martedì 31 marzo 2020

Benzina sul fuoco. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 30 Marzo:

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So già che quello che sto per scrivere verrà usato dal Partito Divanista Italiano per attribuirmi cose mai dette né pensate: e cioè che il governo Conte è infallibile e incriticabile perchè va tutto bene. Ma lo scrivo lo stesso. Quello che si sente e si legge in certi social, talk e giornali è benzina sul fuoco della rivolta popolare. E in questo momento di tutto abbiamo bisogno, fuorché di irresponsabili che soffino sulla cenere che cova nelle case di molti degli italiani ai domiciliari, senza lavoro nè stipendio, terrorizzati dal contagio e dal futuro, in cerca di un colpevole visibile su cui scaricare la rabbia, essendo il virus invisibile e inadatto alla bisogna. Chiedere un pizzico di responsabilità agli irresponsabili è forse fatica sprecata. Ma forse non tutti lo sono e comunque vale la pena tentare.
Caro Vittorio Feltri, titolare a tutta prima pagina “Assalto ai supermercati”. Il cibo c’è, mancano i soldi per comprarlo” per un paio di episodi circoscritti al Sud (enfatizzati anche da Maurizio Molinari su La Stampa) significa incoraggiare altri a provarci. E descrivere l’Italia come un lazzaretto di mendicanti fa a pugni con la tua teoria della “presunta povertà” che ti fece scrivere su Libero il 13.4.18: “Non è vero che siamo alla canna del gas, al contrario il nostro è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Peccato che non ce ne accorgiamo perché ci descriviamo quali straccioni… I numeri della nostra economia, anche domestica, sono invidiabili. I risparmi privati sono mostruosamente alti…”. E il 12.5.19 aggiungevi con la consueta eleganza: “Probabilmente quelli che noi, semplificando, cataloghiamo alla voce pezzenti non sono altro che lavoratori in nero, in grado di guadagnare quanto basta onde sopravvivere. Non pagano le tasse e magari ottengono il reddito di cittadinanza… I poveri sono più finti che reali, e non abbocchiamo.
Chi è squattrinato muore di fame e al presente non si registrano decessi per inedia”. Possibile che, dopo un mese scarso di quarantena, siamo già tutti alla fame?
Caro Maurizio Belpietro, continua pure a raccontare ai lettori de La Verità che in Italia il problema non è il virus, ma Conte. Quella è una sciocchezza (secondo me), ma innocua. Però forse titolare sulla “Rabbia di esercito e polizia” e tradurre l’allarme dei Servizi sul Sud “Meridione affamato: tira aria di rivolta” potrebbe rivelarsi un tantino pericoloso. Dai un’occhiata al video postato su Facebook da una gentildonna beneventana che minaccia il sindaco Mastella di andarlo a prendere con 5mila squadristi armati di “mazze di ferro” e capirai cosa potrebbe uscire dal vaso di Pandora, se lo apriamo.
Caro Alessandro Sallusti, il tuo editoriale sullo statista di Rignano che vuole riaprire tutto e dovrebbe fare da cavia con tutta la famiglia, è perfetto. So che sei contro il reddito di cittadinanza, ma non credi che ora sia una benedizione dal cielo che mette al riparo 2,5 milioni di italiani dalla miseria (e da certe idee strane) e andrebbe allargato anziché abolito (come chiede il centrodestra e dunque l’Innominabile)? Persino B., in un lampo di saggezza, lo propose nel 2017. Se non a me, dài retta a lui.
Cari dirigenti dell’Unione sindacale di base, ma che vi dice il cervello quando postate su Fb “Reddito o rivolta”? Ma lo sapete che vuol dire “rivolta”? E contro chi?
Caro Cazzaro Verde, capisco che tu sia in lutto perchè Conte ti ha strappato di mano, anzi di bocca pure la bandiera della polemica contro quest’Europa di bottegai. Dunque continua pure a martellarlo su tutto lo scibile umano. Ma evita, se puoi, di impartirgli lezioni di matematica, tu che non riesci neppure a calcolare il Pil (sbagli di tre zeri), i metri quadri di casa tua (“un bilocale in periferia”: sì, buonanotte) e temo pure la tabellina del 2. Prendi nota: se il governo aggiunge per l’emergenza, cioè per questi giorni, 400 milioni al fondo semestrale di solidarietà di 4 miliardi per i Comuni (anche a quelli governati dalla Lega) affinchè aiutino i poveri a fare la spesa, non puoi dividerli per 60 milioni e ricavarne una mancia di “7 euro a testa”. Perchè i poveri non sono 60 milioni (altrimenti ci saresti pure tu), e neppure 5 milioni (grazie al Rdc votato anche da te e subito rinnegato come le altre poche cose buone fatte a tua insaputa). Sono molti meno: i 400 milioni aiutano le famiglie bisognose per 3 settimane con buoni pasto di 3-400 euro.
Caro (si fa per dire) Innominabile, continua pure a trafficare per buttar giù il governo che hai contribuito a creare. Ma, siccome fino all’altroieri volevi “Tutta l’Italia zona rossa”, piantala di chiedere di riaprire tutto dopo il 3 aprile (prima scadenza del “lockdown”). Non per coerenza, che per te è un vizio capitale insieme alla lealtà e alla correttezza, ma per motivi di ordine pubblico. I gruppi Facebook che minacciano rivolte, jacquerie, grand guignol, assalti ai forni e ai supermercati fissano tutti il D-Day al 3 aprile. Quindi evita, per il tuo e nostro bene, di alimentare quest’attesa messianica del 3 aprile. Si dice che chi gioca col fuoco fa la fine del pollo arrosto. Tu pollo già lo sei: vuoi pure finire arrosto?


