venerdì 20 luglio 2012

Sotto indagine i conti dei familiari di Dell'Utri.



L'ipotesi degli inquirenti è che i 40 milioni di euro che Berlusconi ha dato all'ex senatore, come prestiti, possano essere finiti in altri conti bancari.


Non solo l'ex senatore Marcello Dell'Utri, ma anche i suoi familiari sarebbero sotto indagine da parte degli inquirenti, per l'inchiesta sulle presunte estorsioni a danno di Silvio Berlusconi. In realtà ad essere oggetto di interesse sarebbero i conti bancari dell'entourage di Dell'Utri, per capire se quei 40 milioni di euro che l'ex premier ha dato all'ex manager di Pubblitalia, siano stati distribuiti ad eventuali altri beneficiari di quei "prestiti".

Quello che gli investigatori sanno per certo è che 15 dei 21 milioni spesi da Silvio Berlusconi per l'acquisto della villa sul lago di Como e di proprietà di Marcello Dell'Utri, sono finiti sul conto di Miranda Anna Ratti, moglie dell'ex senatore. Sul versamento c'è la data dell'8 marzo, ovvero il giorno prima che la Cassazione si pronunciasse sulla condanna per concorso in associazione mafiosa che Dell'Utri aveva subito nel secondo grado di giudizio.

11 di quei 15 milioni, vennero poi girati su un conto corrente bancario di Santo Domingo, per il quale ora la magistratura sta per chiedere una rogatoria, per capire esattamente che fine abbiano fatto quei soldi. Le ipotesi al vaglio degli investigatori sono quelle che l'ex president del consiglio possa aver pagato Cosa nostra per il tramite di Dell'Utri, proprio come si pensa sia avvenuto negli anni '70.



http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=30813&typeb=0&Sotto-indagine-i-conti-dei-familiari-di-Dell-Utri

"Sono diventato un bersaglio Andrò un anno in Guatemala". - Guido Ruotolo





Ingroia: “La logica della guerra non mi appartiene”

Nell’aula magna del primo piano di palazzo di Giustizia, quando il presidente della Corte d’Appello finisce di leggere il messaggio del Capo dello Stato, la platea di magistrati rimane fredda. Qualche timido applauso parte dalle autorità presenti. «Ho apprezzato e condiviso il richiamo del Capo dello Stato alla necessità di lavorare senza sosta e senza remore per accertare la verità sulla strage di via D’Amelio». Dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia arrivano segnali di pace in direzione dell’Alto Colle. Nel giorno del ventennale della strage di via D’Amelio, Ingroia racconta delle indagini e delle polemiche che lo hanno visto al centro dell’attenzione, in questi giorni. E annuncia che a settembre partirà per il Guatemala, accettando l’offerta delle Nazioni Unite per un incarico annuale.

Sostiene il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, che è stata dichiarata guerra contro di lei e l’ufficio di Palermo.
«Io non mi sento in guerra con nessuno, però che sia diventato un bersaglio questo lo avverto anch’io. Non mi appartiene la logica della guerra, in questi anni ho cercato di muovermi sempre seguendo gli insegnamenti di Paolo Borsellino».

Quali?
«Cercare la coesione istituzionale e la collaborazione tra le istituzioni per quello che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti: la ricerca della verità».

Nel suo messaggio in occasione dell’anniversario di Borsellino, il Capo dello Stato fa un appello perché vengano scongiurate sovrapposizioni nelle indagini su torbide ipotesi di trattativa tra Stato e mafia...
«È vero che in passato c’è stata qualche incomprensione tra le procure che indagano sul biennio stragista del ‘92-’93. Ma da tempo ormai il coordinamento funziona a perfezione come attestato dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso».

Non è irrituale che la Procura di Palermo si appelli all’opinione pubblica?
«Noi lavoriamo nel rispetto delle regole ma se occorre ci appelliamo all’opinione pubblica per denunciare quello che non va. Ricordo che nell’estate del 1988 anche Paolo Borsellino si rivolse all’opinione pubblica denunciando un calo di tensione all’interno della magistratura, e perciò rischiò in prima persona un provvedimento disciplinare del Csm».

