domenica 19 gennaio 2020

Lega, niente multe al candidato Salvini. Che reclama l’immunità e non le paga.- Thomas Mackinson

Lega, niente multe al candidato Salvini. Che reclama l’immunità e non le paga

Salvini e il suo autista sono in corsa per le amministrative di Milano. Corrono anche in città: a 90 all'ora, in città. Quando si beccano il verbale non fanno come tutti i milanesi, che pagano, ma mettono di mezzo i legali del Carroccio. Il risultato è un ricorso che fa leva sul "ruolo istituzionale" e sul "rischio sicurezza". Sei mesi fa se la prese con Napoli "capitale delle multe evase".
Matteo Salvini e il suo autista sono in corsa per le amministrative di Milano. E in città vanno proprio forte, a 87 chilometri all’ora per l’esattezza. Quando beccano la multa però non fanno i milanesi che pagano, ma mettono in mezzo gli avvocati del partito. Tutto per non sborsare 165 euro di sanzione al Comune che si propongono di amministrare e salvare i punti della patente del dipendente della Lega. Il risultato è un surreale ricorso che fa leva sul “ruolo istituzionale” e sul “rischio sicurezza“. La multa risale al 9 novembre scorso, di prima mattina, mentre l’auto di servizio della Lega passava a gran velocità su viale Enrico Fermi, dove il limite è 70, diretta alla sede della Lega lì a due passi.
Salvini, capolista a Milano nonché candidato a leader di tutto il centrodestra, sta dietro. Davanti c’è Aurelio Locatelli, lo storico autista dei big del Carroccio con licenza di agente di pubblica sicurezza che, scarrozzando Salvini, s’è guadagnato pure lui la sua candidatura. E allora: nessuno rallenti la corsa elettorale dei due compagni di viaggio uniti dal partito, dal motore a scoppio e da un singolare ricorso. In via Bellerio la pensano così ma prendono l’imperativo un po’ troppo alla lettera. Su procura del segretario, i legali del Carroccio hanno infatti chiesto di annullare la sanzione con un ricorso di sei pagine depositato l’11 marzo scorso. Non contestano affatto la violazione, certificata da telecamere ben note ai milanesi, ma rivendicano una sorta di “immunità” da codice della strada per il leader.
In premessa ricordano che il segretario “ricopre incarichi istituzionali e che, per ragioni politico istituzionali, deve presenziare…”. Si tenga cioè presente l’alto valore trasportato. Salvini finisce così nel pubblico registro dei politici furbetti, quelli che prendono le multe come tutti i cittadini ma pretendono di non pagarle, perché al di sopra di regole e leggi buone solo per gli elettori. Un titolo che non farà felice il popolo leghista e mal si sposa con l’immagine da tribuno della rabbia popolare contro i privilegi della Casta. Non solo, giusto sei mesi fa il leghista aveva eletto Napoli “capitale delle multe evase”, attirandosi prevedibili polemiche: ora si scopre che Milano e Salvini non sono da meno, anzi.
salvini Napoli fb-2
Il passaggio forse più ardito verte su ragioni imperative di sicurezza. I legali ricordano che il loro assistito ha subito “recenti e gravissimi attacchi alla sua persona e alla vettura su cui viaggia” e per questo la sua auto “è regolarmente preceduta e scortata da vetture condotte da agenti delle Forze dell’Ordine”, sostenendo una sorta di diritto transitivo a commettere violazioni. È vero, argomentano, che l’auto della Lega è una vettura privata e come tale non può eludere limiti e divieti, come una volante che invece può farlo nei limiti di prudenza e diligenza e “nell’espletamento dei servizi di istituto”, cioè accendendo la sirena. Ma – scrivono – “tale obbligo può ritenersi assolto nella misura in cui l’auto di proprietà della Lega Nord viene affiancata e/o preceduta costantemente da una vettura della PS con apposito dispositivo attivo”. Ammesso che sia così, c’è un problema: le foto scattate al varco elettronico mostrano l’auto di Salvini in perfetta solitudine sul ponte. Nessuna volante, né davanti né di fianco. Così, la multa per ora resta e tocca vedere che cosa ne farà il Prefetto, mentre si scopre un’altra funzione di estrema utilità della scorta ai politici: far da paraurti alle multe che si meritano, perfino nelle città che vorrebbero amministrare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/12/lega-niente-multe-al-candidato-salvini-che-reclama-limmunita-e-non-le-paga/2715364/?fbclid=IwAR03BGGOMRPfVbxuL0y6c7oyFlObliur9ToLjzAKFTwJyHamfMN5FzHEtG0

sabato 18 gennaio 2020

Fiascheroli - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano del 18 Gennaio

