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mercoledì 6 gennaio 2021

Nucleare, dal Piemonte alla Sardegna: la mappa delle 67 aree idonee in Italia per il deposito nazionale di rifiuti radioattivi. - Luisiana Gaita

 

Le aree per l'infrastruttura che permetterà di sistemare in via definitiva i rifiuti sono state individuate in Piemonte (8 aree), Toscana (2), Lazio (22, tutte in provincia di Viterbo), Sardegna (14), Sicilia (4). E ancora in Basilicata, Puglia e a cavallo tra le due regioni. Attualmente il nostro Paese è al centro di una procedura di infrazione europea.

La mappa delle aree idonee alla costruzione di un deposito nazionale per i rifiuti radioattivi di media e bassa attività non è più segreta. Con il nulla osta dei ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, la Sogin (la società pubblica responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi) ha pubblicato sul sito www.depositonazionale.it la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi), l’atteso documento per divulgazione del quale è stato necessario attendere, tra le altre cose, un aggiornamento da parte dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) rispetto alla sismicità delle aree, studio chiesto alla Sogin nel 2015. La società ha appena pubblicato il progetto preliminare e tutti i documenti correlati alla realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico, che permetterà di sistemare in via definitiva questi rifiuti, al centro di una procedura di infrazione europea nei confronti del nostro Paese e attualmente stoccati in una ventina di siti provvisori non idonei ai fini dello smaltimento definitivo. Operazione necessaria dato che l’Unione Europea (articolo 4 della Direttiva 2011/70) prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati e che la maggior parte dei Paesi europei si è già dotata o si sta dotando di depositi.

I 67 LUOGHI POTENZIALMENTE IDONEI – La Carta, elaborata in base ai criteri previsti dall’Ispra nella Guida Tecnica n.29, oltre che in base ai requisiti indicati nelle linee-guida dell’International Atomic Energy Agency (Iaea), individua 67 aree idonee ad ospitare l’infrastruttura che da cronoprogramma dovrebbe funzionare a partire dal 2025 e collocate in Piemonte (8 aree), Toscana (2), Lazio (22, tutti in provincia di Viterbo), Sardegna (14), Sicilia (4). Ci sono poi 12 aree che toccano esclusivamente la regione Basilicata, 2 la Puglia e altre 4 aree che si trovano a cavallo tra le due regioni. Ma queste aree non sono considerate tutte uguali e sono state divise in quattro categorie: aree molto buone, buone, insulari e aree in zona sismica (quindi decisamente meno idonee delle prime e, su 29, 15 sono in provincia di Viterbo). Ci sono 23 aree, in particolare, che hanno un punteggio più alto (e fanno parte delle prime due categorie). Tra queste ne vengono indicate due in provincia di Torino, ossia le aree di Carmagnola e di Caluso-Mazzè-Rondissone, sei in provincia di Alessandria (Alessandria-Castelletto Monferrato-Quargnento, Fubine-Quargnento, Alessandria-Oviglio, Bosco Marengo-Frugarolo, Bosco Marengo-Novi Ligure, Castelnuovo Bormida-Sezzadio), due in Toscana (Pienza-Trequanda in provincia di Siena e Campagnatico in provincia di Grosseto), ma anche sette diverse aree in provincia di Viterbo e altre tra Bari, Taranto e Matera.

Tra le 23 aree in questione, dodici sono considerate come i luoghi in assoluto ‘più idonei’ a ospitare il deposito nazionale per una serie di caratteristiche legate al territorio. Si tratta di due aree in provincia di Torino, cinque in quella di Alessandria e altrettante in provincia di Viterbo. Altre 11 aree sono considerate comunque “buone” come sede per i deposito. Molto interessata la zona di Matera: c’è un’area che tocca la provincia, altre due che si trovano tra le due province di Matera e Bari e altrettante che sono collocate tra la provincia di Matera e quella di Taranto. In Basilicata, sono indicati come aree idonee quelle che interessano i comuni di Genzano di Lucania, Acerenza, Oppido Lucano, Bernalda, Montescaglioso, Montalbano Jonico, Irsina. In Puglia Gravina in Puglia, Altamura, Laterza. A queste si aggiungono (e fanno sempre parte delle 11 ‘buone’) un’area in provincia di Alessandria, una in quella di Siena, una in provincia di Grosseto, due in quella di Viterbo.

