giovedì 1 agosto 2019

"Preoccupato per mio figlio, ragazzo generoso e gentile. Mi hanno assicurato che non ha subito maltrattamenti".



Il padre del ragazzo che ha ucciso il vicebrigadiere ha espresso vicinanza alla famiglia di Mario Cerciello Rega.


E'arrivato in Italia Ethan Elder, il padre di Finnegan Elder, ragazzo che ha confessato di aver ucciso, con 11 coltellate, il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Il 61 enne verso le 15 di ieri ha avuto un colloquio con gli avvocati Roberto Capra e Renato Borzone, della durata di circa 5 ore, in un hotel a cinque stelle di Monte Mario. La prima domanda che ha rivolto loro è stata: “Avvocato, come sta mio figlio?”. Lo riporta il Messaggero.
Durante il colloquio ha tempestato di domande i due avvocati, sulla successione degli eventi che hanno portato alla morte di Rega, sul sistema giudiziario italiano e sulla salute del figlio:
“Mia moglie e io dopo avere visto le foto di Hjorth bendato e di Finn nella camera d’albergo, abbiamo temuto per la sorte di nostro figlio. Ma siamo stati rassicurati sul fatto che non ha subito alcun maltrattamento”
Ethan è atterrato ieri alle 11.40 all’aeroporto di Fiumicino con la voglia di incontrare subito Finnegan, ma il tempo di arrivare in albergo e farsi una doccia e l’incontro è dovuto slittare a oggi:
Per oggi è stato organizzato un incontro con Finnegan, mentre nelle prossime ore arriverà anche Leah, la moglie, la madre del ragazzo. “Voglio capire le procedure per incontrarlo”, ripete Ethan. Troppo tardi, ieri. Il portone del carcere aveva già chiuso ai familiari alle 12.45. Ethan ieri è apparso tranquillo. Cinque anni fa faceva volontariato nelle carceri in California e insegnava la meditazione per restare calmi. Raccontava: “Sono cresciuto in povertà, ho avuto fortuna più tardi nella vita. Ai miei figli ho insegnato l’importanza di condividere e dare. Entrambi sono divenuti due giovani adulti generosi e gentili”
Ha rinnovato la sua vicinanza alla famiglia di Mario Cerciello Rega, ma la salute del figlio preoccupa molto il 61 enne:
“Sono molto preoccupato per lo stato di salute di mio figlio e spero che sia assistito da un medico. Ci è stato detto che non è stato maltrattato”. L’avvocato Capra al mattino ha parlato con Finnegan, lo ha trovato spaesato e indebolito, “molto provato”. “Stiamo parlando di un ragazzo del 2000”. Negli Usa, a 16 anni, era stato arrestato per l’aggressione di un coetaneo, ma secondo l’avvocato “non ha precedenti penali”: non ci sarebbero condanne definitive

https://www.huffingtonpost.it/entry/e-sbarcato-in-italia-il-padre-di-finnegan-elder-avvocato-come-sta-mio-figlio_it_5d429881e4b0aca34118b5c4?utm_hp_ref=it-homepage&fbclid=IwAR3X_I8QXrbFDBmLua0-YqIIhDO3aXr1JPnT5kicWIvEzxrlYv9YmCWO56s

Infatti, ha inferto 11 coltellate gentili e generose.
Questo povero ragazzo, è il frutto del disinteresse con il quale è stato cresciuto. Ha imparato, crescendo, che può fare ed avere tutto ciò che più gli aggrada con estrema leggerezza, tanto, con i soldi di papà, si aggiusta tutto.
Il suo interagire da sconsiderato, la sua rabbia, denotano gravi mancanze di attenzione da parte di chi avrebbe dovuto seguirlo, amarlo, aiutarlo.
Lui è solo il risultato di una società anomala.
Abbiamo bisogno di invertire la rotta e di cominciare a dare maggiore importanza a ciò che merita più attenzione.
c.

