Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 14 luglio 2012
Incendio minaccia montagne in zona ovest di Palermo. Rischio per alcuni centri abitati.
A quasi 24 ore non è stato ancora domato l'incendio che sta assediando la periferia ovest di Palermo, dalla collina di Borgo Nuovo fino a San Martino delle Scale.
Emergono nel frattempo alcuni particolari: le fiamme sarebbero partite da via dei villini e appiccate da un piromane. Indagini sono in corso. In zona erano stati segnalati mucchi di immondizia non ritirata. Ed è probabile che proprio una di quelle piccole discariche a cielo aperto sia stata incendiata. Il vento che soffiava ieri ha fatto il resto, propagando il fuoco nelle vicine campagne. Via Bronte, passata agli onori della cronaca qualche mese fa per una pantera in libertà mai trovata, ha subito ieri pomeriggio altri attimi di terrore, quando i vigili del fuoco hanno dovuto far evacuare diversi appartamenti e alcune ville. L'allarme si è poi trasferito in via Falconara. Corpo forestale e pompieri hanno dovuto faticare per evitare che il rogo colpisse le auto in sosta in un residence in zona e nelle case che erano però già state fatte sgomberare per sicurezza.
Alle 14 di ieri il corpo forestale, mentre i vigili del fuoco avevano difficoltà a spegnere le fiamme che minacciavano i ripetitori di Pizzo Eremita, ha chiesto l'intervento dei canadair della Protezione civile. Ma soltanto alle 18 ne è arrivato solo uno che ha garantito una portata di acqua prelevata dal mare di 6000 litri, insieme a due elicotteri della Regione Siciliana, dotati di recipienti da 400 litri. I pochi mezzi hanno però lavorato fino a quando la luce era sufficiente per farlo. Col buio l'incendio ha mostrato ai palermitani il suo vasto pericolo. Una serpentina lunga diversi chilometri, non distante da strade e palazzi. Tutta la notte i vigili del fuoco hanno lavorato a circoscrivere le fiamme. La cava Serafinello a Boccadifalco è rimasta aperta tutta la notte. Da lì agenti del corpo forestale hanno vegliato sul fuoco per controllare che non deviasse verso i centri abitati. Lo stesso è stato fatto nelle strade vicine ai focolai.
Stamani alle 7 sono tornati i mezzi aerei. L'allarme è ancora alto. La speranza è che non si alzi il vento. Intanto migliaia di ettari di vegetazione stanno inesorabilmente andando in fumo.
http://www.palermoreport.it/notizie/incendio
venerdì 13 luglio 2012
Vasto incendio a Monte Cuccio sopra Palermo.
Il rogo alimentato dalle altissime temperature di queste ore e dal forte vento di scirocco ha interessato la zona vicina al centro abitato di Baida. (rep)
Ancora non sono riusciti a domarlo.
Guerra ai siciliani con i droni di Sigonella. - Antonio Mazzeo
Un carosello in cielo, giù c’è Catania, il blu dello Ionio, l’Etna nera con il cocuzzolo perennemente innevato. Due, cinque, otto, dieci interminabili minuti, l’aereo che oscilla, vibra, scende, risale. E il cuore che accelera. Paura di volare? Mai. Ma perché ci sta tanto ad atterrare? E che cavolo! ogni volta la stessa storia. Arrivi in orario ma poi ti fanno girare per mezz’ora su Fontanarossa. E sudi freddo, senti una strana pressione sullo stomaco. Quasi sempre non ti dicono nulla. Non ti spiegano perché. Domenica all’una invece, sul Pisa-Catania, il comandante annuncia che straremo in aria un po’ sino a quando la torre di controllo non ci autorizzerà all’atterraggio. C’è un intenso traffico aereo militare sullo scalo di Sigonella.
