venerdì 1 ottobre 2021

Amaro Lucano. - Marco Travaglio

 

Se giudichiamo la sentenza Lucano col senso comune, magari paragonandola alle pene molto inferiori inflitte a grandi corrotti come Formigoni, frodatori come B., bancarottieri come Verdini, complici della mafia come Dell’Utri, per non parlare della Trattativa, possiamo tranquillamente dire che 13 anni e 2 mesi (sia pure in primo grado) sono un’enormità. Se però leggiamo il dispositivo della sentenza del Tribunale di Locri, comprendiamo che quei 13 anni e 2 mesi sono il cumulo delle pene per i singoli reati – quasi tutti molto gravi – per cui è stato condannato l’ex sindaco di Riace. Sgombriamo subito il campo dalle falsità.

1) Lucano non è stato condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: per la violazione della legge Turco-Napolitano è stato assolto, come per aver fatto carte false per far entrare illegalmente clandestini in Italia o munirli di documenti farlocchi. La sua battaglia contro le leggi sull’immigrazione – ammesso e non concesso che sia ammissibile da parte di un sindaco – non c’entra nulla. E nemmeno il “modello Riace”, cioè il meritorio ripopolamento di un comune depresso con l’integrazione dei migranti.

2) Difficile immaginare che i tre giudici del Tribunale nutrissero intenti persecutorii, come già si era detto dei pm (ora quasi rimpianti perché hanno chiesto la metà della pena poi inflitta dal Tribunale). Al netto di quelli contestati ai suoi 26 coimputati, Lucano rispondeva di 16 capi di imputazione. È stato assolto per 5, condannato per 10 (in parte alleggeriti di diversi fatti, per cui è stato pure assolto) e prescritto per uno.

3) La condanna riguarda non gli aiuti ai migranti, ma una serie impressionante di pasticci finanziari con denaro pubblico. Il primo è l’associazione a delinquere per commettere “un numero indeterminato di delitti contro la Pa, la fede pubblica e il patrimonio” e “soddisfare gli indebiti e illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative” create e controllate da Lucano e dai suoi amici come “enti gestori dei progetti Sprar, Cas e Msna” (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, Centri accoglienza straordinaria, Minori stranieri non accompagnati), con “indebite rendicontazioni delle presenze degli immigrati”, “derrate alimentari falsamente indicate come destinate agli immigrati ma sistematicamente utilizzate per fini privati”, “costi fittizi per spese carburante”, “numerose false fatturazioni”, nessun “controllo delle spese” né “documentazione dei costi sostenuti dalle associazioni”, “prelievi di denaro contante e assegni bancari dai conti correnti senza alcuna giustificazione”, “indebita destinazione di fondi ottenuti per fini diversi” dall’accoglienza.

L’altro – che forse spiega la discrepanza tra pena richiesta e pena inflitta – è la truffa aggravata allo Stato, cioè alla Prefettura e al Viminale (prima era “solo” abuso d’ufficio) per far versare 2,3 milioni indebiti o ingiustificati alle varie associazioni. Poi c’è un’altra truffa allo Stato da 281mila euro per una miriade di “costi fittizi o non giustificati”, “false fatture”, false annotazioni sui registri Inail di ore lavorate, “fittizi acquisti di bombole, materiale di cancelleria, mobili e schede carburante false”. Ne consegue l’accusa di falso ideologico in atto pubblico per ben 56 determine “propedeutiche al rimborso dei costi di gestione dei progetti Cas e Sprar” in cui Lucano “attestava falsamente di aver effettuato controlli sui rendiconti di spese” fantasiosi.

Un altro reato che porta alle stelle la pena è il peculato, per essersi “appropriato in modo sistematico” di “ingenti fondi ottenuti dallo Stato per l’accoglienza dei rifugiati”, “non meno di 2,4 milioni, distraendoli alle predette finalità” per l’“acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio non rendicontati”, più “prelievi in contanti per 531.752 euro”, in parte usati “per il viaggio in Argentina di Lucano”, in parte per “i concerti estivi organizzati dal Comune di Riace”. Concerti che poi il sindaco “attestava falsamente” non essersi svolti “al fine di non pagare i diritti Siae”: altro falso.

L’ultimo reato grave è l’abuso per aver “affidato il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel comune di Riace alle cooperative sociali Ecoriace e l’Aquilone, prive dei necessari requisiti richiesti” dalla legge, “dell’iscrizione all’Albo regionale delle cooperative sociali” e “di autorizzazioni alla gestione ambientale”, senza l’ombra di una gara (la turbativa d’asta è prescritta). Infine Lucano rilasciò a Tesfahun Lemlem, sua compagna etiope, un certificato falso: “lo stato civile di nubile anziché di coniugata, a lui noto”.

