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venerdì 2 agosto 2013

Sentenza Mediaset, Berlusconi condannato a 4 anni. Annullata l’interdizione.



Diventa definitiva la pena per il leader del Pdl, colpevole di frode fiscale, ma la Cassazione rinvia in Corte d'appello a Milano la rideterminazione della pena accessoria. Per il Cavaliere la prospettiva degli arresti domiciliari o dell'affidamento ai servizi sociali per l'anno non coperto da indulto. Bruti Liberati: "Pena subito eseguibile". Ghedini, Coppi e Longo: "Sgomenti, ricorreremo in Europa".


Silvio Berlusconi è condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione per frode fiscale nel processo sui diritti Mediaset. Annullata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che dovrà essere rideterminata dalla Corte d’appello di Milano. Lo hanno deciso i giudici della sezione feriale della Cassazione dopo sette ore di camera di consiglio. Confermate anche le condanne di tutti i coimputati: Daniele Lorenzano, Gabriella Galetto e Frank Agrama.
E’ la prima volta che Silvio Berlusconi subisce una condanna definitiva e irrevocabile. Dei quattro anni, tre sono coperti da indulto e l’ex premier – che comunque non andrà in carcere perché ultrasettantenne – potrà scontare la pena agli arresti domiciliari o chiedere l’affidamento ai servizi sociali. Prima di qualunque iniziativa, la sentenza deve essere trasmessa alla Procura di Milano, dove è originato il procedimento sulla frode fiscale nella compravendita dei diritti tv. Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati si è limitato al momento a spiegare che “la pena principale è definitiva ed è eseguibile, si seguiranno i tempi consueti”. La definitività della sentenza fa cadere automaticamente ogni privilegio parlamentare, perciò il Senato non avrà alcune voce in capitolo sulle sorti di Berlusconi.
IL DESTINO DEL CAVALIERE: DOMICILIARI O SERVIZI SOCIALI. Bruti Liberati ha spiegato che, secondo la procedura, una volta arrivata la sentenza il pm dovrà emettere il cosiddetto ordine di esecuzione con contestuale sospensione perché la pena effettiva da scontare è di un anno. Dal momento della notifica dell’atto il Cavaliere, entro il tempo massimo di 30 giorni, potrebbe andare ai domiciliari o chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali. Ma il termine, vista la pausa feriale, decorre dal 16 settembre. La richiesta verrà valutata dal Tribunale di sorveglianza in tempi lunghi. Se non verrà presentata alcuna istanza di misura alternativa, toccherà ad un magistrato di sorveglianza decidere nell’arco di pochi giorni e, in base anche alla legge ‘Svuota-carceri’: la misura per Berlusconi sarebbe comunque quella dei domiciliari.
COPPI E GHEDINI: “SGOMENTI, RICORSO IN EUROPA”. “Non farò l’esule, come fu costretto a fare Craxi. Nè accetterò di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato”. Così si leggeva qualche giorno fa in un’intervista di Silvio Berlusconi a Libero, che però fu subito smentita da una nota di Palazzo Grazioli. I legali di Silvio berlusconi attendono qualche ora prima di dire la loro: “La sentenza della Corte di Cassazione nel Processo Diritti non può che lasciare sgomenti” affermano in una nota Franco CoppiNiccolò Ghedini e Piero Longo. “Vi erano solidissime ragioni ed argomenti giuridici per pervenire ad una piena assoluzione del Presidente Berlusconi. Valuteremo e perseguiremo – annunciano – ogni iniziativa utile anche nelle sedi Europee per far si che questa ingiusta sentenza sia radicalmente riformata”. 
INTERDIZIONE, LA MINA DISINNESCATA. L’annullamento con rinvio dei cinque anni di interdizione dai pubblici uffici – come da richiesta del procuratore generale – disinnesca però un problema politico immediato per il Cavaliere, perché per avviare un’eventuale procedura di decadenza da senatore sarà necessario attendere il nuovo verdetto d’appello. La conferma della pena definitiva fa cadere comunque il rischio di prescrizione del reato. “La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, per Silvio Berlusconi, potrebbe ridursi fino a un anno di interdizione, perché le norme alle quali ha fatto riferimento il dispositivo del verdetto prevedono un’interdizione da un anno a un massimo di tre. La misura dunque la rideterminerà la corte di Milano”, ha affermato l’avvocato Filippo Dinacci, che nel processo Mediaset in Cassazione ha difeso Gabriella Galetto, e che difende l’ex premier in altri procedimenti. 
