mercoledì 22 agosto 2012

Candid camera il lavavetri.



All'incirca, quando va maluccio, 1000 euro al mese, esentasse.


Wikileaks: Australia, "Assange non sara' estradato in Usa".

Wikileaks: Australia, Assange non sara estradato in Usa

(AGI) - Sydney, 22 ago. - Julian Assange, cittadino australiano, non sara' estradato negli Stati Uniti, se li' corresse il rischio di una condanna a morte o di comparire di fronte a un tribunale militare. L'assicurazione e' stata data dal governo svedese a quello australiano, che si e' premurato poi di informarne coloro che ritengono l'estradizione del fondatore di Wikileaks dalla Gran Bretagna alla Svezia uno stratagemma per far arrivare Assange nelle mani delle autorita' americane, desiderose di fargli rimpiangere il giorno in cui decise di pubblicare i file riservati della diplomazia a stelle e strisce. "La diplomazia australiana non e' coinvolta nella vicenda, se non a livello di assistenza consolare", ha detto il ministro degli Esteri, Bob Carr, alla Rivista finanziaria, "ma abbiamo chiesto chiarimenti alla Svezia e ci e' stato risposto che l'estradizione non e' possibile se il caso sara' trattato da un tribunale militare o si rischi la pena capitale".

Stoccolma non ha ricevuto alcuna richiesta di estradizione da Washington, che a sua volta ha respinto la frase con cui l'hacker aveva denunciato una "caccia alle streghe". Negli Stati Uniti e' il caporale Bradley Manning, la talpa che ha fornito ad Assange il materiale segreto grazie al quale e' diventato celebre, l'unico che sta pagando per il caso Wikileaks. Manning si trova in regime di carcere duro a Quantico in Virginia in attesa che il processo davanti la corte marziale entri nel vivo. E' stato incriminato con 22 diversi capi di imputazione. Il piu' grave e' quello di "connivenza con il nemico" per cui - sulla carta - rischia la pena di morte anche se la procura militare ha informalmente fatto sapere che non intende chiederla. (AGI) 


http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201208221013-ipp-rt10024-wikileaks_australia_assange_non_sara_estradato_in_usa 
 

Controlli delle Fiamme Gialle: irregolari il 20% delle scommesse su Londra 2012.




E' quanto emerso dal piano di controllo straordinario della Guardia di Finanza, che ha visitato oltre 2000 esercizi e accertato più di 400 violazioni, tra centinaia i videopoker illegali, bische clandestine e decine i centri di scommesse non autorizzati.

