mercoledì 30 settembre 2020

“Sta funzionando: ma questa gente sa di cosa parla?” - Carlo Di Foggia

 



Elena Granaglia, docente di Scienza delle Finanze a Roma Tre e membro del Coordinamento del Forum Disuguaglianze. È in corso un assalto al Reddito di cittadinanza, secondo lei è una misura perfettibile?

Sì, ma non va snaturato. La misura ha funzionato, ci sono tre milioni di beneficiari, la povertà si è ridotta. In Italia mancava: esiste in tutti i Paesi d’Europa.

Prima critica: la soglia è troppo alta.

Quella del Reddito di inclusione era 187 euro, non dignitosa. La soglia del Rdc, 780 euro individuali, è quella della povertà relativa indicata da Eurostat, non l’hanno inventata i 5Stelle. Oggi il Rdc penalizza moltissimo le famiglie numerose e non va bene, ma si può risolvere con più risorse o abbassando un po’ la soglia.

Seconda critica: va anche agli evasori.

Può essere, ma il problema è il Rdc o l’evasione? Come diceva il sociologo Albert Hirschman, quando vari una misura, devi decidere da che parte sbagliare. Basta migliorare i controlli. O aboliamo il Servizio sanitario perché lo usano pure gli evasori?

Mezzo arco politico ritiene che sia troppo assistenziale e che non aiuti a trovare il lavoro.

Fioccano articoli che dicono che è un flop perché non attiva abbastanza persone al lavoro, che al Nord le imprese non trovano ingegneri qualificati… Ma hanno idea di chi sono i percettori del Rdc? Se il lavoro è decoroso, difficile che vi rinuncino. Ma forse dobbiamo intenderci su cosa sia decoroso…

Cito il governatore emiliano Stefano Bonaccini: “Serve dare un assegno per poco e poi farli alzare dal divano e farli andare a lavorare”.

È una narrazione che si basa sull’aneddotica, non ha nulla a che fare con i dati. Quelli europei dicono che i poveri vogliono lavorare e comunque è sbagliato valutare il successo di queste misure solo dal lato del lavoro.

Perché?

In tutta Europa il successo di queste misure dal lato delle politiche attive è molto basso rispetto al contrasto alla povertà. Anche in Germania se le dovessimo valutare sotto questo profilo sono degli insuccessi. L’obiettivo è prima di tutto il sostegno al reddito, a questo servono le misure anti-povertà. Che, peraltro, sono solo l’ultimo passo. Non si può contrastare la povertà solo con trasferimenti monetari, ma nel processo economico che la genera. Dobbiamo pensare a come produciamo e distribuiamo il valore aggiunto e creiamo occupazione di qualità. Oggi questa manca, non è un problema del Rdc.

Perché c’è tanta ostilità verso questa misura?

È una conseguenza della cultura lavorista, l’idea che solo il lavoro ti definisca. E anche dell’impoverimento del Paese, meno disposto a misure anti-povertà. La politica è ostile al Rdc, siamo stati gli ultimi in Europa ad averlo introdotto.

Il Rdc ha troppe condizionalità?

In parte sì. Vanno ridotte quelle patrimoniali: abbiamo 10 milioni di persone che hanno risparmi per un mese. Anche quella di fare lavori socialmente utili la trovo ingiusta: se non c’è lavoro, perché obbligarti a quello gratuito solo perché la collettività ti aiuta? La collettività siamo noi: se ci va bene finanziamo con imposte programmi anti povertà e se ci va male ne godremo. È così che funziona il welfare.

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“Proporzionale senza liste bloccate e con soglia al 3%”. - Silvia Truzzi

 












Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza, ha sottoscritto la petizione per una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti. “Oltre alla legge elettorale”, spiega, “anche altre questioni al centro del dibattito vanno affrontate con la dovuta radicalità se si vuole realmente concorrere a superare la crisi in cui versa da tempo il Parlamento. Ad esempio la questione dei regolamenti parlamentari: mi sembra ci si voglia accontentare di una riforma minimale”.

Andranno corretti, o no?

Certo, ma non ci si può limitare a dire che il numero delle commissioni parlamentari va ridotto: questa è un’ovvietà. Ci sono altre questioni che impediscono il funzionamento del parlamento: i maxi emendamenti, l’abuso della fiducia, i tempi contingentati. Il Parlamento non deve solo provare a sopravvivere, deve riaffermare il proprio ruolo autonomo. Poi si dovrebbero affrontare anche problemi strutturali: il ruolo dei partiti e la questione del bicameralismo. Oggi nessun partito – dai 5Stelle alla Lega passando per il Pd – riesce a più a svolgere adeguatamente la funzione di reale rappresentanza politica che la costituzione assegna loro.

