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martedì 2 luglio 2013

Forza e onore …- Francesco Briganti



“ L’ambiente era spoglio: scaffalature ai muri ad indicare una passata valenza, qualche macchinario sperso per l’ampia superficie presente, più per la sua vetustà, che per l’effettiva possibilità di essere venduto, alle spalle di un bancone due scrivanie dietro le quali assisi un imprenditore e la sua segretaria. 
Tempi duri anche allora, tempi di crisi in una terra di conquista per industrie del nord venute a seminare speranze, ma poi decise a raccogliere contributi lasciando dietro di sé terra bruciata, dipendenti in cassa integrazione, terziario assoggettato a debiti impagabili,  fornitori con le lacrime agli occhi. 
La giornata trascorreva lenta ed abitudinaria, la maggior parte passata al telefono ad inventare novelle per chi chiedeva un pagamento, la restante parte a sollecitare dei pagamenti: in entrambi i casi, nocciolo comune, una risposta negativa. Il sole dall’est nato a mitigare il nero dell’animo, violento entrava dall’ampia porta vetrina rendendo difficile il riconoscimento immediato di chi entrasse avendolo alle spalle. 

“ Buongiorno signor … “  la voce di uno dei due avventori scoppiò alle scrivanie interrompendo due telefonate in sincrono, una a chiedere e l’altra a negare. “ Volevamo parlare con Voi … “ continuò la voce mentre, come fossero i padroni oltrepassavano il bancone e, senza invito, sedevano di fronte all’imprenditore.  
Due volti conosciuti, non adusi ad esser frequentati da quel titolare, ma da questi debitamente salutati con rispetto ogni qualvolta incontrati per strada o ad uno dei bar della zona. 
Due persone a cui si potevano chiedere favori, due persone a cui non si potevano  negare favori. In nessuna delle parti a confronto v’era sorpresa nella visita e senza preambolo alcuno, che non fosse la cordialità imperiale di chi dice e non chiede, l’argomento della stessa fu determinato con poche parole: “ … dobbiamo comprare due caterpillar; noi abbiamo la ditta venditrice, noi versiamo l’anticipo, voi fate da intermediario poi diventa problema nostro il pagamento dei mezzi. Per voi signor …, ci sono venti milioni subito e venti a consegna avvenuta …”. 1985!. 
Quaranta milioni di lire ed una montagna di problemi risolti in un baleno come al tocco di una magia; di più, un miracolo!; e, contemporaneamente, la salvezza da un probabile fallimento nell'andare oltre quella linea di correttezza a cui, da sempre quell’imprenditore, si era attenuto: era lampante che i quattrocento milioni dei due caterpillar la ditta costruttrice non li avrebbe mai visti. Una tempesta di pensieri a sovraffollare un cervello: addio ai notai che chiamavano, addio alle banche assillanti, addio a quello strozzino che scroccava un caffè ogni mattina e addio al potersi guardare allo specchio, pur disperato, ma con la fronte alta e lo sguardo limpido nel riflettersi negli occhi dei figli e della moglie; addio ad un nome che, sia pure in grande difficoltà, era da tutti rispettato ed onorato nella città e tra i concorrenti. 
L’imprenditore portò le mani ai capelli e strinse forte le tempie, sentiva pulsare il sangue nelle vene così forte da dolergli la fronte; un’improvvisa secchezza della bocca ne rendeva aspro e di fiele il sapore; tentò una, due volte di articolare una risposta poi, biascicando più che parlando riuscì a dire quel “ Don …” a fare da stura a tutta la propria frustrazione e disperazione. “ … Voi sapete, Don … , quali sono le condizioni della mia azienda; sono oberato dai debiti e non per mia colpa, ma perché i tanti piccoli artigiani della zona non mi hanno pagato e solo perché anch’essi  sono vittime della situazione; sapete anche che a questo punto della storia ciò che mi offrite sarebbe per me la salvezza da un fallimento certo e, sapete, che il mio nome è ancora la garanzia necessaria a che i due caterpillar arrivino qui senza troppi problemi …; Don …, a me il nome mi è rimasto!, se perdo anche quello, che farò domani!?!”. Una supplica più che un rifiuto; una offerta di sé stessi come contro partita di una disonestà evidente e marchiante per il resto del tempo.
 I due Don, si guardarono per un attimo negli occhi, poi  si alzarono e allungando, entrambi, la mano, uno per volta strinsero quella dell’imprenditore e prima di uscire il Don, più don dei due, con un evidente freddo, ma deciso rispetto disse: “ …  
Ho capito signor …, state tranquillo, e scusatemi se sono venuto. “ poi uscirono perdendosi nella luce del sole sempre più brillante. “ Non una parola è inventata, nulla di quanto avete letto è fantasia. L’imprenditore poi fallì, macchiando comunque il proprio nome, qualcun altro fece arrivare i due caterpillar di cui la ditta costruttrice non ebbe mai il pagamento e i don continuarono a fare i don come al solito, ma, quando in un bar incontravano assieme o singolarmente quell’imprenditore, da quel giorno furono loro ad offrirgli il caffè. Un gesto di coraggio o di vigliaccheria rispetto ad un futuro forse migliore economicamente, ma senz’altro frutto di un rimorso costante? 
Ed oggi, a tanti anni di distanza ed a morale ed etica vigenti, quel rifiuto sarà vissuto come un rimorso o  come un rimpianto?. E, cosa alberga oggi nella mente di quegli imprenditori, di quei politici, di quella gente comune che cerca e trova e segue sempre un'unica via : quella più facile e più conveniente?. Ecco, dare e darsi delle risposte, potrebbe, forse, dare inizio al cambiamento. Ma ci vuole coraggio, o forse solo la vigliaccheria di non doversi confrontare ogni giorno CON IL PROPRIO RIMORSO!. 

https://www.facebook.com/notes/francesco-briganti/massimo-decimo-meridio-/144232312447373