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Vito Crimi: “780 euro di reddito universale, prestiti di 10mila euro per cittadini e 250mila per le imprese, senza interessi. Siamo d’accordo col Pd”.



Coronavirus, scarica il documento della Fp Cgil al decreto 'Cura ...

“780 euro di reddito universale, prestiti di 10mila euro per cittadini e 250mila per le imprese, senza interessi. Siamo d’accordo col Pd”.
Abbiamo in mente un piano di emergenza per far ripartire l’economia. Con il reddito universale, con presto d’onore garantiti senza condizioni: 10mila mila euro per le persone fisiche e le partite iva. Fino a 250 mila euro per le imprese.
Senza nessun vincolo, a erogazione istantanea.

Ho le idee molto chiare sulla portata dell’emergenza, sulla scala delle priorità è anche sui mezzi. L’ho chiamato Elicopter money, denaro che arriva presto. Con il Pd c’è la sintonia maggiore da quando è nato il governo, anche e proprio su questi temi”.
Vogliamo anche un taglio sugli stipendi di tutti i parlamentari e non solo loro. Chiunque abbia uno stipendio importante, oggi, dirigenti dello Stato e manager in prima fila, potrebbe aderire per finanziare il reddito di emergenza che stiamo preparando in queste ore. Non basterebbe, ovviamente, a coprire tutta la spesa. Ma sarebbe molto più di una cifra simbolica.Se fossero cinque milioni di euro al mese – per dire – grazie a questo taglio 5mila persone al mese usufruiranno di un reddito. Non mi pare poco.
Il Reddito di emergenza io me lo immagino come una misura di tipo universale: cioè rivolto a tutti coloro che nell’ultimo mese non hanno percepito un reddito e che non sono coperti da altre misure.Se io ne parlo ora è perché negli ultimi giorni abbiamo fatto calcoli e simulazioni. Il sottosegretario Villarosa ha dato forma e struttura a questa proposta, abbiamo ponderato le cifre: non stiamo parlando di costi insostenibili.
La cassa integrazione straordinaria del Cura Italia è stata un’ottima prima risposta, ma non arriva ancora a tutti.Penso a diverse categorie. In primo luogo tutti coloro che lavorano nel mondo del turismo che hanno una ciclicità stagionale, e che quando è esplosa la crisi non avevano contratti attivi. Sono i primi che dobbiamo proteggere.
L’Inps ha battuto molti record in questi giorni, per emanare le circolari necessarie ad attivare le misure del Cura Italia. Ma fuori dei suoi canali dobbiamo immaginarci degli strumenti che consentano, a presentazione della domanda, una erogazione immediata.Dobbiamo immaginare requisiti semplicissimi, senza vaglio,niente Isee, niente parametri di filtro…Una sola condizione. Hai avuto un reddito a marzo? Se la risposta è sì non hai diritto alla misura. Se la risposta è no, ne ha diritto. Se hai una soglia di reddito molto alta – immaginiamo di fissarla a 50mila euro, ma è da definire – perdi il reddito. C’è solo una condizione di recesso. Se con un controllo a posteriori risulta che non avevi diritto per una delle condizioni perdi il reddito.Controllando prima, impiegheremmo troppo tempo.
Sono molti anni che ci definiscono statalisti e assistenziali. Ma le faccio questa domanda: riesce ad immaginare qualcuno meno statalista di Trump o di Johnson?
A mio parere chiunque dovrebbe avere almeno i 750 euro che abbiamo immaginato come soglia del suo reddito.
Stiamo cercando di mettere in sicurezza una intera economia. In questo momento la metafora che immagino è un motore a bassissimo regime.Se non metti l’olio mentre sei sotto sforzo il motore si ingrippa. E poi lo butti via. Noi non possiamo bucare il motore dell’economia italiana in questa crisi.
Gualtieri condivide la linea e la nostra preoccupazione: ha solo il problema di chi deve far quadrare i conti, ma non è affatto contrario, glielo assicuro. Lo rispetto perché so quali difficoltà dovrà affrontare.
Ma non basta.