E sul ruolo delle Camere?

Vedo molta confusione sotto il cielo. Abbiamo due leggi costituzionali in discussione che tendono ad annullare le differenze tra le due Camere, tramite l’equiparazione a 18 anni dell’età per l’elettorato attivo nei due rami del Parlamento e l’abbandono della base regionale per l’elezione in Senato. Poi, però, il Pd presenta un disegno di legge che punta a differenziare il bicameralismo.

Veniamo alla questione più urgente: la legge elettorale. Proporzionale o maggioritario?

Proporzionale senz’altro: votai contro il maggioritario nel referendum del ’93. In vent’anni di maggioritario il sistema si è dimostrato fallimentare rispetto agli obiettivi che si proponeva: la grande promessa della governabilità è stata tradita. Dovremmo finalmente prenderne atto.

Chiediamo l’abolizione delle liste bloccate, ma l’altro sistema possibile, quello delle preferenze, è anch’esso criticato perché favorisce le clientele.

L’attuale disegno di legge in discussione, il Brescellum, mi lascia perplesso perché estende il sistema delle liste bloccate. Si corre il rischio di non rispondere a una chiara indicazione della Corte che ha affermato sia necessario lasciare un margine di scelta all’elettore.

Quindi preferenze?

Non necessariamente. Esse possono innescare una impropria competizione tra le fazioni di una stessa lista. Aumenterebbero inoltre i costi delle campagne elettorali per i singoli candidati: con collegi ampi poi! Prevedibile l’aumento del pericolo della “compravendita” dei voti di preferenza. Sarebbe preferibile seguire una terza via: il collegio uninominale con il sistema proporzionale. In passato ha dato buoni risultati: è questo il modello della legge 29 del 1948, quello che ha permesso le elezioni dei senatori fino al ’93. Normalmente l’uninominale si associa al maggioritario. Qui si parla di un sistema proporzionale con piccoli collegi (tanti quanti sono i rappresentanti da eleggere). Il vantaggio è che responsabilizza i partiti, che sceglieranno quale candidato presentare; si rafforza poi il rapporto tra elettori e territorio, nonché indirettamente quello tra partito e territorio.

Qual è il difetto di questo sistema?

Il limite è che essendo un sistema proporzionale, i seggi sono distribuiti in proporzione ai voti riportati dai partiti e assegnati in base alla cifra individuale (cioè i voti ottenuti in rapporto al numero degli elettori del collegio). È possibile pertanto che chi vince nel singolo collegio poi non venga eletto.

Sbarramento al 5: è troppo alto?

Sì. Andava bene con una Camera di 650 deputati, ma ora, con la riduzione dei parlamentari, si è già alzata la soglia implicita per accedere ai seggi. Aggiungo che in alcune regioni che eleggono pochi senatori, la selezione naturale porta a escludere tutte le forze minori, senza bisogno di alcuna soglia. Se proprio si deve, la soglia accettabile è al 3 per cento.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/29/proporzionale-senza-liste-bloccate-e-con-soglia-al-3/5947177/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-09-29

Lo Zinga in barile. - Marco Travaglio












Una settimana fa il Fatto ha lanciato una petizione di 10 costituzionalisti, che il 20 e 21 settembre si erano divisi tra il Sì e il No al taglio dei parlamentari, per una legge elettorale senza più liste bloccate. Cioè per abolire quel meccanismo infernale, introdotto dal centrodestra nel 2005 col Porcellum (poi raso al suolo della Corte costituzionale) e perpetuato dall’Innominabile con l’Italicum (anch’esso bocciato dalla Consulta) e il Rosatellum (votato da Pd, FI e Lega, con i No di M5S, FdI e sinistra), che consente a un pugno di capipartito di nominarsi la gran parte dei parlamentari, sottraendo ai cittadini il diritto e il potere di sceglierli. Una porcata degna dell’Ungheria di Orbán. In sette giorni, l’appello su change.org ha raccolto oltre 75 mila firme e noi speriamo che superi presto quota 100mila. Come si restituisce agli elettori la scelta dei parlamentari? Se il sistema elettorale è proporzionale, si ripristinano le preferenze, anzi la preferenza unica (o doppia di genere): ciò che gli italiani votarono nell’ultimo referendum elettorale riuscito, promosso da Mario Segni nel 1991. Se il sistema è maggioritario, ogni partito o coalizione presenta un candidato per ogni collegio e i cittadini scelgono chi preferiscono (scelta unica nel turno secco o ripetuta al ballottaggio nel doppio turno). Non esistono sistemi elettorali perfetti, ma noi, insieme ai 75mila aderenti all’appello, chiediamo che qualunque modello vinca produca degli eletti, non dei nominati. Il dibattito, però, non è all’anno zero: il governo Conte-2, come Zingaretti ha ricordato al premier, al M5S e a Iv in campagna elettorale, è nato su un preciso patto di maggioranza per il proporzionale puro. Dunque non si scappa: proporzionale con preferenza unica o doppia di genere (un candidato e una candidata).