Cazzo, ‘sti americani giocano alla guerra perfino all’ora di pranzo e nel giorno del Signore, sdrammatizza il vicino di poltrona già superabbronzato. Beh, sempre meglio di quanto è accaduto a mio zio la scorsa estate. Veniva da Venezia e gli hanno dirottato all’ultimo l’aereo a Punta Raisi. Allora c’erano i war games degli yankees e della NATO, gli ultimi fuochi sulla Libia da liberare. Le spregiudicate manovre dei famigerati aerei senza pilota, gli UAV-spia Global Hawk e iPredator stracarichi di missili e bombe a guida laser.
Da due anni il terzo aeroporto d’Italia come volume di traffico, oltre sei milioni e mezzo di passeggeri l’anno, è asservito alla dronomania della Marina e dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti d’America. Atterraggi e decolli ritardati, le attività sospese in pista e nelle piattaforme, timetable che per effetto domino impazziscono in tutto il Continente, gli imprevisti e faticosi dirottamenti su Palermo. Volare da o su Catania vuol dire disagi che si sommano ai disagi, nuovi pericoli che si aggiungono a quelli vecchi. In futuro sarà peggio. Entro il 2015, la grande stazione aeronavale di Sigonella sarà consacrata capitale mondiale degli aerei senza pilota e ospiterà sino a venti Global Hawk e sciami di droni d’attacco e di morte. E Fontanarossa sarà soffocata, imprigionata, asservita alla guerra.
“Sì, il traffico civile subisce certe riduzioni e interferenze per l’attività militare del vicino scalo di Sigonella”, ammetteGaetano Mancini, presidente della Sac, la società che gestisce l’aeroporto etneo. “Tutto però è sotto controllo e mai ci sono stati problemi per la sicurezza dei passeggeri. Negli ultimi mesi la situazione si è poi fatta sicuramente meno pesante”. L’ordine di scuderia è tranquillizzare ed evitare allarmismi. Eppure dall’8 marzo di quest’anno a Fontanarossa sono state sospese tutte le procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aeromobili, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, gli aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e alleate, come specificato da una nota ai piloti di aeromobili (NOTAM) emessa dalle autorità preposte al controllo del traffico. Le limitazioni dovevano durare sino allo scorso 5 giugno, ma un giorno prima della scadenza dei termini, tre NOTAM distinti dai codici B4048, B4049 e B4050 hanno prorogato la sospensione delle procedure standard sino al prossimo 1 settembre. Anche stavolta il transito dei voli civili, in piena stagione estiva, sarà subordinato alle evoluzioni dei droni. Semaforo giallo anche per i cacciabombardieri e gli aerei radar e da trasporto uomini e mezzi delle forze armate. Un altro avviso, codice M3066/12, ha ordinato infatti la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, anche stavolta per le attività degliUnmanned Aircraft.
La Sicilia trampolino bellico si trasforma in laboratorio sperimentale del piano di iper-liberalizzare lo spazio aereo alle scorribande degli aerei senza pilota. La sicurezza delle popolazioni e dei passeggeri sacrificata all’altare degli interessi economici del complesso militare industriale USA. In Europa e aldilà dell’Atlantico, governi e organismi internazionali sembrano impotenti di fronte all’intollerabile pressing dei produttori di droni. Il business è enorme: secondo gli analisti economici, nei prossimi dieci anni la spesa annua per i sistemi senza pilota crescerà da 6,6 ad 11,4 miliardi di dollari e ci sarà pure un’ampia espansione anche in ambito civile. Solo in riferimento alla tipologia degli UAV ospitati pure a Sigonella (gli RQ-4 Global Hawk, gli MQ-9 Reaper e gli MQ-1 Predator), il Pentagono vuole portarli dagli attuali 340 a 650 nel 2021. Ognuno di essi ha costi insostenibili. Ogni falco globale di US Air Force, quello più vecchio, costa 50 milioni di dollari (in Sicilia ce ne saranno presto cinque). Gli altri cinque UAV previsti per Sigonella con il programma Allied Ground Surveillance (AGS) di sorveglianza terrestre della NATO, costeranno complessivamente 1,7 miliardi di dollari. Spesa record di 233 milioni a drone per la versione Global Hawk acquistata dalla Marina USA nell’ambito del programma Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) che vedrà ancora la Sicilia piattaforma avanzata per i raid in Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico.