L’ITER – Nei giorni scorsi era arrivato il nulla osta alla pubblicazione da parte dei ministeri Sviluppo economico e ambiente ed ora si apre una fase di consultazione pubblica, della durata di 60 giorni, in cui le Regioni, gli enti locali e tutti i soggetti portatori di interesse qualificati possono formulare osservazioni e proposte tecniche, all’esito della quale si terrà (nell’arco dei 4 mesi successivi) il seminario nazionale. “Sarà questo l’avvio del dibattito pubblico vero e proprio che vedrà la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere” ha spiegato il ministero dell’Ambiente, definendo il contenuto della carta il frutto di “un lavoro coordinato congiuntamente dai due ministeri (anche il Mise, ndr), atteso da molti anni, che testimonia la forte assunzione di responsabilità da parte del governo” sul tema della gestione dei rifiuti radioattivi. In base alle osservazioni e alla discussione nel Seminario Nazionale, Sogin aggiornerà la Cnapi, che verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Mise e dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture e dei Trasporti. In base a questi pareri, il Mise convaliderà la versione definitiva della Carta, ovvero la Cnai, la Carta Nazionale delle Aree Idonee. Il via libera alla pubblicazione della Cnapi doveva arrivare entro il 20 agosto 2015. A fare slittare la data sia la richiesta da parte dei ministeri competenti a Sogin e Ispra di alcuni accertamenti tecnici, ma anche le vicissitudini politiche, dalle regionali del 2015 al referendum costituzionale del 2016, fino alle elezioni del 2018. A ottobre scorso l’Unione Europea ha aperto contro l’Italia una procedura d’infrazione. Poi è arrivata la pandemia.

IL PROGETTO – Il deposito nazionale e il parco tecnologico saranno costruiti in un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al Parco. Il deposito avrà una struttura a matrioska: all’interno di 90 costruzioni in calcestruzzo armato, le celle, verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati. In totale circa 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività. Di questi rifiuti, circa 50mila metri cubi derivano dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica e circa 28mila dai settori della ricerca, della medicina nucleare e dell’industria. Ma circa 33mila metri cubi di rifiuti sono già stati prodotti, mentre i restanti 45mila metri cubi si prevede che verranno prodotti nei prossimi 50 anni. Il Deposito Nazionale ospiterà anche il complesso per lo stoccaggio temporaneo di lungo periodo (50 anni) di circa 16.600 metri cubi di rifiuti ad alta attività, derivanti dallo smantellamento delle installazioni nucleari e dalle attività medicali, industriali e di ricerca. Saranno custoditi, inoltre, circa 800 metri cubi di residui del riprocessamento del combustibile (separazione di materiale riutilizzabile dal rifiuto) effettuato all’estero e del combustibile non riprocessabile.

I CRITERI E I COSTI – Le aree interessate dalla Cnapi sono il risultato di un complesso processo di selezione su scala nazionale svolto da Sogin in conformità ai criteri di localizzazione stabiliti dall’Isin, che ha permesso di scartare le aree che non soddisfacevano determinati requisiti di sicurezza per la tutela dell’uomo e dell’ambiente, in primis in base a criteri di esclusione e, poi, in base a criteri di approfondimento. Con i criteri di esclusione sono state escluse le aree vulcaniche attive o quiescenti o contrassegnate da sismicità elevata o interessate da fenomeni di fagliazione o, ancora, a particolare rischio idrogeologico. L’esclusione o meno in base a questi criteri apre la strada, come è facile immaginare, a un dibattito che già si prevede molto acceso sul tema del deposito dei rifiuti radioattivi nel nostro Paese. Per la costruzione del deposito nucleare nazionale si stima un investimento complessivo di circa 900 milioni di euro che genererà oltre 4mila posti di lavoro all’anno per 4 anni di cantiere.

“Si tratta di una forte assunzione di responsabilità da parte del Governo – ha dichiarato il sottosegretario all’Ambiente Roberto Morassut, d’intesa col ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli e su delega del ministro dell’Ambiente Costa – che non si sottrae dal risolvere una questione da anni al centro di dibattito e non più rimandabile. È un provvedimento da tempo atteso e sollecitato anche dalle associazioni ambientaliste, che consentirà di dare avvio ad un processo partecipativo pubblico e trasparente al termine del quale sarà definita la localizzazione dell’opera”.

