L’inchiesta genovese nasce da quella sui rimborsi elettorali che la Lega ha ottenuto ai danni del Parlamento tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci. Il leghista era stato indagato a Milano per appropriazione indebita ma la procura aveva chiesto l'archiviazione.
Nel novembre del 2018 il fattoquotidiano.it, esaminando i bilanci della Lega, scoprì che i 49 milioni che la procura di Genova cercava di rintracciare perché frutto di una truffa allo Stato architettata con la falsificazione dei bilanci del partito, non erano spariti nel nulla. Ma una parte di essi erano stati utilizzati per “contributi ad associazioni”. Quali associazioni? Dal bilancio non si riusciva a venirne a capo. Oggi l’inchiesta per riciclaggio dei pm di Genova, aperta ormai quasi due anni fa e condotta dalla Guardia di Finanza, ha un primo indagato. È Stefano Bruno Galli, assessore all’Autonomia della Regione Lombardia, che era già finito nel mirino dei pm di Milano che però avevano chiesto l’archiviazione per il reato di appropriazione indebita. Galli risponde del reato in quanto presidente dell’Associazione Maroni presidente e le verifiche delle Fiamme gialle, delegate alle perquisizioni, riguardano in particolare. L’inchiesta genovese nasce da quella sui rimborsi elettorali che la Lega ha ottenuto ai danni del Parlamento tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci. Il processo si è concluso lo scorso 6 agosto con una sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati per Umberto Bossi e per il tesoriere Belsito ma ha confermato la confisca dei 49 milioni. Nel 2013, ultimo anno di Maroni leader, gli oneri diversi di gestione pesano sulle casse di via Bellerio addirittura per quasi nove milioni, mentre i contributi ad associazioni sono due milioni.
L’inchiesta a Milano per appropriazione indebita –
A giugno gli investigatori e gli inquirenti genovesi hanno ascoltato, come persona informata sui fatti, l’ex consigliere della lista Maroni Presidente, Marco Tizzoni, che a Milano aveva presentato un esposto in cui aveva adombrato il sospetto che l’Associazione Maroni Presidente “fosse stata tenuta nascosta ai consiglieri dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi”. Cosa era successo? È quanto ricostruito sul Fatto Quotidiano da Davide Milosa. La lista di Maroni nel 2013 raccoglie circa mezzo milione di voti e porta in Regione undici consiglieri. Tra loro Tizzoni, mentre presidente del gruppo sarà eletto Stefano Bruno Galli. A gennaio, secondo l’esposto di Tizzoni agli inquirenti milanesi, viene creata l’Associazione Maroni Presidente “senza che nulla venisse comunicato ai candidati e agli eletti”. Se la lista politica ha tutti esponenti civici, l’associazione parallela è di matrice leghista. Tra i primi sei fondatori compare l’ex ministro e senatore della Lega, Roberto Calderoli. Nel 2018 i membri scendono a quattro.
Sono tutti interni alla Lega di Matteo Salvini. Scrive Tizzoni nell’esposto: “Nessun rapporto è mai esistito tra i consiglieri del gruppo e tale associazione, che è stata tenuta ben nascosta”. Tizzoni scopre che la Lista Maroni ha maturato rimborsi elettorali dallo Stato per circa un milione di euro. Altri 350mila arriveranno dalla Regione per il funzionamento del gruppo. Buona parte del milione passerà per l’associazione. Si legge negli atti: “Nello statuto dell’associazione sono segnalati gli scopi e nessuno di questi risulta essere mai stato perseguito dai suoi membri e variato nel corso degli anni (…). Vi è il sospetto che tale associazione sia stata tenuta nascosta a noi consiglieri tutti questi anni dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi”. Cosa che avverrà: oltre mezzo milione finirà all’associazione. Un’operazione border line sul cui rilievo penale la Procura non pare intravedere ipotesi di reato. Ancora prima, parte del milione, e cioè 450mila euro, passano all’associazione e poi alla Lega come pagamento di un prestito iniziale per fare partire la Lista Maroni.
L’inchiesta riguarda anche il presunto riciclaggio di parte di quei fondi, che da settembre il partito sta restituendo allo Stato a rate trasferiti in Lussemburgo attraverso la banca Sparkasse di Bolzano e poi fatti rientrare, in parte, subito dopo i primi sequestri disposti della procura. La banca ha invece sempre sostenuto che quei fondi (circa 10 milioni) fossero soldi dello stesso istituto, slegati dal partito.
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