Il 20 per cento delle scommesse sulle Olimpiadi di Londra è stato effettuato in ricevitorie irregolari. E’ quanto emerso dal piano di controllo straordinario della Guardia di Finanza, che ha visitato oltre 2000 esercizi e accertato più di 400 violazioni, tra centinaia i videopoker illegali e decine i centri di scommesse non autorizzati.
In particolare, le verifiche delle Fiamme Gialle hanno interessato tutto il territorio nazionale. Nel dettaglio, sono stati 2.088 gli esercizi controllati e 417 le violazioni contestate: sequestrati 233 videopoker illegali e 74 centri di scommesse non autorizzati, 185 persone denunciate. Nel corso delle verifiche iniziate l’ultima settimana dei Giochi Olimpici e proseguite nei giorni scorsi, i finanzieri hanno verificato l’iscrizione degli esercizi nell’apposito elenco, il possesso delle autorizzazioni, l’integrità degli apparecchi da gioco, il loro collegamento alla rete dei Monopoli e l’identità dei giocatori, anche con riferimento alle norme a tutela dei minori.
La collaborazione tra Guardia di Finanza ed Amministrazione dei Monopoli di Stato ha permesso di incrementare l’efficacia dei controlli, anche grazie al potenziamento delle banche dati: il collegamento in rete permette, infatti, di monitorare il corretto funzionamento di ogni apparecchio e di intervenire, quindi, in caso di anomalie. I fenomeni illeciti maggiormente diffusi sono risultati l’alterazione e la manomissione degli apparecchi da gioco, l’abusiva raccolta di scommesse sportive mediante agenzie clandestine, anche per conto di allibratori esteri privi di autorizzazione, le lotterie fasulle e i siti di gioco artificiosamente collocati all’estero per sfuggire ai controlli ed alle imposte. L’attività della Guardia di Finanza a tutela del gioco legale segue tre specifiche linee d’azione: contrastare l’evasione, considerate le ricadute negative del gioco illegale sul gettito fiscale complessivo; tutelare il mercato, affinchè gli operatori onesti non subiscano la concorrenza sleale di coloro che non rispettano le regole; garantire i consumatori da proposte di gioco pericolose, non autorizzate dallo Stato.
Dall’inizio dell’anno, invece, la Guardia di Finanza ha eseguito oltre 7mila controlli nel settore dei giochi e delle scommesse, riscontrando 2.358 violazioni, con il sequestro di 2.010 apparecchi da gioco e 1.059 punti clandestini di raccolta delle scommesse. E non mancano vicende emblematiche. Dalla bisca clandestina “travestita” da centro culturale alle puntate illegali su conti intestati a “prestanome”. Sono alcuni dei casi più eclatanti scoperti dagli uomini della Guardia di Finanza nel corso dei controlli eseguiti su tutto il territorio nazionale. A Roma, ad esempio, è stata scoperta una bisca clandestina nella sede di un’associazione culturale. Quando i finanzieri hanno fatto irruzione, hanno trovato ai tavoli da gioco ed ai videopoker giovani e pensionati di età tra 18 e 60 anni. Il circolo è stato sequestrato ed il gestore, un pluripergiudicato per associazione a delinquere, denunciato. A Padova, invece, un’associazione sportiva, che nascondeva una bisca clandestina con videopoker illegali, era stata posizionata a poca distanza da una sala da gioco autorizzata. Il gestore della bisca attraeva i giocatori promettendo puntate illimitate e premi immediati in denaro, tant’è che sono state contestate anche numerose violazioni alle recenti norme che limitano i pagamenti in contanti a mille euro. In provincia di Bari, con l’operazione “fatal bet”, sono stati sequestrati 30 esercizi, tra centri scommesse non autorizzati e punti vendita di gioco on-line che, invece, raccoglievano puntate illegali su conti intestati a “prestanome“. I 64 responsabili sono stati tutti denunciati. Le Fiamme Gialle di Sassari, invece, hanno passato al setaccio i centri scommesse della provincia dopo che un reparto territoriale ne aveva individuato uno collegato ad una rete illegale: 29 centri sono stati sequestrati e 30 gestori denunciati.

L’ordine di B. per quell’appalto Impregilo che ‘tocca’ il presidente di Panama. - Antonio Massari e Valeria Pacelli


berlusconi martinelli interna


Il Cavaliere intercettato al telefono con Massimo Ponzellini, il numero uno del colosso ora nel mirino della Procura di Napoli. Si parla della costruzione di ospedali nel paese centroamericano: secondo i pm potrebbe essere uno stratagemma per pagare tangenti al presidente di Panama.

