lunedì 6 luglio 2009

La Cei: «Libertinaggio irresponsabile non è un affare privato»


Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Mariano Crociata.
ROMA - Lo sfoggio di un «libertinaggio gaio e irresponsabile» a cui oggi si assiste, non deve far pensare che «non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati, soprattutto quando sono implicati minori»: lo ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons.Mariano Crociata, in una omelia pronunciata a Le Ferriere di Latina in occasione di una celebrazione in memoria di Santa Maria Goretti.
COMPORTAMENTI SESSUALI SFRENATI - «Assistiamo ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo - ha detto mons. Crociata condannando la «»sfrenatezza e sregolatezza» nei comportamenti sessuali in opposizione alle virtù della santa - e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria, con cui fin dall'antichità si è voluto stigmatizzare la fatua esibizione di una eleganza che in realtà mette in mostra uno sfarzo narcisista; salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere». «Nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati - ha aggiunto il segretario della Cei - soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio». Secondo Crociata, si è di fronte a un paradosso, essendo oggi arrivati «ad agire e a parlare con sfrontatezza senza limiti di cui si dovrebbe veramente arrossire e vergognare», mentre si arrossisce - aggiunge citando San Paolo - per tutto quello che «è vero, nobile e giusto».«Qui non è in gioco - conclude - un moralismo d'altri tempi, superato» ma «è in pericolo il bene stesso dell'uomo». «Dobbiamo interrogarci tutti - ha detto ancora - sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall'aver tolto l'innocenza a intere nuove generazioni».
06 luglio 2009

Lettera di minacce a Berlusconi.

Il nostro pagliaccio-premier, oltre al conflitto di interessi, ha anche un problema ancor più grave, quello della ricattabilità.
Come può un capo di governo, passibile di ricatti, governare un paese in tutta tranquillità?
Un uomo "disturbato" da tanti problemi, rendendosi conto di non avere la mente serena, si dimetterebbe dall'incarico.
Ma lui ovvia al problema e aggira l'ostacolo facendosi costruire addosso una legge: il Lodo Alfano.
Mi domando: perchè? Quali sono i motivi che lo obbligano a restare in quel posto tanto "scomodo"?E, soprattutto, "chi" lo obbliga?
Forse la lettera ritrovata dopo anni ci potrebbe spiegare il motivo di questa sua "costrizione" più che voglia di restare abbarbicato a quella poltrona divenuta scomoda.
La lettera, a quanto pare scritta dai corleonesi di Riina, doveva essere consegnata a Provenzano che l'avrebbe a sua volta recapitata a Ciancimino, che avrebbe dovuto consegnarla a Dell'Utri per poi finire nelle mani di Berlusconi........
Come tutto si ricollega alla Banca Rasini, tra i cui correntisti c'erano proprio Provenzano e Riina!
Come diventa chiara anche la provenianza del denaro che nel giro di appena una decina d'anni, l'ha fatto diventare l'Epulone miliardario di oggi.
Ed ecco spiegato anche il motivo per cui la mafia gli chiede un canale televisivo, pena il verificarsi di un fatto luttuoso.
La mafia vuole la controparte, la mafia "pretende un corrispettivo".
Mi domando anche: come mai la magistratura, con tutte le prove a disposizione, non è ancora riuscita a incastrarlo?
Che sia imbavagliata e sottoposta a ricatti anche buona parte della magistratura?
Che siano "ricattabili" tutti al governo?
E noi cittadini, se tutto ciò fosse vero, di chi possiamo fidarci?
Siamo stati venduti, in blocco, alla mafia?

La bicamerale del piacere.