Il processo d’appello per rideterminare al ribasso i cinque anni di interdizione potrebbe aprirsi già entro la fine dell’anno, ma dipende da quando gli ermellini invieranno le motivazioni del provvedimento di oggi. Dopo di che, non più la seconda ma la terza corte d’Appello di Milano, nel giro di un mese, dovrebbe fissare il nuovo processo che riguarderà dunque solo la durata del periodo dell’interdizione dai pubblici uffici del Cavaliere. Anche in questo caso il verdetto sarà impugnabile di nuovo davanti alla Suprema Corte. 
MA LA LEGGE ANTICORRUZIONE POTREBBE FAR DECADERE BERLUSCONI. Ma sul futuro politico del leader del centrodestra potrebbe pesare anche la nuova legge anticorruzione approvata nel 2012, secondo la quale se interviene una condanna definitiva superiore ai due anni, scatta infatti la procedura per l’incandidabilità del parlamentare. A prescindere dalle pene accessorie. A ricordarlo è il presidente della Giunta per le Elezioni e Immunità del Senato Dario Stefano (Sel). “Appena ci notificheranno la sentenza – spiega il senatore alle agenzie – la Giunta si riunirà e si procederà con le stesse modalità già avviate per l’ineleggibilità. Il relatore farà la sua proposta e la Giunta dovrà decidere in Camera di Consiglio. La decisione della Giunta poi dovrà passare il vaglio dell’Aula e basterà che 20 senatori lo chiedano e ci sarà il voto segreto”.
L’udienza era iniziata il 30 luglio, davanti alla sezione feriale per scongiurare il rischio di prescrizione. La sentenza, molto attesa dal mondo politico, è via via slittata fino al pronunciamento di oggi, arrivato dopo la requisitoria del pg e le arringhe dei difensori di tutti gli imputati. Il pg della Cassazione Antonello Mura aveva chiesto la conferma della pena principale – 4 anni di reclusione – e una riduzione della pena accessoria da 5 anni a 3 anni. Secondo la pubblica accusa l’ex premier è stato ”l’ideatore del meccanismo delle frodi fiscali” e “perdurante il controllo di Berlusconi su Mediaset”. La difesa, sostenuta dagli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppiavevano chiesto l’annullamento del verdetto sostenendo l’assenza della prova nei confronti del Cavaliere. “Al massimo possiamo dire che questa è una gigantesca evasione fiscale ma qui non c’è in alcun modo un profilo penale” aveva detto il professore.
I legali dell’ex premier non hanno ascoltato dal vivo la lettura della sentenza. Ghedini e Coppi sono Palazzo Grazioli con Berlusconi e hanno seguito il verdetto in diretta tv. Con il Cavaliere, nel palazzo blindato, i figli Marina e Pier Silvio, Gianni Letta e Angelino Alfano. Fuori Palazzo Grazioli ressa di giornalisti e telecamere. Le strade limitrofe, infatti, per motivi di sicurezza sono state chiuse.
IL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA
La Cassazione ha “annullato la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni relative alla condanna della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per violazione dell’art. 12 dlgs. 10 marzo 2000 e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione per rideterminare la pena accessoria nei limiti temporali citati dall’art. 12. Valutazione -precisa piazza Cavour- non consentita alla Corte di Cassazione”. Per il resto nel dispositivo piazza Cavour ha rigettato il ricorso, confermando quindi la condanna per frode fiscale a 4 anni nei confronti di Berlusconi “nei cui confronti dichiara irrevocabili tutte le altre parti della sentenza impugnata”. Respinti anche i ricorsi degli ex tre manager Mediaset: il produttore cinematografico egiziano Frank Agrama (3 anni), Gabriella Galetto (1 anno e 2 mesi) e Daniele Lorenzano (3 anni e 8 mesi). Per effetto del rigetto del ricorso tutti e quattro gli imputati sono stati condannati a rifondere l’Agenzia delle Entrate, costituitasi parte civile, con 5.000 euro ciascuno.

martedì 30 ottobre 2012

Fondi ai partiti: la casa delle cene eleganti di Berlusconi pagata dai contribuenti.