Serve anche un’altra misura essenziale: un altro tipo di erogazione. Non un sussidio, ma un fondo che possa diventare un prestito condiviso. Per molti cittadini oggi il problema non è il guadagno, che non è venuto meno, ma la liquidità che rischia di far fallire le imprese. Questa misura la immagino come una sorta di super garanzia bancaria, che viene concessa a tutti, in Banca e senza nessun interesse na con una garanzia offerta dallo Stato per le aziende o per i privati, con soglie diverse. Senza nessuna valutazione, per chi ha perso un reddito e per le aziende che hanno perso un fatturato. Ma con un tetto. Parliamo di una cifra solo relativamente bassa: l’equivalente di tre mesi di fatturato o di reddito. Fino a 10mila euro di finanziamento ai privati e fino a 250mila per le imprese. Ci sarà il rischio di qualche insolvenza ma è un rischio molto minore di arrivare troppo tardi. Ma sarà meno di quello che lei crede. La rigorosa Svizzera, non un paese di economia comunista, segue questa strada. Lo strumento – anche se pochi incredibilmente lo sanno – non solo è condiviso, ma esiste già. Avevamo già previsto col decreto Cura Italia, e anche già coperto con un finanziamento, una misura simile con una cifra limitata a 3mila e con un vincolo legato a determinate categorie.
Si tratta solo di sollevare il massimale ed estendere la platea.
Queste proposte sono frutto di un lavoro di squadra. È ciò che presentiamo al paese. È stato chiamato, in quel decreto, “Reddito di ultima istanza”, perché interveniva per chi non usufruiva delle altre misure. Penso a chi non lo aveva redditi. Io dico così, perché nulla deve suonare come un incentivo al lavoro nero. Mai come in questa occasione la gente ha capito che non conviene lavorare in nero. Se sei un fantasma non accedi alle misure. Anche in questo il Covid cambierà il nostro modo di pensare. Il prestito sarà per tutti coloro che erano precari, occasionali, saltuari. Lavoratori, diciamo così, irregolari. Sono tantissimi, nelle casistiche più svariate, e sono quelli che hanno bisogno di più protezione, perché hanno per definizione meno riserve di risparmio. Nessuno deve pensare di salvarsi da solo. Se intorno ci sono macerie non si va da nessuna parte. Due calcoli fatti a spanna ci fanno pensare ad una copertura di 3-4 miliardi. Parliamo di 2-3 milioni di famiglie. Il costo è al mese per quattro mesi. Sarà meno di quello che stanno spendendo tanti paesi.
Poi ci sono i prestiti per le imprese. Anche qui dobbiamo lavorare sulle piccole e le medie imprese. Un tessuto prezioso di questo paese, un ecosistema economico che va tutelato. Ma il prestito ha un costo diverso dal reddito.
Abbiamo immaginato un massimale. Ma qui il totale del finanziamento è inferiore al costo, perché come è noto c’è un meccanismo di leva legato al credito bancario.
Essendo un credito senza interessi l’impresa non si indebita ulteriormente. Funziona come un grande anticipo di cassa ai capillari del sistema paese.
Da lombardo devo dire che la sanità in Lombardia è stata massacrata. Formigoni è stato condannato per il sistema che noi denunciavamo: non ora, ma nel 2010! Fontana parla con orgoglio di questo sistema ma è un modello squilibrato, e dopo la crisi dovremo capire che effetti questo problema ha avuto. Nel sistema del privato lombardo – ne sono consapevole – puoi fare bene e velocemente gli interventi e qualsiasi tipo di analisi. E paghi quasi come nel pubblico: questo è un segnale di un disequilibrio che ora stiamo pagando. Con il modello delle convenzioni tutti i settori dicesi così “a perdere”, urgenze e terapie intensive sono stati lasciati al pubblico. E sono stati sostanzialmente disarmati di fronte all’emergenza Covid. Queste sanità era una rete molto forte nei settori di convenzione, ma molto debole – come abbiamo visto – nei settori che hanno dovuto reggere l’urto del Covid. Esaltando le grandi eccellenze è stata smantellata ogni capillarità della rete di assistenza. Non a caso la trincea sono diventati gli ospedali, senza avere una adeguata medicina del territorio.Senza lo Stato centrale Lombardia e Veneto non ce l’avrebbero fatta.
In Lombardia hanno solo messo in piedi l’infrastruttura ospedaliera: ma il personale medico lo ha messo lo Stato. I ventilatori li sta acquistando lo Stato. I primi 330 sono andati tutti al Nord, come era giusto, perché abbiamo dato priorità assoluta rispetto alle altre regioni.