Dopo le commesse di Finmeccanica, a incuriosire la procura di Napoli, ora c’è Impregilo. E il motivo risale alla primavera di un anno fa. E’ l’aprile 2011 quando, intercettando il telefono di Massimo Ponzellini, gli investigatori sentono la voce di Silvio Berlusconi. La procura di Milano sta indagando sul numero uno della Banca Popolare di Milano, che sarà poi accusato di associazione per delinquere e corruzione, per il finanziamento elargito al gruppo Atlantis di Francesco Corallo. In quel momento Ponzellini, oltre a dirigere la Bpm, è anche il presidente di Impregilo, dalla quale s’è dimesso solo tre mesi fa. E’ in questa veste che parla con Berlusconi: l’ex premier gli racconta di Valter Lavitola e così l’inchiesta milanese s’intreccia con quella napoletana su Finmeccanica e la corruzione internazionale a Panama. Interrogato dai pm napoletani Francesco CurcioHenry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, Ponzellini ha confermato il contenuto dell’intercettazione, confermando che Berlusconi, nell’aprile 2011, solleva un problema: dice a Ponzellini d’essere stato chiamato da Valter Lavitola, per conto del presidente panamense Ricardo Martinelli, che spinge affinché Impregilo mantenga l’impegno di costruire un ospedale nello stato sudamericano.
Se Impregilo non mantiene l’impegno, continua Berlusconi, Martinelli è pronto a rilasciare una dichiarazione pubblica: con l’intento di far deprezzare il titolo in borsa. Questo è il messaggio che l’ex premier dice d’aver ricevuto da Lavitola. E che passa a Ponzellini, per telefono, nella primavera d’un anno fa. Ponzellini, a sua volta, sosterrà d’aver provato a contattare l’ad di Impregilo che con Lavitola, però, non vuole aver nulla a che fare. La conversazione intercettata, e l’interrogatorio di Ponzellini, per la procura di Napoli, risultano interessanti per almeno due motivi.
Il primo: la costruzione degli ospedali, sotto il governo Martinelli, viene affidata a Rogelio Oruna. E’ il testimone Mauro Velocci a confermarlo: “A Oruna – dice ai pm – il governo Panamense ha affidato la commessa per la costruzione di quattro ospedali per il valore di 220 milioni dollari, importo lievitato a 320 milioni”. Negli atti si legge che la Devor Diagnostic di Oruna è stata utilizzata per il trasferimento di denaro al presidente Martinelli e ad altri politici di Panama e, secondo i pm, il “ruolo svolto da Oruna – amico e persona di fiducia del Presidente Martinelli – rappresenta l’ulteriore conferma del fatto che il destinatario delle tangenti in oggetto sia stato proprio il presidente Martinelli”.
Il connubio tra ospedali e Oruna insospettisce i pm napoletani, quindi, anche quando ascoltano la telefonata tra Berlusconi e Ponzellini. Gli ospedali potrebbero rappresentare – per il tramite di Oruna – la tangente che finisce a Martinelli. E della costruzione di un ospedale, nell’aprile 2011, parla Berlusconi – su sollecitazione di Lavitola – con il presidente di Impregilo.
Il punto è che anche Impregilo ha fatto affari con Panama. La prima commessa per il raddoppio del canale di Panama risale al 2008: all’epoca Martinelli e Berlusconi non erano al governo. E Lavitola non aveva alcun potere. Ma nel 2009 Impregilo chiude un’altra grossa partita: l’11 settembre Berlusconi incontra Martinelli, a Palazzo Chigi, proprio per discutere degli affari di Impregilo. Pochi mesi prima, a luglio, un consorzio partecipato da Impregilo s’aggiudica la gara per un nuovo sistema di chiuse nel canale di Panama: affare da 3,2 miliardi di dollari. Perché Berlusconi parla di ospedali proprio con Ponzellini? Di certo c’è che gli ospedali diventano, per il presidente panamense, una sorta di ossessione: il 30 agosto 2011 – cinque mesi dopo la telefonata tra Berlusconi e Ponzellini – il segretario particolare di Martinelli, Adolfo de Obarrio, scrive una mail a Lavitola per chiedergli conferma sulla costruzione dell’ospedale Luis Chico nella provincia di Veraguas.
Sempre ad agosto, invece, è l’ambasciatore Giancarlo Curcio che scrive a due funzionari di Palazzo Chigi. Riferisce d’aver ricevuto una telefonata da Martinelli, che è furioso, perché Berlusconi non mantiene l’impegno sulla costruzione dell’ospedale. Il sospetto degli inquirenti è che, dietro la costruzione degli ospedali, possano nascondersi le mazzette per il presidente panamense. E così, dopo Finmeccanica, ora è Impregilo con le sue commesse sul canale di Panama, a incuriosire la procura di Napoli.

Ha, ha, ha....



Se la cercano!

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martedì 21 agosto 2012

Fisco, niente accordo tra Italia e Svizzera. Intanto gli evasori scappano. - Vittorio Malagutti


Eveline Widmer Schlumpf monti interna nuova


Nel Paese elvetico cresce l’opposizione popolare all'operato del governo di Berna. Così, mentre Regno Unito e Germania hanno portato a casa delle "intese lampo" (non oltre 6 mesi), Monti continua a promettere lotta senza quartiere a chi non paga le tasse, ma non trova risultati oltre le Alpi.

