domenica 23 ottobre 2011

Crisi, ultimatum europeo all’Italia e al premier: “Aspettiamo risposte entro 3 giorni”.


Sarkozy freddo verso Berlusconi: "Fiducia in lui? Nelle istituzioni italiane". E mette sullo stesso piano Roma e Atene. Merkel: "Abbiamo fatto presente che serve senso di responsabilità sulle misure di debito e crescita".
”Io e la cancelliera Merkel abbiamo incontrato Berlusconi e Papandreou per ricordargli le responsabilità che hanno e le decisioni che devono prendere”: lo ha detto il presidente francese Nicolas Sarkozy durante la conferenza stampa al termine del vertice dei 27 Capi di Stato dell’Unione Europea a Bruxelles. E le risposte da parte dell’Italia devono arrivare “entro mercoledì”, ha puntualizzato il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy.

Sarkozy, insieme alla cancelliera Angela Merkel, ha illustrato i lavori svolti e i risultati raggiunti. I due hanno sottolineato come la Spagna sia “uscita dalla prima linea”, mentre per la prima volta l’Italia è stata messa sullo stesso piano della Grecia.

“All’Italia abbiamo ricordato che è importante fare tutto il necessario per mostrare senso di responsabilità, prendendo provvedimenti sia sul fronte del debito che su quello della crescita”, ha detto Merkel sostenendo di essere fiduciosa al termine dell’incontro con il Cavaliere. Di altro avviso è apparso Sarkozy. Alla domanda se si sente rassicurato da Berlusconi, il presidente francese ha volto lo sguardo ad Angela Merkel poi, dopo un profondo respiro, ha risposto ai giornalisti: “Siamo stati fino adesso nella stessa riunione. Abbiamo fiducia nel senso di responsabilità dell’insieme delle istituzioni, sociali, politiche e economiche italiane. Abbiamo fiducia nell’insieme delle autorità italiane, nelle istituzioni politiche, economiche e finanziarie del paese”.

Insomma l’Italia è stata bocciata. E addirittura messa sul medesimo piano della Grecia. Eppure Berlusconi stamani si era detto più che sereno. “Ma che domande mi fate?”, aveva ribattuto quasi scandalizzato a chi gli chiedeva un pronostico sull’esame che l’Ue si accingeva a fare all’Italia e ai suoi conti pubblici, alle sue strategie per fronteggiare la crisi internazionale. Il presidente del Consiglio, lasciando il Conrad per recarsi all’incontro con Van Rompuy e Barroso, conferma il suo ottimismo: “Ma certo – dice ai cronisti – io non sono mai stato bocciato in vita mia“.


Usa, Bon Jovi filantropo: apre ristorante per poveri.



I prezzi non sono riportati nel menu. Non si tratta di una mensa ma di un ristorante per la comunità: chi può paga, altrimenti aiuta in sala, oppure in cucina. E' Soul Kitchen il locale aperto dal frontman dei Bon Jovi a Red Bank, vicino alla sua città di origine, Sayreville (New Jersey). Il 'community restaurant' per i meno abbienti, dove lavorano solo volontari, è gestito dalla rockstar insieme alla moglie, in nome del buon cibo alla portata di tutti.


http://tv.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/usa-bon-jovi-filantropo-apre-ristorante-per-poveri/78958/77348?ref=HREV-2

Motogp: è morto Marco Simoncelli (il video) “Era il cuore della Romagna da corsa”




Cade in pista in Malesia e viene investito dalle moto di Edwards e del suo grande amico Valentino Rossi: un'ora di black out, poi l'annuncio della morte
E’ morto a 24 anni su una pista, quella della Malesia, che lo aveva incoronato ufficialmente campione. Marco Simoncelli se n’è andato mentre correva il suo gran premio, è morto da bandiera della Romagna da corsa, la terra che lo ha visto crescere e lo ha accompagnato fino al podio. Alcuni bar di Cattolica, paese di origine del pilota, dove stavano trasmettendo il gran premio, hanno preferito chiudere, abbassare la saracinesca in segno di lutto, anche per pochi minuti. Uno choc, la morte di Simoncelli, dicono. “Era la nostra bandiera, e non è giusto morire così a 24 anni”, dicono gli amici. “Diranno che le persone muoiono di lavoro, muoiono di fame, di guerre e drammi. Lo sappiamo che diranno tutto questo. Ed è tutto vero. Ma lui era uno sportivo, riusciva a farci sognare, questa era il suo mestiere. Ci regalava emozioni”.