Fin qui il giudizio penale di primo grado, che potrà essere rivisto in appello. Sul piano politico e morale, a parte qualche spesa privata con soldi pubblici, non si può dire che Lucano sia un corrotto o che agisse per interessi propri, anche se quel sistema di soldi allegri a pioggia drogava certamente i suoi consensi.

È possibile che agisse con le migliori intenzioni. Ma questo incommensurabile pasticcione era pur sempre un sindaco, cioè un pubblico ufficiale tenuto a rispettare e a far rispettare le regole. L’impressione è che la nobile missione del “modello Riace” gli abbia dato alla testa, convincendolo di essere al di sopra, anzi al di fuori della legge. Che si può sempre contestare e persino, per obiezione di coscienza, violare. Ma senza la fascia tricolore a tracolla. E affrontando poi le conseguenze delle proprie azioni.

ILFQ

Nero e più nero. Inchiesta Fanpage inguaia Carlo Fidanza (FdI).

 

"Lavatrici per fare il black" e battute razziste. Richiesta di dimissioni dell'europarlamentare.


“C’hai la svastica sulla schiena”, “Bravo camerata”, “l’allegra brigata nera”. Sono solo alcune delle frasi captate da una telecamera nascosta nell’inchiesta lunga tre anni, realizzata da Fanpage sulla campagna elettorale di Fratelli d’Italia. Negli incontri registrati ci sono riferimenti al nero del fascismo, ma anche al nero dei soldi. Che si possono lavare. Perché questo emerge dall’inchiesta: lavatrici per pulire finanziamenti in nero, incontri con esplicite battute razziste, fasciste e sessiste: questo lo spaccato che emerge, con il sistema dell’insider, da un giornalista sotto copertura, tra esponenti di Fdi a Milano. Il giornalista, tre anni fa, si è finto un uomo d’affari a cui interessava finanziare un gruppo politico italiano al fine di ottenere vantaggi per il proprio business e ha iniziato a frequentare un gruppo di personaggi di estrema destra a Milano.

Il capo, secondo l’inchiesta, è Roberto Jonghi Lavarini, detto il “Barone nero”, condannato a due anni per apologia del fascismo.  “Abbiamo un gruppo trasversale, diciamo esoterici, ci sono massoni...ammiratori di Hitler...più abbiamo il nostro informale servizio di sicurezza, dove ci sono ex militari”, dice, senza sapere di essere registrato. “Abbiamo contatti politici nel centro destra. Nella Lega ma anche in Forza Italia e Fratelli d’Italia”. E il riferimento del partito di Giorgia Meloni è Carlo Fidanza, europarlamentare. “Lo sento tutti i giorni”, dice Lavarini, che lo presenta al giornalista di Fanpage. Si stabilisce così un rapporto che consente all’insider di frequentare il gruppo di esponenti di Fdi durante eventi e riunioni della campagna elettorale per le elezioni comunali a Milano per la quale sostengono la candidatura al consiglio comunale dell’avvocato Chiara Valcepina “patriota tra i patrioti”, la definiscono precisando che “potremmo usare un altro termine”. Nelle registrazioni la si vede ridere mentre un uomo fa allusioni sulla fine che farebbe fare alle barche dei migranti. Ma non sono solo gli stranieri nel mirino: “Come cazzo fai a Milano a eleggere un sindaco siciliano”, il riferimento è al candidato di centrodestra, Luca Bernardo. E giù le risate. 

A questo punto dalle risate si passa ai soldi. Sia Fidanza che Valcepina chiedono finanziamenti al presunto uomo d’affari col quale sono ormai in confidenza. Lui si dimostra disponibile a fornire aiuto in cambio di sostegno a questa società. “Le modalità sono: versare nel conto corrente dedicato. Se invece voi avete l’esigenza del contrario e vi è più comodo fare del black, lei si paga il bar e col black poi coprirà altre spese”, dice Fidanza al finto imprenditore, che è deputato a queste operazioni, entra più nei dettagli: Il “barone nero” spiega di avere “una serie di lavatrici” per il finanziamento alla campagna elettorale che sostiene di avere usato più volte. La procedura è già rodata, insomma.