Due anni fa, senza che sia stato ancora disciplinato l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo europeo, l’Aeronautica militare e l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) hanno siglato un accordo tecnico per consentire l’impiego dei Global Hawk di Sigonella nell’ambito di spazi aerei “determinati” (terminologia del tutto nuova rispetto a quella in uso nei NOTAM dove gli spazi sono proibiti, pericolosi o limitati). In linea teorica si annuncia l’adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto sulle attività aeree civili” e “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se poi si ammette che per le operazioni “connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato”, l’impiego dei droni non sarà sottoposto a limitazioni di alcun genere. Nel Mediterraneo cronicamente in fiamme è come dare illimitata libertà di azione ai falchi globali e ai predatori del cielo e del mare.
“I velivoli telecomandati rappresentano un rischio insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio”, denunciano gli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “Negli Stati Uniti d’America il tasso degli incidenti agli aerei senza pilota è nettamente superiore a quello dell’aviazione generale e di quella commerciale, come più volte sottolineato dalla Federal Aviation Administration, l’amministrazione responsabile per la gestione delle attività nello spazio aereo nazionale”. Il 15 luglio 2010, durante un’audizione alla Commissione per la sicurezza pubblica interna del Congresso, la vicepresidente della FAA ha espresso forti perplessità su una “rapida e piena integrazione” dei sistemi senza pilota nel traffico aereo generale, così come auspicato dal Pentagono e dal presidente Obama. “Molti dei dati a nostra disposizione arrivano solo dalla Customs and Border Protecion (CPB) che pattuglia i nostri confini”, spiega la Federal Aviation Administration. “Essi ci rivelano che i ratei di incidenti degli UAS sono molto grandi. Dall’anno fiscale 2006 alla data del 13 luglio 2010, ad esempio, la CPB ha riferito un tasso incidentale grave di 52,7 ogni 100.000 ore di volo, cioè oltre sette volte più alto di quello dell’aviazione generale e 353 volte più elevato di quello dell’aviazione commerciale. Non si deve poi dimenticare che il numero di ore di volo denunciato, 5.688, è molto basso rispetto a quello che viene solitamente considerato in aviazione per fissare i dati sulla sicurezza e gli incidenti…”.
Un recentissimo report di Bloomberg, la maggiore società statunitense di analisi del mercato economico e finanziario, ha messo il dito nella piaga droni. Da quando sono operativi con US Air Force, Global Hawk, Preador e Reaper hanno subito 129 incidenti in cui i danni hanno comportato una spesa superiore ai 500.000 dollari o è avvenuta la distruzione del velivolo in missione. “Questi tre tipi di UAV sono quelli con il maggior tasso d’incidente di tutta la flotta aerea militare”, scrive Bloomberg. “Insieme hanno cumulato 9,31 incidenti ogni 100.000 ore di volo, tre volte in più degli aerei con pilota”. Il Global Hawk, da solo, ha un tasso di 15,16.
“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante”, ammette il maggiore dell’aeronautica, Luigi Caravita, autore di un approfondito studio sui droni pubblicato dal Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “La mancanza di una capacità matura disense & avoid (senti ed evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, spiega il maggiore. “Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare”.
Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i militari statunitensi. Per questo Eurocontrol, l’organizzazione per la sicurezza del traffico aereo a cui aderiscono 38 stati europei, ha stabilito nel marzo 2010 alcune linee guida per la gestione del traffico aereo dei falchi globali destinati allo scacchiere continentale. In particolare, si raccomanda d’isolare i droni-spia da altri usuari dello spazio aereo. “Dato che i Global Hawk non possiedono certe capacità, come il sense and avoid, è necessario che i decolli e gli atterraggi avvengano in spazi aerei segregati dai livelli normalmente utilizzati dai convenzionali aerei con pilota, mentre le missioni di crociera dovranno essere effettuate ad altitudini non occupate da essi”. Nel caso di Catania-Fontanarossa, scalo a meno di una decina di km in linea d’aria da Sigonella, le raccomandazioni di Eurocontrol sono solo carta straccia.