Il pilota italiano della Honda è stato letteralmente investito da Colin Edwards e daValentino Rossi, che non è caduto. Nel fortissimo impatto Simoncelli ha perso il casco ed è rimasto a terra immobile riverso in pista. Probabilmente è morto sul colpo.

Il pilota 24enne è stato immediatamente portato al centro medico della pista. ma la notizia della morte è stata comunicata in maniera ufficiale soltanto dopo un’ora.

Non è ancora ben chiara la dinamica dell’incidente: dalle immagini si vede Simoncelli tagliare una curva in modo innaturale, probabilmente dopo aver perso aderenza. Cadendo il pilota italiano ha perso il casco, mentre due moto che lo seguivano gli sono passate sopra. Una era quella di Edwards, l’altra quella di Rossi, che ora ai box è molto scosso. Il pluri-iridato era un grande amico di Simoncelli.

Si era capito subito, che sui stava consumando un dramma, anche se tutti ai box cercavano di negare l’evidenza e di restare aggrappati alla speranza. “Simoncelli è arrivato già in arresto cardiocircolatorio, e ha un vistoso segno di una ruota sul collo. Stiamo cercando di rianimarlo ma è molto difficile”, aveva detto il dottor Giuseppe Russo, uno dei componenti dello staff medico del Motomondiale. Parole che lasciavano ben poche speranze per la vita del pilota di Cattolica.
”E’ una bruttissima giornata per tutti noi, Marco l’ho visto cadere, con la sua moto che andava verso l’interno e le altre che lo colpivano”. Cosi’ il pilota della Ducati Nick Hayden commenta la morte di Simoncelli. ”All’uscita di una curva gli è scappato il treno posteriore – dice ancora un Hayden visibilmente scosso – e probabilmente ha cercato di controbilanciare la moto e non ce l’ha fatta. Quando si è uno sopra l’altro c’è poco da fare”. ”Sento un dolore molto forte – sottolinea l’americano, ex campione del mondo -: in pista siamo tutti fratelli e facciamo parte della stessa famiglia. Marco ci mancherà tantissimo, era un ragazzo molto simpatico ed ora non so cos’altro dire, solo che possa riposare in pace. Sono vicino alla sua famiglia: in momento come questo bisogna esser forti”.

Marco Simoncelli comincia a correre a 7 anni sulla pista delle minimoto a Cattolica; a 12 anni è proclamato campione italiano, così come nel 2000, anno nel quale gareggia per il titolo europeo conquistando la 2° posizione. A 14 anni prende parte al Trofeo Honda NR (sale in 2 occasioni sul podio) e al campionato italiano 125 GP.

Nel 2002 è campione europeo classe 125cc e lo stesso anno, dopo un buon apprendistato a livello nazionale ed europeo, debutta nel Motomondiale 125cc come wild card e conquista la 13° posizione all’Estoril.

Il 2003 lo vede impegnato per la prima stagione completa del Campionato del Mondo e conclude 6 gare in zona punti, tra le quali spicca la 4° posizione ottenuta a Valencia in una gara molto combattuta.

Il 2004 è per lui un’annata difficile e gli riserva sensazioni contrastanti. La sua capacità di gestire al meglio la moto sul bagnato gli permette di trionfare a Jerez – dove firma pole e vittoria nonostante l’insidioso tracciato, letteralmente inondato dalla pioggia – e di confermarsi specialista sul bagnato a Brno, dove guadagna la pole in una sessione di qualificazione accompagnata da condizioni critiche. Ma è un’annata segnata anche da cadute e inconvenienti, che non gli permettono di superare l’11° posizione della classifica generale.

Il team NoCable.it Race lo ingaggia per il 2005, sperando di vederlo sempre tra i primi della classe.(motogp.com). Vince un altro gran premio a Jerez, il suo circuito preferito, e sale in tutto sei volte sul podio, ma pur lottando sempre per le posizioni di vertice, esce dalla lotta per il mondiale già a metà stagione, poiché ormai fatica ad adattarsi alla sua Aprilia 125 visto la notevole altezza (è uno dei piloti più alti di sempre nelle moto e pesa 72 kg), ma chiude comunque al quinto posto. La stagione successiva passa in 250, alla guida della Gilera.

Nel 2008, Marco Simoncelli in sella alla Gilera del Team Metis si è laureato Campione del Mondo della classe 250 al termine di una gara resa durissima dal caldo torrido con il terzo posto sulcircuito malese di Sepang. Lo stesso circuito dove è morto poche ore fa.

