marsala chiedendo di parlare proprio con il giudice palermitano. “Dottore Borsellino” – gli disse – “mi hanno incaricato di ucciderla con un fucile di precisione o con un’autobomba.” Borsellino commosso lo abbraccio' e da quel momento inizio' a raccogliere le sue scottanti rivelazioni, che annotava nella sua agenda rossa.

Calcara parlò soprattutto di affari romani, di connessioni tra la Cosa Nostra siciliana e lo Ior di Paul Marcinkus, di rapporti con politici ed alti ufficiali dei Carabinieri. Dalle sue rivelazioni, pero', non e' mai nato alcun processo. Nel 1998 Calcara rinuncio' al programma di protezione, ma non a raccontare le sue verita' a qualsiasi magistrato sia andato ad interrogarlo. A fine dicembre Vincenzo Calcara è tornato per un giorno nella sua Castelvetrano, città sulla quale aleggia ancora oggi il fantasma dell’ultimo padrino, Matteo Messina Denaro, che alcuni vorrebbero addirittura fare sindaco. L’idea era quella di parlare ai giovani della città insieme al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. Al dibattito però di giovani non se ne sono visti. C’era però l’ex sindaco di Castelvetrano Tonino Vaccarino, ex mentore di Matteo Messina Denaro, più volte citato da Calcara nei suoi verbali come reggente della cosca castelvetranese durante le assenze di don Ciccio. Tra i due sono volate parole grosse. "Non e' normale che ad un assassino (cosi' Vaccarino ha definito Calcara, ndr) - ha detto l'ex sindaco - sia consentito di salire sulla cattedra della legalita". “E’ normale – ha ribattuto Calcara - che Vaccarino sia infastidito dalle mie dichiarazioni e voglia distruggere la mia credibilità. Non è normale che gli sia consentito farlo.”

Alla luce delle ultime pesanti minacce alla moglie però, sembra che le dichiarazioni di Calcara diano fastidio anche ad altri. “Quello che è successo a mia moglie è assurdo. Vogliono attaccare l’unica cosa a cui tengo, ovvero la mia famiglia. Vogliono farmi fare marcia indietro su molte cose che ho dichiarato e che potrebbero suggerire una nuova scrittura di certi passaggi della storia italiana”. Ma chi sono quei due signori con un marcato accento siculo che sono riusciti a rintracciare l’abitazione di Calcara, sita ancora oggi in una località segreta? Calcara non ha dubbi “Sono uomini di Matteo, uomini dei servizi deviati, che poi è la stessa cosa. Hanno capito che tutto quello che dico è riscontrabile e vogliono bloccarmi. Non toccano me perché sanno che sarebbe peggio e allora si concentrano sulla mia famiglia, dato che non abbiamo nessun mezzo per difenderci.” Calcara da alcuni anni ha nuovamente richiesto al Ministero di poter entrare nel programma di protezione. Richieste che però sono cadute nel vuoto. “Riconosco di aver fatto un errore a rifiutare lo status di testimone. Adesso però vorrei che almeno la mia famiglia possa essere al sicuro. Mia moglie da oggi è in stato di choc. E’ una situazione difficile ma dal ministero non mi è mai arrivata nessuna risposta. Sanno che il mio bagaglio di conoscenze è pericoloso per molti equilibri. L’impressione è che vogliano isolarmi negandomi la protezione come hanno già fatto con Gaspare Spatuzza.” La settimana prossima Calcara e' invitato a raccontare i dettagli delle sue rivelazioni a Modena insieme al senatore di Italia dei Valori Luigi Li Gotti.

I Quaderni de l'Ora / Ingroia, quella volta a palazzo Chigi...





Il procuratore aggiunto della Dda di Palermo racconta la trasferta del 26 novembre 2002 a Roma per interrogare il premier nell'ambito del processo Dell'Utri, che si stava celebrando a Palermo

Considerazioni.



