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giovedì 9 maggio 2013
Cocaina, inchiesta sfiora Micciché. - Lirio Abbate
Una busta piena di droga. Con sopra la scritta "on. Gianfranco Micciché". Trovata nella macchina del suo autista. Che prima ammette: "Era per lui". Poi cambia idea. Ora la Procura di Palermo deve decidere cosa fare.
Con i giornalisti non lesina diffidenza e cautele, tanto che dopo la nomina come sottosegretario a Palazzo Chigi ha dichiarato: «Non rilascerò più alcuna intervista che non sia accompagnata da una ripresa video dell'intera conversazione». Quando si tratta di scegliere i collaboratori più stretti invece Gianfranco Micciché non sembra prendere precauzioni così rigorose. Perché da un decennio il parlamentare siciliano, figlioccio politico di Marcello Dell'Utri e artefice dell'indimenticato 61 a zero di Forza Italia nelle elezioni del 2001, si trova sempre a fare i conti con i vizietti stupefacenti di assistenti e autisti. Storie che non hanno mai provocato contestazioni penali nei confronti del neosottosegretario con delega alla pubblica amministrazione e alla semplificazione, ma che dovrebbero almeno metterlo in guardia.
Ma veniamo ai fatti. In queste settimane la procura di Palermo deve decidere se e come chiudere l'indagine su un giro di festini e cocaina nel capoluogo siciliano. Una questione non spinosa come quella che ha riguardato il Quirinale e la trattativa Stato-mafia, ma che richiede massima attenzione. Nel fascicolo al vaglio dei magistrati - nel quale spunta il nome di un noto pusher, Stefano Greco - ci sono intercettazioni che potrebbero riguardare parlamentari e personaggi della Palermo bene.
L'istruttoria è cominciata tre anni fa. Con registrazioni e pedinamenti, gli investigatori hanno ricostruito la rete di spacciatori e consumatori che di fatto finanziano il traffico, e scoperto che uno dei destinatari della droga è Ernesto D'Avola, autista di Micciché, all'epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio e tra i più fidati consiglieri di Silvio Berlusconi.
I poliziotti si convincono che D'Avola tenga i rapporti con il pusher tramite un intermediario. E quando sono certi che all'autista è stata passata una consegna, lo bloccano. Nella vettura infatti c'è una busta piena di cocaina, con sopra la scritta "On. Gianfranco Micciché".
Viene tutto sequestrato e gli agenti, in due relazioni al questore e alla procura, raccontano: «Il D'Avola consegnava spontaneamente il plico, dicendo che il tutto era di pertinenza dell'on. Micciché. All'interno risultavano custoditi grammi 5 di sostanza stupefacente, che a seguito di accertamento risultava essere cocaina».
Ma il colpo di scena arriva pochi giorni dopo. D'Avola fa retromarcia e dichiara che la droga era per suo uso personale. L'inchiesta a questo punto prende una direzione diversa, quella dei coca-party, ai quali avrebbero partecipato professionisti e imprenditori molto noti in città: in qualche caso sarebbero state presenti anche figure femminili dello show business e parlamentari. Ma nulla che riguardi Micciché, che dopo le dichiarazioni auto-accusatorie del suo chaffeur non è mai stato sentito dagli investigatori.
La vicenda palermitana ricorda alcuni aspetti di un'altra inchiesta, avvenuta a Roma molti anni prima, nel 2002, quando un amico e collaboratore dello stesso Micciché venne arrestato per spaccio di droga a Roma. L'uomo era stato pedinato e filmato dai carabinieri dopo aver acquistato cocaina e poi visto entrare di sera nel ministero dell'Economia con addosso la sostanza stupefacente. In quel periodo, secondo governo Berlusconi, Micciché era vice ministro con delega per il Mezzogiorno. I carabinieri non hanno mai accertato in quale ufficio del dicastero si fosse recato il collaboratore. Che venne arrestato, ma non disse nulla. Anche in quel caso non ci fu alcun coinvolgimento diretto del neosottosegretario e il suo nome non comparve nell'inchiesta.
La carriera di Micciché è proseguita tra alti e bassi, quanto l'intesa con Berlusconi - «Una persona generosa, affabile e buona», come ha detto la scorsa settimana - che alla fine gli dedica sempre un occhio di riguardo. Nonostante quelle avventate scelte nel designare le persone più vicine. «Mannaggia a questi collaboratori e autisti...», ripeteva un vecchio amico palermitano del sottosegretario. Che ora proclama di volere rivoluzionare «la macchina amministrativa attraverso il passaggio dal sistema delle autorizzazioni a quello del controllo ex post».
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cocaina-inchiesta-sfiora-micciche/2206623
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