E qui casca l’asino, perché dopo il referendum si è riaperta nel Pd la solita batracomiomachia tra proporzionalisti e nostalgici del maggioritario o del Mattarellum. Che, senza una posizione chiara e netta del segretario, riporterebbe la discussione all’anno zero. E sarebbe strano, per chi temeva di delegittimare le Camere col taglio dei parlamentari votato dal 98% della Camera. Gli italiani hanno rilegittimato il Parlamento, plaudendo a quella riforma col 70%. Ma ora, a delegittimare quello futuro, è proprio chi fa il pesce in barile sulla preferenza. Che ci restituirebbe un Parlamento non solo più snello, ma anche eletto. Salvini ha già detto, in dissenso con la Meloni, che il Rosatellum non si tocca: così continuerà a portare in Parlamento chi pare a lui. Il M5S è per la preferenza. Zingaretti con chi sta?

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martedì 29 settembre 2020

“Recovery Fund: faremo presto, entro fine anno sarà tutto pronto.” - Wanda Marra

 



“Abbiamo bisogno della stabilità dei nostri Stati membri per far partire i piani di ripresa europei. Per questo considero il risultato elettorale italiano molto positivo”. David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, “vede” un’Europa che sia sempre più “gigante globale”.

Presidente, a che punto sono i negoziati sul Recovery Fund? I “Frugali” cercano di bloccarli appellandosi al fatto che Polonia e Ungheria sono sotto procedura d’infrazione. E oggi la Lagarde invita ad accelerare.

Ci sono tutte le premesse per poter fare presto. Proprio oggi è arrivata la buona notizia di una proposta della presidenza tedesca per inserire alcune clausole sul rispetto dello Stato di diritto. In altri termini, i soldi non devono andare a chi viola la legalità e la trasparenza. Questa era una delle richieste del Parlamento. Sono fiducioso che il negoziato si concluda presto. I meccanismi del Next Generation EU hanno bisogno di atti legislativi e ratifiche dei Parlamenti nazionali. Speriamo di finire entro l’anno perché le risorse possano essere disponibili nel 2021.

In Italia c’è chi accusa il governo di ritardo. Lei è d’accordo?

No. Dalle informazioni che ci arrivano tutti i Paesi sono ai blocchi di partenza. Ci sono state alcune indicazioni da parte del governo francese, ma tutti stanno lavorando e alcuni Paesi hanno già annunciato che concluderanno il loro lavoro ad anno nuovo.

L’Italia deve chiedere il Mes? Non c’è il rischio stigma?

Sono stato il primo nel marzo scorso a sostenere che si tratta di uno strumento che può essere utile per rafforzare la sanità pubblica. A questo punto, le domande a cui rispondere sono: per quali piani va usato? Con quali progetti? Per rafforzare cosa? Ogni Paese fa i conti con le sue finanze pubbliche. L’Europa ci ha messo una visione, gli Stati membri devono metterci pragmatismo.

La Commissione Ue ha proposto di cambiare il Regolamento di Dublino, ma senza la redistribuzione obbligatoria dei migranti.

Nel mio discorso di insediamento chiesi ai governi di superare Dublino. La proposta della Commissione è molto importante perché riapre il dibattito e inserisce il principio di solidarietà obbligatoria. E poi riconosce la legittimità e la doverosità dei salvataggi in mare. Ora va migliorata. Per il Parlamento deve essere chiaro che chi arriva in Italia o in Grecia arriva in Europa. I migranti nel loro totale rappresentano lo 0,004% della popolazione europea. Se ci fosse una redistribuzione solidale basterebbe che ogni città europea con più di 30mila abitanti ne prendesse uno. La narrazione dell’invasione dei sovranisti è falsa.