Torna l'ora di educazione civica. - Stefania Quaglio

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Da settembre torna sui banchi l'ora di educazione civica. Con l'approvazione di oggi da parte del Senato del ddl sull’introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica dal prossimo settembre la materia sarà reintrodotta nella scuola primaria e in quella secondaria. Alle medie e alle superiori sarà argomento d’esame, per le elementari si tratterà invece di un insegnamento più sintetico. Sono previste almeno 33 ore annue e voto in pagella.
I primi due articoli stabiliscono i principi generali in base ai quali "l'educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri". "L'educazione civica sviluppa nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell’Unione europea per sostanziare, in particolare, la condivisione e la promozione dei princìpi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale, diritto alla salute e al benessere della persona".
In base alla legge le scuole "prevedono nel curricolo di istituto l’insegnamento trasversale dell'educazione civica, specificandone anche, per ciascun anno di corso, l’orario, che non può essere inferiore a 33 ore annue, da svolgersi nell’ambito del monte orario obbligatorio".
La legge stabilisce inoltre che nelle scuole del primo ciclo, l’insegnamento trasversale dell’educazione civica è affidato, in contitolarità mentre nelle scuole del secondo ciclo, l’insegnamento è affidato ai docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, ove disponibili nell’ambito dell’organico dell’autonomia.Per ciascuna classe è individuato, tra i docenti a cui è affidato l’insegnamento dell’educazione civica, un docente con compiti di coordinamento.
Saranno oggetto di educazione civica: Costituzione, istituzioni dello Stato italiano, dell’Unione europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell’inno nazionale; Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015; educazione alla cittadinanza digitale; elementi fondamentali di diritto, con particolare riguardo al diritto del lavoro; educazione ambientale, sviluppo ecosostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari; educazione alla legalità e al contrasto delle mafie; educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni; formazione di base in materia di protezione civile.
Nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica sono poi promosse l’educazione stradale, l’educazione alla salute e al benessere, l’educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva. Tutte le azioni sono finalizzate ad alimentare e rafforzare il rispetto nei confronti delle persone, degli animali e della natura. Nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica, inoltre è prevista l’educazione alla cittadinanza digitale.
Per valorizzare l’insegnamento trasversale dell’educazione civica e di sensibilizzare gli studenti alla cittadinanza responsabile, la scuola rafforza la collaborazione con le famiglie. L’insegnamento trasversale dell’educazione civica, inoltre è integrato con esperienze extra-scolastiche, a partire dalla costituzione di reti anche di durata pluriennale con altri soggetti istituzionali, con il mondo del volontariato e del Terzo settore, con particolare riguardo a quelli impegnati nella promozione della cittadinanza attiva.
I comuni, poi, possono promuovere ulteriori iniziative in collaborazione con le scuole, con particolare riguardo alla conoscenza del funzionamento delle amministrazioni locali e dei loro organi, alla conoscenza storica del territorio e alla fruizione stabile di spazi verdi e spazi culturali. E' inoltre previsto che il ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca presenti, con cadenza biennale, alle Camere una relazione sull’attuazione della presente legge, anche nella prospettiva dell’eventuale modifica dei quadri orari che aggiunga l’ora di insegnamento di educazione civica.

Riforma della giustizia, Consiglio dei ministri approva ‘salvo intese’. Ma è scontro sul penale. M5s: ‘Da Lega tanti no, nodo è la prescrizione?’

Riforma della giustizia, Consiglio dei ministri approva ‘salvo intese’. Ma è scontro sul penale. M5s: ‘Da Lega tanti no, nodo è la prescrizione?’

Prima del faccia a faccia con il premier e il leader del M5s, Salvini aveva definito "acqua" la bozza. Poi l'inizio della riunione con tutti i ministri e lo stop per "ragioni tecniche". Dalle 18.45 è ricominciato l'esame del testo alla ricerca di un accordo tra Lega e Cinque Stelle, poi altra fermata e il confrontro tra i ministri Bonafede e Bongiorno. Accordo sul civile e il Csm, ma restano le distanze sul penale. Bonafede: "Ho sentito tanti no". Salvini tace, nota della Lega: "Riforma di facciata".