Durante alcune riunioni del gruppo, inoltre, con la telecamera nascosta si riprende anche altro. E c’è anche un momento in cui si prende in giro Paolo Berizzi, giornalista sotto scorta perché minacciato dai neonazisti. Mentre scattavano una foto, Fidanza invece del tipico “cheeeese”, urla il cognome del giornalista, sottoscorta perché minacciato dai neofascisti.

HuffPost.

Mimmo Lucano e la parabola del 'modello Riace'. - Alessandro Sgherri

 

Per Fortune era tra i politici più influenti. Poi l'arresto e la condanna.


Dal quarantesimo posto nella classifica 2016 dei 50 leader più influenti del mondo della rivista americana "Fortune" alla condanna a 13 anni e due mesi di reclusione. E' la parabola che ha travolto e stravolto la vita di Domenico "Mimmo" Lucano e di Riace, borgo che ha guidato come sindaco per anni facendolo diventare famoso nel mondo come modello di accoglienza e integrazione per i migranti giunti nel nostro Paese.

Una storia, quella di Lucano e di Riace, cominciata quasi per caso nel 1998, con lo sbarco di duecento profughi dal Kurdistan a Riace Marina. Lucano e l'associazione Città Futura decisero che dovevano fare qualcosa. E così aprirono le porte delle tante case lasciate vuote da un'emigrazione che stava condannando Riace a diventare un paese fantasma, ai nuovi arrivati. Ma Lucano capì che la semplice accoglienza non era sufficiente. E così anno dopo anno "Mimmo", come tutti lo chiamano, ha orientato l'attività della sua amministrazione all'integrazione dei rifugiati e degli immigrati irregolari. Ha aperto scuole, finanziando micro attività, ha realizzato laboratori, bar, panetterie ed ha messo in piedi anche la raccolta differenziata porta a porta, che era garantita da due ragazzi extracomunitari che la trasportavano sul dorso di asini. Nasce anche una moneta speciale per aiutare gli immigrati nelle spese giornaliere in attesa dell'arrivo dei fondi europei. E nella parte storica del paese nasce quello che era il fiore all'occhiello di Riace, quel "villaggio globale" fortemente voluto da Lucano e diventato famoso nel mondo, dove l'integrazione si toccava con mano. Si calcola che in 17 anni siano passati almeno 6mila richiedenti asilo provenienti da oltre 20 Paesi del mondo. E molti di loro hanno deciso di rimanere in questo piccolo borgo arroccato sulle pendici a 7 chilometri dal mare Ionio.

Il nome di Riace comincia a circolare nel mondo non più o non solo come il luogo dove furono trovati i famosi Bronzi, ma per l'efficacia delle politiche di integrazione messe in atto dal suo sindaco. Nasce il "modello Riace". I riflettori si accendono sul borgo, Lucano viene preso ad esempio di un modo nuovo ed efficace di fare accoglienza. Non mancano, ovviamente, le voci critiche, soprattutto dall'area di centrodestra, ma Lucano va avanti per la sua strada. Che si interrompe improvvisamente la mattina del 2 ottobre 2018, quando la Guardia di finanza gli notifica un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa su richiesta della Procura di Locri proprio per la gestione del "Modello Riace". Pesanti le accuse che gli vengono contestate alle quali in tanti non credono. Il paese inizia a svuotarsi dei migranti, le botteghe artigiane tirano giù le serrande. Il turismo, che il "modello Riace" aveva incentivato, viene meno. Che la parabola di Lucano, adesso, sia orientata verso il basso lo si capisce anche alle comunali del maggio 2019, quando l'ex sindaco non riesce a farsi eleggere come consigliere comunale.

Nonostante le vicissitudini giudiziarie e politiche, la fiducia riposta da molti in Lucano non viene meno e tanti sono convinti che il processo, intanto istruito dalla Procura di Locri sulle presunte irregolarità nella gestione dei migranti a Riace, finirà con un'assoluzione. Certezze che si sono infrante alla lettura del dispositivo della sentenza che condanna l'ex sindaco ad un pena che è quasi il doppio di quella chiesta dalla Procura. Una condanna che tuttavia non convince i sostenitori di Lucano, la cui parabola, in ogni caso e in attesa del processo di appello, segna adesso il punto più basso. 

