martedì 7 giugno 2011

Frode per 3 miliardi, indagato Verdiglione.


Sequestrate 2 ville nel milanese, chiusa inchiesta per 26 persone.


MILAN - La Guardia di finanza di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 26 persone tra cui lo psicanalista Armando Verdiglione, accusati a vario titolo di emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, truffa in danno di istituto di credito per ottenere finanziamenti, truffa ai danni dello Stato e cioe' del ministero per i Beni culturali e appropriazione indebita. L'inchiesta che e' stata coordinata dal pm milanese Bruna Albertini ha portato inoltre il gip Cristina Mannocci a disporre il sequestro preventivo di due ville storiche in provincia di Milano tra cui Villa San Carlo Borromeo di Senago (ospita una delle sedi dell'Universita' del Secondo Rinascimento), il cui valore complessivo e' di circa 300 milioni di euro.

Nel corso delle indagini che sono iniziate circa due anni fa sono state scoperte fatture per operazioni inesistenti per circa 3 miliardi di euro mentre l'Iva evasa sarebbe stata, secondo gli accertamenti, di 300 milioni di euro. Armando Verdiglione negli anni '80 e' stato al centro di una serie di vicende giudiziarie relative all'attivita' sua, della sua fondazione e dei suoi collaboratori.

Le indagini della Guardia di Finanza, che hanno portato ad accertare un giro di fatture false per circa tre miliardi di euro, hanno riguardato un gruppo societario composto da associazioni culturali, fondazioni e onlus, riferibili allo stesso Verdiglione, che e' indagato con altre 25 persone, tra cui la moglie Cristina Frua De Angeli e altri collaboratori. Le Fiamme Gialle, durante gli accertamenti hanno scoperto un rilevante giro di transazioni finanziarie supportate da operazioni economiche fittizie - tra cui consulenze aziendali, commerciali e di marketing, corsi di formazione e di vendita e acquisto di opere d'arte - finalizzato all'evasione fiscale e ad ottenere linee di credito indebite da parte delle banche.

L'inchiesta ha portato alla luce anche fatture false per lavori edili riferibili alle dimore storiche del gruppo, e cioe' anche alle due ville sequestrate (la S.Carlo Borromeo di Senago e Villa Rasini di Medolago) con lo scopo di beneficiare di sovvenzioni pubbliche, visto l'interesse architettonico di due degli edifici. Tra le accuse contestate agli indagati, anche l'associazione a delinquere finalizzata all'emissione e all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2011/06/07/visualizza_new.html_840411345.html

Centrale biomasse Pavia, arrestato il patron di Riso Scotti. Altri tre in carcere. - di Andrea Di Stefano


Clamorosa retata contro le truffe sull’energia prodotta da fonti falsamente rinnovabili. Questa mattina il Corpo Forestale dello Stato e la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato hanno arrestato, e condotto in carcere, Franco Centili, funzionario del Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. di Roma e notificato gli arresti domiciliari ad Angelo Dario Scotti, Vice Presidente del CdA di Riso Scotti Energia, nonché Presidente del CdA e Amministratore delegato di Riso Scotti S.p.A, Andrea Raffaelli, funzionario del G.S.E. di Roma; Elio Nicola Ostellino, ex consulente esterno di Assoelettrica e Nicola Farina, commercialista di fiducia del Gruppo Scotti con studio a Milano. Le accuse: traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni di ente pubblico, frode in pubbliche forniture e corruzione.

L’ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal Gip di Milano, Stefania Donadeo, che ha accolto le richieste del pm Ilda Boccassini controfirmate dal Procuratore capo del capoluogo lombardo, Edmondo Bruti Liberati. Si tratta del nuovo filone di una lunga indagine condotta dal Corpo Forestale dello Stato sull’impianto di coincenerimento di Pavia della Riso Scotti Energia, autorizzato inizialmente per l’impiego esclusivo di lolla di riso e altre biomasse, e successivamente – con provvedimenti autorizzativi della Provincia e della Regione di dubbia legittimità – anche all’incenerimento di variegate tipologie di rifiuti, erano stati conferiti per l’incenerimento ingenti quantitativi di rifiuti – anche pericolosi – non conformi alle autorizzazioni sia per tipologia che per la presenza di inquinanti in misura superiore ai valori limite fissati dalle normative di settore.