È un Consiglio dei Ministri che si è protratto fino a tarda notte quello iniziato alle 16.30, con un ritardo di un’ora e mezza sul programma iniziale, nel quale si è discusso della riforma della giustizia sulla base della bozza presentata dal ministro Alfonso Bonafede. Un tavolo pieno di tensioni, nonostante un’ora abbondante di pre-vertice tra Giuseppe Conte e i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio per sciogliere alcuni nodi, con il ministro della Giustizia e quello per la Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, che, sono arrivati allo scontro duro.
Alla fine, c’è il via libera “salvo intese”. Ma mentre sul Csm e il civile M5s e Lega hanno trovato un’intesa, le distanze restano marcate sul penale. Con i pentastellati che avanzano dubbi sulla reale volontà della Lega: “Ho sentito tanti “no”, c’è stata assoluta disponibilità da parte mia ad affrontare proposte di modifiche – ha spiegato Bonafede all’uscita – Io penso che i cittadini non possano aspettare più una riforma della giustizia”. L’oggetto del contendere? Il Guardasigilli lo dice chiaro e tondo: “Non vorrei che ci fosse il tema della prescrizione come nodo che non viene portato al tavolo”. Già, perché la riforma – inserita dello Spazzacorrotti – che dovrebbe bloccarla dopo il primo grado entrerà in vigore nel 2020, ma è subordinato all’approvazione della riforma della giustizia. Mentre per la Lega restano distanze su una riforma che è “di facciata”: le proposte leghiste – viene spiegato – non sono mai state accolte e ora è difficile correggere il testo, perché è sbagliato l’impianto
Salvini e Bongiorno al termine del Cdm, intorno alla mezzanotte, tacciono. Ma la Lega dirama una nota durissima in cui parla di cittadini “ostaggio” e invoca “tempi certi”, da “stato di diritto”. Il provvedimento promette – un prossimo Consiglio dei ministri è previsto il 6 agosto – di essere ancora oggetto di un lungo e duro confronto. E Salvini in nottata non sembra mutare di molto il giudizio espresso di primo mattino: Bonafede “ci mette pure la buona volontà” ma la sua “cosiddetta riforma non c’è, è acqua”, dovrebbe essere “imponente, storica” come quella che la Lega ha “pronta” che separa le carriere, “dimezza i tempi dei processi, premia chi merita e punisce chi sbaglia”. 
Il Consiglio dei ministri, previsto alle 15, era iniziato solo attorno alle 16.30 preceduto dal faccia a faccia tra il premier e i leader di Lega e M5s. Ma dopo aver deciso di impugnare alcune leggi regionali con urgenza e l’approvazione rapida, per la firma del presidente della Repubblica, di otto proroghe degli scioglimenti di Consiglio comunali e lo scioglimento di un nuovo Comune, i lavori sono stati sospesi fino alle 18.45. Secondo fonti leghiste lo stop  stato dovuto a “motivi tecnici” e nel frattempo sono proseguire le riunioni per limare il testo, sul quale Conte aveva in precedenza fatto il punto con Di Maio e Salvini. Prima dell’inizio dell’incontro ristretto, il leader leghista aveva puntato i piedi e durante una diretta Facebook aveva definito per la prima volta “acqua” la bozza di riforma di Bonafede. Poi aveva sottolineato la necessità di una riforma “vera”. Mentre a suo avviso il testo uscito dagli uffici di via Arenula “non è quello che gli italiani si aspettano”. La Lega, ha aggiunto, ha un bozza “già pronta, efficace ed incisiva, che separa le carriere, dimezza i tempi dei processi, premia chi merita e punisce chi sbaglia”. Dopo 8 di riunione fiume, le posizioni sono rimaste distanti.

"Pareva un summit di mafia e non una riunione elettorale". - Enrico Fierro - Il FattoQuotidiano del1 agosto 2019

“Pareva un summit di mafia e non una riunione elettorale”

