lunedì 10 dicembre 2012

Camorra: ordinanza Bidognetti, ricostruita responsabilita' sub commissario rifiuti.

Bidognetti accusato di disastro ambientale "Tra i rifiuti anche quelli dell'Acna di Cengio"

Napoli, 10 dic. - (Adnkronos) - Il provvedimento di custodia cautelare in carcere eseguito dalla Dia di Napoli nei confronti di Francesco Bidognetti, capo storico dell'omonimo gruppo del clan dei Casalesi, accusato di disastro doloso e avvelenamento delle falde acquifere, ricostruisce anche le responsabilita' di Cipriano Chianese, Gaetano Cerci e Giulio Facchi, ex subcommissario per l'emergenza rifiuti in Campania. Per loro tre il giudice ha ritenuto assenti le esigenze cautelari. Secondo il gip Chianese e Cerci sarebbero organizzatori della programmazione ed esecuzione criminale. Chianese fu arrestato il 4 gennaio 2006 su provvedimento restrittivo richiesto dalla Dda ed eseguito anche allora dagli agenti della Dia di Napoli per la gestione di quattro distinte discariche a Scafarea mai autorizzate per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi. Gia' in quel provvedimento era documentata la partecipazione di Chianese al clan dei Casalesi, ''prova poi incrementata'', scrive la Dia di Napoli, attraverso altre fonti collaborative. Secondo la Dia di Napoli Chianese poteva contare ''sulla disponibilita' di uomini dello Stato, come il sub commissario di Governo Giulio Facchi, da cui aveva ottenuto autorizzazioni illecite e abnormi fondate su falsita' ideologiche''. Chianese si trova ai domiciliari dal 2009 ''per altri delitti estorsivi commessi in danno del commissario di Governo per l'emergenza rifiuti''.

http://napoli.repubblica.it/dettaglio-news/18:47-18:47/4270057

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http://napoli.repubblica.it/cronaca/2012/12/10/news/il_boss_di_gomorra_accusato_di_disastro_ambientale-48472515/

Ilva: Procura chiede mandato arresto europeo per Fabio Riva.

Ilva Procura chiede mandato arresto europeo per Fabio Riva

(AGI) - Taranto, 10 dic. - I pubblici ministeri della Procura di Taranto hanno chiesto al gip Patrizia Todisco l'emissione di un mandato di arresto europeo per Fabio Riva, vice presidente dell'omonimo gruppo industriale. Fabio Riva e' stato, infatti, raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere lo scorso 26 novembre nell'ambito dei nuovi sviluppi dell'inchiesta sull'Ilva, ordinanza che pero' non e' stata eseguita perche' Riva e' risultato irreperibile.
  Giovedi' scorso, attraverso i suoi avvocati, Fabio Riva ha fatto sapere di trovarsi a Londra, di aver appreso del provvedimento del gip e di volersi quindi mettere a disposizione delle autorita' inglesi. Di qui il mandato di arresto europeo e l'attivazione, da parte dei giudici, della procedura prevista in questi casi. Con la nuova fase dell'inchiesta sull'Ilva sono stati raggiunti da provvedimenti di custodia cautelare, lo scorso 26 novembre, anche l'ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, Luigi Capogrosso, e l'ex consulente delle relazioni istituzionali dell'Ilva di Taranto, Girolamo Archina', ancora detenuti. Sono invece ai domiciliari il padre di Fabio Riva, Emilio, presidente del gruppo Riva, gia' ai domiciliari da fine luglio con la prima fase dell'inchiesta giudiziaria sull'Ilva, e l'ex consulente della Procura di Taranto nonche' ex preside di Ingegneria a Taranto, Lorenzo Liberti. (AGI) .


http://www.agi.it/cronaca/notizie/201212101745-cro-rt10298-ilva_procura_chiede_mandato_arresto_europeo_per_fabio_riva

Reazione dei mercati.



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Fiat multata dall'Antitrust «Ingannevole spot su benzina a 1 euro».


Sergio Marchionne, ad Fiat

Il gruppo dovrà pagare una multa di 200mila euro: "Informazioni incomplete".

ROMA - L'Antitrust boccia come pubblicità ingannevole lo spot con cui l'estate scorsa Fiat ha pubblicizzato le sue vetture con un claim che prometteva il blocco del prezzo del carburante a 1 euro al litro per tre anni: l'Autorità ha comminato a Fiat Group Automobiles una multa di 200.000 euro.