L'immagine può contenere: 5 persone, persone che sorridono

Viva sorpresa e costernazione ha suscitato fra i leghisti la sentenza della Consulta che boccia il referendum dei leghisti per cancellare il Rosatellum (votato anche dai leghisti) e sostituirlo con una legge elettorale maggioritaria su misura dei leghisti.

Eppure un indizio preciso di come sarebbe finita ce l’avevano: l’autore del quesito era Roberto Calderoli. Un nome, una garanzia di catastrofe. Calderoli, in arte “Pota”, dentista di Bergamo Alta inopinatamente scambiato da 25 anni per un riformatore, vanta una collezione di fiaschi che nemmeno una cantina sociale.


Un giorno, a Pontida, per sventare l’avvento dell’euro, s’inventò il tallero padano, detto “calderòlo”. Quando il pataccaro Igor Marini fu accolto in commissione Telekom Serbia come “supertestimone” delle tangenti a Prodi, Fassino e Dini sui conti “Mortadella”, “Cicogna” e “Ranocchio”, fu il Pota a garantire sulla sua attendibilità, definendolo “una persona di una memoria che fa impallidire Pico della Mirandola, intelligente, sveglia e preparata”. Infatti Marini fu arrestato per essersi inventato tutto.

Quando Ratzinger fu eletto papa, Calderoli pensò di migliorare i rapporti fra Lega e Vaticano dichiarando: “A Benedetto XVI avrei preferito Crautus I”. Nell’estate 2005 si inerpicò su una baita di Lorenzago del Cadore, in compagnia di costituzionalisti del suo calibro (D’Onofrio, Brancher e Tremonti che portava da bere), per riscrivere la Costituzione fra un grappino e una polenta taragna: la famosa devolution, regolarmente spazzata via nel referendum del 2006.

Poco dopo, il cavadenti padano sfornò la più indecente legge elettorale della storia dell’umanità prima dell’arrivo di Renzi. Infatti lui stesso, conoscendola, la definì “una porcata” (per gli amici Porcellum, ovviamente fulminata dalla Consulta). E, conoscendosi, confidò al Corriere: “Su di me non avrei scommesso un euro”.

Ma gli altri sì, anche se lui faceva di tutto per metterli sull’avviso: come la sera che apparve al Tg1 e si aprì la camicia mostrando in mondovisione una canotta con una vignetta anti-Maometto, che nel giro di 48 ore provocò una rivolta a Bengasi, 11 morti dinanzi al consolato italiano e le sue immediate dimissioni da ministro delle Riforme. Ma non bastò, nemmeno quando si riempì il giardino di leoncini, che lo riconobbero e lo azzannarono agli arti inferiori. L’equivoco continuò, tant’è che nel 2008 fu promosso ministro della Semplificazione Normativa: ruolo che purtroppo interpretò con la consueta dedizione. Appena arrivato, accatastò nel cortile del ministero un mucchio di norme stampate su carta.

Poi convocò la stampa e, con gli occhi spiritati a favore di telecamera, le semplificò bruciandole col lanciafiamme. “Sono 375 mila leggi inutili”, annunciò trionfante. Si scoprì poi che l’Italia, fra leggi utili e inutili, non supera le 150 mila, anche perché il Parlamento, per produrne 375 mila, avrebbe dovuto lavorare ininterrottamente dall’Unità d’Italia per 150 anni, compresi quelli di guerra e i mesi di ferie, sfornandone una media di 7,8 al giorno. Dunque non s’è mai capito che diavolo abbia bruciato Calderoli quel giorno. E soprattutto cosa si fosse fumato. In ogni caso qualcuna la incendiò: per esempio, i decreti ottocenteschi di annessione all’Italia del Veneto e del ducato di Mantova, riportando in vita i serenissimi dogi e i Gonzaga.