ANSA

Il leader e il vangelo secondo Luca. - Antonio Padellaro

 

Auguriamo, naturalmente, a Luca Morisi di rialzarsi quanto prima dalla “caduta come uomo” che egli ammette di avere avuto, e ciò al di là dell’indagine per cessione e detenzione di droga che lo riguarda. “Un amico che sbaglia e che può contare su di me”, ha detto Matteo Salvini, parole anche queste che esigono comprensione. Ma quando Morisi saprà riprendere il controllo della sua vita sarebbe importante conoscere una sua riflessione sullo spaventoso e inarrestabile potere di chi usa ossessivamente la Rete per colpire gli avversari, seminare l’odio e rovinare la vita al prossimo. Del resto, difficile saperne più di lui, creatore e gestore della Bestia social, il formidabile sistema di propaganda al servizio della Lega di Salvini, strumento di una strategia comunicativa che ha contribuito alla impetuosa crescita dei consensi a favore del cosiddetto Capitano (ora ex). Con una potenza di fuoco invidiata, temuta e quanto mai ustionante.

Come potrebbe testimoniare Laura Boldrini per anni simbolo dell’odiato “buonismo” di sinistra. Additata al pubblico ludibrio come sponsor dell’“invasione clandestina incontrollata” (anche se non ha mai detto nulla del genere) è stata quotidianamente messa alla gogna dal sito bestiale per aizzarle contro la micidiale armata invisibile degli odiatori. Se per storia personale e ruolo istituzionale Boldrini rappresenta l’esempio più eclatante di questo modo di fare contrasto politico, non si calcolano invece i danni della implacabile pioggia di fango (per non dire peggio) che si è abbattuta su chi individuato come nemico non sapeva difendersi. Lordandone così l’immagine pubblica, e sempre a maggior gloria del Capitano (ex).

Ecco, poiché la Bestia non può essere semplicemente liquidata come l’arma di distruzione reputazionale di una stagione (forse tramontata con la Lega di governo a guida Giorgetti), ascoltare le riflessioni di Morisi sulla violenza social, se e quando ne avesse voglia, ci aiuterebbe a difenderci meglio dai fetidi schizzi. Mentre, nelle presenti circostanze, a Luca (e al suo amico Matteo, spesso con il rosario tra le dita) non farebbe male meditare sul precetto evangelico del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te (ma forse non farebbe abbastanza like).

ILFQ

giovedì 30 settembre 2021

Mutui a tasso zero, perché l’Italia è indietro rispetto a Francia e Germania. - Vito Lops

 

Gli italiani non stanno cogliendo appieno l’era dei tassi bassi che offre l’opportunità di utilizzare la casa per ottenere una liquidità aggiuntiva.

L’Italia è considerata un Paese «cicala» quanto a debito pubblico (160% del Pil). Se però si capovolge la prospettiva e ci si concentra sul debito privato l’immagine degli italiani cambia profondamente: diventiamo delle formichine. Con un rapporto tra indebitamento delle famiglie e reddito vicino al 60%, l’Italia è sotto della media dell’area euro che secondo gli ultimi dati elaborati dalla European mortgage federation e relativi a fine 2020 si spinge oltre il 90%, con punte oltre il 100% in Francia e Spagna.

Si arriva alla stessa conclusione analizzando lo stock di mutui, il valore dei finanziamenti in essere. In Italia è pari a 391 miliardi rispetto ai 1.136 miliardi di Francia e ai 1.666 del Regno Unito, due Paesi comparabili per popolazione. Spostandoci in Germania, anche se ha 20 milioni di abitanti in più (+25%), il confronto stride comunque dato che la terra dove la parola «debito» si confonde con la parola «colpa» (difatti «schuld» vuol dire entrambe le cose) ha uno stock di mutui quattro volte superiore.

Debito pubblico e debito privato

In sostanza gli italiani utilizzano molto meno la leva del debito privato rispetto ai vicini, magari più virtuosi (si veda la Germania e il suo 60% di debito/Pil pre-pandemico) se l’asse si sposta sulle finanze pubbliche. Ma chi sta sbagliando? Quei Paesi che sono formiche nel pubblico e cicale nel privato, oppure gli italiani, cicale in pubblico e formiche in privato? Per quanto possa sembrare controintuitivo in realtà in passato era piuttosto normale aspettarsi una relazione inversa tra debito pubblico e debito privato. Perché nel momento in cui il debito pubblico – per larga parte espresso attraverso titoli obbligazionari emessi dallo Stato – si trasforma in credito privato quando viene acquistato dai cittadini/investitori è evidente che il peso delle passività domestiche cala.

Oggi però le proporzioni stanno cambiando. La quota di BTp direttamente in mano alle famiglie è scesa drasticamente: siamo sotto il 5% rispetto al 20-30% degli anni Ottanta. Compriamo meno BTp che in passato (anche perché da tempo non offrono rendimenti accettabili) ma continuiamo a mantenere un atteggiamento guardingo quando c’è da utilizzare la leva finanziaria. Come si spiega questo atteggiamento?