Nel bollettino settimanale, l'Antitrust contesta al Lingotto di avere omesso alcune informazioni sull'offerta che è stata prospettata negli spot trasmessi nei mesi di giugno e luglio come se l'unico limite fosse quello temporale dei tre anni dall'acquisto dell'auto. Di qui la sanzione che colpisce «una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo». Nel bollettino dell'Antitrust si legge che «i messaggi descritti risultano in contrasto con gli articoli 21 e 22 del Codice del Consumo, in quanto, fornendo informazioni incomplete o comunque non percepibili dai destinatari sulle variabili che incidono sul prezzo del bene proposto, sono idonei a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore e a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso».

Le omissioni. «I messaggi, infatti - spiega l'Antitrust - omettono di indicare in modo chiaro che l'acquisto di una autovettura nuova Fiat, escluse quelle cosiddetti bi-fuel che non sono state inserite tra quelle a cui è applicabile la promozione, dà diritto ad ottenere una fuel card che consente agli acquirenti di acquistare presso alcuni distributori IP aderenti all'iniziativa un certo numero di litri di carburante al prezzo di 1 euro. I quantitativi di carburante acquistabili sono definiti sulla base del modello di autovettura acquistata». «Il comportamento oggetto della presente procedimento - aggiunge l'Authority - si presta, infine, ad una valutazione di scorrettezza anche ai sensi dell'articolo 20, comma 2 del Decreto Legislativo n. 206/05, per il quale una pratica commerciale è scorretta 'se è contraria alla diligenza professionale ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è direttà».

«In merito alla contrarietà alla diligenza professionale, non si riscontra - sottolinea l'Antitrust - nel caso di specie, da parte di Fiat, il normale grado di competenza ed attenzione che ragionevolmente ci si può attendere da un professionista quale la società in esame. Questi, infatti, è un importante operatore presente da lungo tempo nel settore della produzione e della vendita di autovetture, molto conosciuto dai consumatori e dal quale è legittimo attendersi una particolare attenzione alla qualità e completezza della propria attività di comunicazione pubblicitaria».


La stampa estera: “Berlusconi? Un ciarlatano che terrorizza i mercati”. - Matteo Cavallito


La stampa estera: “Berlusconi? Un ciarlatano che terrorizza i mercati”


I giornali di tutto il mondo ironici e diffidenti sul ritorno in campo di Berlusconi. Il Times: "La sua esperienza di gestore dell’economia è pessima quanto la sua reputazione di organizzatore di feste". Non mancano appunti anche sulla gestione Monti. E il Wall Street Journal ha già incoronato premier Pier Luigi Bersani.