di Peter Gomez e Antonio Massari da L'espresso in edicola

Da Silvio Berlusconi agli uomini di Massimo D'Alema. Giampi li aveva sedotti tutti con le sue donne, i suoi viaggi, la sua vita perennemente sopra le righe. È una sorta di bicamerale degli affari e del piacere quella che emerge dalle inchieste condotte dalla procura di Bari su Giampaolo “Giampi” Tarantini, il giovane imprenditore della sanità che, a partire dall'estate 2008, ha reso felice il premier presentandogli decine di escort, starlette e aspiranti dive della tv. E gli effetti cominciano a farsi sentire. Mentre il presidente del Consiglio resta asserragliato nel suo bunker contando di superare indenne anche lo scoglio del G8, in Puglia il presidente della Regione, Nichi Vendola, azzera la sua giunta di sinistra e sventola la bandiera della questione morale.Sotto accusa finiscono così gli uomini del Partito democratico più legati a Tarantini: l'ex assessore alla Sanità, Alberto Tedesco e il vice presidente e assessore all'Industria, Sandro Frisullo. Due potenti politici locali piazzati dai dalemiani sulle poltrone chiave del governo regionale.
Frisullo paga i rapporti con Giampi e soprattutto con le sue amiche, a partire da quelli con Terry De Nicolò, una barese da poco trapiantata a Milano, che a L'espresso dice: «No, con in giornali non parlo. Mi hanno contattata in molti, dai quotidiani ai settimanali, ma per concedere un'intervista avrei bisogno di un supporto legale ed economico. Perché se mi querela Berlusconi, io poi cosa faccio?». Terry, in ogni caso, è una delle quattro ragazze già ascoltate dagli investigatori. Poche rispetto alla reale ampiezza della corte di Giampi. L'espresso ha ricostruito un elenco di almeno altri 17 nomi. Ne fanno parte anche l'ex direttrice di un celebre locale nella Costa Smeralda, una protagonista di reality, un'addetta al casting per programmi tv, una giocatrice di tennis semiprofessionista e alcune straniere: una rumena, una polacca, una dominicana, una ballerina brasiliana e una senegalese.Al centro di tutto, comunque, più che le storie di donne, restano gli interrogativi legati agli appalti. I più pesanti riguardano il ruolo di Tedesco. L'ex assessore è da tempo indagato. I pm lo accusano di aver brigato e fatto pressioni su funzionari regionali per favorire imprese che fanno capo a amici e familiari. E adesso tra le forniture finite nel mirino dei magistrati ce ne sono pure due, da due milioni e mezzo di euro, vinte dalle imprese di Tarantini. Per gli investigatori potrebbe non essere un caso. Secondo loro, anche negli anni della giunta Vendola, il sistema politico affaristico della sanità ha continuato a funzionare (sebbene a ritmi più blandi) secondo schemi collaudati nel periodo in cui governava l'attuale ministro del Pdl, Raffaele Fitto. Insomma stesse modalità, ma, Tarantini a parte, protagonisti diversi.Esemplare è quanto è accaduto nel settore delle cliniche convenzionate con la regione. Qui con l'arrivo di Tedesco fanno prepotentemente ingresso una serie d'imprenditori considerati vicini ai dalemiani. Oggi, come L'espresso è in grado di rivelare, la Guardia di Finanza sta cercando di mettere a fuoco la figura di Francesco Ritella, 35 anni, ritenuto il «dominus» della Kentron, che a Putignano gestisce un centro di riabilitazione per 120 pazienti. Nel 2006 il centro, pur non avendone i requisiti, viene accreditato prima ancora che siano terminati i lavori di costruzione della struttura. Dietro tutto l'inghippo ci sono interessi economici e politici. Non per niente nel caso dell'accreditamento di un'altra clinica a essere favorita, secondo i pm, è una società che vanta tra i suoi fornitori addirittura l'azienda del fratello di Tedesco. In questo ambiente Tarantini si trova a suo agio. Non solo perché è amicissimo dei figli di Tedesco (che come lui vendono protesi), ma anche perché una sua azienda - controllata al 50 per cento - detiene parte del capitale di una società specializzata in produzione di energia. Anche questa società, la Prod.eco, è una sorta di bicamerale: tra gli altri soci figurano un consigliere regionale dell'Udeur e una donna da sempre vicinissima a Ritella. Nell'aprile di quest'anno le quote dell'amica di Ritella vengono cedute a una compagnia di catering che proprio in quel periodo ottiene il servizio ristoro per i carabinieri che saranno di stanza all'Aquila in occasione del G8.Sono le settimane in cui Giampi, grazie alla sponsorizzazione di Berlusconi, viene presentato ai vertici della protezione civile e di altri ministeri. È il periodo in cui, da semplice venditore di protesi, si è ormai trasformato in lobbista. Una metamorfosi rimasta impressa sui nastri delle intercettazioni telefoniche della Finanza. Intercettazioni che hanno anche permesso di ascoltare in presa diretta le visite a Palazzo Grazioli di Patrizia D'Addario, l'escort barese reclutata da Tarantini per ingraziarsi il Presidente del Consiglio. Sono quelle trascrizioni, sommate alle registrazioni e ai filmati effettuati dalla donna nella residenza del cavaliere, a rendere Patrizia una testimone attendibile. Nel suo passato, nel 1996, la escort era infatti già incappata in una condanna per truffa e concorso un calunnia, un reato che per ironia della sorte le verrà contestato dalla procura di Bari anche nei giorni della sua deposizione su Berlusconi. Ma le presunte vittime, in questo caso, non sono politici, bensì tre poliziotti delle volanti che Patrizia avrebbe falsamente accusato dopo una multa per un'auto in sosta vietata. Era il 2007 e la donna avrebbe detto tra l'altro «lasciatemi andare, chiamo i giornalisti, ve la faccio pagare cara».

