Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 15 aprile 2014
Vignette....
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Queste vignette sono una di Massimo Bucchi che pubblica su Repubblica e l'altra di Vauro, saranno nazisti anche loro?
Berlusconi affidato in prova ai servizi sociali.
Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha concesso a Silvio Berlusconi la pena alternativa dell'affidamento in prova ai servizi sociali per scontare la condanna per il processo Mediaset, al netto del condono, di un anno.
Berlusconi era stato condannato definitivamente per il caso Mediaset a quattro anni di carcere tre dei quali coperti da indulto. Giovedì scorso si era tenuta l'udienza per discutere l'istanza e il pg Antonio Lamanna aveva dato parere favorevole affinchè il leader di Forza Italia, come aveva proposto l'ufficio esecuzione penale esterna, svolgesse attività di volontariato in una struttura per anziani mentre aveva bocciato l'attività indicata dalle'ex premier come motivatore in un centro per disabili del circuito delle associazione no profit a lui vicine. I giudici avevano 5 giorni di tempo, non tassativi, per depositare il loro provvedimento.
Al momento non si sa ancora se il leader di Forza Italia svolgerà, come anche da lui proposto, attività di volontariato. L'ex capo del Governo a questo punto dopo avere firmato il verbale con le prescrizioni stabilite dai giudici avrà colloqui, si presume con scadenza mensile, con il responsabile dell'ufficio esecuzione penale estere l'Uepe, di Milano. All'esito della prova il tribunale di sorveglianza valuterà l'estinzione della pena.
Poltrone di Stato, Renzi promuove Moretti e rimette in gioco Marcegaglia. - Fiorina Capozzi e Gaia Scacciavillani
I dejà vu e l’ondata di quote rosa, benché in ruoli rigorosamente non esecutivi, erano attesi. Ma chi si aspettava che Matteo Renzi si sarebbe limitato a rottamare i vecchi manager di Stato sostituendoli con nuove leve di sua fiducia, sarà rimasto spiazzato. Le liste dei candidati del governo dei sindaci per la guida delle più importanti aziende pubbliche italiane, infatti, sono solo il primo passo che apre al premier nuovi e più ampi orizzonti. Come il ricambio anticipato anche dei vertici di aziende che non avrebbero dovuto essere toccate da questa prima tornata, dando il via a un effetto domino che nel giro di poche settimane potrebbe cambiare buona parte dello scenario delle poltrone pubbliche, sfiorando anche la Rai.
Tutto parte da Mauro Moretti, il manager 61enne di recente balzato agli onori delle cronache per aver a priori rifiutato l’idea di un taglio di stipendio. A lui, dopo sette anni alle guida Ferrovie dove ha trascorso tutta la sua vita professionale, andrà l’incarico di amministratore delegato di Finmeccanica. Così l’ex sindacalista della Cgil si ritroverà a gestire la prima azienda della difesa del Paese, liberando una casella strategica ai vertici delle Fs che erano stati rinnovati appena lo scorso agosto dall’allora premier Enrico Letta. In più il manager delle Ferrovie rimette in gioco il suo stipendio come desiderava: se è infatti prevedibile che guadagnerà meno del suo predecessore in Finmeccanica (2,2 milioni di euro tra fisso e variabile), non sarà di sicuro inferiore a quello attuale nelle Ferrovie (circa 850mila euro l’anno). “Di Renzi mi fido”, aveva del resto dichiarato Moretti lo scorso 21 marzo dopo il botta e risposta con il premier che da Bruxelles annunciava il tetto agli stipendi dei manager pubblici. E in effetti è stata una fiducia ben riposta, visto che il manager sarà così abbondantemente ricompensato della guida del ministero dello Sviluppo economico che era sfumata in zona Cesarini anche per le polemiche suscitate per il suo ruolo di imputato al processo per la strage di Viareggio iniziato lo scorso autunno.
