sabato 16 luglio 2011

Trani-Gate, per Berlusconi spunta un reato non ministeriale: abuso d’ufficio. - di Marco Lillo




La montagna ha partorito il topolino. Dopo quindici mesi il Tribunale dei ministri ieri ha finalmente statuito che un reato nelle telefonate del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi intercettate a Trani c’è. Solo che – secondo i giudici – il reato non è la concussione ai danni dell’ex commissario AgcomGiancarlo Innocenzi, né le minacce ai danni dell’Autorità Garante delle Comunicazioni per far chiudere Annozero, come ipotizzato a Trani. Per queste due ipotesi di reato, giovedì scorso il Tribunale dei reati ministeriali ha archiviato la posizione del premier con un’ordinanza di sei pagine.

Questo successo per il Cavaliere però potrebbe trasformarsi in un boomerang. L’ordinanza dei tre giudici Eugenio Curatola, Alfredo Maria Sacco e Pier Luigi Balestrieri, infatti, da un lato concede l’archiviazione, ma dall’altro ipotizza l’esistenza di un reato non ministeriale. Il Tribunale dei ministri suggerisce alla Procura di Roma di valutare se non sia il caso di indagare Berlusconi, stavolta assieme a Giancarlo Innocenzi, per un reato diverso: l’abuso di ufficio. Un’accusa magari meno grave, ma molto più rognosa perché solo per i reati ministeriali il presidente del Consiglio può contare sul paracadute dell’autorizzazione a procedere della Camera, mentre per l’abuso comune la magistratura ordinaria può rinviarlo a giudizio e condannarlo senza chiedere il permesso a nessuno.

I fatti sono noti grazie al Fatto Quotidiano che, a partire dal 12 marzo del 2010, ha pubblicato tutte le telefonate del premier con Innocenzi e quelle di Innocenzi con l’allora direttore della Rai Mauro Masi, nelle quali si delinea la strategia per chiudere Annozero e gli altri talk show sgraditi a Berlusconi.

Secondo il Collegio dei reati ministeriali, nessuno è innocente in questa storia: non lo è Berlusconi, ma non lo è nemmeno Innocenzi che invece nella ricostruzione della Procura di Trani era qualificato come vittima (concusso) delle minacce del premier. Per il Tribunale dei ministri, Innocenzi non brigava con Masi perché intimorito da Silvio Berlusconi che, come diceva lui al telefono “mi ha fatto due shampoo ed è incazzato nero”. Il commissario dell’Agcom minacciava di fare il “tupamaru” dentro l’Agcom perché condivideva la linea del boss. Ergo, Innocenzi non è una vittima, ma potrebbe essere invece – se questa impostazione fosse accolta dalla Procura – colpevole di abuso di ufficio assieme al suo Grande capo.

Da quello che trapela, sarebbe più sfumata nell’ordinanza del Tribunale dei ministri, l’analisi della posizione di Mauro Masi, che non è mai stato indagato. Anche se, alla luce dell’ordinanza del Tribunale dei ministri e delle intercettazioni dell’inchiesta P4 (che riguardano sempre il caso Santoro), la Procura di Roma potrebbe rivalutare la sua posizione. Comunque, le dissertazioni giuridiche del Tribunale dei ministri riguardo ai reati non ministeriali non vincolano i pm romani. Sarà il procuratore aggiunto Alberto Caperna, con i suoi due sostituti, a valutare se iscrivere Berlusconi nel registro degli indagati. Se Caperna non ritenesse provato l’abuso d’ufficio, potrebbe spedire tutto in archivio. Si arriverebbe così al paradosso di un’indagine sul premier che finisce in nulla nonostante tre organi diversi (Procure di Roma e Trani più il Collegio dei reati ministeriali) abbiano ravvisato reati a suo carico. Saremmo di fronte a un caso unico di strabismo giudiziario nel quale cinque pm e tre giudici sono bravi a vedere solo i reati di Berlusconi sui quali non hanno competenza. Questo esito della pochade giudiziaria iniziata a Trani nell’autunno del 2009 non era scontato.

Tutti si attendevano che il Tribunale dei ministri – come gli era stato proposto dalla Procura di Roma – chiedesse semplicemente alla Camera l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche a carico del premier per poi procedere contro di lui, e lui soltanto, per concussione e minacce. I fatti erano chiari e le intercettazioni parlavano da sole.

E invece, dopo avere fatto melina per mesi, il Tribunale dei reati ministeriali giovedì improvvisamente si è accorto che il reato non è ministeriale. Forse i tre giudici avranno anche ragione. Forse qualificare Innocenzi come vittima è stato un errore. Forse il reato giusto è l’abuso d’ufficio. Forse non c’è reato ministeriale. Ma certamente potevano dirlo prima senza tenersi per quindici mesi un fascicolo così delicato per il presidente del Consiglio, ma anche per il pluralismo dell’informazione. Anche perché, mentre i giudici di via Triboniano si baloccavano con il codice, il mondo intorno continuava a girare. Il provvedimento pilatesco di giovedì poteva essere scritto quando Annozero era in onda, Masi era ancora alla Rai e Innocenzi era ancora all’Agcom. Ancora un po’ e nemmeno l’ultimo superstite sarebbe stato presente all’indirizzo di Palazzo Chigi. Con l’ordinanza cerchiobottista trasmessa ieri in Procura, il Tribunale dei ministri si libera di una questione probabilmente al di sopra delle forze di un organo strutturalmente inadeguato perché composto da tre giudici estratti a sorte e abituati a occuparsi d’altro che improvvisamente si ritrovano a decidere, nel tempo libero dal loro lavoro ordinario, il destino di un premier.

Ora si ricomincia da capo e tocca alla Procura di Roma decidere se chiedere alla Camera di usare le intercettazioni contro Berlusconi, per accusarlo di un reato non ministeriale. Una cosa è certa: Berlusconi diceva al telefono al fido Innocenzi il 14 novembre del 2009: “Quello che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia un’azione che consenta… che sia da stimolo alla Rai per dire “chiudiamo tutto”, ma non solo su Santoro, aprite il fuoco su tutte le trasmissioni di questo tipo”. A distanza di un anno e 8 mesi, Santoro è stato convinto a sloggiare, il Tribunale dei ministri è riuscito a trovare il modo per archiviare e intanto gli scherani del sultano continuano a ostacolare le altre trasmissioni sgradite. Il bilancio per il premier è positivo. Per i cittadini che pagano il canone e le tasse e vorrebbero ottenere pluralismo e giustizia, un po’ meno.



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