Sulle scellerate scelte USA e NATO d’installare i Global Hawk in Sicilia è intervenuto uno dei massimi esperti dell’aviazione italiana, il comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni dell’Aeronautica ed Alitalia, poi consulente del Registro aeronautico e perito per diverse Procure nei procedimenti relativi ad incidenti aerei. “Questi aeromobili militari saranno in grado di partire e tornare alla base siciliana dopo aver compiuto missioni segrete e pericolose, delle quali nessuno deve saper nulla, onde poter effettuare con successo i loro compiti di sorveglianza e spionaggio”, scrive Dentesano. “È pur vero che nei loro piani d’impiego è previsto che il Comando che li utilizzerà abbia tutte le informazioni necessarie in merito al traffico che interessa lo spazio aereo nelle loro traiettorie, invece, le autorità civili non sapranno nulla di quanto programmato e qualche Controllore avvisterà sugli schermi radar del traffico che sarà etichettato comesconosciuto, del quale quindi ignoreranno sia le intenzioni che le manovre e le traiettorie”.
“Questo tipo di ricognitori, concepiti appunto per missioni troppo rischiose per essere affidate a mezzi con a bordo degli esseri umani, nonostante tutte le misure di security di cui sono dotati i loro ricevitori di bordo, possono essere interferiti da segnali elettronici capaci di penetrare nei loro sistemi di guida e controllo, in modo da causarne la distruzione”, aggiunge Dentesano. “Il Global Hawk, come pure il Predator, non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo civile. Essi non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per evitare una collisione prontamente richiederebbe. E la sola variazione della direzione di moto, rimanendo alla stessa altitudine, potrebbe non bastare ad evitare un disastro che coinvolga un traffico civile”.
L’allarme è stato lanciato da tempo ma Governo, Regione ed enti locali non vedono, non sentono, non parlano. Il DC 9 abbattuto da un missile nel cielo di Ustica, il 27 giugno di 32 anni fa, è un ricordo sbiadito. Con i droni liberi di planare sulle teste dei siciliani è scattato il count down per l’ennesima strage di stato.
Articolo pubblicato in I Siciliani giovani, n. 6, giugno 2012.
Lo Stato regala Rai a Mediaset e l’Autorità sta a guardare. - Guido Scorza
Maurizio Dècina, Antonio Preto, Francesco Posteraro, Antonio Martusciello.
È agghiacciante la storia che viene fuori dalla sentenza con la quale il Tar Lazio ha accolto un ricorso proposto da Sky Italia contro l’Autorità Garante per le comunicazioni e nei confronti di Rai e Tivù s.r.l., ricorso nel quale – tanto basterebbe per dare la cifra dell’anomalia televisiva italiana – Mediaset è intervenuta in soccorso dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e della Rai.
La Rai – concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo e società controllata per il 99,6% dal Ministero dell’Economia – nel 2009 decide di rendere inaccessibili i propri contenuti agli utenti Sky e di renderli fruibili, via satellite, esclusivamente, attraverso la piattaforma TivùSat, gestita da Tivù s.r.l., società le cui quote appartengono per il 48% alla stessa Rai, per il 48% alla sua diretta concorrente – almeno sulla carta – Mediaset e per il restante 4% a Telecom.
Il risultato perseguito con l’operazione è evidente: spostare milioni di telespettatori da Sky a TivùSat e, quindi, centinaia di milioni di euro di fatturato pubblicitario dalla prima alla seconda. Tutto avviene sotto gli occhi dell’AgCom che, tuttavia, prima preferisce girarsi dall’altra parte e poi, quando Altroconsumo – una delle più rappresentative associazioni di consumatori italiane – le segnala immediatamente la vicenda chiedendo che intervenga, apre un’istruttoria per chiuderla, dopo poco, ritenendo tutto regolare.