- Sala&tabacchi - di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano del 31 marzo 2020:

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Ci stavamo giusto domandando come uscire dalla crisi epocale del coronavirus, quando ci è venuto in soccorso Beppe Sala con un’intervista di appena due pagine firmata nientemeno che dal direttore de La Stampa, Maurizio Molinari. Il titolo è già tutto un programma: “Sala: contro il virus, una nuova costituente”. “Nuova”, per distinguerla da quella vecchia, che ormai è andata. E soprattutto “una Costituente repubblicana”, onde evitare che qualcuno sospetti il sindaco Sala di simpatie per Casa Savoia o per i Borboni. Fatte le doverose precisazioni, resta da sciogliere un minuscolo dettaglio: che cazzo c’entra la Costituzione col coronavirus? Il sindaco Sala è qui pronto a spiegarcelo: lui non pensa affatto che qualcuno possa guarire dal Covid-19 mettendosi in tasca la sua nuova Costituzione, o sdraiandosici sopra, o inalandone i balsamici effluvi, o applicandola al torace con un po’ di Vicks VapoRub. No, lui pensa, senza spiegarci cosa mai gli abbia fatto l’attuale Carta, che quella nuova servirà a “far ripartire l’Italia dopo il virus”. Vasto programma, visto che una Costituente va eletta a suffragio universale, poi deve riscrivere tutti e 139 gli articoli (o quanti saranno) della Carta e infine approvarli con adeguata maggioranza, insomma se ne riparla fra una decina d’anni. Se va bene.
Ma il sindaco Sala, che tutti consideravano (a torto, si capisce) un arido cumenda e ragiunatt della destra meneghina, reclutato da Letizia Moratti per i noti fasti dell’Expo e poi inopinatamente scambiato per un leader di sinistra, è in realtà un utopista, un sognatore, un futurologo e anche un po’ filosofo. Gli piace volare alto, anche perché, quando vola basso, va agli spritz e indossa le t-shirt di #Milanononsiferma, fa più danni della peste bubbonica. I suoi pensieri alati sono da collezione, anzi da affissione. “Se crollasse Milano, crollerebbe la Sanità” (i pazienti dell’ospedale di Castelvetrano prendano buona nota). “La città è stata pesantemente toccata, penso soprattutto alle vittime” (ma va? Credevamo pensasse ai pipistrelli). “La Lombardia ha un problema perché il virus è piuttosto radicato nel Bresciano e nel Bergamasco fino verso Cremona” (roba da non credere, chi l’avrebbe mai detto). Però lui parla “con i sindaci in questione per capire le cause di tutto ciò”. E, furbo lui, le ha capite: “Non aver fermato le fabbriche ha portato molta gente a restare l’uno vicino all’altro” (in effetti fermarle mentre i sindaci facevano gli spritz e invitavano la cittadinanza a non fermarsi era complicato). “Ora però è il momento di guardare avanti” e, si badi bene, “non indietro” (così nessuno si ricorda le boiate che lui diceva prima).
Poi però è lui a guardare indietro, sia pur da miope: “Ricordo che il sindaco Gori è stato lui il primo a chiedere l’istituzione della zona rossa per Alzano” (dev’essere stato quando si faceva gli autoscatti a cena con la moglie per istigare i bergamaschi alla movida). Finita l’Operazione Rivergination, si passa al Sala ricostituente: “Ciò che mi preoccupa è che siamo un Paese che, per tipo di ordinamento e per funzionamento della giustizia, è tutto tranne che efficiente”. In effetti la sua condanna per un falso in atto pubblico del 2012 è arrivata solo nel 2019: si doveva fare prima. Resta da capire, anche qui, che minchia c’entri la Costituzione. Ma attenzione: lui ha “in mente due capitoli”. E sono soddisfazioni. “Primo: il potere dello Stato e i poteri locali perché l’attuale struttura amministrativa è del secolo scorso e non consente di essere veloci”. Quindi tutto ciò che ha più di vent’anni (il secolo scorso finì il 31.12.1999) va raso al suolo, perché “non consente di essere veloci” (per far che? Boh). Se poi Sala, come dice, vuole solo smantellare le Regioni, non c’è bisogno di Costituente: basta il Parlamento con una riforma di pochi articoli che cancelli quella del 1970 e l’obbrobrio del 2001 sul Titolo V con lo strumento dell’art. 78 (modifiche approvate dai 2/3 delle Camere o sottoposte a referendum). “Secondo: la giustizia”, aridàgli. E qui il Pindaro volante parte con la supercazzola giureconsulta con scappellamento a destra: “L’articolo 102 della Costituzione impedisce di istituire giudici speciali ma in realtà si sono venute a verificare situazioni nelle funzione pubblica (sic, ndr) che pongono legittimi dubbi al riguardo”. A riguardo di che? Boh. Però “bisogna smantellare la burocrazia”. Perbacco, che originalità. Purtroppo “non è possibile fare le riforme in maniera canonica” (qualunque cosa voglia dire). Ergo, “come nel Dopoguerra Alcide De Gasperi lanciò la Costituente che ci regalò la Costituzione” (De Gasperi non stava al Quirinale e non lanciò una beneamata cippa, ma fa niente), “Mattarella potrebbe oggi lanciare una nuova Costituente”. E come? Sciogliendo le Camere su due piedi? O affiancandole al nuovo, insigne consesso? Per ora si sa soltanto che il sindaco Sala vuol essere invitato perché “servirebbe spazio per chi amministra localmente”. A questo punto il ricostituente cede il passo all’economista (sempre lui) che pontifica su tutto lo scibile umano: dall’Europa (così non va) a Draghi che — lo credereste? — “ha totalmente ragione”, del resto “mi sono confrontato con lui alcuni giorni fa” per dargli la linea. Poi, oplà: ecco il Sala stratega, interpellato da Molinari sui destini periclitanti dell’Alleanza Atlantica a causa dell’Italia doppiogiochista che “accoglie aiuti russi, cinesi e cubani, mentre di quelli della Nato, che pure arrivano, si parla meno”. La Volpe di Rho Pero raccoglie pensosa l’allarme: “Parlare con tutti, ma anche rimanere fedeli alle nostre alleanze, al campo europeo atlantico”. Ben detto.
Se ne deduce che il sindaco Sala pensa di fare capoluogo. E soprattutto che, come diceva Leo Longanesi del Benedetto Croce politico, “non capisce niente, ma con grande autorità”.


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lunedì 30 marzo 2020

GdF Brescia: maxi evasione fiscale, 22 arresti per associazione a delinquere. - 18.febb.2020

Lecco, militari della Guardia di finanza in festa: scoperti 97 ...

Scoperto un “laboratorio” di evasione fiscale a Brescia. Mezzo miliardo di euro di “false operazioni”, illeciti guadagni per circa 80 milioni. Riciclaggio internazionale dei proventi.

La Guardia di Finanza di Brescia – con il coordinamento della locale Procura della Repubblica e con il supporto del Servizio Centrale Investigativo Criminalità Organizzata (SCICO) di Roma – ha individuato, presso uno studio commercialista bresciano, una vera e propria “fabbrica” di evasione fiscale. L’indagine vede coinvolti, a vario titolo, un centinaio di persone (di varie province italiane, ovvero Brescia, Bergamo, Milano, Roma, Parma, Mantova, Perugia, Lodi, Modena, Reggio Emilia, Torino, Bari, Vicenza, Pavia, Napoli Verona) e ha per oggetto circa mezzo miliardo di euro di “false” operazioni (tra fatture per operazioni inesistenti e crediti fiscali fittizi) che hanno consentito al sodalizio di guadagnare circa 80 milioni di euro. 