In tal modo Riso Scotti Energia aveva ceduto al Gestore dei Servizi Energetici – società interamente posseduta dal ministero dell’Economia – usufruendo di pubbliche sovvenzioni e quindi ad un prezzo superiore a quello di mercato, energia elettrica falsamente qualificata come derivante da fonti rinnovabili = biomasse, ricavando indebiti profitti pari ad almeno 28 milioni di euro. Nel mese di novembre 2010, in relazione alle accertate violazioni legge, l’Autorità Giudiziaria aveva già disposto gli arresti domiciliari per 7 indagati e il sequestro preventivo dell’impianto di coincenerimento del gruppo Scotti.

Contestualmente all’esecuzione delle misure cautelari partivano nuove intercettazioni telefoniche, sia per riscontrare le ipotesi di truffa aggravata e di frode in pubbliche forniture, già contestate (che vedevano l’ente pubblico Gestore Servizi Energetici come persona offesa) sia per raccogliere nuovi elementi di eventuali corruzioni riconducibili a Riso Scotti Energia nei confronti di funzionari del G.S.E. per ottenere il mantenimento degli incentivi economici. Incentivi che a seguito di una verifica ispettiva erano stati sospesi, tanto che era stata formalmente richiesta alla Riso Scotti Energia la restituzione di 7 milioni di euro.

Dalle intercettazioni è emerso sin da subito il tentativo di Riso Scotti Energia, avallato e sostenuto dalla proprietà, di risolvere in modo favorevole il contenzioso maturato con il Gestore Servizi Energetici attraverso l’intervento di persone amiche, dipendenti e/o collaboratori della Pubblica Amministrazione, in grado di modificare e/o annullare le decisioni sfavorevoli assunte dalla società pubblica che dopo l’esplosione dell’inchiesta avevano bloccato la corresponsione dei contributi.

La pratica sarebbe stata infatti “sbloccata positivamente“ (vale a dire che erano stati mantenuti gli incentivi economici di cui era stata in precedenza chiesta la restituzione) grazie all’intervento di Franco Centili, all’epoca dei fatti funzionario del Gestore Servizi Energetici, e, dopo il pensionamento, consulente esterno del Gestore pubblico, in stretto contatto con Nicola Ostellino, consulente in materia energetica, soggetto molto influente che nel corso di una conversazione afferma chiaramente di avere “tutto il G.S.E. lubrificato”.

Le circostanze emerse dalle indagini sono state confermate dagli interrogatori degli indagati Giorgio Radice e Giorgio Francescone, rispettivamente presidente del Cda e direttore tecnico di Riso Scotti Energia.

Radice ha ammesso di avere pagato, per risolvere il contenzioso con il G.S.E., consistenti somme di denaro in contante a favore di funzionari del G.S.E., con il pieno avallo e sostegno del proprietario di RSE Angelo Dario Scotti, e in particolare di avere pagato complessivamente 115.000 euro (100.000 a Franco Centili e 15.000 a Andrea Raffaelli), aggiungendo che al momento del suo arresto restava da pagare a Centili l’ultima tranche di 15.000 euro.

Ha poi confermato di essersi rivolto anche a Nicola Ostellino per farsi assistere nel contenzioso, senza avere versato a quest’ultimo, in modo diretto, somme di denaro. Anche Francescone ha confermato il pagamento di tangenti a Centili, aggiungendo che l’esborso di denaro è stato giustificato attraverso il pagamento di una fattura a favore di una società “off shore” per una consulenza in materia energetica.

Al fine di monetizzare la somma necessaria il commercialista di fiducia del Gruppo Scotti Nicola Farina aveva pianificato una operazione meramente finanziaria, individuando in una società statunitense il soggetto a cui la società Riso Scotti Energia avrebbe apparentemente commissionato una fittizia consulenza per un progetto di realizzazione di un impianto termoelettrico per un corrispettivo di circa 140 mila euro. Alla fine dell’operazione, la Scotti Energia riotteneva la somma in contanti, al netto delle provvigioni trattenute dalla Società compiacente, e poteva provvedere ai pagamenti in nero.