Tedeschi e inglesi ce l’hanno fatta in sei mesi o poco più. Negoziati lampo e poi l’annuncio: Londra e Berlino hanno siglato un accordo con la Svizzera per recuperare i soldi degli evasori fiscali nascosti nelle banche della Confederazione. Correva l’anno 2011, mesi di settembre e ottobre. In Italia invece andiamo avanti a chiacchiere e promesse. Passati i tempi del ministro Giulio Tremonti, inventore dei condoni quasi tombali per i furboni delle tasse ma ferocemente contrario a ogni accordo con la Confederazione, i cosiddetti tecnici guidati da Mario Monti hanno fin qui prodotto una montagna di parole. Inutili. Anzi, peggio, dannose per le casse dello Stato. Perché la strategia degli annunci a cui non seguono i fatti finisce per mettere sull’avviso gli evasori nostrani che hanno tutto il tempo, con la volonterosa collaborazione delle banche elvetiche, per trasferire i loro tesoretti in paradisi offshore al riparo del fisco nostrano. Posti fuori mano, ma molto efficienti, tipo Singapore o Dubai.
“Quasi ci siamo”. “L’accordo è vicino”. “Negoziato alla stretta finale”. Titoli come questi accompagnano da mesi i faticosi negoziati tra l’Italia e la Svizzera, mentre gli evasori e i loro commercialisti studiano strategie alternative. Ultimo esempio di una lunga serie di parole a vanvera sono quelle pronunciate dal premier nella sua intervista al settimanale ciellino Tempi, un’intervista destinata a fare da apripista all’intervento di oggi dello stesso Monti all’apertura dell’annuale Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. “Stato di guerra contro l’evasione”, ha scandito il capo del governo, che due giorni fa ha anche incontrato la presidente svizzera Eveline Widmer Schlumpf. Il rendez vous serviva a fare il punto sullo stato dei negoziato tra Roma e Berna.
La cornice dell’incontro, come si dice in questi casi, pare altamente simbolica. Le splendide vallate dell’Engadina, luoghi a tolleranza zero per chi butta un mozzicone per terra o lascia l’auto in divieto di sosta, sono costellate di ville e appartamenti frutto dell’evasione fiscale italiana. Un’evasione a sei zeri, non quella del pizzicagnolo della porta accanto che magari si affida a spalloni di fortuna. A Sankt Moritz, Silvaplana, Sils approdano banchieri, finanzieri e grandi professionisti. Chissà se Monti, che da decenni ama villeggiare da quelle parti si è mai fatto qualche domanda in proposito.
Intanto il capo del governo di Roma e la collega svizzera sono stati costretti a prendere atto che la strada verso l’intesa in materia fiscale è molto lunga e ancora più ripida dei vicini tornanti del passo del Maloja. L’esecutivo di Berna deve tenere a bada le proteste dei partiti nazionalisti (Udc e Lega dei Ticinesi) che gridano alla svendita del segreto bancario, alla resa di fronte allo straniero, perfino di fronte agli italiani. E per dare il colpo di grazia a ogni possibile intesa sono già sulla rampa di lancio almeno un paio di referendum popolari che in Svizzera, come noto, sono uno strumento di democrazia diretta usato con grande frequenza.