A volte ritornano, immancabili come le inquietudini dei mercati. Lo avevamo lasciato nei panni dell’inetto Nerone che suona la lira sullo sfondo di una Roma in fiamme (copyright The Independent) alla vigilia del quasi collasso del Btp. Lo ritroviamo sulla tazza di un water con il marchio “scaduto” e un titolo che è tutto un programma: “Zurück nach oben”, in pratica “un ritorno a galla”, una risalita. Il tedesco Süddeutsche Zeitung non fa sconti nel dipingere agli occhi dei lettori l’ennesimo ritorno in campo di Silvio Berlusconi. E ancora una volta si ritrova in buona compagnia. Direttamente da Milanello torna Berlusconi, anzi “Torna il Bunga Bunga” sottolinea la Bild. La Frankfurter Allgemeine Zeitung non esita a parlare di “farsa italiana”, il Tagesspiegel si spinge a definire Berlusconi “der schlimmste Scharlatan der europäischen Nachkriegspolitik”, “il peggior ciarlatano del dopoguerra europeo”.
I toni non migliorano negli altri Paesi europei. Da Liberation (“Il ritorno della mummia”) Les Echos arriva il coro di sfiducia d’Oltralpe cui si somma la lunga sequela di bocciature d’Oltremanica. “Domenica l’Italia si è svegliata scoprendo ancora una volta come la politica sia un mondo fatto di amari attacchi personali, giochi di prestigio, egoismo e servilismo, l che significa una cosa sola:Silvio Berlusconi è tornato” scrive il corrispondente del Guardian Tom Kington. “L’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno è di tornare a votare per Berlusconi, la cui esperienza di gestore dell’economia è pessima quanto la sua reputazione di organizzatore di feste” scrive invece il Times.
L’accostamento, per quanto perfido, rappresenta la più ovvia chiave di lettura odierna. Attesa dalla prova mercati, l’Italia torna a respirare il clima pre Monti. Alla riapertura delle contrattazioni piazze finanziarie scontano quello che da anni gli analisti hanno ribattezzato Berlusconi’s discount, espressione coniata in origine per spiegare gli effetti delle prodezze del leader sulle performance del titolo Mediaset ma ormai utile a narrare le gesta dei titoli di debito e dei principali indici del Paese. A metà seduta la Borsa di Milano viaggiava a oltre 3 punti in negativo, con i tassi di interesse sul Btp decennali a quota 4,85% (spread intorno a 360 punti base). Male soprattutto i titoli bancari con Monte dei Paschi a (-6,82%), Unicredit (-5,76%), Banco Popolare (-6,39%) e Intesa Sanpaolo (-6,63%) letteralmente a picco. Un disastro che non si vedeva da tempo.
La questione è probabilmente tutta qui. I fondamentali dell’Italia, leggasi l’accoppiata debito/recessione, sono ancora spaventosi. Il piano di difesa lanciato in estate dalla Bce ha permesso ai mercati di evitare la temuta tempesta di agosto producendo una lenta normalizzazione degli spread. Ma la fragilità dell’impianto resta talmente evidente da risultare estremamente sensibile agli umori della speculazione. In sintesi, è come se i grandi fondi di investimento fossero tuttora in attesa di un segnale, una scintilla capace di scatenare nuovi movimenti ribassisti. E un messaggio di instabilità politica rappresenta in questo senso un’opportunità irrinunciabile.
L’addio di Mario Monti, il garante della serietà dell’impegno italiano agli occhi di Angela Merkel e della Ue, costituisce il segnale tanto atteso dagli speculatori. Ma qui si colloca anche un sostanziale paradosso. L’adesione di Monti alla linea europea ha contribuito a ridurre la pressione sul debito italiano, ma “l’aumento delle tasse e il taglio alla spesa – scrive il Financial Times – stanno avendo un effetto controproducente” tanto che “il deterioramento della sostenibilità del debito dell’Italia” dovrebbe diventare “più evidente il prossimo anno quando si avrà una maggiore evidenza statistica degli effetti calamitosi dell’austerity”. Come a dire che una volta superata l’emergenza da spread a 500 (il livello critico dei mesi passati) dovrà per forza scattare il piano b, quello pro crescita. Un onere che, sondaggi alla mano, spetterà probabilmente a Pier Luigi Bersani che Financial Times e Wall Street Journal hanno già incoronato premier.
“I problemi dell’Italia non riguardano tanto la gestione di breve termine del bilancio statale” sottolinea il quotidiano britannico. “Bersani è considerato un moderato ma il suo partito è sostenuto dai sindacati contrari alle riforme che all’inizio di quest’anno si sono impegnati con successo per annacquare le riforme del mercato del lavoro introdotte da Monti”, scrive il Wall Street Journal. Il Partito Democratico ha creato un’alleanza elettorale con il movimento della sinistra radicale (sic), Sel, che ha biasimato le riforme di austerità di Monti facendo così aumentare il timore degli economisti che alcune politiche fiscali meno rigorose possano far ripiombare l’Italia nella crisi”. Interpellato dallo stesso quotidiano finanziario Usa, Bersani ha promesso di rispettare in futuro gli impegni presi con l’Unione Europea. Basterà?

Elezioni, Berlusconi a Monti: “Il tempo dei tecnici è finito”. Aut aut alla Lega.


Elezioni, Berlusconi a Monti: “Il tempo dei tecnici è finito”. Aut aut alla Lega


Il Cavaliere sfida il Professore: "Il mio governo migliore del suo". Dopo il vertice nella residenza milanese il Pdl sembra intenzionato a dare la Lombardia al Carroccio in cambio dell'appoggio a livello nazionale. Intanto si pensa a volti nuovi per le liste elettorali e alla strategia anti Grillo.