Proprio la settimana scorsa, in Australia, il suo migliore risultato, 2°, con la speranza di migliorarsi ancora, forte anche della rinnovata fiducia che la Honda gli accorda per il 2012, quando aveva strappato un contratto da ufficiale, sempre con il team Gresini. Aperto, sorridente, gioviale, un pilota disponibilissimo con tutti, Marco lascia il papà Paolo, che lo seguiva sulle piste, la mammaRossella, l’adorata sorellina Martina, la fidanzata Kate e un grande vuoto. Ma lascia un grande vuoto nel cuore di tutta la Romagna veloce, quello che da tempo lo aveva nominato l’erede di Valentino Rossi. Quello che avrebbe fatto sognare gli appassionati di motomondiale.

Cave nanum. - di Marco Travaglio



C’è un che di geniale nell’autodifesa di Er Pelliccia, arrestato per lancio di estintore alla manifestazione di sabato: “Volevo spegnere l’incendio di un cassonetto”. In effetti a che servono gli estintori? Il fatto che poi uno, anzichè azionarli per spruzzarne il liquido ignifugo, li lanci contro l’oggetto incendiato, è un dettaglio. Dietro la rocciosa linea difensiva di Er Pelliccia s’intravede lo zampino di uno degli avvocati del premier: un Ghedini, un Longo, un Paniz. Si deve infatti a questi principi del foro se B., sorpreso a finanziare una prostituta minorenne, s’è difeso dicendo: “La pagavo perchè non si prostituisse”. O se, beccato a telefonare in questura per farla rilasciare dopo un fermo per furto, ha dichiarato: “Per forza, è la nipote di Mubarak”. E se la sua maggioranza alla Camera e poi al Senato ha certificato unanime la sua credibilissima versione.

Ora, delle due l’una: o il premier, i suoi avvocati e parlamentari sono dei dementi assoluti, convinti di trovare un giudice disposto a credere alle baggianate che dicono, e allora nemmeno Er Pelliccia può sperare di esser assolto per aver cercato di domare l’incendio; oppure sono dei geni incompresi (almeno da noi), e allora i processi a B. per Ruby e al Pelliccia per l’estintore finiranno trionfalmente in assoluzione. Ci sarebbe pure una terza ipotesi: che certe boiate vengano credute solo se l’imputato è un politico. Ma non vogliamo nemmeno pensarci: significherebbe che l’art. 3 della Costituzione è stato abrogato a nostra insaputa. A questo proposito: Er Pelliccia che spegne incendi lanciando estintori è un filino più credibile di Scajola che compra casa ma gliela paga un altro senza dirgli niente; o di Minzolini che spende 65mila euro per fatti suoi con la carta di credito Rai e poi dice: “Sono innocente: ho restituito i soldi all’azienda” (come se un topo d’appartamenti potesse cavarsela restituendo la refurtiva e sostenendo che dunque non ha rubato). Si spera vivamente che i giudici di Roma, se condanneranno Er Pelliccia, facciano altrettanto con Scajola e Minzolingua. Altrimenti qualcuno potrebbe pensare che la legge è più uguale per qualcuno. Idem per D’Alema:viaggia sei volte gratis sul jet di un impreditore che finanzia la sua fondazione e paga tangenti al suo defelissimo Morichini. I pm lo indagano per illecito finanziamento (ogni volo a scrocco vale 6mila euro), ma lui fa il vago:“Pensavo pagasse Morichini”. E certo: uno s’imbarca su un aereo senza biglietto e non s’informa su chi paga.

Poi c’è Alemanno, che pare incredibile ma è il sindaco di Roma. Venerdì piove tre ore: càpita, specie in autunno. Ma lui non se l’aspetta, così non fa pulire i tombini, alcuni quartieri paiono Atlantide e ci scappa pure il morto. Lui, anzichè andarsi a nascondere, chiede lo stato di calamità e se la prende con la Protezione civile: “Non ha lanciato l’allarme meteo”. Da giorni le previsioni del tempo davano pioggia per venerdì. Ma a sua insaputa: lui, essendo solo il sindaco, scambia la Protezione civile per il servizio meteo. Poi c’è Bossi: a Bankitalia voleva Grilli. Ma non perchè è bravo: perchè “è nato a Milano”. Gli avessero proposto Vallanzasca, che è nato a Milano e con le banche se la cava benino, avrebbe accettato. Poi c’è ancora B.: ammazzano Gheddafi, che lui ha prima baciato e poi bombardato, e si rifugia nel latinorum per dire qualcosa senza dire niente: “Sic transit gloria mundi”. Come Totò e Macario ne “Il monaco di Monza”, che biascicano giaculatorie a base di “cave canem” e “linoleum”, poi partono con le orazioni: “Tony Curtis… ora pro nobis… Kurt Jurgens… ora pro nobis… Sophia Loren… ora pro nobis… Brigitte Bardot… Bardot…”. Aveva anche pensato di commentare: “Baciavo Gheddafi perchè non facesse il tiranno”, o “non ci ho messo la lingua”, o “l’ho scambiato per un’Olgettina”, o “non era un bacio,ma un morso”, o “il bacio è un apostrofo rosa tra le parole ‘ti’ e ‘sparo’”. Ma era troppo rischioso. Molto meglio linoleum.