Più utile si rivelò la depenalizzazione del reato di banda armata a fini politici, che salvò i leghisti imputati a Verona nel processo “Camicie verdi”, tra i quali lui. Che, intanto, continuava a lasciare tracce, come le molliche di Pollicino, per far capire ai suoi che dovevano fermarlo. Chiamava i gay “culattoni ricchioni” e gl’immigrati “bingo-bongo”. Proponeva un “Maiale Day” contro la nuova moschea di Bologna. Chiedeva le dimissioni del premier Monti per aver festeggiato il Capodanno con i parenti a spese dei contribuenti (Monti rispose: “Gli acquisti di cotechino, lenticchie, tortellini e dolce sono stati effettuati a proprie spese dalla mia signora”), proprio mentre la Procura di Roma indagava Calderoli per truffa su un volo blu da Roma a Cuneo per visitare il figlio della compagna Giovanna Gancia in ospedale per un incidente stradale (la trasvolata da 10.271,56 euro restò impunita per il solito no del Senato all’autorizzazione a procedere).

Ma niente, tutti continuavano a prenderlo sul serio. A destra e pure a sinistra, malgrado avesse dato a dell’“orango” alla ministra Kyenge e chiesto l’immunità al Parlamento perché la sua era “una critica politica al governo Letta per il divertimento delle persone presenti, con toni leggeri, infatti non ho detto ‘orango’, ma ‘oranghi’, riferendomi a tutti i ministri” (la cosa però non parve un alibi di ferro, lui andò a giudizio e fu condannato per razzismo).

Così nel 2015 fu correlatore della controriforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini. E fu una fortuna: anche quella fu bocciata dagli elettori nel referendum del 2016. Con questo curriculum era naturale che Salvini e gli otto governatori di centrodestra promotori del referendum maggioritario chiedessero a lui di scrivere il quesito. Tutti i costituzionalisti, ma anche i passanti, che lo leggevano sapevano che sarebbe stato respinto perché, essendo troppo manipolativo, avrebbe lasciato il Paese senza legge elettorale. Ma l’Uomo Fiasco garantiva: “Niente paura, passerà”. Aveva pure chiesto alla Consulta di presenziare all’udienza in qualità di “delegato della Basilicata”. E la presidente Cartabia, con uno strappo alla regola, aveva accettato. Lui pensava che la cosa fosse di buon auspicio. In realtà era un premio per aver garantito alla Corte la piena occupazione con la sua produzione industriale di leggi incostituzionali. Infatti è entrato dall’ingresso fornitori.


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venerdì 17 gennaio 2020

COME SEI MESSO MALE, SALVINI (Il dileggio osceno di un ragazzo dislessico). - Andrea Scanzi

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Caro Salvini, e il "caro" ovviamente è ironico, ho sempre pensato che politicamente valessi meno di un carciofo morto, e come tale ti ho sempre trattato. Ancor più dopo la figuraccia che hai fatto ad agosto. Hai la spina dorsale politica di una sogliola, e quando voglio ridere ripenso con compagna e amici a quante ne hai prese da me a settembre su RaiTre. Parevi Ernie Terrell con con Muhammad Ali, ma peggio. Solo in Italia uno come te potrebbe sembrare credibile, o addirittura votabile, da milioni di italiani.
In questi giorni sono stato in ferie. Fuori dal mondo. Oggi ho letto quello che mi sono perso: niente. Ti hanno contestato spesso e ogni volta hai reagito da par tuo, cioè da ganassa puerile. Al solito. Ora però scopro questa nuova frontiera del salvinismo: il dileggio del dislessico. Una roba che, se solo facessi finta di riconoscerti un ancor vago anelito alla morale, dovrebbe farti vergognare. Ma tu neanche ti poni il problema. Hai postato un video, tagliuzzandolo e reinterpretandolo, per esporre al pubblico ludibrio un ragazzo dislessico. Un'altra vittima da dare in pasto alla Bestia e a quella mandria di ultrà allergici a libri e neuroni. Dici di amare Fabrizio De André, e la cosa grave è che sei serio. Ricorderai (forse) cosa Fabrizio cantò 47 anni fa: "Certo bisogna farne di strada/ da una ginnastica d'obbedienza/ fino ad un gesto molto più umano/ che ti dia il senso della violenza". Tu, come sempre, hai capovolto il senso: ne hai fatta di strada, sì, ma solo per sublimare una ginnastica di obbedienza che ti permettesse di sdoganare appieno la più vomitevole forma di violenza verbale. Ora te la prendi pure con un ragazzo dislessico: fai davvero più schifo che spavento (cit Gaber), come ho sempre detto e scritto. Il tuo gesto è osceno, la tua aggressione è oscena. E il tuo far finta di nulla è un'aggravante. Ti comporti da re del mondo, quando sembri la versione caricaturale di un Farinacci che ha sostituito all'olio di ricino la Nutella. Politicamente, assieme a quell'altro Matteo orfano come te di Craxi e prescrizione, sei il grado zero della decenza. E vinci anche per questo: perché incarni al meglio la decadenza.
Vada il mio piccolissimo abbraccio a Sergio Echamanov, il ragazzo da te oltraggiato, cui consiglio di querelarti seduta stante. E vada tutto sommato il mio abbraccio anche a te: a giudicare da quel che ti sei ridotto a fare, sei messo proprio male. E la misericordia, poiché gratis, tutto sommato non si nega a nessuno. Neanche a un cazzaro livido che mena pugni a caso sul ring e ha l'unico talento di incarnare al meglio - per parafrasare Montanelli - il peggio degli italiani.