“Il tempo dei tecnici è finito, noi durante il nostro governo siamo stati migliori di questo”. E ancora, nessuna sorpresa per l’annuncio di dimissioni dato dal permier Mario Monti dopo lo sfilamento del Pdl dalla maggioranza: “Sorpreso? No, pensavamo che fosse doveroso un comportamento siffatto”. Silvio Berlusconi si tuffa in piena campagna elettorale parlando con i giornalisti fuori da una pizzeria di Milano (ironia della sorte, in via Vincenzo Monti), dove ha cenato dopo il vertice del Pdl sulle regionali lombarde nella villa di via Rovani. L’attacco al professore e al suo esecutivo è netto e fa capire i toni che Berlusconi utilizzerà nei prossimi mesi.
“Noi abbiamo tenuto fede agli impegni. Cambia poco perché abbiamo l’anticipo di un voto di un mese, un mese e mezzo”, ha continuato il Cavaliere, assicurando che il breve lasso di tempo che separa il paese dal voto è più che sufficiente per battere il Pd di Bersani: “Penso di sì, sono più giovane politicamente di Bersani, Casini” e di altri politici del centrosinistra “e sono assistito dal migliore giovane che c’è in campo, Angelino Alfano“.
Non manca l’apertura allo sfidante del leader del Pd alle primarie – “Se Renzi volesse venire con noi, sappia che ai liberali tengo sempre la porta aperta” – ma soprattutto è chiara l’impronta anti-europeista che Berlusconi intende imprimere alla competizione elettorale: “Non si può continuare con queste politiche germano-centriche in ossequio all’Europa“. In conclusione, i leader del Pdl ha affermato di confidare “nel buon senso degli italiani – cui cercherò di spiegare andando nel prossimo mese in tv che il voto frammentato rende il Paese ingovernabile“.
Il ritorno al passato si completa con la riedizione dell’alleanza con il Carroccio: “Mai venuta meno l’alleanza con la Lega. Un ragionamento che l’ex presidente del Consiglio ha fatto anche con il vertice lombardo del partito riunito per oltre quattro ore in via Rovani, storica residenza milanese del Cavaliere. Un incontro definito “molto costruttivo” dall’ex capo del governo che tra i vari argomenti ha discusso appunto con i suoi dirigenti del futuro della Lombardia e dell’ipotesi di un accordo con la Lega.
Elezioni in Lombardia. L’idea che il Pdl appoggi la candidatura di Roberto Maroni va bene al Cavaliere che però, come contropartita, chiede un impegno del Carroccio a siglare un’intesa a livello nazionale. “Prima di parlare di candidato in Lombardia, bisogna parlare di contesto nazionale. Anche noi abbiamo i nostri candidati”. E per questo “per noi è prioritario che la Lega esprima la sua posizione in un quadro nazionale” fa sapere, a termine della riunione, il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani. Per la poltrona del Pirellone l’ipotesi è infatti quella di un ticket di due ex ministri: il segretario della Lega Nord Roberto Maroni e di Mariastella Gelmini. Quello che è certo è il duo Maroni-Gelmini non piace al presidente uscente della Lombardia, Roberto Formigoni, che prima di entrare spiegava: “Preferisco Coppi-Bartali”. Perché per il Celeste il candidato giusto era Gabriele Albertini (che oggi in una intervista ha fatto sapere che non rinnoverà la tessera del Pdl, ndr). Il governatore ha sempre dichiarato la sua preferenza per la candidatura alla presidenza della Lombardia dell’ex sindaco di Milano, ma oggi questa candidatura potrebbe essere tramontata. Certo è che “si sono prese decisioni importanti” .
Per B. Monti avrebbe solo il 13% delle preferenze. Lega a parte, l’ex capo del governo attende che il premier faccia la sua mossa e dica apertamente se intende candidarsi o meno. E pensare – è il ragionamento – che sono stato il primo ad indicare Monti come la persona giusta per metter insieme tutti i moderati mettendo bene in chiaro al Professore che avrebbe potuto godere del mio appoggio. Ora – prosegue ancora l’ex capo con i suoi uomini più fidati – Monti decide di schierarsi e siglare un accordo solo con una parte politica. Il Cavaliere sa bene che il rapporto con il Professore è ormai irrecuperabile. Berlusconi ne avrebbe parlato anche con Gianni Letta che oggi lo ha informato di un colloquio avuto con il Capo dello Stato a margine del concerto di Natale al Quirinale. Il presidente della Repubblica avrebbe espresso le sue valutazioni sulla decisione assunta dal Cavaliere di sfiduciare il governo accelerando la fine di una legislatura ormai arrivata agli sgoccioli. In attesa di capire le mosse di Monti, il Cavaliere è convinto che il premier ancora in carica non riscuota successo in quella fetta di elettori a cui guarda il leader del Pdl. Parole che sarebbero supportate da una serie di sondaggi (quelli nuovi arriveranno domani mattina) secondo cui il premier non avrebbe un gradimento significativo, si parla di un 13% massimo. Sondaggi a parte però il capo del governo si prepara alla controffensiva. L’accelerazione sulle legge di stabilità e lo scioglimento della legislatura prima di Natale rafforza l’idea che si vada a votare a febbraio. L’obiettivo del partito è quello di provare a fare il più possibile ostruzionismo in Parlamento per allungare i tempi sperando che si voti il 24-25 febbraio. Il poco tempo a disposizione impone al Cavaliere anche una revisione su come impostare la campagna elettorale che ruoterà intorno al tema delle tasse e al rischio di un aumento nel caso al governo vada il centro sinistra. 
La strategia anti Grillo. L’ex capo del governo ha intenzione di alzare il livello dei toni ed anche l’allarmismo cercando di attrarre quegli elettori pronti a sostenere Grillo, che ancora oggi dal suo blog ha lanciato strali contro Monti e tutti gli altri. L’obiettivo – spiegano i pidiellini – è arrivare prima del Movimento 5 Stelle. Ecco perché l’intenzione è arrivare ad un’intesa con la Lega. Certo, l’idea di ‘consegnare’ al Carroccio anche la Lombardia non piace allo stato maggiore del partito, poco convinto che un’intesa nazionale con i leghisti consenta al Pdl di poter mandare in tilt il Senato. Già perché potrebbe essere quella la strategia da seguire visto il ‘peso’ in termini di elezione di senatori che ha la Lombardia. I sondaggi in questo momento danno il partito del Cavaliere in caduta libera in tutte le Regioni per cui risalire la china è complicato.
Volti nuovi per le liste elettorali. Occhi puntati poi sulla composizione delle liste elettorali. Raccontano che l’ex capo del governo sia intenzionato a fare ‘piazza pulita’ rinnovando con una serie di volti nuovi. Tra cui non ci sarà quello di Flavio Briatore che su Twitter ha ribadito che non si candiderà e che voterà turandosi il naso. L’idea di dare vita ad un partito che assomigli nei fatti ad un nuova Forza Italia potrebbe portare una parte degli ex An a lasciare il Pdl. Nel vertice Ignazio La Russa, a quanto raccontano i presenti, avrebbe esposto l’idea a Berlusconi che non si sarebbe detto contrario: “Ditemi quello che volete fare – avrebbe replicato il Cavaliere – se pensate che divisi si possa recuperare consenso io non metto ostacoli”.

