Ci sono molti modi di palesare la sconfitta, ma quello storicamente più utilizzato è di organizzare un’ultima offensiva per poter arrivare al tavolo della pace con qualcosa in mano. Naturalmente è una tattica che raramente riesce proprio perché non ci sono più forze sufficienti per poter ottenere un vantaggio decisivo. È stato il caso della fallita offensiva delle Ardenne alla fine del 1944 o di quella di Ludendorff sul fronte occidentale nel 1918 con l’obiettivo di arrivare a Parigi e della successiva, ma collegata battaglia del Solstizio, ovvero seconda battaglia del Piave sul fronte italiano che segnò la sconfitta definitiva dell’imperial regio esercito austroungarico oltre ad essere stata la prima battaglia terrestre della storia che vide un massiccio impiego dell’aviazione. Uno dei massimi comandanti austroungarici, il feldmaresciallo Borojević era favorevole a non impegnare l’ancora considerevole forza militare dell’impero per conservarne il più possibile l’integrità territoriale, ma i tedeschi già delusi di non essere riusciti a sfondare il fronte francese, imposero l’offensiva perché una vittoria sul fronte italiano avrebbe comunque pesato all’inevitabile tavolo della pace. Era tuttavia un sogno perché le forze che si contrapponevano erano praticamente alla pari, (però gli italiani avevano riserve maggiori) una condizione nella quale un attacco è destinato a fallire.
Mi sono dilungato su questo perché oggi ci troviamo esattamente in questa fase della guerra ucraina con l’aggravante che l’esercito di Kiev è inferiore in tutto: si è messo in piedi l’assalto suicida contro Kursk raggranellando le ultime truppe davvero valide, le ultime colonne corazzate e sguarnendo più parti del fronte per dar vita a una battaglia senza speranza che tuttavia non solo testimoniasse dell’esistenza in vita dell’Ucraina, ma che allo stesso tempo, con la conquista di un lembo di terra russa, le desse un qualche peso all’inevitabile tavolo della capitolazione. Almeno questa è la motivazione offerta da Mikhailo Podolyak, il massimo consigliere di Zelensky, vista la pratica impossibilità di successo. Infine l’idea portata avanti da qualche analista di un assalto per raggiungere la centrale nucleare di Kursk è pura idiozia: in un territorio disseminato di paludi, burroni e altri ostacoli che rendono impossibile una rapida avanzata di colonne corazzate (le quali ad ogni buon contro sono già state in gran parte distrutte) per arrivare alla centrale prima che i russi possano organizzare una controffensiva, è semplicemente folle. Così alla fine Kiev ha cercato di colpire la centrale di Zaporizhia, dicendo, con una clamorosa e assurda menzogna, che sono stati i russi a provocare l’esplosione.
Si tratta di mosse evidentemente consigliate dai sagaci strateghi della Nato, intensamente formatisi sui videogiochi, ai quali tuttavia sfugge completamente la realtà: l’attacco ucraino, senza avere alcuna altra possibilità reale se non la morte di altre migliaia di ucraini, non fa altro che convincere Mosca del fatto che non ci sarà pace senza una completa disfatta dell’Ucraina. Fino a ora la Russia ha esposto i suoi termini per la cessazione delle ostilità. Il primo di questi è la revoca di tutte le sanzioni – illegali secondo il diritto internazionale – da parte degli Stati Uniti, dell’Ue e dei loro alleati, Poi ci sono le garanzie della futura neutralità ucraina, il ritiro di tutte le forze straniere e dei mercenari, la smilitarizzazione e la denazificazione del Paese. Ultimo ma non meno importante, le nuove regioni russe di Crimea, Lugansk, Donetsk, Zaporozhye e Kherson dovranno essere riconosciute a livello internazionale come territorio russo sovrano.
Questo era prima dell’attacco nella regione di Kursk. Adesso le condizioni diventeranno più stringenti e probabilmente la Russia sfrutterà questa follia per concentrare truppe e investire direttamente Kiev. Ma secondo i giornali occidentali ci troviamo di fronte a una “schiacciante” vittoria ucraina mentre l’operazione militare suicida, di fatto già fallita, è palesemente una dichiarazione di sconfitta. Del resto cosa ci si potrebbe aspettare dalla zucca vuota di Zelensky e da quelle pentagonali di Washington? Basti pensare che la comunità di intelligence statunitense sta dicendo ai principali referenti politici che l’Iran teme di dar vita a una rappresaglia per paura di Israele e del possibile coinvolgimento degli Usa mentre è chiaro che Teheran questa volta non vuole agire in fretta, sull’onda dell’emozione: sta pianificando la sua prossima mossa con l’assistenza della Russia e della sua vasta gamma di capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
Ma meglio così: se la stupidità paga nel mondo narrativo dell’informazione, è un enorme handicap nella realtà.
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