Torture of Iraqi children.



Missione di pace...


Auchan, una domenica nel nulla per una mancia da 18 euro. - di Luca Telese e Paola Zanca


Nel più antico ipermercato romano dipendenti in rivolta per il lavoro festivo

Immaginate un fortino: un avamposto con le mura e gli spalti, che presidia il confine fra la città e la periferia, dove le strade non hanno nome e i palazzi sono sempre in costruzione. Quelli della vigilanza ti raccontano: “Quando apriamo le saracinesche, la mattina, sono già lì, in fila, soprattutto gli anziani”. Immaginate che dentro il tempio il clima è temperato in ogni stagione, che si entra con la macchina e non si paga pedaggio, e che ogni settimana ci sono nuove offerte. Infatti, anche se non c’è un Vangelo, c’è “Il Volantone”. Il volantone delle offerte. Ecco, se avete smesso di immaginare siete già arrivati alle porte del più antico Auchan d’Italia: Casal Bertone. Quello dove sabato scorso i dipendenti hanno scioperato, e dove i clienti (non tutti, per fortuna) hanno protestato: “Dovete lavorare, non potete chiuderci il supermercato”.

Per capire questa nuova variante della guerra fra poveri, dovete prima capire la scintilla che ha innescato la protesta: la richiesta dell’azienda che vorrebbe da tutti i dipendenti lo straordinario domenicale obbligatorio. Se volete capire il motivo della rabbia di questi lavoratori, quasi tutti giovani (o giovanissimi) partite dai loro stipendi: i “veterani” che lavorano a tempo pieno fin dall’apertura (13 anni fa) guadagnano fra 1.100 e 1.200 euro. I part time lavorano 16 ore a settimana, e raggiungono i 400 euro. La direzione del supermercato paga il lavoro domenicale 2.70 in più netti l’ora. Lavorare la domenica consente di guadagnare circa 18 euro in più. Vale la pena? Per molti sì. Per tanti no. Un tempo i rapporti con la direzione erano buoni, sembrava che i clienti fossero tutti felici di comprare. Adesso, Paolo (ma il nome è di fantasia) dice che “tutti sono diventati più feroci”. Anche la gente è cambiata, dicono. Anna, reparto elettrodomestici, non ha scioperato: “Semplice. Io le domeniche le devo fare tutte. Sono part time”.

Perché dentro il tempio lavorano quasi trecento persone. Ma la babele dei contratti è grande. Alle casse, per esempio non ha scioperato nessuno: “Nemmeno lo sapevo!”, dice una ragazza. Ai reparti, invece, in tanti: “Ti credo – spiega uno di loro, anonimo – la direzione ha messo delle persone a fare gli straordinari dai giorni prima, per prevenire l’effetto sciopero. E poi ha fatto sparire i nostri volantini, quelli in cui spiegavamo ai clienti le nostre proteste. Altri li ha strappati dalla bacheca”. Anche allo scaricamento hanno scioperato in pochi. I settori più duri sono presidiati dai part time. Al reparto pesca attaccano alle cinque. E qui c’è Mirko, un altro che ha lavorato: “Ho una fortuna: un caporeparto buono. Se chiedo una domenica di riposo, ogni tanto, me la dà. Ma che mi serve? Anche la mia ragazza lavora!”.