Tutti i risparmi nella casa.

«Molto dipende da una vecchia mentalità, ancora radicata, che ha portato tanti ad investire tutti i risparmi nella casa. Questi risparmi poi si tramandavano con l’eredità rendendo meno necessario l’indebitamento per comprare una nuova casa – spiega Alessio Santarelli, direttore generale per la divisione broking di MutuiOnline.it -. Questa mentalità però è permeata così tanto che anche chi oggi si trova a dover acquistare una nuova casa, cerca di utilizzare il più possibile la propria liquidità e il meno possibile quella offerta dalla banca. Lo dimostra il fatto che solo il 54% delle compravendite immobiliari è oggi sostenuta da un mutuo. Inoltre – prosegue Santarelli – tra i Paesi europei siamo quelli che chiedono i mutui più bassi, con un loan to value di poco superiore al 60% a fronte di una media europea superiore all’80%».Insomma, pare che ci portiamo dietro un vecchio mindset, non più adeguato ai tempi moderni, quelli in cui i tassi sono straordinariamente bassi e i prezzi delle case, fatto 100 il valore nel 2010, valgono 78.

Educazione finanziaria, siamo dietro lo Zimbabwe.

«Oggi, abbinando il concetto di mutuo a quello di investimento, è possibile difatti stipulare un mutuo a tasso 0 – sottolinea l’esperto di MutuiOnline.it -. Ma molti non lo sanno. E questo è un problema di cultura finanziaria». Su questo fronte le statistiche sono impietose. Secondo una nota ricerca a «quattro mani» di Standard and Poor’s e Banca mondiale l’Italia si colloca al 63esimo posto nel mondo in termini di educazione finanziaria, dietro lo Zimbabwe. Se ci si sposta sui giovani studenti il quadro migliora, ma resta comunque opaco dato che l’indagine Pisa dell’Ocse su un campione di 20 Paesi europei posiziona l’Italia tra il 12esimo e il 13esimo posto. Sul lato mutui, l’educazione finanziaria «svela» che i tassi sono oggi tra i più bassi in Europa con un Taeg medio dell’1,25% (dati European mortgage federation).

Il mutuo e gli investimenti.

«Ciò vuol dire che se si guarda agli investimenti e ai mutui in modo congiunto è possibile chiedere, utilizzando la leva dell’ipoteca che permette di accedere al denaro a costi inferiori rispetto a un comune prestito, una liquidità aggiuntiva non da destinare alla casa ma agli investimenti», spiega Santarelli. «E con i frutti dell’investimento si può ridurre, fino ad abbattere, la quota interessi sul mutuo».

Insomma, date le condizioni di mercato, il mutuo potrebbe essere visto anche come un’occasione storica per accedere a costi bassissimi a una fonte di liquidità da utilizzare per gli investimenti. Se ci si focalizza solo sul debito non si riesce a compiere quel salto di mentalità su cui altri Paesi vicini, più preparati dal punto di vista finanziario, si sono elevati. «Questo non vuol dire che bisogna correre a super-indebitarsi. Tutt’altro – conclude Santarelli -. Ma allo stesso tempo conservare un atteggiamento da formiche, in questa fase storica ancora di più, è un’occasione sprecata per migliorare la qualità della vita».

ILSole24Ore

mercoledì 29 settembre 2021

Superbonus 110%, per la Cila i vecchi titoli abilitativi restano validi. - Giuseppe Latour e Fabrizio Pistolesi

 

In caso di lavori iniziati prima dell’attivazione della nuova Cila semplificata dedicata al superbonus bisogna fare attenzione alle date e alle diverse situazioni che possono presentarsi.

Nessun obbligo di ripresentare i titoli abilitativi. Anche se, in qualche caso, potrà essere conveniente farlo. Sono questi i principi da considerare, se parliamo di lavori iniziati prima dell’attivazione della nuova Cila semplificata dedicata al superbonus. Bisogna, però, fare attenzione alle date e alle diverse situazioni che possono presentarsi.

Il calendario.

Partiamo dalle date. Tutto ruota attorno al comma 13-ter dell’articolo 119 del Dl 34/2020, introdotto dal Dl 77/2021, in vigore dal primo giugno 2021: qui la Cila diventa il titolo abilitativo per tutti gli interventi che accedono al 110% e viene previsto che la decadenza del beneficio fiscale scatta, in sostanza, solo nel caso di mancata presentazione della Cila o di interventi realizzati in difformità della Cila.
Il 30 luglio il decreto viene convertito e il modello Cilas, dopo l’approvazione in Conferenza Unificata, viene pubblicato sul portale del ministero della Funzione pubblica il 4 agosto del 2021.