Ti sia lieve il tuo monumentale analfabetismo morale.

"Gli agit-prop del voto in cerca di popolo bue". - Antonio Padellaro - Il Fatto Quotidiano

Gli agit-prop del voto in cerca di popolo bue

Che differenza passa tra Matteo Salvini che comizia in quel di Bibbiano per scaricare sul Pd di Stefano Bonaccini lo scandalo dei “bambini rubati”? E il medesimo Pd che vorrebbe rinviare il voto sulla Gregoretti per non alimentare il vittimismo elettorale dell’ex ministro? Sono la stessa cosa: l’uno e gli altri ritengono che il 26 gennaio andrà al voto qualcosa di simile a un popolo bue, una massa cioè di individui ottusi privi di capacità critiche e facilmente influenzabili.
Profuma d’idiozia questa storia dell’elettore con l’anello al naso che sbarra la scheda elettorale in base all’ultima trovata agit-prop. Come gli indigeni di quelle tribù che nei fumetti adorano l’esploratore che spaccia perline. Ricorda le insopportabili diatribe sulla giustizia ad orologeria, ogniqualvolta il politico di turno veniva indagato da qualche procura, e guarda caso proprio alla vigilia di un voto e nel Paese dove non si fa altro che votare. Quando invece spesso era il povero inquisito a usare l’avviso di garanzia per effigiare il proprio martirologio gratuito ad opera delle perfide toghe rosse. Esattamente come oggi Salvini voglioso di calendarizzare prima del voto in Emilia il processo davanti alla Giunta del Senato. Con i partiti di governo che invece di inchiodarlo alle proprie responsabilità per il mancato sbarco di 131 migranti dalla nave militare italiana, si mostrano tremebondi temendo contraccolpi sull’imminente consultazione. Come avvenne nella vigilia elettorale del marzo 2018 quando il centrosinistra si rimangiò la legge su ius soli e ius culturae temendo di perdere voti a favore della destra. Cosa che puntualmente avvenne: la beffa oltre il che danno.
A parti rovesciate è ciò a cui si assiste con il caso Bibbiano dove l’ex capitano intende realizzare l’ultimo spottone a chiusura del tour elettorale. Come se i cittadini emiliano-romagnoli avessero bisogno di questo circo sulla pelle degli innocenti per farsi un’idea sull’orrenda vicenda. Anzi, com’è del tutto naturale un uso tanto strumentale delle disgrazie altrui sta producendo reazioni controproducenti tra gli stessi abitanti del comune. Stufi, leggiamo nelle cronache, di tanto fango.
Soltanto l’ignoranza crassa di certi leader impedisce loro di rendersi conto che il corpo elettorale non ha bisogno di imbonitori per farsi un’idea dei valori in campo, e di scegliere di conseguenza.
Nell’epoca dell’informazione compulsiva credono di vivere ancora nel Dopoguerra quando le nonnine chiedevano al prete per chi votare e sui manifesti della Dc c’era scritto che nel segreto della cabina elettorale “Dio ti vede, Stalin no”. Quanto all’alta percentuale di incerti registrata in Emilia-Romagna dagli ultimi sondaggi, possono esserci le spiegazioni di sempre. Persone che non vogliono rivelare le proprie intenzioni di voto. O che non hanno deciso se recarsi ai seggi o restare a casa. Ma davvero potrebbero essere decisivi questi presunti indecisi che tra dieci giorni dovessero correre come frecce a votare Borgonzoni? O perché illuminati improvvisamente dalla persecuzione giudiziaria subita dell’uomo del mojito o per far scontare a Bonaccini e Zingaretti l’inchiesta “Angeli e demoni”?
Via non scherziamo. Dopo l’imprevista ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca fu chiesto a un columnist del New York Times come mai la grande stampa americana non avesse affatto previsto la vittoria del tycoon. Semplice, fu la risposta, perché gli elettori ne sanno più di noi. Appunto.