Un tempo c’erano i sindacati, tutti. Ora quelli confederali si sono quasi estinti. “Ti credo – spiega uno dei ragazzi della vendita – hanno firmato tutto, e se scioperiamo ci criticano!”. Il sindacato che ha organizzato lo sciopero è un Cobas: “Abbiamo dovuto mobilitarci – spiega uno di loro – perché ora la direzione vorrebbe uniformare tutti i contratti in questo modo: si lavora tutte le domeniche, senza straordinario, come un normale giorno di lavoro”. Un altro ragazzo del reparto elettrodomestici: “Non ho scioperato, ma son solidale con chi lo ha fatto. A me le domeniche le hanno imposte con un trucco…”. Cioè? “Ero part time, e mi dissero: ‘Se vuoi il tempo pieno devi fare tre domeniche’. Così ho un contratto ad personam. Le devo fare comunque”. Il Volantino, aAuchan è molto più che un depliant, un testo sacro. Esce ogni settimana ed orienta il fiume dei clienti verso prodotti e settori del supermercato: “Adesso – spiega un’altra ragazza delle vendite – ci sono clienti che comprano solo le offerte. Ti faccio vedere: questa settimana pesce spada a 19.90 e albicocche a 1.99 euro al Kg? Ecco, loro comprano e mettono nel surgelatore, in attesa di tempi migliori”.

In realtà ti spiegano, gli slalomisti che comprano sempre l’offerta stracciata, e accumulano come formichine, sono una minoranza di massa. Quelli che contano di più sono coloro che gettano l’occhio anche intorno all’esca. Ma il paradosso è questo: i fedeli della domenica spendono molto di più di quello che guadagnano i commessi per tenere aperto il tempio. E i ragazzi dei reparti hanno uno sconto avaro: il 5%. Qui, nel fortino che presidia la periferia, nel tempio climatizzato del consumo, la guerra dei poveri è in questa doppia immagine. I clienti che la domenica si incolonnano davanti al garage indispettiti e quando vedono che il cancello è chiuso suonano il clacson per la rabbia. E i ragazzi che lavorano nel supermercato. Ma che per far quadrare i conti ti raccontano: “Il grosso della spesa la faccio al discount. Altrimenti con mille euro due figli come li sfamo?”. Recita il verbo del volantone: “Auchan, tutta la passione che meriti”.



“La corruzione coinvolge 4 paesi europei su 5″ La Ue prepara un report sui casi più gravi. - di Alessio Pisanò



La commissaria Malmstrom: “Le leggi ci sono ma manca la volontà politica per applicarle”. L'Italia non ha ratificato la Convenzione contro la corruzione del Consiglio d'Europa. Intanto Romania e Bulgaria rimangono fuori Schengen

La Commissione europea dichiara guerra alla corruzione. Dal 2013 verrà pubblicato un rapporto biennale che denuncerà apertamente i casi più eclatanti di corruzione e frodi nei 27 Paesi membri, con nomi e cognomi dei responsabili. Anche se questo rapporto non avrà valore legale, l’annuncio della commissaria Ue affari interni Cecilia Malmstrom fa paura soprattutto agli Stati meno “virtuosi” in materia di trasparenza, come Romania, Bulgaria, Grecia e Italia.

Si stima che la corruzione in Europa costi circa 120 miliardi di euro l’anno, tanto quanto l’intero budget Ue. Il caso tipico che coinvolge direttamente Bruxelles consiste negli “errori” nell’erogazione e gestione dei fondi europei. Secondo la relazione annuale 2009 della Corte dei conti europea una percentuale tra il 3 e il 5% dei fondi Ue (tra 3,5 e 5,8 miliardi di euro) non dovrebbe nemmeno essere erogata. Tra gli Stati che nel 2009 hanno dovuto restituire a Bruxelles più soldi c’è proprio l’Italia, dove le “correzioni finanziarie” per il 2009 riguardanti i fondi strutturali sono state di 217 milioni di euro (825 milioni con quelle del 2008). Ovviamente la Corte dei conti parla di “errori”, ma è presumibile che comprendano anche frodi e corruzioni non debitamente contrastate e segnalate dalle autorità nazionali. La relazione della Corte infatti metteva in risalto le “debolezze delle verifiche condotte e gli audit” di competenza nazionale. Se a questo aggiungiamo che le Convenzioni penale e civile del Consiglio d’Europa sulla corruzione, siglate a Strasburgo rispettivamente il 27 gennaio e il 4 novembre 1999 (richiamate dalla proposta di legge sulla corruzione de Il Fatto), non sono mai state ratificate dal Parlamento italiano, risulta chiaro come l’iniziativa lanciata ieri dalla Commissione possa scatenare un vero e proprio terremoto nel nostro paese.