Quindi, a partire dal primo giugno 2021 tutti gli interventi che ricadono nel perimetro del superbonus, con la sola esclusione di quelli comportanti la demolizione e ricostruzione dell’edificio, devono essere avviati a seguito di presentazione di Cila. A partire, poi, dal 5 agosto tutti questi interventi devono essere avviati con la presentazione del nuovo modello unificato Cila superbonus o, più semplicemente, Cilas.

I lavori già iniziati.

Cambiamenti così radicali nelle procedure hanno generato qualche incertezza, sia nei professionisti che negli addetti delle pubbliche amministrazioni. Una su tutte, la perplessità per chi aveva già iniziato i lavori, con i titoli edilizi previsti al momento della consegna della pratica, su come muoversi.

Per fare ordine, dobbiamo considerare che le norme non possono essere retroattive: bisogna, quindi, guardare al calendario sintetizzato prima. Partendo dal caso di chi avesse degli interventi già in itinere finalizzati al superbonus in data antecedente al primo giugno, secondo la guida Anci del 29 luglio scorso, è possibile «sia proseguire con la procedura già in essere sia con la presentazione della Cila superbonus».

In questo secondo caso, il modello Cilas prevede che si possa indicare il titolo edilizio con cui sono stati iniziati i lavori e che si possa richiedere all’amministrazione comunale di tenere valida la documentazione progettuale già presente agli atti. Non c’è, però, un obbligo di presentazione della Cilas legato ad una possibile decadenza del beneficio fiscale, in quanto il titolo iniziale resta legittimo e valido.

Discorso simile per chi, dopo il primo giugno ma prima del 4 agosto, si sia trovato a presentare la vecchia Cila senza avere a disposizione il nuovo modello unico: potrà tranquillamente procedere con i lavori senza ulteriori incombenze.

Integrazione con la nuova Cilas.

Resta, tuttavia, la facoltà del soggetto interessato di integrare la Cilas alla precedente pratica edilizia, se eventualmente più funzionale. Il motivo è che, ripresentando la Cilas, tutti gli interventi seguiranno le norme di semplificazione introdotte nei mesi scorsi: non ci sarà, per esempio, la possibilità di perdere il bonus in caso di difformità dall’assentito. Uno scudo extra sul quale sarà opportuno fare una riflessione.

In questo caso, come evidenziato anche dall’Anci, si potrà decidere se mantenere valida la documentazione progettuale già presentata oppure beneficiare di quanto stabilito nella nota dello stesso modello che recita: «L’elaborato progettuale consiste nella mera descrizione, in forma sintetica, dell’intervento da realizzare. Se necessario per una più chiara e compiuta descrizione, il progettista potrà allegare elaborati grafici illustrativi». Una condizione che rimane pertanto facoltativa.

Gli interventi misti.

Bisogna, infine, ricordare che, per gli interventi che prevedono contemporaneamente opere soggette al superbonus 110% e altre opere non rientranti in tali benefici, occorre comunque presentare sia la Cila superbonus sia attivare il procedimento edilizio relativo alle opere non comprese, anche contemporaneamente, come ricordato nello stesso quaderno Anci. In questo modo, l’agenzia delle Entrate potrà distinguere in maniera precisa la procedura relativa al 110% da quella che riguarda altri interventi che potrebbero beneficiare di bonus edilizi diversi.

Se, poi, la realizzazione degli interventi del 110% preveda anche la richiesta di atti o autorizzazioni di enti sovraordinati, la Cila superbonus non supererà la vigente normativa in materia e, in caso di immobili assoggettati a tutela, resta ferma la necessità di acquisire prima dell’inizio lavori i relativi nulla osta da parte degli enti preposti. Succede, per esempio, per gli immobili sottoposto a vincolo paesaggistico o culturale per cui lo Sportello Unico per l’edilizia dovrà, per via telematica, acquisire i relativi pareri da parte degli enti preposti prima di poter dare inizio ai lavori.