Oggi – ma ci sono voluti oltre due anni di giudizio – i giudici amministrativi fanno, finalmente, giustizia di quanto accaduto: la Rai ha violato la legge e il contratto di servizio pubblico oscurando la trasmissione della propria programmazione su Sky. L’Autorità Garante, da parte sua, ha fatto vergognosamente male il suo lavoro ritenendo regolare una plateale violazione del contratto di servizio pubblico in forza del quale la Rai avrebbe dovuto garantire la presenza dei propri contenuti, gratuitamente, su tutte le piattaforme tecnologiche e commerciali, inclusa, quindi, Sky.
Ma non basta. C’è un’altra parte della storia che merita di essere raccontata.
Nello stesso periodo, infatti, il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani – sodale del premier e uomo di punta del suo impero televisivo – procede al rinnovo del nuovo contratto di servizio pubblico con la Rai. Ci si aspetterebbe che il ministro faccia tesoro di quanto appena accaduto. Accade, invece, esattamente il contrario. Lo Stato obbliga Rai – ovvero sé stesso – esclusivamente ad essere presente su una piattaforma per ciascuna tecnologia e, dunque, su una sola piattaforma satellitare e le consente poi di mettere a disposizione la propria programmazione su tutte le piattaforme commerciali i cui gestori ne facessero richiesta a condizioni eque e non discriminatorie. Rai può dunque limitarsi ad essere accessibile attraverso TivùSat e riservarsi poi il diritto di negoziare un contratto, a titolo oneroso, con Sky.
Ma non basta ancora. Lo stesso contratto obbliga Rai e ,quindi, lo Stato a “promuovere la diffusione di TivùSat” e, quindi, di una società per il 48% della propria concorrente Mediaset. Tale attività di promozione – scrivono oggi i giudici del Tar Lazio nel pronunciarsi sulla domanda proposta da Sky di annullamento delle citate previsioni del contratto di servizio pubblico – “è destinata a risolversi in un vantaggio patrimoniale apprezzabile nei confronti non soltanto di Tivù… ma anche nei confronti degli operatori televisivi che l’hanno costituita insieme a Rai (Rti e Telecom Italia)”.
Per questa ragione – aggiungono i Giudici amministrativi – la disposizione del contratto di servizio pubblico in questione, “costituisce un aiuto di Stato illegittimo… e integra un elemento di alterazione della parità di condizioni del mercato concorrenziale televisivo a favore di alcuni operatori privati attraverso l’impiego di risorse pubbliche, introducendo una misura che, benché inserita in un quadro di misure volte a garantire la piena fruibilità del servizio pubblico televisivo, favorisce anche attività commerciali private che nulla hanno a che vedere con il servizio pubblico”. Impossibile essere più chiari: lo Stato – rappresentato dal Governo di Silvio Berlusconi – ha favorito una società del Cavalier Silvio Berlusconi, regalandole i contenuti del servizio pubblico radiotelevisivo, prodotti e trasmessi con i nostri soldi. Un ennesimo regalo di Stato.
Ciò che, tuttavia, in questa vicenda suscita più rabbia è vergogna e il comportamento dell’Autorità Garante per le comunicazioni che davanti ad un simile scandalo si è, prima, girata dall’altra parte e ha poi, persino, provato ad “incartare il regalo al Cavaliere con una propria delibera di favore”. Ecco perché non c’è partito che sia disposto a rinunciare a una poltrona in AgCom.
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Giovanni Ruffini scrive:
E L'AGCOM, sede a Napoli, e' una agenzia di FININVEST, addobbata da ENTE che dovrebbe in qualche MODO bilanciare cio' che l'INFORMAZIONE via tutti i suoi canali, produce e dissemina..la BARZELLETTA e' atroce
Tra gli ULTRAS e FONDATORI di FORZA ITALIA..un personaggio AMBIGUO, MASCHERATO e dal TORBIDO TOTALE....Martusciello.... (un NON SCIUPAFEMMINE nell'ORBITA del SILVIUCCIO MILLE-FEMMINE).... un curriculum da INCUBO... Antonio Martusciello....