Oggi è a Roma il Segretario di Stato Usa, Pompeo. La pressione sull’Italia per bloccare Huawei è massima. Che deve fare l’Europa?

La chiave è dotarsi di un proprio sistema tecnologico: il Covid ci dice che dobbiamo investire di più sulla nostra autonomia e la nostra autosufficienza. Vogliamo essere un attore globale. Nel frattempo, alcuni presupposti devono essere chiari: ci piacerebbe sapere come stanno andando le sperimentazioni del 5G, in corso in molte città, per quanto riguarda la protezione dei dati e la salute dei cittadini. Ma sono dati riservati. Serve trasparenza.

Nel Consiglio europeo di giovedì e venerdì si parla di Turchia, relazioni Europa-Cina, sviluppo digitale, Bielorussia.

È un segnale importante. L’Europa deve tornare con forza sulla scena internazionale, con la potenza dei valori: i conflitti si superano favorendo il dialogo e con la forza della diplomazia. Quanto avviene ai nostri confini ha bisogno di noi.

È d’accordo con la campagna del Fatto contro le liste bloccate e per le preferenze?

Non posso entrare nei processi legislativi dei Parlamenti nazionali. Ma credo sia essenziale una legge elettorale che dia stabilità ai governi e diritto ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti. I modelli per ottenere questo in Europa sono tanti. Ricordo che io sono stato eletto con un sistema proporzionale, soglia di sbarramento e voto di preferenza.

Viene evocato spesso dal Pd come il candidato ideale a sindaco di Roma.

Il candidato ideale sarà quello che si presenterà: io non sarò candidato e presiedo un’istituzione europea. Ringrazio, ma il mio dovere è stare a Bruxelles fino all’ultimo giorno.​

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Italia Viva, anzi Morta e l’insostenibile irrilevanza di Renzi. - Andrea Scanzi


Politicamente postumo in vita dal 4 dicembre 2016, Matteo Renzi ha avuto finalmente il coraggio di pesarsi (elettoralmente) alle ultime Regionali. Il risultato è stato un disastro pressoché totale. Quando Scalfarotto annunciò di scendere in campo per Italia Viva contro Emiliano, mi capitò di scrivere che questo satanasso iper-renziano, noto a nessuno e ricordabile per niente, non avrebbe visto il 3 per cento neanche col binocolo. Tal Scalfarotto se la prese moltissimo. E aveva ragione, perché in effetti col binocolo non ha visto neanche il 2 per cento. Il nuovo Churchill ha raggiunto infatti l’1,8 dei consensi, che scende all’1,1 se si tolgono gli alleati Calenda e Bonino.

Scalfarotto aveva chiesto al ministro Bellanova di tirargli la volata, e lei lo ha fatto alla grande, esortando gli elettori (in un lapsus meravigliosamente freudiano) “a votare Emiliano e Italia Viva”. Di fatto Scalfarotto non si è votato neanche da solo. Un’altra genialata di Renzi, che avrebbe pagato oro pur di disarcionare l’odiatissimo Emiliano. Ospite di Myrta Merlino, Renzi aveva pure affermato: “Se il centrosinistra avesse candidato la Bellanova, avrebbe vinto a mani basse”. Non ne becca una neanche per sbaglio!

Eppure Renzi, dopo le Regionali, ha esultato. Ha parlato di “risultato straordinario”. Ha detto di essere stato decisivo. E ha sostenuto di aver salvato Conte per la seconda volta. La Diversamente Lince di Rignano è arrivata a dare i numeri, asserendo di avere raggiunto su scala nazionale la media del 5,1 per cento. Ciò è del tutto falso: la media raggiunta da Italia Viva (anzi Morta) è del 3,2, che sfiora il 4 se si aggiunge alla media il caso (a sé) della Valle d’Aosta. Nella sua (e per fortuna non solo sua) Toscana, dove credeva di avere almeno il 10, Italia Viva non è andata oltre un tristissimo 4,5 per cento, che le è valsa la miseria di due soli consiglieri regionali. Piccato da tale realtà dei fatti, Renzi ha dato la colpa a Giani (che ha scelto lui) perché reo di avergli tolto voti con una lista tutta sua. Secondo il Matteo debole, dovrebbero stare tutti a casa per farlo vincere in santa pace. Altrimenti porta via il pallone. Gne gne.