http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/?r=85823

Quelle ditte sospette al lavoro sul piano Case.

Angelo Venti

ASPETTANDO IL G8 — Già nel primo cantiere appaiono forti dubbi su una delle aziende coinvolte nella ricostruzione. Le domande sono: chi controlla chi? E l’autocertificazione può bastare? —
Aperti i cantieri per la realizzazione delle new town sbandierate da Berlusconi e temute dagli aquilani. Nei pressi di Bazzano e Sant’Elia, lungo la statale 17 che da L’Aquila porta a Onna, la frazione che è diventata il simbolo del terremoto del 6 aprile, si lavora giorno e notte per poter dimostrare ai grandi, che durante il G8 percorreranno questa strada, che la ricostruzione è finalmente partita.
Ma è proprio il cartello per i “Lavori relativi agli scavi e ai movimenti di terra lotto TS”, esposto in bella mostra all’ingresso del cantiere, che fa sorgere i primi dubbi sui controlli di trasparenza da parte della Protezione civile nell’assegnazione degli appalti e sui rischi che possono derivare dalla fretta e dall’emergenza. Questo appalto è stato aggiudicato a diverse imprese marsicane riunite in Ati.
La capogruppo è la P.R.S. produzione e servizi srl di Avezzano, mentre le imprese mandanti sono la Idio Ridolfi e figli srl di Avezzano (che lavora anche all’adeguamento dell’Aeroporto di Preturo per il G8); la Codisab srl di Carsoli; la Ing. Emilio e Paolo Salsiccia srl di Tagliacozzo e infine la Impresa di Marco srl con sede a Carsoli, via Tiburtina km. 70,00. Ed è proprio quest’ultima società che fa tornare alla mente l’operazione “Alba d’oro” di Tagliacozzo - che gli inquirenti hanno definito come il primo «caso conclamato di presenza mafiosa in Abruzzo».
Proprio qui, il 16 marzo scorso, i Gico della Guardia di finanza hanno arrestato tre imprenditori del luogo con l’accusa di aver reinvestito, attraverso la società “Alba d’oro”, capitali provenienti dal cosiddetto “tesoro di Vito Ciancimino”. Precisiamo subito che sia l’impresa Di Marco che i suoi soci non risultano coinvolti in nessun processo relativo alle infiltrazioni criminali in Abruzzo, ma alcuni particolari meritano di essere ricordati e approfonditi, perché testimoniano delle strategie di penetrazione in Abruzzo da parte del gruppo riconducibile a Lapis e Ciancimino.
Costituita nel lontano 1993, l’Impresa di Marco srl conta circa 20 dipendenti, ha un capitale sociale di 130mila euro, l’amministratore unico è Dante di Marco, mentre i soci sono Gennarino ed Eleana di Marco e Dante di Marco. Quest’ultimo risulta anche come socio fondatore della Marsica plastica srl, (con sede a Carsoli, insieme a Giuseppe Italiano, Tommaso Vergopia, Achille Ricci, Roberto Mangano, Dante di Marco, Wolfgang Scholl, Marilena Lo Curto ed Ermelinda di Stefano.
Alcune precisazioni: Italiano figura anche in uno dei pizzini di Provenzano, Di Stefano è la moglie di Gianni Lapis, Mangano è uno degli avvocati di Ciancimino al processo di Palermo mentre Achille Ricci è uno degli imprenditori tagliacozzani arrestati, insieme a Nino Zangari e Augusto Ricci, nell’operazione “Alba d’oro” del marzo scorso.
La Marsica plastica srl fu costituita presso uno studio notarile di Avezzano nel 2006, insieme alla Ecologica abruzzi srl. Entrambe le società dovevano operare nel settore della produzione di energia e dei rifiuti e, insieme alla Ricci e Zangari srl, avevano costituito il Consorzio A.R.S., sempre con sede a Carsoli allo stesso indirizzo.