Beppe Grillo scrive:

Quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, Mussolini almeno lo dichiarò dal balcone di Palazzo Venezia davanti a una folla oceanica. Ci mise, come si dice, la faccia dopo quasi un anno di attesa dall'inizio del conflitto europeo in cui, per starne fuori, si era inventato la "non belligeranza", né guerra, né pace. 71 anni dopo, nel giorno del 150° anniversario dell'Unità, siamo entrati in guerra con la Libia, un nostro ex alleato (in questi voltafaccia abbiamo una certa esperienza...) senza un pubblico dibattito o che Berlusconi o Napolitano sentissero il bisogno di andare in televisione a spiegarne i motivi. La Libia non è l'Afghanistan, con cui pure siamo in guerra senza saperne assolutamente i motivi. E' a due passi dalle nostre coste, è uno Stato che abbiamo riconosciuto fino all'altro ieri in modo plateale e anche cialtronesco. L'Italia ha fornito armi a Gheddafi, come pure molti Stati che ora si apprestano a bombardarla. I nostri interessi economici sono tali che, insieme alla Libia, stiamo costruendo da anni un gigantesco gasdotto, Greenstream, per collegarla all'Europa.
Ci troviamo in guerra e non sappiamo perché. E' vero che gli insorti di Bengasi rischiano di essere passati per le armi, è altrettanto vero che si tratta di una guerra civile, un fatto interno al Paese, in cui l'Italia poteva e doveva porsi come interlocutrice di entrambe le parti, come mediatrice. Il nostro ruolo non è quello di gendarmi del mondo o di reggicoda degli Stati Uniti. Gheddafi è un mostro? Forse. Ma la distruzione della Cecenia è da imputarsi alla Russia di Putin e l'occupazione del Tibet alla Cina di Hu Jintao, ma nessuno ha mosso, né muoverà un dito all'ONU. Nel Darfur è stato massacrato, stuprato, mutilato, un milione di persone nell'indifferenza della Nato. In Africa sono in corso guerre civili e tribali da 50 anni a partire dallo spaventoso genocidio del Ruanda.
Vi ricordate l'attacco a Lampedusa del 1986? Gheddafi lanciò allora due missili Scud contro un'installazione militare statunitense dopo il bombardamento di Tripoli voluto da Reagan. L'unico atto di guerra contro il nostro territorio da parte di uno Stato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quante basi americane ci sono sul nostro territorio? Ognuna è un bersaglio. Frattini ha dichiarato: "Daremo le basi, possibili nostri raid". Lo ha fatto con quell'aria stolida e tranquilla che lo accompagna dalla nascita. Qualcuno ha detto agli italiani che siamo in guerra e un missile libico potrebbe colpire in ogni momento una nostra città?

http://www.beppegrillo.it/2011/03/morire_per_bengasi.html#comments

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Io esprimo il mio pensiero:

Probabilmente Beppe ha ragione quando dice che non saremmo dovuti intervenire in una guerra civile, ma io continuo a credere che fosse un preciso dovere dei paesi confinanti prendere una decisione drastica e muoversi per dare una mano ai ribelli libici.

So bene che ciò significa guerra, so anche che da Gheddafi c'è da aspettarsi di tutto, anche la più turpe ritorsione, ma sono per la libertà di movimento e di pensiero e non riesco ad immaginare un mondo in cui si vive da oppressi.

Già la semi-dittatura che vige in Italia mi infastidisce, mi opprime, figuriamoci come potrebbe essere una non-vita in una dittatura simile a quella libica.

Sarò incosciente, sarò anche poco riflessiva, ma io la penso così.

Sentire che, finalmente, qualcuno si è mosso per fare cessare la carneficina, mi ha rinfrancato, mi ha ridato speranza.

Non si vive di solo pane, si vive, sopratutto, di libertà.

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carmine d9 mi replica:

Per caso hai sentore di quanti morti "civili" ci sono stati dopo aver "liberato" l'Iraq o l'afganistan?

Io rispondo:

No, perchè quella non è stata una "liberazione", e non credo che questa volta vogliano fare lo stesso errore. Un vecchio detto recita: "errando, discitur".
In ogni caso, non si può restare fermi.
La libertà è un bisogno, vale più di ogni cosa al mondo, tutto va sperimentato per ottenerla.
Guai a chi non crede più nella lotta per ottenerla, a qualunque costo!