(Illustrazione di Giorgio De Marinis)

ILSole24Ore

Nadef, debito in calo al 153,5%, corre il Pil. Superbonus 110%, verso proroga al 2023. -

 

I punti chiave


Via libera del Consiglio dei ministri alla Nadef, ovvero la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza con le nuove stime relative ai conti pubblici. La previsione annuale di aumento del Pil sale al 6 per cento, dal 4,5 per cento ipotizzato nel Def in aprile. Il più alto livello di Pil e il minor deficit fanno anche sì che il rapporto tra debito pubblico e prodotto non salga ulteriormente quest'anno, come previsto nel Def, ma scenda invece al 153,5 per cento, dal 155,6 per cento nel 2020. Il deficit torna sotto il 10%, riducendo il livello rispetto alle previsioni di primavera. L’indebitamento netto nel 2021 si attesterà al 9,4% (dall’11,8 stimato nel Def). Nel 2022 il deficit sarà al 5,6%, per scendere al 3,9% nel 2023 e avvicinarsi al 3% nel 2024 (3,3%). È quanto si legge nella bozza della Nadef, la Nota di aggiornamento del Def, giunta sul tavolo della riunione dell’esecutivo.

Confermate misure 2020, da Superbonus a 4.0.

La pressione fiscale scenderà di circa 0,9 punti percentuali rispetto al 2020, collocandosi al 41,9% del Pil nel 2021. Il prossimo anno «si manterrà pressoché stabile, al 42%, mentre per gli anni seguenti è atteso un calo medio di circa 0,2 punti di pil all'anno, fino a raggiungere il 41,5 per cento del pil nel 2024». L’inflazione salirà all’1,5% quest’anno, quindi all’1,6% nel 2022, all’1,5% nel 2023 e all’1,7% nel 2024. Tra le misure delineate nel pacchetto Nadef, il prolungamento di alcune soluzioni adottate nel corso del 2020 come il Superbonus 110% (al 2023), Transizione 4.0 e il potenziamento del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI. «Il sentiero programmatico per il triennio 2022-2024 - si legge nell’introduzione al documento - consente di coprire le esigenze per le cosiddette politiche invariate e il rinnovo di numerose misure di rilievo economico e sociale, fra cui quelle relative al sistema sanitario, al Fondo di Garanzia per le PMI e agli incentivi all'efficientamento energetico degli edifici e agli investimenti innovativi». Secondo quanto si è appreso dopo la cabina di regia tra il premier Draghi e i capidelegazione delle forze politiche di maggioranza, che si è tenuta martedì 28 settembre, la proroga dovrebbe essere inserita in manovra.

Una volta ottenuto il via libera del Consiglio dei ministri - la riunione a Palazzo Chigi è durata un’ora e quaranta circa -, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, alle 16 terrà una conferenza stampa insieme al ministro dell'Economia e delle Finanze, Daniele Franco, presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio. «A partire dal 2024 - si legge in un passaggio della premessa al documento, a firma del responsabile del Tesoro -, la politica di bilancio mirerà a ridurre il deficit strutturale e a ricondurre il rapporto debito/Pil intorno al livello precrisi entro il 2030».

Ok Cdm a decreto su proroghe referendum,assegno unico,Irap.

Prima di approvare la Nadef, il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto legge con norme di giustizia e di proroga di un mese dei termini in scadenza per i referendum, l’assegno unico e l’Irap. Lo si è appreso da fonti governative a Cdm in corso. La Lega non ha partecipato al voto sulla norma che riguarda i referendum, esprimendo dissenso sulla scelta di prorogare i termini per la presentazione delle firme.

Avvio prima fase riforma Irpef e assegno unico a regime.

La Nadef fornisce indicazioni sulla strategia di politica economica che l’esecutivo intende mettere in campo. «Gli interventi di politica fiscale che il governo intende adottare - si legge ancora nel documento - determinano un rafforzamento della dinamica espansiva del Pil nell’anno in corso e nel successivo. Rilevano in particolare la conferma delle politiche invariate e il rinnovo di interventi in favore delle Pmi e per la promozione dell’efficientamento energetico e dell’innovazione. Si avvia inoltre la prima fase della riforma dell’Irpef e degli ammortizzatori sociali e si prevede che l’assegno unico universale per i figli sia messo a regime».

Politiche espansive fino a 2024, pieno recupero lavoro.

La Nadef, così come giunta sul tavolo del Consiglio dei ministri, spiega che «ipotizzando che il grado di restrizione delle attività economiche e sociali legato al Covid-19 si vada via via riducendo, l’intonazione della politica di bilancio resterà espansiva fino a quando il Pil e l’occupazione avranno recuperato non solo la caduta, ma anche la mancata crescita rispetto al livello del 2019. Si può prevedere che tali condizioni saranno soddisfatte dal 2024 in avanti». Nel documento l’esecutivo precisa che «a partire dal 2024, la politica di bilancio mirerà a ridurre il deficit strutturale e a ricondurre il rapporto debito/Pil intorno al livello precrisi entro il 2030».