Procuratore Ingroia, chiariamo la questione delle intercettazioni indirette che coinvolgono il Capo dello Stato...
«Proprio per evitare il rischio di precipitosi o intempestivi depositi di intercettazioni che a nostro parere devono assolutamente rimanere segrete - così come fino a oggi è avvenuto - , sono state depositate soltanto le intercettazioni ritenute rilevanti (tra le quali non risultano telefonate del Presidente della Repubblica, ndr.). Quelle del tutto irrilevanti sono rimaste in un altro procedimento che avrà tempi certamente molto più lunghi rispetto al fascicolo definito in questi giorni».

Si invoca la necessità di far chiarezza sulla trattativa e implicitamente si accusa il Capo dello Stato di frapporre ostacoli a questo obiettivo. Ma scusi, procuratore Ingroia, nei prossimi giorni non chiederete il processo per la trattativa?
«La Procura di Palermo ritiene di aver ricostruito la trama e lo svolgersi di questa trattativa; di aver individuato i principali protagonisti, ma non ancora tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella trattativa, nella consapevolezza che rimangono ancora dei buchi neri».

Quali?
«Più che quali insisterei oggi nel segnalare che per risolvere i punti ancora da chiarire dobbiamo superare l’omertà in Cosa nostra di quel tempo, e reticenze nel mondo istituzionale di quel tempo».

Come superare queste reticenze?
«Credo sia necessario che la politica, le istituzioni comprendano di dover procedere quanto prima alla revisione della legge sui pentiti, allungando il periodo dei sei mesi entro i quali il collaboratore di giustizia deve dichiarare tutti i temi sui quali vuole parlare».

Allora, procuratore Ingroia accetta l’offerta delle Nazioni Unite? Va in Guatemala?
«Da tempo le Nazioni Unite mi hanno proposto un incarico annuale di capo dell’unità di investigazione e analisi criminale contro l’impunità in Guatemala. La proposta la considero una sorta di prosecuzione della mia attività in Italia. In quelle latitudini, per fortuna, i giudici antimafia italiani sono apprezzati anziché denigrati e ostacolati».

Sembrava che volesse rinunciare all’offerta dell’Onu...
«I fatti accaduti negli ultimi giorni, la delicatezza del momento mi stanno facendo riflettere sui tempi entro i quali accettare la proposta. Intanto ho deciso di rinunciare alle mie ferie».

Scarpinato: quale realtà del potere dello Stato si celava dietro lo stragismo?


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“In tutti questi anni c’è un dubbio che non ha mai smesso di tormentarmi e che si riaccende ogni volta che penso alla disperata rassegnazione di Paolo Borsellino” ha esordito il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta Roberto Scarpinato nel corso della conferenza “perché lui si convinse che nessuno poteva fermare la mano dei suoi carnefici? Perché si sentì tradito al punto di avere una crisi di pianto? Perché lo Stato questa volta non poteva, o peggio non voleva proteggerlo? Perché disse a sua moglie: mi ucciderà la mafia ma saranno altri a volermi uccidere? Chi erano questi che lo volevano morto? Troppi interrogativi, che a mio parere non trovano ancora risposte plausibili.
Troppe anomalie, troppi fatti inquietanti, che non trovano spiegazione neppure con la cosiddetta trattativa. E il nodo della riflessione che dobbiamo fare non può che essere lo Stato”. Ha proseguito poi elencando una serie di domande che esigono una risposta “Qual era la realtà del potere che si celava dietro lo Stato negli anni dello stragismo? In altri termini: c’era un solo Stato oppure lo Stato aveva più volti? E ancora: la questione stragista del ‘92 e ‘93 è solo una drammatica vicenda criminale o è anche una questione di Stato? E in che senso? Solo nel senso di cui si discute in questi giorni? Oppure c’è una realtà più drammatica e sommersa? Forse anche qui gli esecutori mafiosi poterono contare su suggerimenti e apporto logistico che avevano un piede dentro lo stato, appartenevano a strutture deviate dello stato. Se facciamo un elenco di tutte le anomalie che hanno caratterizzato le stragi e le fasi successive sembra di trovarsi dinanzi alla replica di un know how sperimentato durante stragismo della prima Repubblica.”

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Ponza, sequestrato il tesoro dell'ex sindaco Case e conti segreti per oltre 1 milione di euro. - Michele Marangon





Sul suo 730 redditi vicini a zero, ma Porzio nascondeva un patrimonio mai dichiarato. Fu arrestato nel settembre 2011.