Nelle Marche ha superato a fatica il 3 per cento, in Veneto si è fermato a uno straziante 0,6. Come fa allora a cantare vittoria? Un po’ nega l’evidenza e un po’ esaspera i risultati in Valle d’Aosta e Campania. Nel primo caso il quasi 9 per cento è però figlio dell’alleanza con gli autonomisti valdostani, senza i quali difficilmente avrebbe superato il 3 (ma pure il 2). E in Campania quel 6/7 per cento è certo un buon risultato, frutto però della scelta di imbarcare buona parte dei capibastone fino a ieri in Forza Italia. Compresi uomini cari a “Giggino ‘a Purpetta” Cesaro. Tutto giuridicamente lecito, sia chiaro, ma la “nuova politica” dovrebbe essere altro. Siam sempre lì: Renzi non è che la brutta copia di Berlusconi. Resta da menzionare la Liguria, dove Renzi ha mandato sms di fuoco fino a poche ore prima del voto. Contro Toti? No, contro il Fatto Quotidiano, Pd e M5S. Daje Matte’! Leggendari anche qui i risultati: 2,5 per cento. Pianto perdurante e totale.

Fino al meraviglioso 4 dicembre 2016, Renzi era solo un politico dannoso e sopravvaluto. Dopo quel giorno, Renzi è diventato null’altro che un Tabacci minore. Molto meno dotato e assai meno simpatico. E adesso? Proseguirà a suicidarsi politicamente: è la cosa (l’unica?) in cui più eccelle. Continuerà ad abbaiare alla luna. A creare “fibrillazioni”. E a dire di averlo più lungo di tutti, anche se dallo spogliatoio son già usciti tutti da un pezzo. A partire dagli elettori. Gli sia lieve l’irrilevanza.

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Aspi deve affidarsi ai suoi emissari: l’ippopotamo, la giraffa e il pinguino. - Daniele Luttazzi



Come scrivevamo il 15 luglio scorso, il gatto dei Benetton, un persiano bianco che è la mente diabolica dietro ogni decisione della Spectre (Atlantia-Autostrade-Ponte Morandi-Aeroporti di Roma-Mapuche), aveva consigliato il suo boss, che se lo accarezzava in grembo, di far arenare la trattativa. L’accordo era che lo Stato, con la Cassa Depositi e Prestiti (cioè il risparmio postale italiano, 250 miliardi di euro), sarebbe entrato con un aumento di capitale al 33 per cento di Autostrade; un altro 22 per cento sarebbe andato a investitori istituzionali; e poi Aspi (Autostrade per l’Italia) sarebbe stata quotata.

Il persiano, però, non voleva farsi imporre dal governo Cdp come compratore, e vendere Aspi a quelle condizioni. “Cosa rischiamo, se non le accettiamo?” gli hanno chiesto allora i tre emissari di Aspi (una giraffa, un ippopotamo e un pinguino) che seguono la trattativa. “Secondo me, nulla”, ha risposto il persiano. La giraffa: “Nulla?”. L’ippopotamo: “Nulla?”. Il pinguino: “E allora cosa facciamo?”. Il persiano: “Gli diciamo che vendiamo l’88 per cento di Aspi a investitori interessati, sennò creiamo una nuova società con gli stessi soci di Atlantia”. L’ippopotamo: “Una newco!”. Il persiano: “Che riceverà prima il 55 per cento di Aspi e poi il restante 33 per cento; contestualmente, questa newco sarà quotata in Borsa, permettendo ad Atlantia di uscire dal suo capitale”. La giraffa: “Sparigliamo!”. L’ippopotamo: “Geniale!”. Il persiano: “La chiameremo Autostrade Concessioni e Costruzioni Spa. Si sono già fatti avanti il fondo britannico Circuitus, quello americano Apollo, la Toto Holding…”. La giraffa: “Toto di AirOne?”. Il persiano: “Sì. E la Fininc della famiglia Dogliani, quelli della Salerno-Reggio Calabria”. Il pinguino: “La crème. Ma Cdp vorrà la manleva dai contenziosi legali per il crollo del Morandi e gli omicidi”. La giraffa: “In caso di condanna, sono miliardi!”. L’ippopotamo: “Ci daranno un ultimatum! Ci revocheranno la concessione!”. Il persiano: “Non gli conviene. L’implosione di Atlantia significa accollarsi 10 miliardi di debiti, e perdere i 14 miliardi del piano finanziario che abbiamo proposto, di cui 7 per la manutenzione e 3 e mezzo per i risarcimenti”. La giraffa: “Too big to fail”. L’ippopotamo: “Troppo grande per fallire”. Il persiano: “Comunque, se può tranquillizzarvi, il fondo inglese Tci, che come sapete ha il 6-8 per cento di Aspi, approva la mia strategia. E adesso scrivetevi questa frase: ‘Dobbiamo garantire l’irrinunciabile tutela dei diritti di tutti gli investitori e stakeholders coinvolti, retail, istituzionali, nazionali e internazionali’. La userete a ogni prossimo stallo, perché il governo non accetterà lo scorporo di Aspi senza che Cdp sia della partita”. Il pinguino: “Ok. Ma se la revoca resta pendente, Atlantia non potrà finanziarsi. Sarebbe l’inizio di una gigantesca battaglia legale col governo”. Il persiano: “Per questo ho parlato con il certosino di Lucia Morselli, la manager di ArcelorMittal che ha sfidato il governo sull’Ilva. L’ha convinta: è dei nostri”. Tutti e tre: “Hurrà!”. Il persiano: “Nel frattempo, ho scritto alla Commissione europea denunciando le pressioni del governo italiano”. La giraffa: “Quali pressioni?”. Il persiano: “Il ministero delle Infrastrutture ha vincolato all’ingresso di Cdp in Aspi il suo via libera, inserendo il diktat direttamente nella concessione, all’articolo 10”. La giraffa: “Una cazzata giuridica!”. L’ippopotamo: “Ah ah ah! Che coglioni!”. Il pinguino: “Insomma, alla fine chi pagherà il conto del disastro?”. Il persiano: “Non chi. Se”.