Ma fare una legge non basta. Mentre “la maggior parte dei Paesi Ue ha un soddisfacente quadro normativo anti corruzione”, la commissaria Malmstrom denuncia “la scarsa volontà politica e la mancanza d’impegno nel contrastare davvero questo fenomeno” mettendo in pratica le leggi. E dire che “nessun Paese è totalmente libero dalla corruzione, un problema serio per 4 europei su 5”. Secondo la commissaria si tratta di “un’importante sfida sociale, politica ed economica che non possiamo perdere”. Anche se non avrà alcun valore legislativo e vincolante, la Malmstrom spera che “il mettere nero su bianco i maggiori casi di corruzione spinga i governi nazionali a darsi una ripulita”.

Il meccanismo presentato dalla Commissione verrà lanciato nel 2013 e raccoglierà informazioni non solo da istituzioni Ue e autorità nazionali, ma anche da associazioni e Ong. Il rapporto che ne uscirà conterrà oltre ai casi maggiori di corruzione, alcune raccomandazioni ed esempi pratici di come contrastare questo fenomeno. Soddisfatta Transparency International, che invita la Commissione a stabilirne criteri e indicatori di valutazione il più presto possibile, sottolineando tuttavia che “questo meccanismo da solo non risolverà completamente il problema della corruzione”.

Proprio la corruzione e la mala gestione delle risorse pubbliche è stata una delle cause principali del quasi fallimento della Grecia e delle richieste di aiuto a Bruxelles di Lettonia e Ungheria. Sempre la corruzione costituisce l’ostacolo più spinoso all’accesso di Romania e Bulgaria nella zona di libera circolazione di Schengen. Lo scorso dicembre, Francia e Germania si sono fortemente opposte al loro ingresso, divieto al quale hanno recentemente aderito Danimarca, Olanda e Finlandia. La Danimarca, qualche settimana fa, ha addirittura minacciato la riapertura dei controlli alla frontiera per frenare l’ingresso di bulgari e rumeni.

Certo in materia di corruzione Bruxelles non sta dando un ottimo esempio. L’Ufficio anti frode europeo Olaf diretto dall’italiano Giovanni Kessler si vede negare da mesi l’accesso ai locali del Parlamento europeo per investigare sul caso delle bustarelle pagate ad alcuni eurodeputati da giornalisti inglesi spacciatisi per lobbisti.




lunedì 6 giugno 2011

E il popolino disse: «Caro Re alle tue balle non crediamo più». - di Dario Fo.



Cosa succede? E' il 2 giugno, Festa della Repubblica e Giorgio Napolitano, il nostro Capo dello Stato, ha dato una gran festa. Ci sono fra gli invitati Ministri e Presidenti venuti da molti paesi del mondo, ci stanno anche capi di governo arabi abbigliati come rajà e perfino qualche Re.

Fra tutti quegli uomini di potere si intravvede anche il nostro Berlusconi che vaga fra quella folla spaesato, stordito: con i risultati di queste ultime elezioni ha proprio preso una botta pesante! Ogni tanto si ferma come imbesuito. Ma ecco che all’istante Silvio spalanca gli occhi: ha scoperto seduto fra i notabili il Re di Spagna. «Oh, quello è mio!». Subito lo raggiunge, gli si siede vicino, lo ag- guanta ad un braccio e lo scuote come si fa con un vecchio amico. «Ma che fa? È fuori dal protocollo!» esclama indignato qualcuno. «Non si toccano i Re. E neanche le Regine!».

Napolitano, che sta accanto all’importuno, gli fa cenno di non insistere con quel gesto confidenziale: «È un insulto all’etichetta!». Lui non capisce subito. Poi s’allontana. Qualcuno sta avvertendo i presenti che fra poco ci sarà la cerimonia davanti al Milite Ignoto. C’è una gran folla che applaude fe-stosa Napolitano. Adesso tocca anche a lui, a Berlusconi, godersi il tripudio della gente. Ma il Presidente del Consiglio ottiene solo un modesto battimani seguito da qualche fischio e due pernacchi. Poi esplodono in coro molte grida di rifiuto tipo «vattene! Non c’è festa per te!».