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Bibbiano, chiuse le indagini per 26 persone. C’è anche il sindaco per cui la Cassazione ritiene che non ci fossero elementi.

Bibbiano, chiuse le indagini per 26 persone. C’è anche il sindaco per cui la Cassazione ritiene che non ci fossero elementi

I reati contestati sono, a vario titolo, peculato d’uso, abuso d’ufficio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, falsa perizia anche attraverso l’altrui inganno, frode processuale, depistaggio, rivelazioni di segreto in procedimento penale, falso ideologico in atto pubblico, maltrattamenti in famiglia, violenza privata, lesioni dolose gravissime, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Nel giorno in cui la Cassazione sostiene che non esistevano elementi per la misura nei confronti del sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, i carabinieri di Reggio Emilia, su ordine della procura, hanno notificato a 26 persone l’avviso di fine indagine dell’inchiesta denominata Angeli e Demoni sui presunti affidi illeciti nella Val d’Enza e che portò a una serie di misure. I capi di imputazione contestati dalla Procura reggiana nell’atto che di solito prelude a una richiesta di rinvio a giudizio sono 108. Tra gli indagati è rimasto anche il sindaco di Bibbiano.

Il caso Bibbiano scoppia il 27 giugno, quando i carabinieri eseguono 18 misure cautelari in un’inchiesta della Procura di Reggio Emilia su un presunto giro di affidi illeciti nella Val d’Enza reggiana. Nei guai finiscono assistenti sociali, liberi professionisti, psicologi. Agli atti, secondo i pm, ci sarebbero stati lavaggi del cervello ai bambini per raccontare abusi che non ci sono mai stati, relazioni dei servizi sociali falsate e quindi, questa l’accusa principale, minorenni illegittimamente tolti alle famiglie naturali e riaffidati: un business da migliaia di euro. Nelle carte comparivano anche l’uso di una macchinetta dei ricordi, con impulsi elettromagnetici e elettrodi applicati su mani e piedi dei bimbi: un sistema che serviva per alterare lo stato della memoria in prossimità dei colloqui. Ma anche i regali e le lettere dei genitori naturali nascosti in un magazzino, i disegni dei bambini contraffatti per descrivere molestie mai subite in famiglia.

I reati contestati sono, a vario titolo, peculato d’uso, abuso d’ufficio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, falsa perizia anche attraverso l’altrui inganno, frode processuale, depistaggio, rivelazioni di segreto in procedimento penale, falso ideologico in atto pubblico, maltrattamenti in famiglia, violenza privata, lesioni dolose gravissime, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Sono stati confermati tutti i capi di imputazione al centro delle misure cautelari, alcuni integrati nel frattempo. Le indagini del nucleo investigativo dei carabinieri coordinati dal pm Valentina Salvi e dal procuratore Marco Mescolini, hanno visto lo stralcio di quattro posizioni, di cui una già archiviata. Per un indagato c’è consenso alla richiesta di patteggiamento, con udienza fissata il 27 gennaio davanti al giudice per le indagini preliminari. Ora gli indagati hanno 20 giorni di tempo per essere interrogati o produrre memorie e poi la Procura deciderà se procedere con le richieste di rinvio a giudizio. Le posizioni stralciate riguardano il direttore dell’Ausl reggiana, Fausto Nicolini, l’addetta stampa dell’azienda sanitaria locale Federica Gazzotti, l’ex sindaco di Cavriago nonché già presidente dell’Unione Val d’Enza Paolo Burani e l’avvocato Marco Scarpati – per il quale è stata già avanzata e accolta la domanda di archiviazione. Esce parzialmente ridimensionata, con la caduta di due capi di imputazione su quattro inizialmente contestati, la posizione di Carletti. Il primo cittadino Pd, difeso dal professor Vittorio Manes e dall’avvocato Giovanni Tarquini, resta dunque indagato di un’ipotesi di abuso di ufficio e di un’altra di falso, mentre non sono più presenti due imputazioni di abuso di ufficio in concorso.
Carletti risponde di irregolarità sull’affidamento del servizio sociale. Tra l’altro, secondo la Procura di Reggio Emilia contribuì a rendere possibile lo stabile insediamento di terapeuti della onlus Hansel e Gretel all’interno dei locali della struttura pubblica ‘La Cura’, pur consapevole dell’assenza di una procedura ad evidenza pubblica e dell’illiceità del sistema. Avrebbe inoltre sostenuto, “nella permanenza di tali illecite condizioni” la attività e l’ampliamento delle attribuzioni a favore del centro studi anche attraverso pubblici convegni organizzati a Bibbiano.