LATINA - Dichiarazione dei redditi vicina allo zero per lui e la famiglia, nonostante la gestione del pontile sull'isola, con annesso il rimessaggio, frutti almeno 300 mila euro l'anno. E' questo uno degli aspetti più eclatanti emersi dall'indagine patrimoniale che ha portato al sequestro preventivo a carico dell'ex sindaco di Ponza, Pompeo Porzio - arrestato un anno fa -, di beni per un milione e mezzo di euro. La misura, che comprende anche la richiesta di sorveglianza speciale, è stata eseguita venerdì mattina dal personale della divisione anticrimine della questura di Latina guidata da Alberto Intini.
FONDI, AUTO E SOCIETA' - Tra fondi d'investimenti, conti corrente bancari e postali, macchina, scooter, quote societarie ed un appartamento a Roma, il patrimonio sotto chiave è stato valutato in circa un milione e mezzo di euro. Beni di cui Porzio non avrebbe saputo motivare la provenienza. Le indagini sono partite a seguito dell'arresto del sindaco nel settembre 2011 che portò alla caduta dell'amministrazione da lui guidata, fungendo da vero e proprio egemone nella distribuzione di appalti e favori.
Il porticciolo dell'isola di Ponza (Jpeg)Il porticciolo dell'isola di Ponza (Jpeg)
LE PRESSIONI DELLA «CRICCA» - Figura chiave della «cricca» ponzese, il 59enne Porzio avrebbe usato ogni mezzo per sottrarsi alla legalità. L'ordinanza di custodia cautelare emessa nel 2011 raccontava infatti di come - ancora in carica - avesse esercitato pressioni per ottenere il trasferimento del comandante della stazione dei carabinieri isolana che ne ostacolava i traffici illeciti.
SETTE ARRESTI SULL'ISOLA - Il provvedimento arriva dopo l'ondata di arresti che travolse l'amministrazione comunale dell'isola: il 17 settembre 2011, quando finirono in manette, oltre a Porzio, tre assessori, insieme a tre imprenditori che dalle indagini risultavano favoriti dell'amministrazione: gli assessori Franco Schiano, Silverio Capone e Mario Pesce, gli uomini d'affari Pietro Iozzi, Luca Mazzella e Giovanni Cersosimo. Pochi giorni dopo si dimisero, seguiti da 14 consiglieri comunali su 16. Successivamente si costituì anche l'ex segretario comunale del comune, destinatario di una ordinanza cautelare ai domiciliari, notificatagli al ritorno dalle vacanze.

La Consulta: “I servizi pubblici non si possono privatizzare”. - Andrea Palladino

E’ una doppia bocciatura per i governi Berlusconi e Monti quella sancita poche ore fa dai giudici Supremi , che hanno dichiarato incostituzionale la norma che obbligava i comuni a privatizzare i servizi pubblici locali. "Viola apertamente il referendum del 12 e 13 giugno del 2011", votato da 27 milioni di italiani.