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Francia, scorie radioattive nei depositi e nell’oceano per milioni di metri cubi. - Leonardo Martinelli
E’ quanto emerge dal rapporto dell’Andra, l’agenzia di Parigi che gestisce questo tipo di rifiuti, destinati a raddoppiare entro il 2030. Ne sono stati scaricati oltre 14mila tonnellate sui fondali fino all'83. E Hollande ora punta sulle rinnovabili.
Una montagna di rifiuti incombe sulla Francia. Per la precisione scorie radioattive. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Andra, l’agenzia pubblica francese, che gestisce questo tipo di rifiuti nel Paese che più in Europa ha puntato sull’atomo. Alla fine del 2010 (sono i dati più recenti), i depositi ad hoc per questi materiali contenevano già 1,3 milioni di metri cubi di scorie radioattive. Ed è un quantitativo destinato a raddoppiare da qui al 2030, se la produzione di energia nucleare continuerà allo stesso ritmo. Un trend che, forse, sarà modificato, vista la volontà del presidente François Hollande, ribadita a più riprese durante la campagna elettorale, di ridurre il volume di energia prodotto grazie al nucleare. Puntando di più sulle rinnovabili.
“In Francia la produzione di scorie radioattive corrisponde a due chili all’anno e per abitante”, si legge nel rapporto dell’Andra, diffuso negli ultimi giorni. E quest’anno, forse a causa del cambio della guardia all’Eliseo, con un certo spirito di trasparenza. Disponibile per tutti sul sito di Andra l’inventario, che ” è uno strumento di gestione per il futuro ma anche una fonte precisa di informazione per ogni cittadino”, ha sottolineato François-Michel Gonnot, presidente dell’ente. Quel milione e 300mila metri cubi di spazzatura nucleare ha diverse provenienze. Il grosso (59%) è il prodotto dei reattori nucleari di Edf, il colosso pubblico francese del settore. Mentre il 26% proviene dai laboratori di ricerca, l’11% dalle attività militari legate alla difesa e, per il resto, da diverse fabbricazioni industriali e da applicazioni mediche. Per il 97% la massa delle scorie è costituita da rifiuti ingombranti, ma con un’attività radioattiva media o debole. Appena lo 0,2% è classificato “ad alta attività”. Ma da sola quella infima quota genera il 96% della radioattività totale. Deriva dallo smaltimento dei combustibili utilizzati nei reattori nucleari. Andra ha anche individuato i 43 siti interessati dal deposito di queste scorie, con i relativi problemi di inquinamento sulla lunga durata. Sono concentrati soprattutto nella regione di Parigi, ma anche nell’est e nel sud-est del Paese.
“La maggior parte di questi siti ospitavano attività di vario tipo nel passato, in particolare fra le due guerre – si legge nel rapporto -, ma che non riguardavano direttamente l’industria nucleare: l’estrazione di radio per la medicina e la farmacia, fabbricazione e applicazione di vernici speciali e sfruttamento di minerali. Dopo la guerra la memoria di questi siti, localizzati in genere in aree urbane, si è perduta e alcuni sono stati riconvertiti addirittura in alloggi o edifici pubblici”.
Il rapporto fornisce dati anche su un altro inquietante fenomeno: la Francia ha depositato alla fine degli anni Sessanta più di 14mila tonnellate di scorie radioattive sui fondali atlantici. In seguito ha fatto sempre meno ricorso a quel tipo di soluzione, fino ad arrestarla del tutto nel 1983. Ma fino a quel momento quantitativi considerevoli di scorie sono finiti a oltre 4mila metri di profondità, sotto forma liquida o di fusti. Anche per discutere di questo e, più in generale, del futuro del nucleare in Francia il nuovo governo socialista sta organizzando un incontro (Grenelle de l’environnement) che si terrà entro il prossimo 15 settembre, con i rappresentanti dello Stato, dell’industria privata e delle ong. “Fisserà le modalità di un grande dibattito nazionale sulla transizione energetica”, ha promesso Delphine Batho, ministro dell’Ecologia. Durante la campagna Hollande aveva ammeso di voler gettare le basi per portare la quota di elettricità prodotta grazie al nucleare dal 75% attuale al 50% all’orizzonte del 2025.
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