Silvio si guarda intorno incredulo: «Ma con chi ce l’hanno? Ma perché invitano i comunisti?». Anche una suora sollevando le braccia lo dileggia. «Sarà un travestito!». Berlusconi si fa da parte e cerca di nascondersi dietro due imponenti corazzieri. Ma questi con calma si scostano e lo rifanno apparire imbranato come si trova. Il piccol’uomo è frastornato: «Ma cosa sta succedendo?». All’istante, come in un refrain grottesco si ricorda di qualche sbragata commessa qualche giorno fa durante i soliti interventi televisivi prima del fatidico voto: «Sì, È vero... ho gridato: questa non è una normale consultazione amministrativa, ma politica! O Silvio o il caos! La gente viene a votare, per me e sarà come in una ovazione, un tripudio! Potrete sfottermi a pernacchi se il mio gradimento non sarà doppio rispetto a quello che ho guadagnato l’ultima volta! Per Dio! E invece guarda tu che catastrofe! Nelle ultime elezioni ha sempre funzionato ‘sto trucco del terrore! Ma stavolta che è successo? Dove ho toppato? Non ho fatto altro che ripetere il bau bau dell’apocalisse delle invasioni barbariche, come sempre. Attenti gente! Se vincono i rossi vedrete straripare da ogni lato i rom, gli zingari che vi ruberanno i bambini. E appariranno musulmani a frotte. Spunteranno enormi moschee e torri con i muezzin che urlano incitando alla guerra santa. A sto punto m’aspettavo che questi miei sudditi allocchiti abboccassero in massa e si precipitassero ai seggi elettorali gridando: «Alle urne! Alle urne! Fermiamo gli invasori!». E invece per tutta risposta mi han gridato: «Piantala, bugiardaccio! Non ci freghi più con ‘ste panzane! E anzi sai cosa c’è di nuovo... che per te non andremo più a votare, piuttosto daremo la nostra preferenza agli estremisti, tiè».

«Ma perchè? Che ho fatto?» «O niente, ci hai solo promesso bu- fale infinite! Farò questo e quello! Basta con le tasse! In galera gli evasori e i politici corrotti! Dimezzerò gli stipendi a Ministri, Sottosegretari, Senatori e Manager! Darò lavoro a tutti i meritevoli! Scuole ai giovani! Sistemazioni ai disperati! Pensioni dignitose! E questa solfa ce l’hai cantata per un sacco di volte e noi come pecore allocchite «Grazie Silvio! Come sei buono tu! Tu con noi sei come il Buon Pastore! Tu ci tieni nel gregge al calduccio, ci coccoli! Ci fai tosare di dosso la lana! Ci sgozzi i piccoli per farne abbacchi succulenti! Ci assicuri che ci proteggerai dai lupi», ma poi scopriamo che quelli son parenti tuoi e tuoi amici coi quali fai a mezzo del bottino! Ma sai che succede? Che da tosati si resta nudi e ci si accorge della fregatura! Così accade che dai e dai le pecore allocchite si svegliano e dicono: «Ma Vaffanculo!».

«Oh pecore triviali!» «Eh sì, quando ce vò, ce vò! Ma non è finita, caro tirabidoni!», urlano dal gregge. «Il bello, t’accorgerai, arriverà proprio adesso che si va a votare per i quattro referendum!» «No, non son quattro, son solo tre, perché ho richiesto alla Consulta che venga dichiarata nulla la sentenza della Cassazione!» «Eccolo lì, un altro dei tuoi trucchi!» «Il referendum sul nucleare non conta nulla?» «E invece conterà eccome, insieme a quello dell’acqua e sul legittimo impedimento!»