http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/22/c%E2%80%99e-un-che-di-geniale-nell%E2%80%99autodifesa-di-er/165623/

sabato 22 ottobre 2011

QUATTRO BANCHE HANNO IL 95,9% DEI DERIVATI USA.



UNA BOMBA A OROLOGERIA DA 600 TRILIONI DI DOLLARI PRONTA A ESPLODERE
DI KEITH FITZ-GERALD
Global Research

Volete sapere le vere ragioni per cui le banche non stanno prestando e per cui i PIIGS hanno ancora il controllo della situazione?
Perché il rischio del mercato dei derivati da 600 trilioni di dollari di derivati non si è ancora materializzato. Al contrario, si sta sempre più concentrando in una serie di banche selezionati, specialmente qui negli Stati Uniti.

Nel 2009 cinque banche detenevano l’80% dei derivati dell’America. Ora, solo quattro ne hanno uno sbalorditivo 95,9 per cento, secondo un recente resoconto dell’ Office of the Currency Comptroller.
Le quattro banche in questione sono: JPMorgan Chase & Co. (NYSE: JPM), Citigroup Inc. (NYSE: C), Bank of America Corp. (NYSE: BAC) e Goldman Sachs Group Inc. (NYSE: GS).
I derivati hanno giovato un ruolo cruciale nell’affossare l’economia globale, quindi si potrebbe pensare che i più importanti decisori mondiali abbiano imbrigliato tutto ciò, ma non lo hanno fatto.
Invece di attaccare il problema, i controllori lo hanno lasciato andare fuori controllo e il risultato è una bomba a orologeria da 600 trilioni di dollari, chiamata il mercato dei derivati.
Pensate che io stia esagerando?
Si stima che il valore di facciata dei derivati mondiali sia superiore ai 600 trilioni di dollari. Il valore di facciata, naturalmente, è il valore totale degli asset scambiati con la leva finanziaria. Questa distinzione è necessaria, perché quando si parla di asset in leverage come le opzioni e i derivati, una piccola somma di denaro può controllare una posizione spropositatamente larga che può essere 5, 10, 30, o in qualche caso estremo 100 volte maggiore dell’investimento che potrebbe essere utilizzato in strumenti a pronti.
Il PIL mondiale è circa 65 trilioni di dollari, o circa il 10,83% del valore globale del mercato dei derivati, in base all’Economist. E quindi non ci sono in pratica abbastanza soldi sul pianeta per fermare gli scambi tra le banche di questi strumenti se dovessero finire nei guai.

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Paragone vs. Stracquadanio: rissa in studio. Byoblu vs Corruzione a L'Ultima Parola

Sei anni fa era un’azienda in salute oggi la Rai ha le casse semivuote. - di Carlo Tecce




A causa dei ritardi del Tesoro nel versare i soldi raccolti con l'abbonamento, le casse di via Mazzini sono vuote: a dicembre rischio blocco per tredicesima, stipendi e pagamenti ai fornitori.
Il palazzo della Rai a viale Mazzini
Non è un programma d’informazione domestica, ma l’ultima deriva di viale Mazzini: persino per la Rai è una fatica arrivare a fine mese. Non bastano 2,5 miliardi di euro l’anno fra canone e pubblicità. Non bastano fidi bancari che sfiorano 700 milioni di euro. Non bastano piani industriali che nascondono licenziamenti. E dicembre fa paura: c’è il rischio che l’azienda possa bloccare le tredicesime, forse pure gli stipendi, e tanti auguri ai 13 mila dipendenti. Nemmeno un euro, poi, per i fornitori che, ormai senza pazienza, aspettano i pagamenti.