Per ingraziarsi gli oppositori la Widmer Schlumpf, descritta dalla lobby bancaria come una pericolosa estremista, si vedrà costretta a chiedere contropartite forti a Roma. Per esempio in tema di ristorni fiscali sulle tasse prelevate alla fonte in Svizzera dagli stipendi dei frontalieri italiani. Soldi che tengono in vita decine di comuni di confine. Altro tema caldo è quello della black list. La Confederazione è considerata “Stato non collaborativo” in materia fiscale e questo espone le aziende elvetiche che lavorano in Italia a una lunga serie di adempimenti burocratici.
L’ipotesi di intesa tra l’Italia dovrebbe ricalcare a grandi linee gli accordi già raggiunti con Regno Unito e Germania. In pratica, gli evasori nostrani verrebbero tassati con un prelievo una tantum sui loro depositi svizzeri. Un prelievo particolarmente elevato, che nel caso dell’accordo tedesco, per esempio, è stato fissato al 34 per cento. E per il futuro i redditi dei capitali così emersi sarebbero tassati con aliquote stabilite tra i due stati. Per la Germania è previsto il 26,3 per cento, mente nel caso inglese si arriva al 48 per cento.
Le critiche a questo schema si fondano in primo luogo sul fatto che gli evasori lascerebbero i loro soldi in Svizzera mantenendo comunque l’anonimato. Inoltre non ci sarebbero sufficienti garanzie che le banche elvetiche collaborino fino in fondo denunciando per intero i capitali nei loro forzieri. Questi rilievi sembrano in parte fondati, ma nessuno tra i critici (tra cui non mancano ex collaboratori di Tremonti e sostenitori del suo condono agli evasori) ha fin qui segnalato come si possa far rientrare altrimenti una massa importante di capitali nascosti in Svizzera seguendo le regole dello stato di diritto. Soldi, si parla di una trentina di miliardi di possibile gettito, che farebbero gran comodo alle casse esauste del nostro Stato.
Certo, ci sarebbe il metodo americano. Nei mesi scorsi il governo di Washington è passato a vie di fatto per costringere Berna a siglare un accordo sul fisco. Ecco, in breve, la ricetta Usa: arresto di banchieri svizzeri sul territorio degli Stati Uniti, minaccia di boicottaggio commerciale e di blocco delle attività svizzere sul suolo statunitense. Sembra improbabile che Roma avrà il coraggio di imitare l’alleato americano.
Del resto anche il cancelliere Angela Merkel ha i suoi problemi per fare digerire l’intesa con Berna ai cittadini tedeschi. La sinistra (socialdemocratici e verdi) si oppone all’accordo perché lo considerano troppo blando nei confronti degli evasori e con il loro voto contrario sono in grandi di bloccare la ratifica delle nuove norme al Bundesrat, la cosiddetta camera delle regioni dove l’opposizione ha la maggioranza. Come se non bastasse, il land del Nord Reno Westfalia (dove si trovano città importanti come Dusseldorf e Colonia) si è procurato (forse a pagamento) un cd contenente un elenco di clienti tedeschi di alcune banche svizzere. Berna protesta per quello che considera furto di dati. Il governo federale di Berlino è imbarazzato, ma non può far niente contro le autonome decisioni di un land. E così, alla fine, perfino la Merkel potrebbe essere costretta ad alzare bandiera bianca. E allora niente più intesa con la Svizzera. Con grande soddisfazione degli evasori tedeschi.
Da Il Fatto Quotidiano del 19 agosto 2012