Patrizia Daddario


Lo si scopre in una nota del Pdl in cui viene comunicata una sorta di spending review sui costi del partito: solo nel 2011 Palazzo Grazioli è costato quasi due milioni e mezzo di euro al Popolo della Libertà, che ha pagato quella cifra con i rimborsi elettorali, quindi con soldi dei contribuenti.


La notizia è contenuta in una nota ufficiale del Pdl, che certifica come anche nel partito di Berlusconi sia in corso una sorta di spendig review sui costi sostenuti per gli affitti delle sedi storiche, ereditate da Forza Italia (insieme alle pigioni). E sì, perché i quattro milioni spesi nel 2011 sono troppi anche per il Pdl, specie se si considera che l’esborso è relativo a soli due immobili: la ‘casa’ del Popolo della Libertà in via dell’Umiltà (al numero civico 36) e – udite udite – anche la sede di via del Plebiscito. Ovvero la residenza romana di Silvio Berlusconi (come spiega l’Adn Kronos), quindi Palazzo Grazioli, l’enorme abitazione in cui si tenevano le ‘cene galanti’ con le donnine portate dal faccendiere pugliese Giampaolo Tarantini. Ergo, l’affitto della casa del Cavaliere è stato pagato per anni con i soldi dei contribuenti tramite i rimborsi elettorali.
Un passo indietro. Il ‘Ruby-Gate’ non era ancora scoppiato, era da poco trascorsa l’era di Noemi Letizia (che chiamava il Cavaliere con l’appellativo di ‘Papi’) e del divorzio dell’ex premier da Veronica Lario: nell’immaginario collettivo del Paese fece il suo ingresso Patrizia D’Addario, la escort barese della notte d’amore (a pagamento) con l’allora presidente del Consiglio nel lettone regalato da Putin. Le ‘sere eleganti’ di Silvio Berlusconi diventarono di dominio pubblico e l’allora capo del governo divenne “l’utilizzatore finale”, come da arcinota definizione del suo avvocato Niccolò Ghedini. Ora si scopre che per vivere nel teatro di quelle ‘cene’, Silvio Berlusconi non ha mai pagato un euro. Ed è lo stesso Pdl a renderlo noto, rivelando anche i particolari degli esborsi: “Nel 2011 – scrivono i tesorieri Rocco Crimi e Maurizio Bianconi nella relazione gestionale – i costi della locazione riferiti alla sede legale di via dell’Umiltà 36, sono stati pari a 1 milione 871 mila 712 euro”. Quindi, facendo due conti, l’anno scorso per Palazzo Grazioli il Pdl ha pagato un fitto di 2 milioni 128mila 288euro.
Altri particolari emergono dalla relazione dell’amministratore nazionale Sandro Bondi, “anche nell’esercizio 2011 Forza Italia ha messo a disposizione del Pdl le proprie rimanenti strutture centrali. Ricordiamo che per quanto riguarda queste ultime – spiega il senatore pidiellino – l’operazione ha richiesto la sottoscrizione di un’apposita scrittura privata, che ha definito i termini dell’addebito delle spese sostenute dal movimento azzurro nel periodo 1° aprile-31 dicembre 2009 e negli anni 2010 e 2011 per le strutture situate a Roma in via dell’Umiltà, 36 e in via del Plebiscito, 102 e dei connessi servizi distaccati”.
Ma non solo. Secondo quanto certificato da Sandro Bondi, infatti, “ad aggravare le finanze del partito si aggiungono le spese per il personale, che ammontano complessivamente a 3 milioni 233 mila 738 euro e si incrementano di 2 milioni 894 mila 726 euro rispetto all’anno precedente”. Quasi mezzo milione di spese in più dovuto “all’aumento del numero del personale dipendente, che passa dalle 23 unità presenti al 31 dicembre 2010 alle 84 unità in forza al 31 dicembre 2011″. Nella nota è specificato che per quanto riguarda le “unità in forza” si tratta di 4 giornalisti e 80 impiegati.