Un politico di Fratelli d’Italia potente e in ascesa eletto direttamente dai boss e diventato il loro burattino. Un altro, del Pd, terrorizzato dalle voci di inchieste che lo riguardavano che chiede informazioni a un finanziere offrendo in cambio un posto di lavoro. Un altro ancora, Pd, ex potente ma sempre col pallino di tornare sulla scena, accusato di trafficare con le cosche da anni.
È la Calabria fotografata dall’inchiesta “Libro nero”, della Squadra mobile di Reggio Calabria e della Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. Una terra dove nei rapporti col malaffare e con la ’ndrangheta non esistono confini politici, né differenze ideali, solo voti, consenso e quote di potere da conquistare con l’aiuto dei boss. Anche di quelli sospettati di aver ammazzato e fatto sparire tuo padre. È il caso di Sandro Nicolò, ex uomo forte del berlusconismo in riva allo Stretto, poi folgorato da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia. Di lui si parlava come prossimo candidato a sindaco di Reggio Calabria. Ma quando chiedeva voti alle cene elettorali, le riunioni “sembravano summit di ’ndrangheta”.
“A Saline, in un agriturismo, Alessandro fece una cena. Alessandro Nicolò, dove c’era anche Demetrio Berna (uno degli imprenditori arrestati, ndr), c’eravamo io e c’era Ferlito, e c’erano tutti i ragazzi della cosca. Sembrava un summit, non sembrava una riunione elettorale”.
Parla il pentito Enrico De Rosa, e il racconto di quella sera conferma il contenuto dell’inchiesta: il consigliere Nicolò era “diretta espressione della cosca Libri” e in ragione di questo, “divenne il punto di riferimento della criminalità organizzata”. Quella dei Libri è una delle famiglie “storiche” della ’ndrangheta calabrese, alleata dei Tegano, dei De Stefano e dei Condello, ha sempre avuto ottimi rapporti con la politica. Nell’inchiesta emerge la storia tragica del padre del consigliere Nicolò, vittima di “lupara bianca” nel 2004. Secondo gli inquirenti perché membro della cosca Libri ma inviso a don Mico, il capostipite, ipotesi sempre respinta dalla famiglia e dal figlio Nicolò. “Questo – dice uno degli arrestati intercettato dalla polizia – ha vinto con i voti di quelli che gli hanno sotterrato a suo padre”.
Ma quando “Sandro”, come lo chiamano gli affiliati, viene eletto, tutti sono raggianti. “Sandro è cosa nostra, con Sandro abbiamo vinto, abbiamo vinto”. Tutti felici anche in casa Fratelli d’Italia, quando, dopo le scorse elezioni politiche, Nicolò decise di passare dalla loro parte.
A vergare un comunicato entusiasta Giorgia Meloni e Wanda Ferro, senatrice e sicuro candidato governatore alle prossime regionali calabresi. “L’ingresso di Nicolò rappresenta per il nostro partito un valore aggiunto…”. Per i pm, invece, Nicolò era “patrimonio del clan Libri”, un uomo che andava sostenuto. “Sandro – si sente in una intercettazione tra appartenenti alla cosca alla vigilia delle ultime regionali – è un nostro candidato, altri non li dovete votare”. E il pentito De Rosa: “Io Sandro Nicolò lo conoscevo come espressione della famiglia Libri”.
Sebi Romeo, uomo vicinissimo al governatore Oliverio e capogruppo del Pd in Regione, era ossessionato dalle inchieste su di lui. Chiedeva lumi a giornalisti e amici in polizia.
Ne parla col segretario del suo partito di Melito Porto Salvo che ha un amico finanziere nella polizia giudiziaria della Corte d’Appello. Vuole sapere, per l’accusa promette favori “in cambio di informazioni coperte da segreto”. Finisce ai domiciliari per tentata corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio. Risalirebbero nel tempo, invece, le relazioni oscure dell’avvocato Demetrio Naccari Carlizzi, Pd di fede renziana, già assessore regionale e cognato di Giuseppe Falcomatà, il sindaco della città. I magistrati parlano di un suo “stabile, solido e proficuo accordo con i più importanti clan, in occasione di elezioni comunali e regionali”. Chiedeva voti per sé e per i suoi amici di cordata. 
È la politica in Calabria, bellezza.