https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/14/bibbiano-chiuse-le-indagini-per-26-persone-ce-anche-il-sindaco-per-cui-la-cassazione-ritiene-che-non-ci-fossero-elementi/5670854/?fbclid=IwAR2zW3y7LwdqpM9MIjE3N8Km0qTOVizqOkKnfqMrC9RR0FBK2cYFPTfB3ug

Leggi anche: 
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/09/affidi-bibbiano-claudio-foti-sospeso-per-sei-mesi-dallattivita-di-psicologo-psicoterapeuta-per-i-minori/5605141/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/09/10/bibbiano-gip-rigetta-richiesta-arresto-per-sindaco-carletti-e-altri-4-pm-si-oppone/5444187/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/07/23/bibbiano-4-bimbi-tornano-dai-genitori-la-decisione-dei-giudici-prima-degli-arresti-e-foti-e-indagato-per-maltrattamenti-in-famiglia/5344658/

In nome del popolo sovrano. - Massimo Erbetti

Risultato immagini per il popolo sovrano di salvini"


Il popolo è sovrano, il popolo decide, il popolo ha sempre ragione, vero, anzi verissimo, il popolo ha il diritto di essere sovrano, sta alla base della democrazia e ha ragione Salvini a ribadirlo...ma c'è un ma...se il popolo è sovrano, dovrebbe esserlo sempre e non solo quando fa comodo a lui ed è troppo comodo dichiarare come ha fatto ieri, dopo la bocciatura del referendum sulla legge elettorale da parte della Consulta.

"È una vergogna, è il vecchio sistema che si difende: pd e 5stelle sono e restano attaccati alle poltrone. Ci dispiace che non si lasci decidere il popolo: così è il ritorno alla preistoria della peggiore politica italica".

"... Ci dispiace che non si lasci decidere il popolo..."? ma se la pensa veramente così, perché per avanzare la richiesta di referendum, la Lega, non ha raccolto 500 mila firme ma ha sfruttato un’altra delle possibilità previste dall’articolo 75 della Costituzione: la richiesta di almeno cinque Consigli regionali? Forse perché raccogliere 500mila firme era impossibile? Ma se il popolo è sovrano e il popolo voleva questo referendum, come dice lui, perché non lo ha chiesto direttamente al popolo invece di servirsi dei consigli regionali dove comanda lui? 
Si vede che per lui il popolo è sovrano, ma solo quando fa comodo a lui. Altra cosa molto interessante da rilevare e che i molti tifosi leghisti forse non sanno o meglio fanno finta di non sapere è che se passasse la riforma chiesta dal carroccio, in caso di elezioni in ogni singolo collegio verrebbe eletto chi prende anche un solo voto più degli altri candidati. Se ad esempio quattro partiti ottenessero il 19,9 per cento dei voti in tutti i collegi e il quinto partito il 20,4 per cento, quest’ultimo si accaparrerebbe il 100 per cento dei seggi....capito? Il 20,4%, per cui con un quinto degli elettori si comanderebbe su tutto...alla faccia del "popolo sovrano"... Questa è la democrazia voluta dalla Lega? Questa è rappresentatività? E chi rappresenterebbe il restante 80% del popolo?... Vabbe chissene frega dell'80% di popolo che rimarrebbe senza rappresentanza...l'importante è vincere..."in nome del popolo sovrano"...si certo il suo.