E proprio facendo riferimento alle “giuste sollecitazioni di Greenpeace”, Morassut assicura che al ministero dell’Ambiente si sta predisponendo (in sinergia con il Mise) “una nota indirizzata alle autorità francesi per chiedere il coinvolgimento del nostro Paese in relazione all’ipotesi di estensione della licenza dei reattori nucleari d’oltralpe, che si trovano in prossimità dei nostri confini”. Per il presidente della commissione Ecomafie, Stefano Vignaroli “va dato atto a questo governo di aver avuto il coraggio di fare un passo importante in un percorso che però è stato e sarà lungo”. Su Facebook Vignaroli ricorda che “vari governi avevano rimandato questo momento, forse per paura di perdere consenso su una questione delicata ma che andava affrontata”, mentre “ogni anno in bolletta elettrica i cittadini pagano la gestione dei rifiuti radioattivi centinaia di milioni di euro. L’assenza di deposito sicuramente ha allungato le tempistiche di smantellamento delle centrali nucleari italiane e amplificato quindi i costi da pagare. Il costo complessivo dello smantellamento è pari a quasi 8 miliardi di euro”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/05/nucleare-dal-piemonte-alla-sardegna-la-mappa-delle-67-aree-idonee-in-italia-per-il-deposito-nazionale-di-rifiuti-radioattivi/6055830/

La verità sulla Sicilia “pattumiera” atomica: ecco come si può invertire la decisione. - Mario Barresi

 

Proteste nei territori e da partiti e sindacati. L’assessore regionale Turano: confronto con Roma.

CATANIA - Davvero in pochi, nella marea trasversale e indistinta degli indignados, è davvero a conoscenza che questa storia della Sicilia “pattumiera” di scorie nucleari non è sbucata fuori dal nulla. Risale al giugno 2014, infatti, la pubblicazione dei «criteri di localizzazione» della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi). E se adesso politici e rappresentanti istituzionali sostengono di aver scoperto, come dei novelli Ciàula, la luna (ovvero l’elenco dei 67 siti selezionati in sette regioni, fra i quali quattro in Sicilia), significa che qualcosa non funziona.

Nell’Isola, ad esempio, i quattro “immondezzai atomici”  sono stati individuati a Trapani, a Calatafimi-Segesta, nelle Madonie (fra Castellana Sicula e Petralia Sottana) e a Butera. Proprio da questi territori si levano le prime voci di protesta.
Not in my backyard, il principio che muove la contestazione dei sindaci interessati, come quello di Castellana, Franco Calderaro: «Ci opporremo con tutte le forze», annuncia.

L’altro filo rosso è quello della disinformazione istituzionale. «Non sapevo nulla di questa cosa - sbotta il sindaco di Petralia - perché nessuno ci ha mai informati. Se qualcuno è venuto a fare ispezioni non ce l’hanno detto. Neanche una mail». Leonardo Neglia sostiene di non sapere neanche la zona individuata. «Il sito del Cnapi - aggiunge - è bloccato. Non posso neanche controllare per sapere se c'è la contrada specifica individuata». La stessa tesi sostenuta a Trapani da Giacomo Tranchida: «Sconosciamo l’argomento e la cosa ci preoccupa non poco perché in periodo di pandemia il governo richiama alla responsabilità sanitaria dei sindaci, tranne quando si ha l’esigenza, nemmeno informando la locale autorità sanitaria, di trovare silente una discarica? Non ci stiamo». Entra ancor più nel dettaglio il primo cittadino di Butera, Filippo Balbo, dicendosi «contrariato per il fatto che le istituzioni, e in questo caso il ministero dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, abbiano tenuto massimo riserbo su questa cosa».

L’indignazione va ben oltre i confini del retro dei giardini siciliani. E anche Matteo Salvini cavalca l’onda della protesta con un comunicato-ciclostile: «Il governo è incapace e fa male alla...», cambiando il nome di ognuna delle sette regioni interessate, compresa quindi l’Isola.