Vieni avanti, gretino. - Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano del 1 Agosto 2019



Sollevando per un attimo il capino dai dati elettorali, che segnalano cinque anni di spaventosa e ininterrotta emorragia di voti, gli strateghi del Pd devono essersi accorti che le pochissime sinistre vincenti in Europa sono quelle ambientaliste: di nome (tutti i Verdi tranne quelli italiani) o di fatto. Così, astuti come volpi, si sono domandati come intercettare l’onda green che percorre il mondo intero, soprattutto fra i giovani. L’alternativa era semplice: o diventare verdi, o travestirsi da verdi. Indovinate quale hanno scelto? La seconda. E si sono comprati il costume di carnevale da Greta Thunberg. La prossima festa dell’Unità di Milano sarà “la prima sostenibile e plastic free”. 
Mecojoni!! E lo slogan della “Costituente delle idee” lanciata da Zingaretti nel Paese all’insaputa del Paese è: “Riaccendiamo l’Italia. Verde, giusta, competitiva”. Da pelle d’oca. Veltroni ha capito benissimo che per il suo Pd non c’è speranza: infatti, invece di suggerirgli di diventare ambientalista, ha proposto di fondare un altro partito ad hoc con l’acronimo “Ali”. Che non c’entra con Alitalia, ma con “ambiente, istruzione, lavoro”. Non vi vengono i brividi? La stessa idea l’aveva avuta Sala, il cui amore per l’ambiente è tuttora visibile a Rho-Pero, nella landa desolata del fu Expo. GreenZinga, frattanto, per non farsi scavalcare, gira l’Italia con proposte tipo “destinare 50 miliardi della prossima legge di bilancio a un fondo verde per iniziare un green new deal italiano”: tanto la legge di Bilancio non la fa mica lui, il che gli risparmia il fastidio di trovare le coperture.
Ma, casomai qualcuno avesse creduto davvero alla svolta ambientalista dell’ala sinistra del Partito Trasversale del Cemento, il capogruppo Graziano Delrio ha subito provveduto a smascherare la carnevalata con una strabiliante intervista a Repubblica. Il tema è il Tav Torino-Lione (che non arriverà né a Torino né a Lione, visto che non prevede alcun collegamento ad alta velocità ai due capoluoghi, ma solo un buco tra Bussoleno e Saint Jean de Maurienne). E Delrio è lievemente imbarazzato di ritrovarsi il 7 agosto al Senato sulle stesse posizioni della Lega (per la verità anche di FI, ma con quella il Pd ci ha governato due volte e mezza e ormai è abituato). Così s’è affrettato a prendere le distanze: “La nostra posizione sulla Tav (anche per lui treno è un sostantivo femminile, ndr) è diversa da quella della Lega che ha fatto perdere un anno”. Cioè: quei cementificatori della Lega vogliono il Tav con un anno di ritardo, mentre gli ambientalisti del Pd sarebbero partiti con un anno di anticipo.

Poi via alle supercazzole: “l’alta velocità serve a connettere il paese” (anzi i paesi: quello di Bussoleno e quello di Saint Jean) e “a dare opportunità di lavoro” (450 operai per un cantiere della durata di 15 anni e del costo di 9,6 miliardi); “presenta grandi benefici” (per due o tre appaltatori); “tutti gli studi dimostrano che va fatta” (tranne l’analisi costi-benefici del governo italiano e l’ultimo report della Corte dei Conti francese, che stimano perdite miliardarie); “da ministro ho firmato gli accordi per la Tav” (quelli che accollano all’Italia il 57,9% e alla Francia il 42,1 del buco di 57,5 km nelle Alpi che insiste per l’80% sul territorio francese e per il 20 su quello italiano); “l’opera finanziata dai governi di centrosinistra ha visto una forte riduzione dei costi” (per Macron) e “dell’impatto ambientale” (il cantiere regalerà per 15 anni alla Val Susa appena 12 milioni di tonnellate di Co2, più le polveri sottili, altre emissioni venefiche, cemento, acciaio, rame, amianto e materiali radioattivi, detriti, polveri e camion). Il tutto per duplicare inutilmente una linea merci semideserta (i treni Torino-Modane viaggiano vuoti al 90%) e una linea passeggeri veloce ed efficiente ma tutt’altro che satura (il Tgv). Infatti al Senato il Green Pd voterà contro la mozione No Tav del M5S esattamente come la Lega.