Le Fiamme Gialle stanno procedendo in queste ore a dare esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Brescia: arresti nei confronti di 22 responsabili (17 in carcere e 5 ai domiciliari, dimoranti prevalentemente nelle province di Brescia, Bergamo, Milano e Roma) di svariati reati, tra cui, in particolare l’associazione per delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata alla frode fiscale e al riciclaggio di denaro. Notificate anche 2 misure interdittive dalla qualità di imprenditore amministratore di società commerciale. Presso il citato “laboratorio” bresciano di evasione fiscale, i “colletti bianchi” – supportati da altri sodali, anch’essi prevalentemente dimoranti a Brescia e con precedenti penali specifici nei reati tributari – erano dediti a produrre “pacchetti evasivi”. Il sodalizio, schematicamente, aveva quattro finalità. La prima finalità consisteva nel “produrre” servizi tributari illeciti, attraverso centinaia di società “di comodo” (sia nazionali che estere) e prestanomi. Lo scopo prioritario era la produzione di crediti fittizi (da utilizzare indebitamente in compensazione), nonché di fatture per operazioni inesistenti. La seconda finalità era quella di vendere tali “servizi” attraverso una rete di distribuzione. I “colletti bianchi” individuavano i soggetti a cui “piazzare” i loro “prodotti” attingendo tra gli imprenditori loro clienti desiderosi di abbattere le imposte. La terza finalità consisteva nello sviare eventuali attività di controllo, attraverso il “traffico di influenze illecite” e le intimidazioni ad eventuali soggetti che volessero collaborare con la Guardia di Finanza. Nello specifico, infatti, gli indagati, percepita l’attenzione degli investigatori a fronte di acquisizioni documentali effettuate dai Finanzieri presso le società cartiere da loro gestite, si rivolgevano a “faccendieri” – conosciuti tramite “reti di relazioni” – al fine di ottenere informazioni privilegiate sui controlli in corso. Tra i “faccendieri” remunerati per la loro millantata attività di “intermediazione” – rivelatasi del tutto inefficace – emergono un (falso) appartenente alle Forze dell’ordine, nonché un (falso) appartenente ai servizi segreti nazionali. Non sono mancati i tentativi di intimidazione nei confronti di chi potesse fornire informazioni utili alle indagini. Tentativi, tuttavia, risultati vani anche grazie all’intervento preventivo degli investigatori che hanno attivato appositi dispositivi di tutela. Ultimo scopo del sodalizio era quello di ripulire il denaro frutto dell’evasione fiscale, immettendolo nel mercato e trasformandolo in “potere d’acquisto” apparentemente lecito da reinvestire in nuove attività. Lo spessore professionale dei soggetti coinvolti consentiva di ideare svariati e “raffinati” meccanismi di “lavaggio”, ovvero:

§ monetizzazione di denaro contante con prelievi da conti correnti esteri. Il sodalizio si avvaleva di una squadra di “cash courier” specializzati nel trasporto, su autovettura, di denaro contante in vari Paesi europei (Slovenia, Croazia, Ungheria, ecc.). Le indagini hanno permesso di sequestrare, ad oggi, banconote “cash” per un valore complessivo di 2,1 milioni di euro, attraverso operazioni internazionali di polizia, anche con interventi effettuati direttamente in territorio estero, grazie alla diretta collaborazione della locale Autorità giudiziaria e delle forze di polizia straniere. Particolare rilievo, infatti, assumono i sequestri effettuati oltreconfine, con la presenza dei Finanzieri in territorio estero (Umago, Croazia). Oltre 1 milione di euro in contante è stato rinvenuto presso le cassette di sicurezza di una filiale di una banca croata. L’operazione è stata possibile grazie alla tempestiva predisposizione di più Ordini di Indagine Europei emessi dalla Procura di Brescia che hanno consentito di attivare prontamente le Autorità estere. Altri sequestri sono stati effettuati dai Finanzieri in ingresso Stato, controllando le autovetture, all’atto della “reimportazione” dei profitti illeciti da altri Paesi europei, ove erano stati appositamente occultati;

§ contributo di un “colletto bianco” estero. Un professionista estero (ungherese) aveva lo specifico compito di occultare il denaro proveniente dall’evasione fiscale, aprendo e gestendo – per conto dei promotori del sodalizio – conti correnti accesi in Ungheria e in altri Paesi;

§ reimpiego del profitto nelle proprie attività economiche. L’attività di indagine ha permesso di rilevare come i sodali abbiano reimpiegato parte degli illeciti proventi nelle loro attività economiche, capitalizzandole ed acquisendo asset patrimoniali;

§ conti correnti nello Stato del Vaticano presso l’Istituto per le Opere di Religione (I.O.R.). Sono stati individuati tentativi, da parte dei principali professionisti indagati, di aprire conti correnti presso lo IOR, istituto di credito vaticano, ove depositare il profitto del reato. La cooperazione con la Polizia vaticana – coordinata dal II Reparto (“Coordinamento informativo e relazioni internazionali”) del Comando Generale della Guardia di Finanza – ha consentito di ricostruire tutti i passaggi dei tentativi di “pulizia” del denaro sporco, scongiurando il travaso dei profitti oltre confine;

§ utilizzo di trust simulati. Al fine di occultare parte dei “fondi neri”, i promotori del sodalizio hanno costituito un trust simulato. Tra gli asset nascosti all’interno del trust anche beni immobili situati fuori dal territorio dello Stato.

