Gentiloni rassicura subito il capo dell'Anticorruzione: "Riprisitineremo la norma".
Roma, 21 aprile 2017 - Un comma abrogato nel codice sugli appalti e scoppia la polemica. Viene cancellato nel Consiglio dei ministri il secondo comma dell’articolo 211 e, nei fatti, vengono tagliate le unghie all’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone. Cosa era scritto in quella decina di righe finite al macero?
Permettevano all’Anac di essere vincolante, anche nelle sanzioni comminate (fino a 25 mila euro a carico del dirigente responsabile), se ravvisava gravi illeciti. Un bisturi contro i corrotti, perché consentiva di mostrare il cartellino giallo appena ravvisava un "sussistente vizio di legittimità in uno degli atti della procedura". In 60 giorni la stazione appaltante si doveva ‘ravvedere’, altrimenti scattava il cartellino rosso. Tutto questo è stato depennato nel corso del consiglio dei ministri del 19 aprile, in occasione dell’annuale ‘tagliando’ (previsto dallo stesso codice), creando le premesse per ‘rimpicciolire’ Cantone e la sua Agenzia con un ritorno di grand commis e lobbisti. Finora la ‘raccomandazione vincolante’, figlia dei poteri dell’Autorità e disposta dal comma 2, era stata usata da Cantone una sola volta, pochi giorni fa. Questo perché il regolamento su come esercitare l’attività di vigilanza era stato approvato appena il 15 febbraio.
Gentiloni, in missione negli Usa, fa sapere che non c’è "nessuna volontà politica di ridimensionare i poteri dell’Anac". Fonti di Palazzo Chigi aggiungono che il premier "è stato in contatto con Cantone". Sul punto, assicurano, "sarà posto rimedio già in sede di conversione del decreto in maniera inequivocabile". Cantone, gelato dall’intervento del governo, "prende atto positivamente" dell’impegno assunto dal premier, ma manifesta perplessità per il fatto che la norma non sia stata discussa né abbia potuto avere un confronto in Parlamento. Un banale scivolone burocratico (carte non lette dai ministri e passate alla firma) o un segnale inviato a Cantone considerato da alcune parti un ingombro, insieme al codice degli appalti, per il decollo degli investimenti? Nella nebbia politica, sollevata in queste ore, non è chiaro chi abbia materialmente cancellato il comma anticorruzione. Tutti puntano il dito contro il governo e bordate arrivano da maggioranza e opposizione.
"Questa soppressione è un atto grave e i responsabili devono assumersene la responsabilità. Siamo di fronte a una violazione del rapporto tra Parlamento e governo", tuona il senatore Stefano Esposito, componente della Commissione Lavori Pubblici che è saltato dalla sedia quando ha visto il testo. "Con un colpo di spugna l’Anac ha perso i suoi poteri. La legge è passata per il Consiglio dei ministri che, o non ha capito nulla e quindi firma senza leggere le carte, oppure è complice. Rimane la domanda: chi vuole depotenziare l’Anac?", si interroga Roberta Lombardi del M5S.
Oltre a politici e burocrazia, sono in molti a voler fare lo sgambetto a Cantone. Secondo una ricerca Ance – l’associazione costruttori edili – il nuovo codice sta spaventando gli amministratori pubblici. Norme poco rodate, procedure farraginose, soft law, hanno avuto come conseguenza un calo degli investimenti. Nei primi 11 mesi del 2016 i bandi di gara per lavori pubblici sono diminuiti del 12,6% in valore in confronto all’analogo periodo del 2015. Giù soprattutto gli appalti dei Comuni, ridotti del 38,3% in valore. Con gli assessori locali che hanno scelto di andare avanti con tanti piccoli bandi, inferiori a 150mila euro, cresciuti del 23%. Altro che trionfo della trasparenza.
Ancora una volta il governo cerca di proteggere chi corrompe o viene corrotto!
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