Non che sia una novità. Quando i riflettori erano puntati altrove, Pd, Lega e FI hanno sempre votato insieme per gli inceneritori, le trivelle petrolifere per terra e per mare, il Tap, il Terzo Valico, le Pedemontane e altre opere tanto inutili e costose quanto inquinanti previste dal mitico Sblocca-Italia di Renzi&Delrio. Pazienza se l’Agenzia dell’Energia, contro il clima impazzito, chiede di lasciare sottoterra l’80% dei fossili: altro che petrolio e gasdotti. Tre anni fa questi trafelati neo-gretini bloccarono pure il decreto sulle energie rinnovabili e fecero fallire il referendum sulle trivelle in mare incitando all’astensione con FI e a Napolitano (allora Salvini indossava la felpa No Triv e 13 milioni di italiani, perlopiù di sinistra, bocciarono la politica energetica del Pd, cioè dell’Eni e delle sue consorelle). 
E approvarono gli ultimi decreti Salva-Ilva, in tutto 12 voluti da destra e sinistra per neutralizzare le indagini della magistratura e garantire l’impunità ai vertici e ai commissari dell’acciaieria avvelenatrice. 
Ancora a marzo, mentre GreenZinga dedicava a Greta la sua elezione a segretario e si recava in pellegrinaggio al finto cantiere del Tav, il sindaco Pd di Ravenna sfilava in piazza con l’Eni (fra le proteste di Legambiente) contro il blocco delle nuove estrazioni petrolifere imposto dal governo Conte su pressione di quei manigoldi dei 5Stelle. 
Idem in Europa, dove – secondo un recente studio del Wwf – il Pd si è opposto alla richiesta di spendere il 40% delle risorse finanziarie Ue per attuare gli Accordi di Parigi sul clima, alla proposta di finanziare la gestione delle aree naturali protette e alla norma che aboliva i sussidi ai combustibili fossili (favorevoli solo M5S e, nei primi due casi, Sinistra Italiana). É proprio un’attrazione fatale: tra fossili, ci si intende.

https://infosannio.wordpress.com/2019/08/01/vieni-avanti-gretino-2/

Il Movimento per fermare Salvini. - Tommaso Merlo

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Zingaretti ha sospeso gli esponenti del Pd collusi con la N’ndrangheta in Calabria. Nel frattempo, passata la tempesta di Bibbiano, il Pd balza agli onori delle cronache per Gozi. Dopo Carla Bruni è lui la nuova première dame di Francia. 
Il Pd è un partito politicamente già defunto tenuto in vita artificialmente da una banda di dirigenti incarogniti e da uno scenario politico favorevolissimo. Dopo il 4 marzo, il Pd è rimasto l’unico partito “in teoria” all’opposizione di Salvini. Da solo occupa uno spazio enorme ed ha tutti i giornalai a favore. Per questo resiste intorno al venti. Se non va oltre, è perché è un partito marcio che ha perso ogni credibilità e si trascina da uno scandalo all’altro in attesa di quello letale. Ma chi detesta Salvini e a chi non basta la formula del contratto, non ha alternative. O sta a casa o vota la vecchia sinistra. Se il Movimento non fosse andato al governo con Salvini, il Pd avrebbe fatto la fine di Forza Italia, sarebbe stato prosciugato dal nuovo corso e si sarebbe ridotto intorno al cinque percento. Come successo a destra, cioè, il Movimento avrebbe assorbito tutti i consensi di quella che un tempo fu la sinistra coalizzando tutti gli oppositori di Salvini. Ed invece le cose sono andate diversamente. Per senso di responsabilità dopo aver preso quello storico 32% e per legittima ansia di dimostrare il proprio valore dopo anni di calunnie, il Movimento ha firmato un contratto con l’unica forza che ci è stata, la Lega. E stando ai fatti, la sfida è stata vinta. Il Movimento ha concluso molto di più della Lega e senza rubare. Stando però ai consensi, il Movimento si è dissanguato finendo sotto al Pd. Il perché sta tutto in Salvini che non è espressione di una destra tradizionale o moderata, Salvini è fautore della destra più becera mai vista in Italia. Una destra volgare ed estremista del tutto incompatibile con gran parte degli elettori del Movimento. Incompatibile politicamente, incompatibile culturalmente. E nemmeno la formula del contratto è bastata a contenere tale ripulsione. Anche perché Salvini, invece di lavorare, si è dedicato all’unica cosa che sa fare, ruttare per raccattar voti. Una presenza costante ed irritante che ha aggravato la posizione del Movimento. Il Pd ha tentato di sfruttare questa situazione puntando fin dall’inizio allo sfascio del governo gialloverde e degli odiati populisti. Una strategia disastrosa. Piuttosto che tornare a votare Pd, gli elettori emigrano. E il perché è molto semplice. Il Movimento rappresenta tra le altre cose, un modello più avanzato di partito e di politica e una volta fatto il salto evolutivo in avanti, il cittadino non torna più indietro. Zingaretti e tutti gli altri baronetti sono figli di un passato che gli italiani vogliono solo dimenticare. Per questo, quando il governo cadrà e quando il Movimento tornerà ad occupare l’enorme spazio di opposizione a Salvini, lo scenario politico potrebbe stravolgersi. Il Pd farebbe la fine di Forza Italia scomparendo e milioni di cittadini potrebbero riavvicinarsi al Movimento. A giovarne sarebbe tutto il paese perché Salvini va fermato e oggi il Pd è talmente sputtanato che quando lo attacca anche giustamente, ottiene l’effetto opposto. Rafforza cioè Salvini mentre il Movimento è costretto a mordersi la lingua ed assistere inerme ad una perdita dei consensi sempre più drammatica .