PALAZZI & POTERE “Io sono un onorevole, un intoccabile, voi siete morti. Chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori”. Le minacce del renziano Librandi ai finanzieri.

“Io sono un onorevole, un intoccabile, voi siete morti. Chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori”. Le minacce del renziano Librandi ai finanzieri

L'ANTICIPAZIONE DEL SETTIMANALE L'ESPRESSO - La reazione del deputato di Italia Viva (all’epoca ancora nel Pd) durante una verifica fiscale della Guardia di finanza alla sua azienda elettronica da oltre 200 milioni di fatturato. Nelle relazioni di servizio vengono annotate le parole pronunciate dal parlamentare: “Voi non fate un c… dal mattino alla sera, io lavoro”, “pago le tasse e quindi anche il vostro stipendio”. Quindi, rivolto a chi comandava l’operazione: “Sarà un leghista di m…”. E a uno dei militari: “Non avrai la pensione”.
“Sono un intoccabile”. Mentre “voi non fate un c… dal mattino alla sera io lavoro”, “pago le tasse e quindi anche il vostro stipendio”. E’ il 24 luglio 2019, il deputato renziano Gianfranco Librandi riceve un’ispezione della Guardia di Finanza presso la sua società Tci Telecomunicazioni, azienda elettronica da oltre 200 milioni di fatturato l’anno. I finanzieri, come ricostruito in alcune “relazioni di servizio” che l’Espresso, in un articolo di Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian, pubblica nel numero in edicola da domenica, si presentano nelle sedi di Saronno e Roma per una normale verifica fiscale, ma al loro arrivo vengono insultati e minacciati dal parlamentare. Sia per telefono che di persona. Librandi, ex berlusconiano entrato in Parlamento con Scelta civica, che a fine settembre scorso ha lasciato il Pd per aderire a Italia Viva, se la prende con i finanzieri e i loro superiori: “Lei sarà un leghista di m…”, dichiara. Ma pure attacca il “tenente dicendo che non avrebbe più percepito la pensione”. Infine li saluta: “Siete morti”.
La ricostruzione è scritta nel documento ufficiale della Guardia di finanza. Ma il deputato, dopo l’articolo del settimanale, nega tutto: “Mi ricordo”, dice all’agenzia Adnkronos, “mi ricordo benissimo la visita della Guarda di Finanza, ma questa storia non esiste proprio. E’ tutta fantasia e ovviamente agirò in giudizio perché questa è diffamazione”. La relazione dei finanzieri, in generale, segnala “la reazione durissima del deputato di Italia Viva davanti ai militari che dovevano iniziare una normale ispezione fiscale”.
Il primo contatto tra i finanzieri e Librandi avviene al telefono. La mattina del 24 luglio, scrivono i finanzieri, il parlamentare viene avvisato dell’ispezione per evitare l’intervento in eventuali locali dedicati alla sua “attività da parlamentare”. A quel punto, si legge nel documento, “il dottor Librandi con tono alterato incalza il maggiore Pirrazzo dicendogli che, vista la sua assenza, doveva andare via e tornare solo quando lui fosse stato presente. Che stava commettendo un abuso di potere e che i militari non potevano occupare un’azienda che lavora senza prima avvisarlo”. Il finanziere spiega che invece è possibile procedere anche in sua assenza. Il renziano allora insiste: “Non ha capito, ve ne dovete andare… lei pagherà le conseguenze di quello che sta facendo violando le leggi. Ora chiamo i generali e le faccio vedere io se sta facendo bene! Andrà a finire male”. E, mentre il maggiore tenta la mediazione, aggiunge: “Ve ne dovete andare! Non ha capito, io sono onorevole, e sto in Commissione Finanze ha capito? Ora chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori”. Alla domanda di chi possa fornire i documenti in azienda, Librandi risponde ancora: “Lei non ha capito, voi ve ne andare e tornate quando sarà possibile perché state violando i miei diritti e intralciando la mia attività di parlamentare. Io non mi faccio assistere da nessuno… lei ne pagherà le conseguenze… le farò causa e le farò pagare le conseguenze dell’occupazione militare che ha fatto questa mattina nei miei uffici di Saronno… io sono intoccabile, avete violato i miei diritti garantiti, io le avevo detto di tornare venerdì perché oggi erano presenti anche dei clienti tedeschi… Ci divertiremo in tribunale, vedrà. Mi saluti i suoi amici leghisti“.