«Ma illusi cari! Non ce la farete mai col quorum! Quella diga sarà come una montagna contro la quale andrete a sbattere tutti!» «No! Hai fatto male i conti! Hai sbagliato a farci arrabbiare! Guai a far incazzar le pecore e i montoni imbesuiti! Diventiamo delle bestie! Ti faremo franare tutto addosso, compresi tutti i tuoi tirapiedi, i servi e i ruffiani!» «E no, cazzo!» «Ecco questa imprecazione la puoi anche urlare! È l’ultimo diritto che rimane al Principe abbattuto!»
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Il vento e l’inciucio. - di Domenico Valter Rizzo



Avevamo sperato che non accadesse, ma puntualmente, com’era purtroppo prevedibile, è avvenuto. Massimo D’Alema non è riuscito a resistere.

Come era già accaduto, quando Berlusconi è in profonda difficoltà, può contare, con assoluta sicurezza, sul soccorso che arriva da Massimo D’Alema. La raffinata proposta è un’idea assolutamente “nuova”: un governissimo. Uno stratagemma geniale per consentire a Berlusconi di recuperare. Insomma tutto pur di non votare adesso e scongiurare il pericolo delle primarie che potrebbero riservare sorprese amare per la nomenclatura del Nazareno. Allora meglio rimettere in sella Berlusconi, magari perdere, ma restare saldamente al comando della nave dal quale si possono ricavare reddite di posizione, che sono sempre meglio di vedere magari un Vendola trionfare alle primarie e magari – da candidato premier – ascendere a Palazzo Chigi.

Già, Vendola. Sulle colonne del Corriere il segretario Bersani ha espresso un forte richiamo alla necessità di convergenze con i centristi (nonostante siano usciti piuttosto maluccio dalle Amministrative) e ha tenuto a precisare, agganciando al volo a un assist di Aldo Cazzullo, che gli ricorda come il leader di Sel nel ’98 votò contro Prodi, che Vendola dovrà dimostrare di essere unalleato “affidabile”. Naturalmente nè Cazzullo e neppure Bersani si ricordano che a mandare a fondo Prodi nell’ultima esperienza di Governo non furono i trinariciuti comunisti, bensì gli affidabili moderati di Mastella.

La vocazione inciucista sembra essere dominante. In suo nome si può sacrificare tutto, soprattutto il “vento nuovo” che campeggia sui manifesti del Pd dopo i ballottaggi, ma che sembra esser diventato esso stesso il vero incubo dei dirigenti del Pd. Un vento che potrebbe far saltare gerarchie, equilibri, carriere garantite. Che potrebbe ridare la parola alla gente e ridurre al silenzio le oligarchie. Si tratta di una spinta che non è facile volgarizzare come protestataria o massimalista, che appare invece caratterizzata da una nuova visione politica che si potrebbe sintetizzare, usando una sorta di ossimoro, nel termine: Riformismo Radicale. Un riformismo cioè capace di aggregare non astratti soggetti “moderati”, ma il ceto medio dell’Italia di oggi, che potrebbe ridare rappresentanza ai lavoratori delle fabbriche, ignorati dalla politica. Un Riformismo Radicale che esca dai bunker delle sedi di partito e punti ad essere rappresentanza politica dei giovani, sui quali le famiglie hanno investito e che non hanno la possibilità di avere una progettualità né di lavoro e neppure di vita personale, e ancora della piccola borghesia professionale, dei certi impiegatizi e intellettuali, che hanno perso il benessere e la sicurezza sociale, dei piccoli e medi imprenditori, degli artigiani strangolati dalla crisi, delle finte partite Iva che lavorano come dipendenti senza diritti e senza sicurezze. Sono questi i moderati? O sono gli uomini di Marchionne e della Marcegaglia, o i Casini e i Buttiglione? Sono questi in realtà gli italiani che hanno risposto nel momento in cui la loro domanda di rappresentanza si è concretizzata, si è incarnata in uomini credibili, in progetti chiari, in schieramenti che non mettevano insieme tutto e il contrario di tutto. Hanno risposto da Milano a Napoli, da Bologna a Cagliari, da Sud a Nord, nel momento in cui la loro domanda ha incontrato l’offerta. Questo è successo alle amministrative. Questa è la lezione che i vertici del Pd stanno cercando disperatamente di non capire.