'Ndrangheta: blitz contro un clan reggino, arrestati politici e imprenditori. - Alessia Candito

'Ndrangheta: blitz contro un clan reggino, arrestati politici e imprenditori

REGGIO CALABRIA. In silenzio hanno costruito un impero e i loro tentacoli arrivavano ovunque, dalla politica all’imprenditoria e alla pubblica amministrazione. Diciassette persone, ritenute appartenenti o vicine allo storico casato mafioso dei Libri di Reggio Calabria, sono state arrestate questa notte dalla Squadra mobile di Reggio Calabria. Fra loro ci sono anche diversi politici, attivi in ambito cittadino e regionale e in entrambi gli schieramenti.

Si tratta di Alessandro Nicolò, ex capogruppo di Forza Italia oggi passato a Fratelli d'Italia, di cui è anche coordinatore regionale, arrestato e condotto in carcere; mentre è indagato a piede libero Demetrio Naccari Carlizzi, ex consigliere regionale e uomo forte dell'area renziana del Pd, nonché cognato del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà; Giuseppe Demetrio Tortorella, ex assessore comunale negli anni Novanta, per i magistrati vero e proprio consigliere politico del clan e per questo finito in carcere con l’accusa di associazione mafiosa; Demetrio Berna, ex assessore comunale al bilancio, legato al clan Libri da rapporti di parentela, in passato destinatario dei loro pacchetti di voti e fino ad oggi loro fidato braccio imprenditoriale. Anche lui è finito in carcere insieme al fratello Francesco, attuale presidente dell’Ance locale e pezzo da novanta della Confindustria reggina.

Dall’indagine, è stato travolto anche Sebastiano Romeo, capogruppo del Pd in consiglio regionale, finito ai domiciliari, per aver tentato di avere informazioni coperte da segreto istruttorio, corrompendo un maresciallo della Finanza. È l’unico a non essere stato raggiunto da accuse di mafia. Tutti gli altri politici – affermano i magistrati – erano funzionali ai progetti e ai desideri dei clan. Lo hanno scoperto gli investigatori della Squadra mobile ascoltando ore e ore di conversazioni intercettate nello studio medico di Tortorella, dentista con un passato da politico, divenuto lo stratega elettorale dei Libri. Era lui a gestire le preferenze, indirizzandole sui candidati “giusti”. “Ma vogliamo precisare – dice il procuratore Bombardieri – che questa indagine non si basa su chiacchiere. Tutto quello che abbiamo raccolto è stato riscontrato, ci sono anche quattro pentiti che confermano il quadro che emerso da quelle conversazioni, e su tutte quelle dichiarazioni c’è stata una straordinaria attività di riscontro”. L’inchiesta dunque è solida, lo scenario che ne emerge, devastante.