D’altro canto però Moretti, che sarà affiancato dal presidente Gianni De Gennaro (unica conferma delle vecchie nomine) e circondato da consiglieri come l’ex viceministro degli Esteri del governo Letta, Marta Dassù, il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa e l’avvocato Alessandro De Nicola, è un uomo ben noto alla sinistra che nel 2006, sotto il governo di Romano Prodi, gli aveva affidato l’incarico di risanare le Ferrovie. Così come lo è Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, anche lui rinnnovato da Letta ad agosto. L’ex enfant prodige dell’Iri bacchettato dalla Corte dei conti un anno fa per il rosso dilagante nei conti del gruppo pubblico, è infatti in predicato per la successione di Moretti. Scelta che include un’altra reazione a catena che sarà confermata “nelle prossime ore, nei prossimi giorni. Non è un problema”, come ha detto il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Graziano Delrio. Tempi stretti anche per il caso Rai che si apre con la candidatura alla presidenza delle Poste dell’ex imprenditrice delle costruzioni, Luisa Todini che è anche consigliere di amministrazione della tv di Stato. “So solo che non c’è incompatibilità, ma l’opportunità verrà valutata in tempi rapidi – ha del resto commentato lei stessa a caldo all‘Ansa – La mia esperienza mia ha insegnato che non si possono fare bene insieme troppe cose”.
Per l’ex europarlamentare di Forza Italia la nomina pubblica è una piccola consolazione: l’imprenditrice è stata di recente è stata scaricata dall’amico Pietro Salini, che aveva salvato l’azienda della famiglia Todini nel 2009 inglobandola nel suo gruppo (oggi Salini-Impregilo) grazie al “grande supporto del sistema bancario, con particolare riferimento ai gruppi Intesa Sanpaolo e Bnl-Bnp Paribas, insieme a Unicredit e Mps”. Un anno dopo, nel 2010, l’allora premier Silvio Berlusconi l’avrebbe voluta per sostituire Claudio Scajola a capo del ministero dello Sviluppo economico oggi occupato da un’altra pupilla dell’ex Cavaliere, Federica Guidi. Per la Todini, poi, l’incarico ai vertici delle Poste è un impegno in più che si aggiunge al lavoro del Comitato Leonardo, associazione che si propone di promuovere l’immagine dell’Italia come sistema Paese. Una sorta di rete di imprenditori che evidentemente non dispiace al premier Renzi.
Ma ha sicuramente pesato l’effetto sulle quote rosa, che hanno messo a dura prova il premier, il quale ha dovuto trovare la quadra tra le promesse e i ruoli operativi. E la scelta, che ha il merito innegabile di rimescolare le carte nella partita tra generi, è stata di mantenere gli impegni indicando per i consigli di Enel, Eni, Finmeccanica e Poste ben 11 donne. Tutte, però, con ruoli non operativi e, quindi, con stipendi nettamente inferiori rispetto ai colleghi maschi (“Per le indennità dei presidenti delle società” è fissato un tetto di 238mila euro annui, con una riduzione rispetto a “cifre in alcuni casi a molti zeri”, ha spiegato Renzi). Sarà il caso anche di Emma Marcegaglia, che si scalda per la presidenza dell’Eni, dove almeno potrà contare su consiglieri come l’economista Luigi Zingales, che Renzi ha indicato accanto all’ex presidente del Banco di Sicilia e vicepresidente di Alitalia in quanto patron del fondo Equinox, Salvatore Mancuso. Ma soprattutto su un operativo interno all’azienda, Claudio De Scalzi, già capo del settore esplorazione del Cane a sei zampe. Proprio lei che, dopo la discussa presidenza di Confindustria, anche nell’azienda di famiglia ha diverse gatte da pelare. Non ultimo il confronto con i sindacati sul tema della sicurezza del lavoro dopo che lo scorso 8 aprile, un dipendente, Lorenzo Petronici, ha perso la vita in un infortunio mortale. In seguito al quale i lavoratori del gruppo hanno ricordato come “dal 2000 ad oggi a Mantova, Casalmaggiore e Boltiere si sono verificati infortuni estremamente gravi e morti bianche all’interno delle fabbriche del Gruppo, segno che, verso la sicurezza, c’è una soglia di attenzione molto bassa, per non dire inefficace da parte dell’Azienda”. Senza contare i lifting fiscali per risparmiare le tasse rispettando la legge e la vecchia inchiesta per evasione che nel 2008 ha visto il fratello Antonio patteggiare 11 mesi di pena oltre alla restituzione di 6 milioni di euro allo Stato.