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E’ una doppia bocciatura per i governi Berlusconi e Monti quella sancita poche ore fa dalla Consulta, che ha dichiarato incostituzionale la norma che obbligava i comuni a privatizzare i servizi pubblici locali. Si tratta dell’articolo quattro del pacchetto anticrisi varato da Giulio Tremonti il 13 agosto dello scorso anno, ripreso – e in buona parte rafforzato – dal decreto liberalizzazioni del governo di Mario Monti. Una norma – hanno deciso i giudici costituzionali – che viola apertamente il referendum del 12 e 13 giugno del 2011, quando ventisette milioni di italiani votarono contro la legge Ronchi Fitto, che imponeva la cessione delle quote delle municipalizzate ai mercati. Nell’agosto dello scorso anno, quando lo spread iniziava la sua vertiginosa salita, il governo Berlusconi decise di intervenire con un pacchetto di emergenza, dove venne infilata una norma che, nel titolo, annunciava un adeguamento della legislazione sui servizi pubblici locali al voto referendario. In realtà l’articolo centrale di quell’intervento riprendeva, in un vero e proprio copia e incolla, buona parte della legge appena abrogata dal primo dei quattro quesiti votati due mesi prima.
Pur escludendo l’acqua, Tremonti – artefice di quell’intervento – riproponeva la privatizzazione forzata di servizi essenziali, quali i rifiuti e il trasporto pubblico locale. Il decreto firmato il 13 agosto diventava poi legge ad ottobre, pochi giorni prima della caduta del governo Berlusconi. In quegli stessi giorni molti giornali pubblicavano una lettera della commissione europea che indicava al governo italiano la road map ideale per affrontare la crisi. Tra i punti spiccava la revisione del risultato del referendum, con l’avvio di una nuova stagione di privatizzazioni. Il governo guidato da Mario Monti ha di fatto mantenuto l’intervento voluto dal governo precedente, inserendo le norme dell’articolo 4 all’interno del pacchetto liberalizzazioni, poi approvato dal parlamento, con il voto congiunto di Pdl e Pd. Il ricorso davanti alla corte costituzionale – elaborato, tra gli altri, dai referendari Ugo Mattei e Alberto Lucarelli – era stato presentato lo scorso ottobre dalla regione Puglia. La decisione della Consulta restituisce ora il potere di decidere come gestire i servizi pubblici locali ai comuni, che non saranno più obbligati a cedere tutto ai privati. La possibilità di privatizzare rimane, ma la decisione, a questo punto, sarà esclusivamente politica.

Bruciato vivo il direttore del personale della Suzuki in India.


Scontri tra operai e responsabili d'azienda. Il corpo carbonizzato trovato nella sala conferenze dello stabilimento a Manesar
TMNews CNN
Nuova Delhi, 19 lug. (TMNews) - Il direttore del personale di una fabbrica del gruppo indiano Maruti-Suzuki è stato bruciato vivo e decine di altre persone sono rimaste ferite nel corso dei violenti scontri scoppiati tra gli operai e i responsabili dell'azienda, la cui produzione è stata sospesa.

Il corpo carbonizzato del responsabile, Avnish Kumar Dev, è stato identificato dopo il suo ritrovamento nella sala conferenze della fabbrica a Manesar, a circa 50 chilometri dalla capitale New Delhi, dopo gli scontri avvenuti ieri, ha indicato il gruppo, la cui maggioranza azionaria è di proprietà della casa giapponese Suzuki.

In un comunicato, la Maruti Suzuki, ha descritto Dev come un responsabile "profondamente coinvolto nelle cordiali relazioni industriali" e ha denunciato l'estrema violenza che va al di là dei normali rapporti tra operai e datore di lavoro. Secondo il gruppo, i disordini sono scoppiati ieri mattina, quando un dipendente ha colpito con violenza un caporeparto. Secondo i sindacati, è il caporeparto che ha maltrattato l'operaio.

Maruti ha riferito che i dipendenti armati di spranghe hanno poi colpito dei responsabili "alla testa, alle gambe e alla schiena, provocando emorragie e svenimenti". "La produzione è totalmente sospesa", ha dichiarato un responsabile, precisando di non sapere quando la filiale, dalla quale escono 55mila veicoli all'anno, riaprirà. Intanto il titolo del gruppo è precipitato a fine giornata di circa il 9% alla Borsa di Bombay, con gli investitori contrari a una chiusura prolungata della fabbrica.

Calzolari, il re di twitter.



Calzolari primo a destra nella foto

Ecco chi è Marco Camisani Calzolari, il re di twitter che ha diffuso valutazioni false sul mio account twitter. Prima di Calzolari Vien Dal Mare solo Steve Jobs. La memoria della Rete non perdona!
Ha realizzato il network ufficiale dei sostenitori di Berlusconi, www.forzasilvio.it, per il quale è anche consulente per attività di comunicazione digitale.
Definisce il libro di Berlusconi “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio” (libro che raccoglie una parte dei messaggi lasciati dagli utenti del sito Forzasilvio.it.) come "un bell’esempio di convergenza analogico-digitale per portare agli analogici il pensiero dei digitali".
Ha sostenuto il comitato per il premio Nobel a Berlusconi.
Ha collaborato all'iniziativa www.rivotiamo.it fatto per ForzaItalia per contestare la vittoria di Prodi del 2006."



http://www.beppegrillo.it/2012/07/calzolari_il_re_di_twitter/index.html