Forte di un enorme bacino di voti, attraverso i propri uomini, fra cui diversi imprenditori di fiducia, i Libri interloquivano con i politici di tutti gli schieramenti, cui offrivano appoggi e consensi in cambio di appalti, favori ed entrature. Alle regionali del 2014 però, secondo gli investigatori il clan aveva scelto Nicolò di Forza Italia come proprio candidato. “Abbiamo vinto, con Sandro abbiamo vinto” li sentono esultare gli investigatori che li ascoltano a spoglio concluso “è il primo del centrodestra”.

E l’allora aspirante consigliere regionale non avrebbe esitato a chiedere appoggi, offrendo in cambio posti di lavoro e favori a uomini notoriamente appartenenti al clan. Ma non si trattava di un semplice patto elettorale. Nicolò – sostengono i magistrati Stefano Musolino e Walter Ignazzitto della procura antimafia di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri – era in tutto e per tutto un associato, un politico costruito a tavolino dai clan. La stessa famiglia di mafia – si ascolta dire ad uno degli arrestati – responsabile dell’omicidio del padre del politico. Fatti provati, documentati, tanto da spingere il giudice per le indagini preliminari ad autorizzare l’arresto per il politico.

Sono accuse – e anche pesanti –  ma rimane indagato a piede libero Demetrio Naccari Carlizzi. Per gli investigatori, l’ex consigliere avrebbe stretto uno “stabile, solido e proficuo” accordo con i clan più importanti per la città di Reggio Calabria in occasione delle elezioni comunali e regionali, “chiedendo per sé e per i candidati indicati i voti raccolti dai rappresentanti di ‘ndrangheta”. Per Seby Romeo, finito ai domiciliari, l’accusa invece è di aver corrotto un funzionario della Corte d’appello di Reggio Calabria, il maresciallo della Guardia di Finanza, Francesco Romeo. Questi, chiedeva a Sebi Romeo di far assumere una persona in una locale impresa di trasporti ed autolinee ed in cambio gli prometteva di fornirgli informazioni, coperte da segreto istruttorio, relative a procedimenti pendenti presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

Insieme a loro, in manette sono finiti noti imprenditori apparentemente irreprensibili e formalmente slegati dal contesto mafioso, in realtà alle dipendenze del clan come veri e propri associati o concorrenti esterni. Fra loro ci sono anche l’ex assessore comunale Demetrio Berna e il fratello Francesco, titolari di una delle imprese di costruzioni più importanti della città e pezzi da novanta della locale Confindustria. In carcere è finito anche un noto avvocato, Giuseppe Putortì, in passato prima condannato poi assolto dall’accusa di aver favorito i boss che assisteva come legale. Per gli inquirenti, nel tempo era diventato un elemento fondamentale per il clan Libri, del quale avrebbe curato interessi e relazioni.

"Esprimiamo pieno sostegno al lavoro della magistratura in Calabria e fiducia che le indagini che coinvolgono affiliati alla cosca della Ndrangheta Libri, e alcuni esponenti politici, condurranno nel pieno rispetto dei diritti degli indagati ad accertare la verità. Tra gli indagati vi sono anche esponenti del Pd, per i quali la commissione di garanzia ha già provveduto immediatamente alla sospensione dal partito in attesa dell'esito delle indagini", dice il segretario Nicola Zingaretti sottolineando come "sia necessario "un radicale processo di rinnovamento della classe politica calabrese". "Le notizie relative all’operazione anti ‘Ndrangheta contro il clan Libri impongono un serio intervento del #Pd nazionale in #Calabria. Mi autosospendo dal partito fino a quando non si farà chiarezza", aveva subito annunciato il Senatore ed ex commissario calabrese del Pd, Ernesto Magorno.

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/07/31/news/blitz_contro_un_clan_reggino_arrestati_politici_e_imprenditori-232420471/?ref=RHPPLF-BH-I232420672-C4-P4-S1.4-T1&fbclid=IwAR1LXF83fgqXqBc6BBgKM5OOpLa51mnD9oPaHb5Y05mfqTTb5kN2fxgdPa0