In attesa della conferma di Catia Bastioli per la presidenza del gestore della rete elettrica Terna che è di competenza della Cassa Depositi e Prestiti, l’elenco delle principali quote rosa si chiude poi con Maria Patrizia Grieco indicata dal governo per l’Enel. Di lei si può senz’altro dire che conosce bene i consigli di amministrazione. Anche quelli più insidiosi. Il suo nome figurava nella lista di Intesa San Paolo per il rinnovo del cda della Parmalat presentata a maggio 2011, poco prima del passaggio in mani francesi. Ed era due righe sotto a quello di Enrico Bondi. Ma la maggior parte della sua esperienza è in telecomunicazioni e informatica con un passaggio nel consiglio di amministrazione di Fiat Industrial fino all’integrazione del polo camion e macchine agricole in Cnh Industrial. Non sarà quindi facile passare da Olivetti (società del gruppo Telecom Italia con un fatturato da 265 milioni) a un colosso come l’Enel. Ma almeno sarà affiancata da un manager che conosce il gruppo come Francesco Starace, ingegnere nucleare già numero uno della controllata per le rinnovabili Enel Green Power, con trascorsi in gruppi energetici come General Electric, ABB e Alstom.
Altrettanto non può dire la collega Todini, che dovrà lavorare con Francesco Caio. Per l’ex Mister Agenda Digitale, che ha mollato l’incarico non appena è iniziato il totonomine governativo, Renzi ha infatti immaginato un futuro alla guida delle Poste – che in ballo hanno sia la quotazione in Borsa che il salvataggio dell’Alitalia siglato dal governo Letta -insieme ai consiglieri Roberto Rao deputato Udc fino al 2013 e al renziano Antonio Campo dall’Orto, già autore del rilancio di La7. Il manager, vicino all’ex ministro dello sviluppo economico Corrado Passera, forse anche per via di una breve esperienza nel consiglio della banca Nomura, non ha del resto brillato nel rapporto sullo stato della banda larga: nel dossier commsionato da Letta, Caio, con il supporto di altri due esperti internazionali e ben dodici saggi, si è limitato a diagnosticare un cronico ritardo e a consigliare l’uso di fondi europei per sviluppare le reti di nuova generazione. Magari con le più classiche spedizioni del servizio universale le cose andranno meglio.
lunedì 14 aprile 2014
sabato 12 aprile 2014
Dell’Utri fermato a Beirut, Orlando: “Avviate procedure per estradizione”
L'annuncio del fermo è venuto direttamente dall'ex compagno di partito il ministro dell'Interno Angelino Alfano. L'ex senatore era in un lussuoso albergo, aveva il suo passaporto italiano, "alcune decine di migliaia di euro", ha usato le carte di credito per i pagamenti. Gli investigatori del Dipartimento di intelligence della polizia libanese lo non stanno interrogando. Forse già lunedì l'udienza di convalida davanti al giudice libanese.
È già finita la grande e imbarazzante fuga di Marcello Dell’Utri. L’ex senatore di Forza Italia è stato fermato a Beirut, questa mattina alle 9.30 (10.30 in Libano). L’annuncio è venuto direttamente dall’ex compagno di partito il ministro dell’Interno Angelino Alfano al congresso del Nuovo Centrodestra: “Sarà estradato”.
Sull’ex numero uno di Publitalia, amico personale di Silvio Berlusconi, nonché cofondatore di Fi, pendeva un ordine di cattura emesso dai giudici di Palermo per la condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell’Utri era in un lussuoso albergo l’Intercontinental Phoenicia. L’ex senatore, che aveva con sé “alcune decine di migliaia di euro” al momento dell’arresto ed era in possesso di un passaporto italiano, si trova ora negli uffici della polizia libanese. Quando i poliziotti hanno bussato alla porta della sua camera era a letto e non ha detto una parola. La sua individuazione è stata stata possibile grazie a una segnalazione dell’Interpol. I pagamenti effettuati da Dell’Utri sono avvenuti con le sue carte di credito.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha avviato tutte le procedure per la richiesta di estradizione. Il Guardasigilli è rientrato a Roma (era a Torino per l’apertura della campagna elettorale del Pd) per dare il suo via libera.