Terminata la telefonata, continua il documento citato da l’Espresso, Librandi si reca negli uffici romani della srl. Arrivato sul posto, dove erano intervenuti altri quattro finanzieri, il parlamentare “si rifiutava di stringere la mano ai finanzieri che si presentavano intenti a rappresentare i motivi dell’intervento”. E, anche di persona, ritorna all’attacco: “Io lavoro, non come voi che non fate un cazzo dalla mattina alla sera, pago le tasse e anche il vostro stipendio”. Poi ancora, scrivono sempre i finanzieri, “inveiva contro i verbalizzanti asserendo che non avrebbe fornito il proprio documento richiesto per l’identificazione, che il tenente Cerra probabilmente a causa delle operazioni in corso non avrebbe percepito la pensione, che gli operanti avrebbero potuto considerare finita la propria carriera professionale pronunciando le parole ‘siete morti'”. Al tentativo di spiegare i motivi dell’intervento, Librandi avrebbe interrotto dicendo: “Il maggiore Pirrazzo sarà un leghista di merda”. E poi, “Fuori, andate via, aria! Fuori da casa mia!”.
Ma lo scontro non si esaurisce nei due contatti. Due giorni dopo Librandi prepara e consegna alla Finanza una dichiarazione scritta. “Il 24 luglio i militari irrompevano in azienda in nove, come all’assalto, creando il panico generale, al punto che gli stessi militari si compiacevano dello stato di agitazione e timore dicendosi tra loro ‘li abbiamo militarizzati’. Entravano senza titolo nel Laboratorio Progetti, causando la sorpresa e il blocco della attività… Impaurendo i dipendenti ed asserendo suggestivamente di avere il potere di controllare ed acquisire i computer e i telefoni personali”. Secondo Librandi, “violando l’articolo 68 della Costituzione”. Il parlamentare avrebbe annunciato al maggiore Pirrazzo la nota, e lui avrebbe risposto “chiudendo la telefonata”.
Il settimanale ricorda che Librandi è finito al centro delle cronache nelle scorse settimane, dopo che l’Espresso ha rivelato che risulta tra i maggiori finanziatori della fondazione Open, l’ente renziano su cui indaga la procura di Firenze. E’ stata Bankitalia a inviare una segnalazione tra febbraio 2017 e giugno 2018 sugli 800mila euro di donazioni verso l’organismo guidato da Alberto Bianchi. I bonifici, scrive ancora il settimanale, erano emessi proprio tramite l’azienda di Librandi, la Tci, al centro della verifica fiscale. La finanza di Varese sta appunto indagando su una serie di anomalie che riguardano l’impresa. In particolare, l’indagine, scrive l’Espresso, riguarda alcune operazioni legate al rientro di capitali dalla Svizzera: 800mila euro “arrivati dall’estero” ad esempio, risultano essere stati utilizzati per l’acquisto di due appartamenti a Saronno e Porto Cervo; altri 3,5 milioni siano stati investiti per “riscattare un leasing immobiliare”; un patrimonio immobiliare di 44,5 milioni di euro. Soprattutto si segnala che l’azienda dal 2012 non era stata sottoposto a “ispezione fiscale generale” e, anche per questo, si sarebbe deciso di fare “una verifica extraprogramma”. Un intervento che invece il parlamentare ha ritenuto “un affronto inaccettabile”.
Librandi nel merito, in seguito alla pubblicazione dell’articolo, ha replicato dicendo che, dopo le verifiche, non sono state riscontrate irregolarità: “L’esito della verifica fiscale fu che le operazioni dell’azienda risultarono tutte regolari”, ha detto all’agenzia Adnkronos. “Sì ho comprato degli immobili, un’operazione per rinforzare la mia azienda e continuare a lavorare negli anni. Operazioni regolari, pagate con conti regolari anche se esteri. Invece leggo una ricostruzione tesa a dipingermi come un evasore. La mia è un’azienda seria che paga le tasse”.