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La mia considerazione:

Senza libertà, meglio morire!

Io la penso così!


Crisi libica, la testimonianza: “Gheddafi ha ordinato rastrellamenti casa per casa”.


Parla Omar, professionista libica fuggito dal suo paese giovedì scorso. In Italia è arrivato dal Cairo. A ilfattoquotidiano.it racconta l'orrore della repressione ordinata dal rais e che non risparmia nemmeno donne e bambini

“Nonostante i bombardamenti, Gheddafi non prenderà mai Bengasi. Lui è un uomo finito”. Omar (nome di fantasia) è un libero professionista libico. In Italia ci è arrivato giovedì. E’ partito dal Cairo dopo l’inizio dei bombardamenti a Ajdabiyah, città a 160 chilometri da Bengasi. “Siamo partiti in 14 su minibus privati diretti verso il confine egiziano che oggi, con tutta probabilità, è chiuso. Alcuni di noi, tra cui anche donne e bambini, sono rimasti in Egitto, altri sono venuti in Italia o si sono diretti a Beirut. Le milizie non controllavano la frontiera e gli egiziani hanno aiutato i profughi libici facilitando le pratiche burocratiche dei passaporti. C’erano molti volontari disposti a darci una mano”.

Omar era in Libia sin dall’inizio della rivoluzione, ma due giorni fa ha deciso di partire prima che la situazione degenerasse anche a Bengasi, come è accaduto nelle ultime ore. Spiega che l’informazione dei media occidentali è stata carente, che non hanno fornito una copertura esauriente di quanto accadeva a Tripoli. “I giornalisti hanno fatto un uso massiccio delle notizie diramate da Jana, l’agenzia governativa. Certo, è stata data voce anche a denunce e al massacro dei civili, ma le fonti più attendibili erano le forze di opposizione. Non sono d’accordo con chi li chiama ribelli o insorti. Sono soltanto oppositori del regime”. Gheddafi, che Omar definisce “un pazzo visionario, un megalomane che vuole spargere sangue per entrare nella storia”, ha sottoposto il suo popolo a violenze e repressioni durissime. “Da est a ovest del paese ci sono stati rastrellamenti sistematici casa per casa. I primi sono stati a Tripoli dopo il 17 febbraio, giorno della manifestazione ufficiale a Bengasi contro il governo. La Cirenaica è sempre stata contro la dittatura, e per quello è la regione meno sviluppata, senza infrastrutture. Hanno preso tanti giovani, soprattutto attivisti politici. Molti sono spariti, i corpi occultati, e chi è tornato a casa ha dovuto firmare dichiarazioni di fedeltà al regime”.

Gheddafi, che ha definito i suoi concittadini “topi, ratti da stanare”, ha fatto ampio uso di mercenari provenienti principalmente da Niger, Ciad, Algeria, Mauriotania, Gabon e Ghana integrati anche nell’esercito e addestrati per sparare ad altezza d’uomo. “Erano pronti da dieci anni a intervenire”, prosegue Omar. “Gheddafi aveva intessuto rapporti politico-commerciali con i paesi dell’Africa subsahariana da cui ha ingaggiato migliaia di uomini per la sua incolumità. E, oltre a loro, in queste ore ha attaccato Bengasi: un amico mi ha riferito che la sua casa è stata colpita, che i morti nell’ospedale sono oltre 50 e i feriti centinaia. Stamattina hanno bombardato la Croce Rossa e lo stadio, le comunicazioni via cellulare sono possibili soltanto attraverso il satellitare o la connessione a internet via parabola. A Misurata hanno tagliato anche l’acqua e la luce da giorni. Molti civili hanno le case dotate di scantinati che utilizzano come rifugi durante i bombardamenti”.