E adesso Mancino parli. - Sandra Bonsanti



C’è un momento, un’ora in questa drammatica storia della trattativa tra Stato e mafia su cui Nicola Mancino conosce la verità e, se volesse, potrebbe finalmente dirla.
E’ il primo luglio del 1992. Paolo Borsellino, poco più d’un mese dopo la strage di Capaci, è a Roma e sta interrogando, in gran segreto, Gaspare Mutolo, il mafioso che sta cominciando a collaborare.
Mentre si sta svolgendo l’interrogatorio il magistrato riceve una telefonata: dal Viminale gli chiedono di recarsi a incontrare il nuovo ministro dell’Interno, Mancino, appunto, che vorrebbe salutarlo.
Borsellino interrompe l’interrogatorio. Va al Viminale, attende in anticamera e arriva Bruno Contrada, l’uomo dei servizi. Con una battuta gli fa sapere che lui sa che Mutolo sta parlando.
Poi Borsellino entra a salutare Mancino. Infine, torna a completare l’interrogatorio. Che riprende sugli intrecci Stato-mafia.
La sera, Borsellino telefona a Gioacchino Natoli che oggi presiede il tribunale di Marsala. Gli racconta l’accaduto. Gli dice che non sa come mai Contrada fosse informato. Gli dice: “Non siamo al sicuro”.
Diciotto giorni dopo anche Borsellino viene ucciso.
Mancino non ricorda: di aver visto Borsellino, quel giorno. Poi ammette che forse gli ha stretto la mano, uno fra tanti.
Mancino sa di cosa si parlò il primo luglio del ’92 al Viminale. E’ il suo segreto. Un segreto attorno al quale ruota da anni l’inchiesta sulla trattativa. Mancino sa e deve parlare. Tanto più ora, dopo la sentenza della Corte.
Mancino è stato un protagonista della vita politica nella Prima Repubblica, nel bene e nel meno bene.
Non può esser creduto quando sostiene di non ricordare.
L’insistenza con la quale cercava protezione dal Quirinale, mettendo nei guai anche il Capo dello Stato, ci dice qualcosa. E’ la spia della volontà o della necessità di mantenere un silenzio.
Bisogna che oggi trovi il coraggio di raccontare cosa accadde quel primo luglio del ’92 nel suo nuovo ufficio al Viminale: chi era presente, cosa si disse, cosa gli fu detto sull’uccisione di Falcone e sulle richieste della Cupola.
Da oggi Nicola Mancino deve ricordarsi davvero tutto, a partire dal terrore dei politici democristiani dopo l’uccisione di Salvo Lima, dopo la morte di Falcone; di quei minuti che segnarono forse la vita anche di Paolo Borsellino.
E degli altri che morirono nelle stragi del 1993.
Bisogna che finalmente su questa pagina tremenda della nostra storia si faccia verità e giustizia.


http://www.libertaegiustizia.it/2012/12/05/e-adesso-mancino-parli/