A livello locale si fa prima a dire chi non interviene (ovvero: gli esponenti siciliani dell’alleanza giallorossa di governo), sfogliando l’infinita lista di prese di posizioni. A partire dal governo regionale, che con Toto Cordaro esprime una linea istituzionale: l’Isola «non può accettare l’idea di scelte calate dall’alto. Riteniamo fondamentale, sul tema ambientale ancora più che su altri, un pieno confronto tra governo nazionale, governo regionale e le comunità locali interessate», scandisce l’assessore al Territorio e ambiente. Meno accomodante il collega Mimmo Turano (Attività produttive), sensibilizzato anche dall’alta concentrazione di siti nel Trapanese: «Ho pensato ad uno scherzo di cattivo gusto. Purtroppo è solo l’ennesima barzelletta di un governo che ha poche e confuse idee sul futuro della nostra isola». E poi, soltanto per citarne qualcuna, le indignazioni di Udc, DiventeràBellissima, Lega, FdI e Attiva Sicilia all’Ars. «Mi aspetto di sentire lo sconcerto delle associazioni ambientaliste, di cui fin ora non ho notizie», provoca il presidente Gianfranco Miccichè annunciando un approfondimento a Sala d’Ercole. Seguono le rimostranze dell’eurodeputato Ignazio Corrao («Prima di parlare di depositi di scorie nucleari al Sud lo Stato italiano pensi a garantire le bonifiche per i siti inquinati che aspettiamo da oltre vent'anni»), di Leu, Cento Passi, +Europa, Anci Sicilia, Coldiretti, Cgil, Cisl, Comitato Zfm.

Sono tutti pronti a stare sulle barricate. Ma nessuno spiega come. Ed è proprio quest’ultimo il punto. Non è un documento definitivo, la Carta dei siti idonei per il deposito nazionale delle scorie nucleari. E il governo, a maggior ragione dopo la rivolta dei territori interessati, dovrà considerare con attenzione le scelte. Ma la Cnapi non è nemmeno una sorpresa. Si aspettava da sei anni, ma l’iter è stato lento e tortuoso.

Adesso che le carte sono in tavola, bisogna agire. È già partita l’immancabile petizione online, il sindaco di Butera annuncia un referendum consultivo. Tutto legittimo, nella rabbia caotica. Ma prima si deve studiare. E il percorso che porterà alle scelte finali è ben definito. Quindi uno degli interventi più documentati è quello dell’assessore ai Rifiuti, Alberto Pierobon, che, assicurando «assicurare che il governo Musumeci affronterà con attenzione e responsabilità la questione», entra nel merito della questione: «La procedura che si apre adesso è tecnica e si basa su criteri che sono stati decisi diversi anni fa, quando sono state classificate delle aree in base a delle caratteristiche ritenute necessarie per ospitare i rifiuti degli impianti smantellati. Tra tutte le zone individuate, quelle siciliane sono ritenute meno idonee, cioè meno adatte, ma questo non basta».

Ma quali sono le fasi “tecniche” a cui fa riferimento Pierobon? Pubblicato l’elenco dei siti, per almeno due mesi si potrà consultare la documentazione. Entro quattro mesi, pandemia permettendo, sarà organizzato un seminario nazionale (con enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca), nel corso del quale saranno esaminati tutti gli aspetti legati al deposito, dalla sicurezza all’economia. Ed è qui che c’è un primo spiraglio per le rivendicazioni dei territori. In base ai risultati del Seminario Nazionale, Sogin (Società gestione impianti nucleari, interamente partecipata dal Mef) aggiornerà la Cnapi. La Carta verrà nuovamente sottoposta ai pareri dei ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, e dell’ente di controllo Isin.

Dopo tutte queste valutazioni, il ministero dello Sviluppo economico preparerà la versione definitiva del documento, cioè la Cnai, la Carta Nazionale delle Aree Idonee. A quel punto, spetterà al governo scegliere il sito definitivo. La Sogin prevede che per la realizzazione del Deposito saranno necessari 4 anni di cantieri.

Cosa si può fare nel frattempo? Un’idea intelligente la lancia il deputato regionale Nuccio Di Paola (non a caso l’unico grillino a non chiudersi nel silenzio tombale sulla vicenda), ricordando un ddl di cui è primo firmatario all’Ars, che impegnava il governo regionale «a dichiarare denuclearizzato l’intero territorio della Regione Siciliana, ad imporvi l’assoluto divieto allo stoccaggio e al transito di scorie nucleari e a dichiarare la totale contrarietà all’individuazione della Sicilia come sede di deposito nazionale per i rifiuti radioattivi». Ecco, questo potrebbe essere un buon punto di partenza per mettere la Sicilia al riparo da qualsiasi sgradevole sorpresa. A patto che la politica capisca che, dopo i comunicati stampa fast-food, è tempo di mettersi a studiare. E a fare.

Twitter: @MarioBarresi