http://www.terranews.it/news/2009/06/quelle-ditte-sospette-al-lavoro-sul-piano-case

Le carte sparite di Ciancimino confermano: Cosa Nostra minacciava Berlusconi


Di Giorgio Bongiovanni e Silvia Cordella - 3 luglio 2009

“Parte di foglio A4 manoscritto contenente richieste all’on. Berlusconi di mettere a disposizione una delle sue reti televisive”. Pena, in caso di rifiuto, un “luttuoso evento”. Questa la frase contenuta in un foglio di carta trasmesso dai pm della Procura di Palermo alla Corte di Appello che sta processando Massimo Ciancimino, già condannato a 5 anni e 8 mesi per aver usato e riciclato i soldi provenienti dal tesoro occulto di suo padre. La missiva è stata depositata oggi alla Procura Generale, dopo quattro anni di ritardo, in seguito al suo recente ritrovamento da parte dell’ufficio del Pubblico Ministero (rappresentato dal sostituto Nino Di Matteo e dall’aggiunto Antonio Ingroia), che sta raccogliendo le nuove dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Il foglietto infatti, contenente le richieste estorsive e le minacce a Berlusconi, strappato nella sua parte alta, era stato sequestrato durante la perquisizione dei carabinieri nel febbraio del 2005 nella casa del figlio più piccolo di don Vito, quattro mesi prima del suo arresto. Acquisito nel suo processo in abbreviato, il documento relativo alle minacce a Silvio Berlusconi, era poi finito in fondo a qualche cassetto, probabilmente deposto perché ritenuto irrilevante. Ora, sul contenuto della lettera ritrovata dai magistrati, Di Matteo e Ingroia hanno avviato subito un’indagine e una perizia calligrafica. Quest’ultima in particolare escluderebbe possa trattarsi di una lettera vergata da Vito e Massimo Ciancimino. Sembra invece, come riporta l’Ansa, che a scriverla “possa essere stato un uomo di fiducia di Totò Riina che lo avrebbe girato a Bernardo Provenzano, e a sua volta lo avrebbe fatto arrivare al suo amico fidato, Vito Ciancimino. Il quale avrebbe avuto il compito di far giungere l’ambasciata a persone che sarebbero state vicine a Berlusconi”. Se ciò fosse vero potremmo essere davanti al concreto indizio probatorio sul collegamento diretto tra Berlusconi e Cosa Nostra di cui parlavano i pentiti e al riscontro sulle conclusioni a cui era giunto il Gip Giovanbattista Tona nel decreto di archiviazione nei confronti di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nell’inchiesta sulle stragi del ’92. Emergenze investigative che parlavano dei rapporti diretti tra la Fininvest e la mafia e tra Dell’Utri e con la stessa associazione criminale. Contatti che “il gruppo Fininvest, nella sua progressiva espansione nel settore televisivo”, avrebbe coltivato al fine di incorporare “tra l’aprile e il novembre del 1991 ben cinque società che avevano sede a Palermo”. Una circostanza che avrebbe reso “plausibile che "cosa nostra", ..... non rimanesse inerte dinanzi all’avanzare di una realtà imprenditoriale di quelle proporzioni, perlopiù facente capo ad un gruppo nel quale si muovevano soggetti già considerati facilmente avvicinabili in forza di pregressi rapporti”. Circostanze che, alla luce del documento sequestrato nel 2005 (che i periti datano 1991), assumono nuovo vigore investigativo ma che suscitano inquietanti perplessità circa la sottovalutazione o la dimenticanza da parte degli addetti ai lavori di una prova dalle caratteristiche probatorie oggettivamente importanti. Documenti che si sarebbero dovuti depositare nel procedimento di secondo grado a carico di Ciancimino Junior. Un testimone di molte verità scomode di cui oggi si stanno occupando coraggiosamente due professionisti degni dei loro mentori Falcone e Borsellino, i pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia che siamo certi andranno fino in fondo.Per questo motivo e per la delicatezza di certe indagini ci auspichiamo che lo Stato non si tiri indietro e faccia tutto ciò che è necessario, oggi più che mai, per tutelare la vita di un testimone di giustizia del calibro di Massimo Ciancimino che concretamente sta collaborando a far luce su alcuni delicati capitoli oscuri della storia della nostra nazione a partire dalle stragi del biennio ’92 – ’93, fino ad arrivare ai rapporti tra mafia e politica e tra mafia e Istituzioni.

