“Ho visto arrivare una quarantina di persone in gruppo. Erano tutti siciliani, tra i 50 e 70 anni. Mi hanno chiesto ‘è qui che si paga?’", ha raccontato Walter Rapetti, il presidente di seggio a Certosa. Blitz della Digos nella sede del Pd genovese: chiesto l'elenco dei votanti.
La Digos che entra nella sede del Pd genovese e chiede l’elenco dei votanti alle primarie. Gli uomini dello Sco dei carabinieri che vanno nella sezione del quartiere Certosa e ascoltano il presidente di seggio. La Direzione Distrettuale Antimafia di Genova che vuole vederci chiaro. Il segretario provinciale di Savona che presenta esposti in procura. Il castello delle primarie liguri del Pd rischia di crollare. Con due soluzioni – entrambe traumatiche – all’orizzonte: l’annullamento delle primarie o la conferma con immediato rischio di scissione. “Che amarezza”, spalanca le braccia il segretario provinciale di Genova, Alessandro Terrile, appena consegnate le carte alla Digos, “non era mai successo”.
Raffaella Paita alza già i calici. L’ha detto più volte: “Le primarie valgono più delle regionali”. Ma adesso si trova davanti due ostacoli. Il giudizio dei Garanti Pd, previsto per oggi, sulla regolarità del voto. Ma soprattutto l’interessamento di almeno due Procure sullo svolgimento delle primarie. Ora tocca a Genova. E non a investigatori qualunque. Ma a quelli che si occupano di mafia. Già, perché sulle primarie Pd si allunga anche l’ombra della criminalità organizzata. Sono stati gli stessi dirigenti Pd a denunciarlo. In due casi particolari: prima di tutto a Certosa. Parliamo di un quartiere che a Genova è soprannominato la “piccola Riesi”, perché qui è massiccia l’immigrazione dalla cittadina siciliana. E qui sono forti le infiltrazioni mafiose. Ecco cosa ha riferito Walter Rapetti, il presidente di seggio: “Ho visto arrivare una quarantina di persone in gruppo. Erano tutti siciliani, tra i 50 e 70 anni. Sembravano spaesati, non sapevano nemmeno cosa fossero le primarie. Mi hanno chiesto ‘è qui che si paga?’. La scena era surreale. Quelli hanno firmato e se ne sono andati. Senza votare. Li ho fermati e mi hanno detto: ‘Votare? Cos’è la scheda?”.
Non solo: un militante di Sel avrebbe riconosciuto un ex consigliere comunale Idv (già indagato con l’accusa di aver raccolto firme taroccate a favore dello schieramento di Claudio Burlando nel 2010) che a Certosa organizzava “plotoni” di votanti. L’interessato, intervistato dal Fatto, smentisce. Com’è finita? “Cofferati 241 voti, Paita 95, ma pensavamo pigliasse meno”, raccontano rappresentanti Pd.
A Savona, il segretario provinciale Fulvio Briano ha presentato un esposto in Procura. I pm stanno già lavorando, soprattutto sull’ipotesi di versamenti di denaro effettuati per convincere la gente a votare. La Procura sta studiando quanto acquisito ad Albenga e Pietra Ligure, dove Paita ha sgominato Cofferati sfiorando il 90%. Due comuni dove il rapporto tra politica, affari e figure al centro di inchieste è noto. “Ad Albenga abbiamo fotografie di incontri tra esponenti del centrosinistra e soggetti condannati per reati gravissimi”, punta il dito Christian Abbondanza della Casa della Legalità. Ma Paita e il marito – il presidente del Porto di Genova, Luigi Merlo – sono già stati in passato al centro di polemiche sui loro rapporti con personaggi al centro di inchieste. Niente di illegale, ma Paita nelle settimane precedenti alle primarie ha ricevuto l’appoggio di quell’Alessio Saso, oggi Ncd, così definito dagli stessi vertici Pd: “Oltre a essere un ex esponente diAn, Saso è indagato (voto di scambio, ndr) nell’inchiesta Maglio 3 sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel Ponente”. Toccò poi a un altro sponsor scomodo: Eugenio Minasso, anche lui Ncd, in passato fotografato mentre festeggia l’elezione in Regione con famiglie calabresi al centro di inchieste.
Non solo. Già due anni fa, il Fatto riportò le intercettazioni di colloqui avvenuti tra Luigi Merlo (il marito della candidata Pd) e un imprenditore calabrese che in Liguria ha il monopolio degli appalti pubblici in materia di scavi e movimenti terra. Quel Gino Mamone che nelle informative del 2008 per l’inchiesta Mensopoli veniva così definito dagli investigatori: “Il tenore delle conversazioni intercettate ha evidenziato collegamenti di Gino Mamone sia con il mondo politico sia con il mondo delle cosche calabresi. Egli potrebbe rappresentare il punto di contatto tra i due mondi”.
Il 22 maggio 2007, Merlo inviò a Mamone un sms per caldeggiare l’appoggio elettorale ad Andrea Stretti attuale assessore alla Politiche sociali di La Spezia. “Caro Gino – scriveva Merlo – se hai qualcuno a Spezia ti sarei grato se facessi votare Andrea Stretti”. Immediata la risposta di Mamone: “Ti lascio due numeri di telefono dei miei ragazzi (…) questi conoscono mezzo mondo”.
Parliamo di quel Mamone che nelle intercettazioni dice: “Noi ci siamo con quei settemila voti, non uno, noi tutti i calabresi, qua a Genova ce li gestiamo noi”. Mamone, mai indagato per mafia, che è stato però arrestato per appalti pubblici da oltre dieci milioni di euro. Anche per le alluvioni che flagellano la Liguria. Mamone infine che al telefono dice: “Gli viene il cagotto a Burlandino”, lasciando intendere, sostengono i pm, che potrebbe avere l’intenzione di ricattare il governatore della Liguria, Claudio Burlando, Pd, il grande sponsor di Paita. Il vero vincitore delle primarie.
Chissà a quali conclusioni arriveranno gli investigatori. E anche i garanti del Pd che oggi decideranno sull’esito delle primarie. La presidente del comitato, Fernanda Contri (Pd), ha ottenuto incarichi di prestigio da Merlo, marito di Paita.
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