domenica 11 agosto 2013

Andrea Scanzi.



La parola magica di questi giorni è "salvacondotto". 

Ovvero, l'ennesimo artificio per salvare Berlusconi. 
Va molto di moda, tanto tra i Ferrara quanto tra i Sansonetti o Battista.

La loro speranza è riposta in Napolitano, che però non darà la grazia. Non quella palese, quantomeno, che in ogni caso dovrebbe chiedere Berlusconi in persona o un suo familiare (Marina, magari).


C'è stato, come scritto da più parti, un tentativo di trattativa. Pd e Quirinale hanno proposto questo compromesso a Berlusconi: “Tu rispetta la sentenza, senza attaccare i giudici. E evita al Senato di infiammare il clima col voto sulla decadenza, dimettendoti da senatore. Quando inizi a scontare la pena, si trova un modo per garantire l’agibilità politica” (il riassunto è dell'Huffington Post). Una sorta di "Ipotesi Nixon", per dirla con Sechi.

Berlusconi ha ritenuto tale proposta "irricevibile". Anch'io, ma per motivi opposti.

L'ultima carta per evitare lo strappo tra Napolitano e Berlusconi sarà la "visita di cortesia" al Quirinale di Letta (lo zio, ma è verosimile che sia d'accordo anche il nipote). I falchi, come Verdini e Santanché, spingono per andare al voto subito. Le colombe, come Lupi e Gelmini, dicono invece che il governo è l'ultima spiaggia del Pdl.


Di fatto Berlusconi ha già cominciato la sua campagna elettorale, utilizzando lo spauracchio-Imu e preparando un vero e proprio tour nei luoghi di villeggiatura: raccolta firme, comizi, manifesti 6x3 con il simbolo di Forza Italia.
Berlusconi spera poco (almeno in tempi brevi) nella cosiddetta "agibilità politica". Per questo pensa di far cadere il governo a settembre e andare al voto a novembre, cercando in qualche modo di evitare incandidabilità e arresti domiciliari, che scatteranno tecnicamente il 15 ottobre. 


Napolitano, però, non vuole le elezioni prima (almeno) del 2014, ovviamente con nuova legge elettorale. 

E' ha già pronta, secondo i falchi del Pdl, l'arma finale se Berlusconi forzerà la mano: appello alla nazione e dimissioni da Capo dello Stato, dando la colpa al centrodestra. 
Ipotesi temutissima dal Pdl, ma che Berlusconi reputa improbabile, perché Napolitano non ne avrebbe il coraggio.

In questo scenario, ho due considerazioni da fare:
1) L'idea che buona parte della politica italiana, con il paese a pezzi, si scervelli per salvare Berlusconi, è di una mestizia morale sconfinata.


2) Se Berlusconi va al voto a breve, giocando sul ruolo del martire e scatenando tutto il suo potere economico-mediatico, vince un'altra volta. O ci va vicino. Perché a tanti italiani continua a piacere, anche in quanto evasore e dunque "oppositore" dello Stato mangiasoldi.
Sarà un autunno caldo.