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/17470/78/

domenica 5 luglio 2009

Premio Ischia: il 'blog dell'anno'.



I vincitori sono Pino Corrias, Peter Gomez e Marco Travaglio
(ANSA) - NAPOLI, 5 LUG - Il blog 'Voglio scendere' di Pino Corrias, Peter Gomez e Marco Travaglio ha vinto il premio 'blog dell'anno' a Ischia. Il riconoscimento, nell'ambito della XXX edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, e' stato assegnato con una votazione online sul sito ufficiale www.premioischia.it. Secondo classificato il blog www.step1.it, periodico telematico di informazione della Facolta' di Lingue e Letterature straniere dell'Universita' degli studi di Catania.


venerdì 3 luglio 2009

Micheletti, padrone d'Honduras.



TEGUCIGALPA -

Dottor Micheletti ma chi glielo ha fatto fare di cacciarsi in questo guaio? Non si rende conto di essere perlomeno fuori moda? La stagione dei gorilla in America Latina è passata... Lui sbuffa, sposta nervosamente i fogli che ha appoggiato su una scrivania che gli sta stretta, scalcia mostrando raffinati mocassini che escono, come le sue gambe, da sotto il tavolo, e sbuffa di nuovo. "Qui non c'è stato nessun golpe. È stato il Tribunale ad ordinare all'esercito di prendere quel mascalzone di Zelaya e portarlo fuori dal paese. Volete vedere le accuse? Ci sono diciotto capi d'imputazione contro il vostro eroe democratico. Quali? E io che ne so, chiedetelo ai giudici". Scusi dottore, ma il presidente Zelaya non poteva essere accusato e giudicato qui, in Honduras non c'è neppure l'immunità per il Capo di Stato... "Infatti, gli abbiamo fatto un favore. Invece di metterlo in galera lo abbiamo portato in esilio". Quando il presidente golpista dell'Honduras riceve un gruppo di giornalisti stranieri sulla capitale sta scendendo il tramonto e la luce infiamma le pietre rosa della Casa presidenziale, un edificio neomediovale, dalle linee dolci e ondulate, costruito all'inizio del Novecento dall'architetto italiano Augusto Bressani. Dentro è un turbine di riunioni. Al primo piano ci sono gli uffici che s'affacciano su un grande giardino rettangolare. Porte che sbattono, via vai di commessi, politici e ministri appena nominati. In tutto, all'interno, ci saranno al massimo venti soldati. Entrare non è stato difficile, dopo la mano dura oggi è il giorno della trasparenza nel momento di massimo isolamento del governo golpista. "Insomma aiutatemi", dice Roberto Micheletti, "aiutatemi voi giornalisti a spiegare al mondo che l'abbiamo fatto per il bene del paese", e continua a spostare e martoriare la povera scrivania. È un omone, Micheletti, con una grande pancia che troneggia quando apre la giacca, gli occhi piccoli e un volto rubicondo. Ruvido e instintivo quando risponde, s'infuria facilmente.
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Ha visto dottore, anche il ministro Frattini dall'Italia ha richiamato l'ambasciatore... "Quando? No, io l'ho salutato l'ambasciatore Magno qualche giorno fa perché aveva terminato il suo mandato. Di Frattini non so niente". Ma anche Francia e Spagna hanno ritirato i loro rappresentanti. "Senta, sa cosa le dico? Facciano quello che gli pare. Io ho fede, prima o poi mi riconosceranno". Penultimo di nove fratelli, Micheletti è figlio di Umberto, un immigrato italiano, di Bergamo, arrivato qui per far fortuna tra le due Guerre mondiali. Roberto è nato nel '43, 13 agosto, come Fidel Castro, ma quando s'è buttato in politica ha anche ritoccato la data di nascita per sembrare più giovane, regalandosi cinque anni. Finora era conosciuto per la sua florida azienda di trasporti, ora rischia di passare alla Storia come il presidente fantoccio di un governo improbabile. Mentre parla, prima s'entusiasma perché un collaboratore lo chiama al telefono assicurandogli che Israele e Taiwan l'hanno riconosciuto. "Visto? Non siamo più soli". Ma è sicuro? "No, ma se me l'hanno detto, sarà vero". Poi si perde quando arriva la notizia che il Parlamento ha esteso il coprifuoco trasformandolo in Stato d'assedio. Avete proclamato lo Stato