L’indagine ha, dunque, consentito di ricostruire le fasi, i ruoli, i trasferimenti e i passaggi di denaro dell’associazione per delinquere, permettendo di smantellare il gruppo criminale e di recuperare i patrimoni illeciti con il sequestro del “maltolto”.

https://www.liberoreporter.it/2020/02/cronaca/gdf-brescia-maxi-evasione-fiscale-22-arresti-per-associazione-a-delinquere.html?fbclid=IwAR3qxSqAkK5IWfxV5Ix9f0ycPCv2eXFIlm_Czo3zLNLLTTDMBWEJYjyYgxs

“Noi albanesi non siamo i vostri stupidi, ministro Salvini”. - Sonila Alushi*



Una coraggiosa blogger albanese, Sonila Alushi, ha reso pubblica questa lettera a Salvini. Una denuncia sull’oggi ma senza dimenticare un recente passato di emigrazione e delle sue tragedie come l’affondamento della nave Kater i Rades nel 1997.
“L’Albania si è mostrata solidale a questo Paese non a lei Signor Ministro. L’Albania è un popolo di migranti, è un popolo generoso e ospitale nonostante ancora povero. E sopratutto l’Albania non dimentica di essere stata aiutata dai suoi vicini italiani, ma non dimentica anche le sue dichiarazioni disprezzanti. O le becere frasi dei suoi seguaci scritte nei muri della Lombardia come ad esempio: ‘Albanesi tutti appesi!’
Oh no, noi non dimentichiamo la dichiarazione della vostra deputata (ai tempi Lega Nord) e allora Presidente della Camera, Irene Pivetti, che senza il minimo pudore e sensibilità, disse che gli albanesi ANDAVANO BUTTATI A MARE! E a mare ci finimmo davvero pochi giorni dopo: si chiamava Katër i Radës quella piccola nave affondata a Otranto. Ci morirono 81 di noi tra bambini, donne, uomini giovani e vecchi.
Chiamarono quel naufragio ‘La Tragedia del Venerdì Santo’ (28 Marzo 1997). Piangemmo quei morti da nord a sud e un intero Paese si vestì di nero. Ma poi i barconi ripartirono, era questione di sopravvivenza e lei lo sa bene anche se fa finta di non sapere. Lei fa finta di non capire perché la gente lascia casa e rischia la vita in mare.
Lei fa finta Ministro, fa finta su molte cose, anche sul fatto che il più grande problema di questo Paese, a sentir lei, sembra siano gli immigrati. Non abbiamo avuto il tempo di asciugarci le lacrime per i morti di Genova e Civita, che ecco che arriva lei con le sue crudeli decisioni per farci piangere e vergognare di altre vittime!
Non siamo riusciti a consumare qualche giorno di lutto per quelle perdite e capirci qualcosa sulle responsabilità di quel crollo, che ecco che rispuntano le sue lagne puntando il dito solo verso gli immigrati! Per non parlare della fuga dei capitali, della disoccupazione, della Mafia, del degrado sociale, della povertà in crescita, ecc. Tutto in ombra!
Oggi dice nei suoi comizi, quelli dove i suoi fan si divertono con il suo triste sarcasmo, che l’Albania si è comportata meglio della Francia!! Suvvia Ministro, sappiamo bene che la Francia non si farà il minimo problema per questo suo ridicolo paragone.
E sappiamo bene anche come la pensa su di noi: fosse stato per lei e i suoi, noi albanesi non saremmo stati accolti allora e non saremmo ben accettati nemmeno oggi.
L’Albania, posizionandosi al fianco dell’Italia, si è dimostrata riconoscente e generosa perché questo Paese se lo merita e questo Paese non è rappresentato solo da lei.
Non usi questo bel gesto a suo favore personale, non ci tratti da stupidi. Grazie”!
*Sonila Alushi vive in Italia e scrive su Albania news. L’articolo lo abbiamo ripreso da facebook dove sta circolando.
traduzione di Simona Forte.

Regione Calabria, le spese folli del Consiglio. Dirigenti pagati a peso d’oro e 351 dipendenti. - Riccardo Tripepi

Palazzo Campanella
Palazzo Campanella

Il segretario generale percepisce quasi 300mila euro l’anno, il presidente dell’Assemblea 165mila, i direttori di settore 137mila. In più c’è una pletora infinita di impiegati, con un rapporto di 12 unità per ogni consigliere.


Si apre il prossimo 9 marzo la legislatura regionale. Palazzo Campanella i suoi dipendenti si preparano dunque a intensificare il proprio impegno in attesa di capire quali saranno le decisioni, o le eventuali riforme, che la nuova Assemblea sul loro futuro. Mentre sono ancora in corso di svolgimento le procedure per alcuni concorsi, l’organico sembra essere sovradimensionato e ipercostoso.

Al momento, il personale interno del Consiglio, nel quale troveranno spazio i 30 consiglieri appena eletti, è composto da 351 unità a tempo indeterminato, con un’invidiabile media di 11,7 dipendenti per consigliere regionale. Nel numero sono compresi i nuovi assunti per carenza di organico nel 2010, che nella misura del 20% viene applicato nelle strutture speciali dei politici, lasciando spesso sotto organico gli uffici.