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Visco, il Mes e il mistero dello stigma. - Antonio Padellaro


















Se fosse un giallo si potrebbe intitolare: Ignazio Visco, il Mes e il mistero dello stigma. Visco è governatore della Banca d’Italia. Lo stigma” è l’espressione che ha usato a proposito della controversa questione del fondo salva-Stati. Parola misteriosa, appunto, almeno per larga parte di coloro che ne hanno sentito parlare, per la prima volta, domenica nei tg serali. Durante i quali nessuno si è degnato di spiegare come e perché lo “stigma” rientrasse nei ragionamenti di Visco (e soprattutto cosa diavolo significasse). Interessava soltanto riferire che, secondo il governatore, dal punto di vista economico il Mes “dà solo vantaggi”, e che la tremenda troika “non c’è, non esiste”. Pronunciata da tale prestigiosa cattedra, un’affermazione che poteva spazzare via gli ultimi dubbi in chi, come lo scrivente, non è mai riuscito a farsi un’idea definitiva su questo fondo straordinario. Descritto dai tanti propugnatori come la caverna del tesoro di Ali Baba, per aprire la quale basta pronunciare la formula magica: “Apriti, Mes”. Mentre per i detrattori si tratta del Campo de’ miracoli, in località Acchiappa-citrulli, dove il povero Pinocchio viene truffato dal Gatto e la Volpe.

Ma quando finalmente possiamo sottrarci alla propaganda favolistica per affidarci alla razionale saggezza del governatore salta fuori un piccolo inciampo, all’apparenza roba da nulla. Egli, infatti, proprio in coda alle sue rassicurazioni, aggiunge che “l’unico problema potrebbe essere lo stigma”. Potrebbe? Ahi. Poiché ho imparato dalla vita che tutte le volte che c’è un problema e ci dicono essere “risolto al 99 per cento”, è proprio l’uno per cento mancante a mandare tutto in vacca, quest’ultimo problemuccio dello “stigma” mi ha messo sul chi vive. Ho cominciato a sfogliare avidamente i giornali finché ho trovato la chiave del mistero: “Anche il famoso problema dello stigma – cioè del nervosismo che una richiesta di accesso potrebbe scatenare sui mercati – è facilmente superabile, se i soldi vengono spesi bene e con una buona comunicazione” (Repubblica). Fermi tutti, perché mai di questa storia dei mercati in preda a una crisi di nervi nessuno mi aveva detto niente? Vero che i soldi ben spesi e una buona comunicazione agirebbero come la Valeriana su questi mercati isterici. Purtuttavia immaginando la possibile incazzatura dei mercati, a cui in genere non va bene niente – figuriamoci 36 miliardi spesi soltanto benino o una comunicazione così cosi – ho sognato la troika che m’inseguiva brandendo un grosso stigma.

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