Palermo, azzerata la squadra antimafia. E anche in procura arriva il turnover. - Giuseppe Pipitone


carabinieri


Nel capoluogo siciliano, in autunno, andrà in scena un vero e proprio giro di vite. Come per il maggiore Antonio Coppola, capo del nucleo investigativo, per il quale i pm della Dda hanno chiesto di bloccare il trasferimento. Negli stessi mesi in cui saranno sostituiti i vertici investigativi dell’Arma, anche negli uffici del palazzo di giustizia avverrà una massiccia rotazione.

I cacciatori di mafiosi più esperti sostituiti tutti nello stesso momento e rimpiazzati di punto in bianco da colleghi con minore esperienza sul campo. E nello stesso periodo anche la procura sarà animata da un corposo turn over che coinvolgerà diversi magistrati della direzione distrettuale antimafia: se non è l’anno zero delle indagini su Cosa Nostra, poco ci manca. Quel che è certo è che in autunno, a Palermo, andrà in scena un vero e proprio giro di vite sul fronte antimafia. Nomi importanti che rappresentano la memoria storica dell’Arma nella lotta alla mafia. Come quello del maggiore Antonio Coppola per esempio. Coppola è il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri, autore delle principali indagini che hanno portato all’azzeramento dei vertici di Cosa Nostra, la piovra dalle mille teste, che tenta continuamente di riorganizzarsi: durante l’operazione Araba Fenice (coordinata proprio da Coppola), venne filmato il summit dei boss palermitani che avevano deciso di ricostituire la Cupola, prima di finire tutti in manette. Adesso il maggiore dovrà lasciare Palermo, smetterla di occuparsi di mafia per essere probabilmente trasferito al nucleo tutela patrimonio culturale di Roma. Una scelta che non è piaciuta a 35 magistrati dell’antimafia, che hanno scritto al procuratore capo Francesco Messineo per chiedergli di intercedere con i vertici dell’Arma e ritardare il trasferimento di Coppola.
“Non si possono azzerare i vertici degli organi investigativi dell’Arma tutti nello stesso momento: questa è un’iniziativa senza precedenti che credo non si sia mai verificata negli ultimi 30 anni” commenta Vittorio Teresi, procuratore aggiunto di Palermo. Oltre a Coppola, stanno infatti preparando le valigie anche altri uomini di punta nella caccia ai boss mafiosi. Come il colonnello Paolo Piccinelli, per esempio, che alla guida del Reparto Operativo ha smantellato la rete di fiancheggiatori del boss Gianni Nicchi. O come il generale Teo Luzi, coordinatore delle indagini sul misterioso omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, l’ex deputato di An assassinato a colpi di bastone due anni e mezzo fa da un uomo in motocicletta rimasto ancora oggi senza volto. In autunno andranno via anche i colonnelli Giuseppe De Riggi e Pietro Salsano, che guidano i gruppi di militari a Palermo e Monreale. “Il dato allarmante – spiega Teresi – è che i vertici dell’Arma destineranno a quei delicati incarichi ufficiali con quasi nessuna esperienza in fatto di lotta alla mafia: non si può pensare che i nuovi investigatori facciano esperienza sulla pelle delle nostre indagini, sarà quindi naturale per noi magistrati coordinarci maggiormente con le altre forze di polizia giudiziaria che hanno già maturato ampie conoscenze su Cosa Nostra”.
E negli stessi mesi in cui saranno sostituiti i vertici investigativi dell’Arma, anche negli uffici del palazzo di giustizia palermitano avverrà una massiccia rotazione. Se per i militari, però, gli spostamenti vengono decisi dai vertici, il turn over dei magistrati prenderà il via soltanto dopo il volontario trasferimento richiesto dalle stesse toghe. “Ci sarà comunque da riorganizzarsi” rileva sempre Teresi. Da ottobre si libereranno sicuramente due posti da procuratore aggiunto: sono quelli di Ignazio De Francisci, che si trasferirà negli uffici dell’avvocatura generale dopo la votazione unanime del Csm, e di Antonio Ingroia, il coordinatore dell’inchiesta sulla Trattativa Stato – mafia che invece andrà a lavorare per l’Onu in Guatemala. Una terza poltrona da aggiunto potrebbe essere presto lasciata libera da Nino Gatto, che dopo mesi in malattia potrebbe andare in pensione. Palazzo dei Marescialli ha già bandito il concorso per i posti da aggiunto: in lizza per succedere a Ingroia e De Francisci c’è Nico Gozzo, già pm del processo contro Marcello Dell’Utri e attualmente procuratore aggiunto a Caltanissetta. Proveranno a tornare a Palermo anche il sostituto procuratore della Dna Maurizio De Lucia, il procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto Salvo De Luca, il facente funzioni di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza e il capo dei pm di Termini Imerese Alfredo Morvillo: una corsa apertissima in cui gli appoggi interni al Csm sono fondamentali.
Se n’è accorto Roberto Scarpinato che rischia di essere tagliato fuori dalla corsa alla procura generale di Palermo dal procedimento disciplinare richiesto dal consigliere del Csm Nicolò Zanon, dopo il suo intervento in via d’Amelio il 19 luglio scorso. Sfidante del procuratore generale nisseno è Francesco Messineo: l’attuale procuratore capo di Palermo era stato indicato per la poltrona di procuratore generale dalla commissione incarichi direttivi del Csm, che avrebbe dovuto votare il nuovo procuratore generale entro fine luglio. La riunione plenaria è stata però spostata a settembre e indiscrezioni lasciano immaginare come Messineo possa alla fine pagare il ciclone istituzionale che si è scatenato dopo che il capo dello Stato è ricorso alla consulta sollevando un conflitto d’attribuzione contro il suo ufficio.
Se il Csm dovesse riaprire i termini, in lizza potrebbe tornare il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte, che non ha mai ritirato la domanda per la procura generale. E a breve potrebbe anche aprirsi la battaglia per la poltrona di procuratore capo: se Messineo dovesse pensare di cedere il passo, in corsa per l’ufficio che fu di Giancarlo Caselli ci sarebbero Sergio Lari e lo stesso Lo Forte.