Impietoso il confronto con gli altri Consigli regionali italiani. A partire, ad esempio, da quello della Lombardia che risulta composto da 80 consiglieri e conta 268 unità a tempo indeterminato, con la media di 3,35 dipendente per consigliere regionale.

Alla spesa per i dipendenti già analizzata in precedenza, si aggiunge quella per i dirigenti che presenta alcuni tratti del tutto singolari.

Il segretario generale di palazzo Campanella percepisce un compenso pari ad euro 282.358,71 all’anno, così per come stabilito dalla legge regionale la n. 8 del 1996. Praticamente guadagna più dello stesso presidente del Consiglio che si ferma ad euro 165.600,00. La figura omologa alla giunta guadagna euro 160.217,66, ben 45.831,05 in meno di competenze stipendiali fisse.

Eppure diversa sembrerebbe la mole di lavoro per i due segretari: mentre in giunta regionale vi sono 13 dirigenti generali e circa 2.500 dipendenti, al Consiglio vi è 1 solo direttore generale e circa 351 dipendenti.

Le differenze tra palazzo Campanella e Cittadella proseguono anche per il capo di gabinetto: al Consiglio si prevede uno stipendio da Euro 202.437,39 mentre quello della Giunta soltanto Euro 140.578,68.
Le stesse differenze si riscontrano anche in ordine ai dirigenti di settore che sono 9 per 351 dipendenti in Consiglio per uno stipendio annuo da euro 137.478,07, un compenso superiore di circa 25.000 euro rispetto a quanto percepito dai circa 120 dirigenti di Settore della Giunta regionale.

Costi della politica necessari al funzionamento della macchina amministrativa e gestionale si dirà. Eppure un’operazione trasparenza all’interno dei palazzi del potere potrebbe essere un invidiabile biglietto da visita per la nuova Amministrazione regionale che potrebbe censire nel dettagli i costi e spiegare ai calabresi come vengono spesi i denari pubblici e per ottenere quali risultati.

Auto blu e favori politici: tutti i segreti dello zar leghista della sanità. - Paolo Bionadani e Andrea Tornago

Auto blu e favori politici: tutti i segreti dello zar leghista della sanità

Un'indagine finora inedita svela i retroscena della carriera di Domenico Mantoan, il super direttore degli ospedali veneti ora nominato al vertice dell'Aifa.


Auto blu e favori politici: tutti i segreti dello zar leghista della sanità.
Maledetta auto blu. Più che un privilegio, sembra una disgrazia per Domenico Mantoan, potentissimo neo-presidente dell’Aifa, l’agenzia che gestisce l’intera spesa farmaceutica e controlla il mercato miliardario dei medicinali. Perché sono proprio due infortuni con l’auto di servizio a insidiare la sua irresistibile carriera di super-dirigente della sanità nel ricco Veneto e ora in tutta Italia. Una nomina, decisa dalla conferenza delle Regioni, che sancisce il passaggio alla Lega di questo cruciale centro di potere sanitario, economico e politico.
Mantoan, 62 anni, vicentino di Brendola, occupa da un decennio, ininterrottamente, la poltrona di direttore generale della sanità veneta: è il capo indiscusso di un apparato regionale che muove ogni anno dieci miliardi di euro di spesa pubblica.

A Venezia è considerato un tecnico molto preparato e capace, con un carattere duro: una sorta di Richelieu, riverito e temuto anche ai piani alti di Palazzo Balbi, sede della Regione. Laureato in medicina a Padova, specializzato in endocrinologia a Verona, il super-manager ha la gerarchia nel sangue: inizia la sua carriera nel 1984 come ufficiale medico dei Carabinieri di Udine e del distretto militare di Verona, dove lavora fino al 1993. Nella sanità regionale entra nel 1995, quando il Veneto, dopo Tangentopoli e la fine della Dc, diventa un feudo del centrodestra. Da allora Mantoan continua a fare carriera sotto tutte le giunte.

Con il berlusconiano Galan, viene chiamato a replicare il modello sanitario lombardo dell’era Formigoni (tagli agli ospedali pubblici, soldi alle cliniche private), che riesce ad applicare senza troppi danni sociali. Il Veneto diventa la terza regione italiana per spesa sanitaria privata (41 per cento del totale, secondo la Corte dei Conti) restando in vetta alla classifica dei livelli di assistenza. Dal 2010 ad oggi Mantoan resiste a tutti i cambiamenti di pelle della Lega: mentre il partito passa da Bossi a Maroni per arrivare a Salvini, e nell’assessorato alla sanità la cerchia del veronese Tosi è sostituita dai fedelissimi del trevigiano Zaia, il super-tecnico resta al suo posto, dove è riconfermato almeno fino alla primavera prossima. Ed è proprio l’attuale governatore Luca Zaia a candidarlo con successo alla presidenza dell’Aifa.

A rovinare la festa per la nomina, il 31 ottobre scorso, arriva un’interrogazione dei Cinquestelle, che chiede al neo-ministro Roberto Speranza di chiarire una bruttissima storia di malasanità e malagiustizia che coinvolge l’auto blu di Mantoan. A Padova, il 13 settembre 2016, la vettura pubblica che trasporta il direttore, guidata dal suo autista di fiducia, fa una manovra vietata e uccide un motociclista. A effettuare l’autopsia si precipita il professor Massimo Montisci, direttore dell’istituto di medicina legale di Padova, che scagiona l’autista con una tesi incredibile: il motociclista, Cesare Tiveron, sarebbe morto d’infarto un attimo prima di essere travolto dall’auto blu. I familiari della vittima insorgono, denunciano un conflitto d’interessi (l’istituto di Padova dipende dal grande capo della sanità veneta) e ottengono una nuova perizia, affidata a una squadra di luminari, che capovolge il verdetto: ora il professor Montisci è accusato di falso, l’autista di Mantoan di omicidio stradale.