Dall’ambasciata in Libano fanno sapere che a Dell’Utri è stata data “assistenza consolare come in tutti casi di connazionali arrestati” anche se allo stato non è il personale diplomatico non ha avuto ancora modo di potergli parlare. Gli investigatori del Dipartimento di intelligence della polizia libanese lo non stanno interrogando. Potrebbe tenersi lunedì l’udienza di convalida dell’arresto di fronte al giudice libanese. In questa sede non si discuterà dell’eventuale estradizione, la cui concessione da parte del Libano è legata al fatto che l’arresto sia prima convalidato.
Il primo commento arriva da Palermo, il pg Luigi Patronaggio, che aveva chiesto l’arresto, dice: “Nonostante la forte pressione mediatica che talvolta rischia di vanificare il nostro lavoro e quello delle forze di polizia che ci collaborano, ritengo che, in sinergia con la Dia e l’Interpol, con l’arresto di Dell’Utri abbiamo ottenuto un ottimo successo operativo. Attendiamo adesso con serenità l’esito del processo in Cassazione”.
Il 15 aprile è prevista infatti l’udienza che dovrà confermare o annullare quel verdetto. Per questo gli inquirenti di Palermo avevano chiesto e ottenuto, dopo aver ottenuto in passato due no, il mandato di arresto. L’8 aprile l’ex parlamentare però non era stato rintracciato dagli investigatori che erano andati in carcere a cercarlo e il 10 per lo Stato italiano l’ex parlamentare è diventato formalmente latitante. Ieri, dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, era stato emesso il mandato di arresto internazionale eseguito dalla polizia libanese. È il Dipartimento di intelligence della polizia libanese, che ha competenze anche su questioni di criminalità organizzata e terrorismo, che al momento tiene in custodia Dell’Utri.
Ieri Dell’Utri tramite una nota aveva fatto sapere: “Mi sto curando. È aberrante la richiesta“. “Tengo a precisare che non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione; e che trovandomi in condizioni di salute precaria – per cui tra l’altro ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica – sto effettuando ulteriori esami e controlli”, senza però dire dove. Un indizio che Dell’Utri potesse essere in Libano era stato captato dagli investigatori nei mesi scorsi, quando il fratello Alberto al telefono disse: “In Libano Marcello starebbe bene”.
“Ora è trattenuto dagli agenti e spero possa essere liberato in attesa della procedura di estradizione – dice l’avvocato Giuseppe di Peri che non ha ancora sentito Dell’Utri. ”Spero che la polizia locale gli abbia fatto contattare un avvocato del posto. Le procedure per l’estradizione – spiega il legale – sono partite ma passerà almeno qualche settimana”. Intanto, spiega l’avvocato, Dell’Utri potrebbe essere considerato in stato d’arresto o rilasciato in attesa dell’esito delle procedure di estradizione: “Dipende dalle leggi del posto”.
Le ultime tracce che Dell’Utri aveva lasciato erano in Libano. Il 3 aprile l’ex senatore era nel paese mediorientale perché uno dei suoi telefoni è stato intercettato “nei dintorni della città libanese di Beirut”. L’ex parlamentare era stato visto inoltre sul volo Parigi-Beirut il 24 marzo. Il testimone aveva visto l’ex senatore viaggiare “in business” e aveva assicurato di averlo visto ritirare il bagaglio una volta atterrato e uscire dall’aeroporto. L’intercettazione che aveva fatto scattare l’ordine di cattura risale a novembre. Nella conversazione il fratello Alberto parlando col proprietario del ristorante Assunta Madre di Roma Vincenzo Mancuso, diceva di “accelerare i tempi” e faceva riferimento alla Guinea che “concede facilmente i passaporti diplomatici”. Mentre in un’altra intercettazione il fratello Alberto, sempre con Mancuso, affermava: “Il programma è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato la conosce, c’è un grande fermento culturale… per lui andrebbe bene”.
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