Nelle ultime settimane i media parlavano di gruppi a sostegno di Gheddafi che erano disposti a difenderlo anche con le armi. “E’ tutto fasullo, nessuno lo vuole più alla guida guida del paese. Sono gli uomini dei suoi apparati quelli che avete visto sui giornali vestiti in abiti civili, gli orfani indottrinati dal regime”. Omar è convinto che con l’intervento internazionale queste siano le ultime ore per il leader che, tuttavia, non è intenzionato ad arrendersi. Il popolo libico è però deluso dal tardivo intervento occidentale, che avrebbe dovuto attaccare già la settimana scorsa, e al temporeggiamento di Berlusconi. “Non c’è odio nei confronti degli italiani, anzi. Ma avremmo preferito parole più nette sin dall’indizio al posto dell’intenzione dichiarata di non interferire, che si è tramutata in indifferenza. Spero che lo prendano vivo, deve essere processato. Troppo comodo se muore”. Il ringraziamento di Omar va ai popoli maghrebini di Tunisia ed Egitto, i primi a insorgere: “Se Ben Ali e Mubarak fossero ancora al potere – conclude Omar – in Libia non sarebbe successo nulla. Tutti volevamo che Gheddafi se ne andasse eppure, in mancanza di alternativa, speravamo che suo figlio Saif Al-Islam ci facesse transitare verso la democrazia. Ma si è rivelato peggiore del padre, meglio averlo saputo prima”.



sabato 19 marzo 2011

Stop agli alimenti provenienti dalla zona vicino alla centrale nucleare.


Tokyo, tracce di radioattività nell'acqua. Livelli
«superiori ai limiti legali» nel latte e nella verdura.

MILANO - Il ministero della Sanitá nipponico ha ordinato lo stop della vendita di alimenti provenienti dalla prefettura di Fukushima. Lo ha annunciato l'Aiea da Vienna, dopo il rilevamento di radioattività in latte e spinaci prodotti nella zona della centrale nucleare. Intanto, come già accaduto nella capitale, «piccolissime quantità di materiale radioattivo» sono state rinvenute nell'acqua potabile di Gunma, la prefettura confinante con Fukushima, secondo quanto riferito dall'agenzia Jiji.

RADIOATTIVITA' - Resta da chiarire come le particelle radioattive abbiano raggiunto l'acqua potabile di Gunma e se provengano dalla centrale nucleare o da ospedali e laboratori. Il governo locale della prefettura ha comunque sostenuto che il livello radioattivo dell'acqua di Gunma è al di sotto dei valori limite. Nonostante i continui tentativi di rassicurazioni da parte del governo giapponese, tracce di iodio radioattivo sono state trovate nell'acqua di rubinetto a Tokyo e in altre aree limitrofe. Lo riferisce l'agenzia Kyodo. Livelli di radioattività «superiori ai limiti legali» sono stati riscontrati nel latte prodotto nei pressi della centrale nucleare di Fukushima e negli spinaci coltivati nella vicina prefettura di Ibaraki. Circa un quinto di quello di una Tac sarebbe quello trovato negli spinaci. Lo ha comunicato il portavoce del governo Yukio Edano precisando che, sebbene i livelli superino i limiti permessi dal governo, i prodotti «non pongono immediato pericolo alla salute». «Sebbene lo iodio radioattivo abbia una durata di circa otto giorni e si decomponga naturalmente in alcune settimane, c'è un rischio a breve termine per la salute umana se viene assorbito attraverso il cibo», si legge in comunicato dell'Agenzia. Per contrastare la contaminazione degli alimenti, le autorità distribuiscono, da tre giorni, pillole o sciroppo di iodio stabilizzato agli abitanti evacuati per un raggio di circa 20 km dalla centrale disastrata. Lo iodio stabilizzato (non radioattivo) serve a prevenire il cancro della tiroide in caso di esposizione a radiottività. Rischio che è particolarmente alto per bambini e giovani.