La cassa è vuota, strangolata dai ritardi del Tesoro nel versare il malloppo pubblico, 1,6 miliardi di euro raccolti con l’abbonamento: consumata la metà, mancano 800 milioni. A settembre avevano promesso 400 milioni, poi rinviati in tre comode rate a ottobre; adesso per l’assegno finale di 400 milioni dicono dicembre: se slittano di due settimane, addio retribuzioni (un macigno da 80 milioni di euro al mese). La Rai ripara il pallone sgonfio con cuciture improvvisate. Più passa il tempo, più il buco s’allarga. Ecco, l’ennesimo palliativo: un prestito di 80 milioni di euro per gentile concessione di Bei, la Banca europea per gli investimenti. La rete per diffondere il segnale del servizio pubblico – antenne, piloni, ferro – è l’unica proprietà di viale Mazzini.

Dilapidato il patrimonio culturale, povero di contenuti e ricco di contenitori, l’azienda mostra le strutture di Raiway con l’illusione di chi, finito in disgrazia, cerca di salvarsi svendendo l’eredità. Raiway vale un miliardo di euro, estrema garanzia per chiedere o trovare soldi. Alessandro Penati, economista della Cattolica, intravede nuvoloni minacciosi su viale Mazzini: “Quando sei disposto a cedere il bene più solido e prezioso, significa che sei in corsa verso il fallimento e cerchi di mascherare il debito. La Rai può smobilitare Raiway, ma poi deve noleggiare le frequenze per andare in onda oppure vogliono chiudere le televisioni?”.

Nel bilancio 2011 i debiti consolidati superano i 350 milioni di euro. Il peggio è dietro l’angolo: nel 2012, per resistere sul mercato, la Rai deve comprare i diritti per le Olimpiadi e l’Europeo di calcio, una botta di 140 milioni di euro. Dove cercare 140 milioni di euro senza aumentare i 350 milioni di esposizione bancaria? Non con la pubblicità. La concessionaria Sipra ha raccolto 980 milioni di euro (50 in meno che nel 2010), e le previsioni sono pessime: “L’anno prossimo dovremo fronteggiare il calo di ascolti e la prevedibile crisi finanziaria, qualsiasi stima è troppo ottimistica”, spiegano fonti qualificate di Sipra. Dicembre sarà il primo esame di stabilità, ancora più dura sarà tra gennaio e marzo. Senza canone e senza tesoretti.

Sei anni fa, mica nel dopoguerra, la Rai era un’azienda sana. Il passaggio al digitale terrestre, una manna per Mediaset e una condanna per viale Mazzini, è costato 500 milioni di euro, soltanto il governo Prodi ha contribuito con 58 milioni di euro, Silvio Berlusconi ha pensato bene di non aggiungere. In Gran Bretagna per assorbire le nuove spese, la Bbc ha aumentato il canone di 20 sterline. Qui scherzano con le diffide: il Consiglio di amministrazione ha intimato al ministero dello Sviluppo di pagare 1,3 miliardi di euro per onorare il contratto di servizio (quel documento che giustifica la tassa chiamata canone, che però non copre i costi di quelle trasmissioni qualificate come “servizio pubblico”). Sai che paura, avrà detto il ministro Paolo Romani.

Senza sparare cifre colossali, seppur legittime, la Rai poteva confermare l’accordo con Sky per trasmettere sul satellite, 350 milioni di euro in 7 anni sdegnosamente rifiutati dall’ex direttore generale, Mauro Masi. Bellissimi quei 13 canali di offerta gratuita, anche inutili però: nessun inserzionista sgomita per piazzare un prodotto a Rai 5 o Rai Gulp. Guai a toccare l’appalto, ogni anno benedetto: 224 milioni di euro per società esterne, 200 milioni per le serie televisive; profumati contanti per imprenditori che vengono, incassano e salutano, che sia un successo o un disastro. Dentro, il nulla: “La Rai si costruisce fuori, non nei suoi studi – commenta il professor Penati – . Non può vantare una scuola per sceneggiature o varietà, né marchi né autori. Logico che finisci con i creditori che ti circondano, e devi tranquillizzarli subito perché altrimenti sei spacciato. Mi ricorda un po’ la logica del San Raffaele di Milano che rinviava i pagamenti ai fornitori, fin quando ha portato i libri contabili in tribunale”. La soluzione non è vendere: “Chi acquista un’automobile vecchia e rotta con pochi pregi e tanti difetti? La Rai ha due strade: o taglia i costi del 30 per cento o morirà per rinascere male come Alitalia con i soliti salvatori della patria”. E i cittadini costretti a svenarsi ancora.