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venerdì 9 agosto 2013

Femminicidio, i punti deboli del decreto. - Nadia Somma

Il governo Letta ha varato il decreto legge contro il femminicidio, contenuto purtroppo in una serie di norme sulla sicurezza. E’ stato presentato con toni entusiastici come strumento di tutela delle donne che il decreto pensa come “soggetti deboli” e bisognosi di tutela.
Certo alcune norme contenute nel decreto sono interessanti come la previsione dell’aggravante nei casi di violenze commesse alla presenza dei minori che ci auguriamo porti a tutelare maggiormente i bambini nei casi di violenza assistita. L’obbligo di arresto e l’allontanamento dell’autore di maltrattamenti in casi di flagranza di reato potrebbe essere un altro buon strumento, anche se resta da capire cosa accadrà, una volta che l’autore di violenze sarà scarcerato. Se oltre a bloccare l’autore di violenze non si aiutano le donne con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione allontanandole dal pericolo, tutelando i figli, rafforzando le loro scelte offrendo sostegno e percorsi di autonomia, anche economica, che efficacia avranno gli arresti e gli ammonimenti? Si pensa di risolvere tutto con il carcere?
In Italia le strutture di accoglienza che mettono le donne, al centro delle relazioni di aiuto, sono poche. Complessivamente ci sono 500 posti letto invece dei 5700 previsti dalle direttive europee e i centri antiviolenza continuano ad essere scarsamente finanziati e molti sono sempre a rischio di chiusura. Non solo. Spesso sono presi di mira da atti intimidatori, come nel caso del centro antiviolenza di Firenze “Artemisia” dato alle fiamme il 20 maggio scorso
Sono critiche invece le norme che prevedono procedure d’ufficio e l’irrevocabilità della querela: un insieme di interventi che passano sopra la testa delle donne. Il legislatore pare non aver recepito la differenza tra situazioni dove la vittima ha già interrotto la relazione e sta subendo stalking e situazioni dove invece continua a convivere con il maltrattante. L’ammonimento del questore anche su segnalazione di terze parti desta persino preoccupazione. Il momento dello svelamento della violenza è delicato e pericoloso e se l’autore del maltrattamento torna a casa con la vittima esiste un alto rischio di ritorsioni o intimidazioni e minacce. Un rischio che potrebbe essere nutrito dal dubbio che la compagna abbia parlato confidandosi con qualcuno.
Quanto alla irrevocabilità della querela è fondamentale il rafforzamento della determinazione della donna per interrompere situazioni di violenza familiare. Come si può prescindere dalla volontà della donna? E nel caso che decida di non aderire agli interventi del legislatore che sono mirati solo a ottenere la condanna penale dell’autore del maltrattamento, e non la cessazione dei comportamenti violenti, sarà giudicata collusiva, non collaborativa con la giustizia, reticente?
I nostri governi continuano a considerare la violenza contro le donne una questione di ordine pubblico o causa di “allarme sociale” invece che un problema culturale. E in Italia non abbiamo ancora un sistema di interventi organici contro la violenza di genere. Le richieste le aveva stilate Di.Re lo scorso otto marzo, e l’unica accolta è stata la ratifica della Convenzione di Istanbul. Altre richieste erano state avanzate da Di.RE insieme alla Convenzione No More e riguardavano interventi organici tra soggetti istituzionali e centri antiviolenza, lavoro di rete, sostegno alle vittime, interventi di sensibilizzazione nelle scuole e università. Ma sono state del tutto ignorate come del resto la richiesta da parte dell’associazionismo e del movimento delle donne, di nominare un’altra ministro per le Pari opportunitàdopo le dimissioni di Josefa Idem e l’assunzione delle sole deleghe da parte di Maria Cecilia Guerra, già titolare del dicastero del Lavoro.
Un altro dei problemi che il decreto non risolverà è la inadeguata formazione e la mancanza di personale dedicato per i casi di violenza familiare (forze dell’ordine e tribunali) che non permette la capacità di distinguere tra situazioni di conflitto di coppia e di violenzaManuela Ulivi, avvocata della Casa delle Donne di Milano, ha denunciato recentemente una altissima percentuale diarchiviazioni per le denunce di violenze nei tribunali della Lombardia: 1000 su 1500 in un anno e l’invio di situazioni di violenza alla mediazione familiare con conseguente vittimizzazione secondaria della donna che aveva subito o denunciato violenze.
Il decreto legge contro il femminicido interviene solo sul piano repressivo un piano di intervento talvolta necessario per bloccare gli autori di violenze ma insufficiente per affrontare il fenomeno in tutta la sua complessità. Infine, come segnala Mario De Maglie, dispiace non trovare alcun riferimento riguardo alla presa in carico degli uomini autori di comportamenti violenti, i cosiddetti “maltrattanti”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/09/femminicidio-punti-deboli-del-decreto/680760/