Saldi migliori delle attese.

Saldi di finanza pubblica migliori delle attese, dunque. Se la Nota di aggiornamento del Documento di economia e di finanza (Nadef) fosse un articolo, sarebbe probabilmente questo il titolo del documento di politica economica giunto sul tavolo del governo Draghi, un documento che come tutti gli anni fa da cartina di tornasole delle risorse che saranno a disposizione per la copertura delle misure previste nella manovra, la legge di Bilancio .

Da extradeficit 2022 spazio manovra da 22 miliardi.

In particolare, stando alle indicazioni contenute nel documento, lo spazio di manovra per il 2022 aperto dalla differenza tra deficit tendenziale e programmatico ammonta a circa 22 miliardi. Il deficit programmatico è infatti fissato al 5,6% del Pil e il tendenziale al 4,4%. La differenza pari a 1,2 punti si traduce in risorse comprese tra i 21 e i 22 miliardi. Per la legge di bilancio, che poggerà su una crescita 2022 stimata al 4,2% e che per la prima volta da molti anni non poggerà su una richiesta di scostamento, i tempi sono stretti: entro il 20 ottobre il Governo dovrà presentare il ddl di Bilancio alle Camere. Il cantiere della manovra è aperto.

In manovra più fondi a sanità e rinnovo contratti Pa.

«Con la prossima Legge di Bilancio 2022-2024- si legge nella bozza dela Nadef giunta sul tavolo del Cdm - sarà rafforzato il sistema sanitario nazionale, al fine di migliorare l’accesso alle cure e incoraggiare la prevenzione. Risorse aggiuntive saranno destinate ai rinnovi dei contratti pubblici e al rifinanziamento delle politiche invariate non coperte dalla legislazione vigente, tra cui missioni di pace, taluni fondi di investimento e il rinnovo di alcune politiche in scadenza».

La corsa del Pil.

Il primo semestre dell'anno in corso - si legge ancora nel documento - ha registrato un recupero del Prodotto interno lordo (Pil) nettamente superiore alle attese. Ad un lieve incremento nel primo trimestre (0,2 per cento sul periodo precedente) è infatti seguito un aumento del 2,7 per cento nel secondo. Si prevede che il terzo trimestre segnerà un ulteriore recupero del PIL, con un incremento sul periodo precedente pari al 2,2 per cento».

Revisione sussidi dannosi per ridurre carico imprese.

Nel testo viene inoltre anticipato che «le entrate derivanti dalla revisione delle imposte ambientali e dei sussidi ambientalmente dannosi andranno utilizzate per ridurre altri oneri a carico dei settori produttivi». «Le risorse di bilancio - si legge ancora - verranno crescentemente indirizzate verso gli investimenti e le spese per ricerca, innovazione e istruzione».

Un mese in più per ottenere gli arretrati dell’assegno unico.

La Nadef è stata dunque accompagnata da un Dl che si concentra sulle proroghe. In base al provvedimento approvato dal Governo, ci dovrebbe essere un mese in più per le domande retroattive dell'assegno unico, nuovi tempi supplementari per le imprese che devono pagare l'Irap sospesa nel 2020 dopo aver superato i limiti Ue sugli aiuti di Stato e un intervento per consentire ai Comuni di certificare le firme digitali raccolte per il referendum sulla cannabis. Le misure fiscali più importanti sul piano dei conti pubblici dovrebbero invece intervenire successivamente.

Ok governo a ddl concorrenza entro fine 2021.

Nel documento il Governo conferma la legge per la concorrenza entro quest’anno. «Tra le riforme abilitanti del Pnrr - spiega la bozza giunta sul tavolo del Consiglio dei ministri - il Governo si è impegnato a presentare, con cadenza annuale, la legge per la concorrenza. Quella per l’anno 2021, verrà presentata al Parlamento entro fine anno e approvata definitivamente nel 2022».

Decreto giudice per acquisire tabulati telefonici.

Cambio delle regole in senso garantista nelle inchieste penali sull’acquisizione dei dati telefonici e telematici dai fornitori: potrà essere disposta solo con un decreto motivato del giudice. In caso di urgenza il pm potrà procedere, ma ci dovrà essere la convalida del giudice. Lo ha stabilito il Consiglio dei ministri con il decreto legge approvato su proposta della ministra Marta Cartabia e con cui l’Italia si adegua al diritto comunitario e in particolare alla sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2 marzo 2021.

IlSole24Ore