I vigili del fuoco a lavoro

OPERAI CONTAMINATI - Sei lavoratori dell'impianto nucleare di Fukushima Daiichi impegnati nelle operazioni di emergenza sono stati sottoposti ad un livello eccessivo di radiazioni. Lo comunica una fonte della compagnia Tokyo Electric Power. L'azienda precisa che gli operai stanno comunque continuando a lavorare perchè non mostrano segni evidenti di contagio. Il governo e la protezione civile giapponese hanno dichiarato che circa 50 vigili del fuoco di Tokyo impegnati nella centrale sono stati decontaminati dopo che sono intervenuti, con un'operazione di raffreddamento, sul pericoloso reattore 3 della centrale di Fukushima. Nell'area della centrale nucleare il livello di radioattività rilevato nell'aria è «stabile», ma «significativamente più elevato» del normale. Lo dice l'Aiea, l'agenzia Onu per l'energia atomica, precisando che i livelli non impediscono tuttavia il lavoro dei tecnici che stanno combattendo la crisi. I tecnici sono riusciti a connettere un cavo ad uno dei reattori della centrale di Fukushima 1 danneggiata, ma l'elettricità ancora deve essere ripristinata, secondo la Tokyo Electric Power, la società che gestisce la centrale. In mattinata era stato annunciato che a breve sarebbe stata ripristinata l'elettricità all'interno del sito danneggiato dal terremoto, un passo importante per cercare di far funzionare le pompe di raffreddamento dell'impianto. L'energia elettrica dovrebbe essere ripristinata in giornata per i reattori 1, 2, 5 e 6 e domenica per i reattori 3 e 4. Intanto le autopompe speciali dei vigili del fuoco di Tokyo hanno ripreso a sparare acqua sul reattore numero 3. Solo nella giornata di venerdì sull'impianto nucleare sono state gettate 50 tonnellate di acqua marina.

Lo tsunami in alto mare

Il governo giapponese ha detto che parti dei sistemi di raffreddamento dei reattori 2 e 6 della centrale nucleare di Fukushima Daiichi sono funzionanti. L'agenzia per la sicurezza nucleare e industriale ha confermato che un generatore diesel di emergenza ha ripreso a funzionare al reattore 6 e una pompa di raffreddamento al reattore 5 è in grado di funzionare. L'agenzia ha detto inoltre che i livelli di radiazioni al cancello occidentale della centrale nucleare, che si trova a circa un chilometro dal reattore numero 3, ha fatto registrare la lettura piuttosto alta di 830.8 microsievert all'ora alle 8.10 di questa mattina (00.10 ora italiana). Ma il livello è diminuito fino a 364.5 microsievert all'ora alle 9. La notizia si apprende dall'emittente televisiva giapponese Nhk World.

VOLI - Nessuna restrizione per i collegamenti aerei da e per il Giappone. Lo sottolinea la Iata, l'associazione internazionale del trasporto aereo, che, in una nota, accoglie con favore la decisione dell'Icao (l'organizzazione internazionale dell'aviazioni civile), dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, l'Organizzazione mondiale della Sanitá, l'Organizzazione marittima internazionale e l'Organizzazione meteorologica mondiale di confermare la normale operatività nei maggiori aeroporti giapponesi, inclusi i due scali di Tokyo Haneda e Narita.

Migliaia di corpi non identificati

ASSESTAMENTO - Una nuova scossa di assestamento, di magnitudo 6,1 gradi della scala Richter, è stata avertita alle 18.30 locali, con epicentro vicino a Ibaraki. La scossa non ha danneggiato le strutture nucleari di Ibarak. Potrebbe invece causare variazioni del livello del mare, avverte la stessa fonte sull'agenzia Kyoso, ma non tali da causare nuovi danni. In tanto si registrano le variazioni ala suolo terreste causate dalla scossa di magnitudo 9 dell'11 marzo. Secondo i dati forniti dall'Autorità di informazione geospaziale giapponese a Tsukuba ha causato uno spostamento di 5,3 metri della penisola di Oshika, nella prefettura di Miyagi. La stessa striscia di terra è scesa di 1,2 metri. La penisola situata sulla costa Pacifica si è spostata in direzione est-sudest, verso l'epicentro della scossa. Spostamenti di fasce di territorio sono stati registrati in molte zone, dalla regione nordorientale di Tohoku a quella di Kantu. A Yamada, nella prefettura di Iwate, si è registrato uno spostamento di 25 centimetri verso est.

http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_19/fukushuima-energia-centrale_b4cbe6e8-51f9-11e0-a034-1db210fa1eaf.shtml



Lino Guzzella a Woodstock - Rifugio montano intelligente