La stessa auto blu è finita al centro di un’altra indagine, finora tenuta segreta. Un procedimento aperto nel 2014 e chiuso pochi mesi fa, nell’aprile 2019. Mantoan non è accusato di alcun reato, ma i fatti accertati documentano rapporti, metodi di lavoro e incontri di potere finora sconosciuti: una specie di biografia non autorizzata. Tutto nasce da un fascicolo minore. La Procura di Vicenza ipotizza un «peculato d’uso»: Mantoan ha diritto di usare la vettura regionale con l’autista pubblico per gli spostamenti tra casa e ufficio, cioè tra Venezia e Vicenza, mentre è sospettato di servirsene anche per trasferte private. Quindi la Guardia di Finanza comincia a seguire la sua auto blu, segnalando una serie di anomalie. Il 26 settembre 2014, in particolare, la macchina pagata dalla Regione effettua una deviazione: esce dall’autostrada a Padova Est e si ferma in un hotel a quattro stelle dove lui rimane fino all’alba successiva. Qui il super manager pubblico incontra una imprenditrice della sanità, che ha una ditta a Padova e vende prodotti ospedalieri. Un incontro riservato tra controllore e controllata.

L’indagine si chiude con un’archiviazione chiesta dal pm Giovanni Parolin: il giudice Massimo Gerace certifica che il peculato «non sussiste», perché i «singoli episodi» si riducono a «deviazioni di pochi chilometri», che «non hanno provocato danni apprezzabili alle casse pubbliche». Anzi, nella notte in hotel c’è stato «un considerevole risparmio», perché l’autista lo ha lasciato a Padova anziché portarlo a casa nel Vicentino. Un proscioglimento pieno, che però riconferma l’incontro notturno tra il dirigente pubblico e l’imprenditrice privata «per ragioni comprovatamente personali».

Un altro dato certo è che, nei mesi successivi, l’amica di Mantoan fa un grande salto di carriera. Prima era solo una rappresentante di commercio, con una ditta individuale di «prodotti medicali, chirurgici e ortopedici». Dal gennaio 2017 diventa amministratrice unica di una società con 100 mila euro di capitale, che gestisce un centro radiologico in provincia di Padova, di cui è anche socia con il 20%. Il primo azionista, con il 40%, è un soggetto misterioso, che vuole restare anonimo: la sua quota è intestata a una fiduciaria del Montepaschi. Il restante 40%, invece, fa capo al gruppo Hfc, che controlla diverse società importanti, con fatturati milionari. Una di queste, F.R. Engineering, negli ultimi anni si è aggiudicata decine di grandi contratti per la sanità veneta: dal ciclotrone dell’ospedale di Castelfranco, a sofisticati macchinari come la Pet di Padova, alla rete di condizionatori dell’Istituto oncologico veneto, di cui Mantoan è stato commissario fino al 2016. Intanto l’imprenditrice padovana ha trovato altri partner d’affari importanti, come la società milanese Adexte, che si è fatta rappresentare proprio da lei, come risulta dalla sua firma in un documento del giugno 2018, in almeno una gara d’appalto da 64 mila euro: forniture per la medicina nucleare dell’ospedale di Vicenza, aggiudicate alla Adexte.

Dagli atti giudiziari emerge che il fascicolo sull’auto blu era nato da un’indagine molto più ampia: pressioni politiche per nominare primari ospedalieri fedeli alla Lega. Mantoan viene intercettato, nello stesso periodo della notte in hotel, mentre incontra segretamente, in un bar vicino a un altro casello, il direttore sanitario di un ospedale di Vicenza e il responsabile di una Usl veronese, entrambi leghisti. Il primo, riassume la Finanza, «si adopera attivamente per indirizzare e determinare le nomine di due primari, a Verona e Vicenza». E incontra Mantoan perché «ne conosce il potere di interferenza nelle decisioni sulla sanità veneta». Il procedimento si chiude nel 2018 per la morte del dirigente vicentino inquisito. Mentre Mantoan non viene neppure indagato: in quell’incontro «certamente anomalo» ha subito pressioni politiche, ma non risulta che sia mai arrivato a truccare i concorsi dei primari.

Il 7 novembre anche il ministro Speranza ha ratificato la sua nomina all’Aifa. Per il direttore della sanità veneta, la presidenza di un’agenzia così strategica segna anche una rivincita personale su Roma, dopo le polemiche con l’ex ministro Beatrice Lorenzin sull’obbligatorietà dei vaccini. Nel settembre 2017, infatti, era stato un decreto firmato proprio da Mantoan a sospendere per due anni l’obbligo di presentare i certificati di vaccinazione come requisito per l’ammissione nelle scuole. La Regione Veneto è arrivata a impugnare le norme statali davanti alla Corte Costituzionale, senza successo. Quindi il governatore Zaia ha dovuto sospendere il decreto Mantoan. Ora il burocrate torna a Roma, nello stesso ministero, da vincitore: come numero uno dell’Aifa, sarà lui a rappresentare lo Stato negli incontri e scontri con le potenti multinazionali dei farmaci. Non in un hotel vicino all’austostrada, si spera.

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