Questo avviene a Roma, ma cosa accade in periferia? In Sicilia ad esempio.

Qui il Pd ha sperimentato con successo uno dei più sofisticati metodi di suicidio politico. L’appoggio al Governatore Lombardo, fortemente sponsorizzato dalla presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, ha determinato la spaccatura non solo del centrosinistra, ma dello stesso Pd. A dare il colpo di grazia a questa brillante intuizione politica, è stata l’indagine della Procura di Catania che ha iscritto Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa e, adesso, si appresta a chiederne il rinvio a giudizio. Ma neppure questo sembra bastare. Per disancorare il Pd siciliano da questa funesta esperienza, probabilmente ci vorrà lo Svitol.

A Catania, la seconda città dell’Isola, si aprono i giochi per la candidatura a sindaco. La scadenza naturale è nel 2013, ma se si andasse alle elezioni politiche anticipate è prevedibile che l’attuale sindaco del Pdl, Raffaele Stancanelli, si dimetta per garantirsi la rielezione al Senato e allora il voto anche per Palazzo degli Elefanti si avvicinerebbe rapidamente. Nel Pd è pronto a scendere in campo il “nuovo”, il “rinnovamento”. Lo incarnano due personaggi: l’ex sindaco Enzo Bianco eGiuseppe Berretta, deputato di recente nomina. Bianco è ancora ricordato in città più che per la cosiddetta “primavera di Catania”, per aver mollato senza troppi complimenti il secondo mandato, per correre a fare il ministro dell’Interno. Una scelta di sicuro successo nel gradimento dei catanesi. “Questo pensa solo a farsi gli affari suoi…”. Un abbandono che aprì la strada alla disastrosa sindacatura di Umberto Scapagnini, il medico personale di Berlusconi, che portò la città al disastro economico e civile e scappò inseguito da condanne e processi. I catanesi, che Bianco non era più persona gradita, lo spiegarono chiaramente quando si ricandidò proprio contro Scapagnini e venne sonoramente battuto al primo turno. Adesso si propone per fare il bis.

L’alternativa, anche questa come l’appoggio a Lombardo, sponsorizzata sempre della presidente Finocchiaro, è la candidatura di “rinnovamento”: Giuseppe Berretta deputato quarantenne con curriculum di tutto rispetto. Da segretario cittadino nel 2005 portò i Dd a un clamoroso risultato alle Amministrative, quando la Quercia raccolse in città il 5% dei consensi. Fu il peggiore risultato dai tempi della fondazione del Pci nel 1921. Nella lista al consiglio comunale la metà dei candidati non raccolse un solo voto di preferenza. Berretta fu uno degli eletti (insieme ad Anna Finocchiaro che raccolse poco più di un migliaio di preferenze) grazie ad alcune centinaia di voti. Insomma un vincente nato. Lo premiarono subito. Nel 2008 viene infatti nominato deputato nazionale.

Alla voce professione nel suo blog leggiamo: ricercatore universitario e professore aggregato di Diritto del Lavoro presso l’Università Kore di Enna. Di che si tratta? La Kore è l’università il cui rettore è l’ex ministro della difesa craxiano, Salvo Andò e nel cui consiglio di amministrazione siede uno dei padroni di Catania, l’editore Mario Ciancio Sanfilippo. Ma non solo il candidato del rinnovamento a Catania lavora nello studio associato dello zio, l’avvocato Andrea Scuderi. Studio legale che rappresenta i proprietari delle aree di Corso Martiri della Libertà a Catania. Terreni nel cuore della città, sui quali si prepara la più importante operazione immobiliare degli ultimi due secoli nella città etnea. Insomma Berretta candidato a sindaco sembra proprio l’uomo giusto al posto giusto.

Viene da chiedersi cosa succederebbe a Catania se, come molti chiedono, saltasse fuori come a Milano un candidato radicalmente riformista, che si schierasse apertamente contro i poteri forti della città, contro i “nuovi cavalieri dell’apocalisse” e rappresentasse una speranza vera di cambiamento. Un vero incubo. Meglio evitare.