d'assedio? "No". "Ma come no, lo ha appena detto la radio", incalza una collega americana, "dice che l'esercito può perquisire la case senza mandato tra le dieci di sera e le cinque del mattino". "Beh guardi - sbotta Micheletti - se lei ha fatto qualcosa di male deve pure aspettarsi che vengano a prenderla a casa". Il diritto non dev'essere il suo forte, l'oratoria neppure. Nel suo bel vestito scuro di taglio italianissimo, Micheletti sta sempre più scomodo mentre anche nella Casa presidenziale si susseguono i rumors. Qualcuno dice che la Oea, l'Organizzazione degli Stati americani, invierà una delegazione per trattare con i golpisti. "Bene - esulta - li accoglieremo a braccia aperte". Ma scusi dottore, l'hanno avvisata? "No, me lo avete detto voi che viene una delegazione, io non ne sapevo niente". Qualcun altro annota che dirigenti dei partiti maggiori sono chiusi nell'ambasciata americana per trovare un compromesso che salvi tutti. Una amnistia per i golpisti? "Quale amnistia?", sbraita Micheletti, "Io non ho commesso reati, leggetevi la Costituzione, eccola qua". A momenti sorride, anche. Tre ragazze dell'ufficio stampa cercano di mantenere un po' di ordine tra chi entra ed esce dalla stanza. Micheletti non ci fa neppure caso e si mette a parlare di autarchia. "Possiamo farcela anche da soli", dice. Senza i prestiti della Banca Mondiale, il petrolio di Chavez, il commercio con i paesi vicini, i beni di consumo che arrivano dagli Stati Uniti con il trattato di libero scambio? A quale classe del paese pensa dottor Micheletti? Così rischiate di tornare indietro di decenni. "Ecco Chavez, buono quello. Ma non capite che io sono il baluardo contro la penetrazione di Chavez in questo paese, gli americani dovrebbero ringraziarmi, altroché". S'avvicina l'ora del coprifuoco e il centro di Tegucigalpa si svuota molto in fretta. La gente ha paura, ha l'evidente impressione che Micheletti, l'esercito, i deputati abbiano combinato un pasticcio. Che l'abbiano fatta grossa per sbarazzarsi del "traditore", di Zelaya, uno di loro, un membro dell'oligarchia che da sempre domina gli affari dell'Honduras, passato al nemico - dicono - per ambizione di potere. "Voleva farsi rieleggere Zelaya, per questo s'è alleato con Chavez e con Daniel Ortega, ed ha concesso ai sindacati un aumento insostenibile dei salari". Ma si rende conto che lei è diventato presidente grazie all'intervento dei militari e ad una lettera di dimissioni di Zelaya che è evidentemente falsa? "Falsa? Non lo so, non l'ho mica scritta io. Come presidente del Congresso toccava a me entrare in questa Casa presidenziale. L'ho fatto per il paese". La gente non si fida di Micheletti. Le sue ambizioni presidenziali erano note. Ha corso anche per le primarie ma è stato battuto e accusato di corrompere i giudici della Corte suprema per fermare un altro candidato più popolare di lui. "Sono a interim", giura. "Faremo le elezioni e io me ne andrò". Come farà ad andare avanti se nessun paese vuole incontrarlo, né ascoltare le sue ragioni, non lo sa. S'affida alla fede. Non si sente neppure isolato, Micheletti. "Ho il sostegno e l'affetto dell'80 per cento degli honduregni", spara ad un certo punto. Ma non s'è accorto di aver messo il suo paese in un vicolo cieco? "Ma quando mai, qui non c'è stato nessun colpo di Stato". Mentre lasciamo il palazzo si sparge la notizia che è stata tolta l'energia elettrica ad una radio che ha trasmesso una intervista a Zelaya, il presidente estromesso. La censura morde sui mezzi di comunicazione che non s'allineano al nuovo potere. Tutti esagerano, da una parte e dall'altra e verificare le informazioni diventa sempre più difficile. L'ultimatum delle 72 ore dell'Oea scade domani. Ma Micheletti ripete che non c'è nulla da trattare. "Che vengano ad incontrarci - conclude - gli spiegheremo cosa è successo e gli faremo vedere i documenti che accusano Zelaya. Abuso di potere, tradimento delle patria... "Ce n'è, ce n'è. Sono diciotto capi d'imputazione, mi dicono. E smettetela di chiamarmi dottore: io sono il Presidente".