Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 8 giugno 2011
Trapani, la diocesi locale di monsignor Miccichè sotto inchiesta dal Vaticano
Due fondazioni della Curia sono finite nel mirino della Guardia di Finanza per un buco nel bilancio. C'è di pi§ l'autista dello stesso monsignore che sarebbe imparentato con una famiglia mafiosa locale
Il ruolo di Mogavero sarebbe assimilabile quasi a quello di un commissario, nonostante al momento Miccichè rimarrà al vertice della Curia trapanese. Gli ambienti vaticani hanno mantenuto il massimo riserbo su quali “fatti poco chiari” abbiano portato Ratzinger a inviare Mogavero come “visitatore”, e quindi commissario, nella curia trapanese. Quel che è certo è che al decreto d’ispezione chiesto dal cardinale canadese Marc Oullet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, il Vaticano è arrivato soltanto dopo un accurato lavoro di indagine istruttoria condotto da Monsignor Giuseppe Bertello, delegato del Nunzio Apostolico per i rapporti tra la Santa Sede e le diocesi. Le informazioni raccolte da Bertello in pratica non hanno lasciato scelta: a Trapani bisognava per forza mandare un ispettore.
La diocesi più occidentale della Sicilia in effetti negli ultimi tempi ha destato più di un interrogativo. Dallo scorso febbraio infatti la locale sezione di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza indaga sulla gestione finanziaria di due fondazioni della Curia: la Auxilium e la Antonio Campanile. Dopo alcuni articoli del quindicinale L’Isola sotto la lente d’ingrandimento delle fiamme gialle sono finite le pratiche di fusione delle due fondazioni nel 2007: nei bilanci della Curia infatti si sarebbe creato un “buco” di oltre un milione di euro. Miccichè dichiarò di essere all’oscuro dell’indagine in corso declinando qualsiasi tipo di accusa. E’ lui che però, in qualità di presule della città delle saline, ricopre di diritto l’incarico di presidente delle due fondazioni.
L’Auxilium, in particolare, è una delle più importanti realtà socio assistenziali della Sicilia dato che, disponendo di un gande istituto psico-pedagogico e di un grosso centro fisioterapico in cui lavorano oltre 300 persone, può contare su una convenzione con l’Asp di Trapani del valore di oltre 5 milioni di euro di rimborso all’anno. Dal 2009 tra l’altro il vescovo di Trapani ha nominato procuratore dell’Auxilium l’ex dipendente regionale Teodoro Canepa che è anche suo cognato, avendone sposato la sorella Domenica. Su questo il Nunzio Apostolico Bertello deve aver lavorato prima d’inviare la sua relazione alla Congregazione per i Vescovi. Ma non solo. Nel fascicolo che ha convinto il cardinale Oullet e sua santità Benedetto XVI a mandare qualcuno a Trapani per capire cosa stesse succedendo, ci saranno forse anche alcune lettere spedite in passato da alcuni ignoti fedeli addirittura al Cardinale Tarcisio Bertone. Missive anonime in cui si accusa Monsignor Miccichè d’intrattenere pericolose relazioni con tale Orazio Occhipinti. Sulla carta si tratterebbe soltanto del suo autista. Ma secondo gli autori degli scritti anonimi il potere di Occhipinti proprio in seno alla fondazione Auxilium sarebbe notevole, anche in virtù del suo pedigree di provata fede mafiosa. Occhipinti infatti è erede della famiglia mafiosa di Dattilo, un piccolo comune del trapanese, sterminata negli anni ’80 dopo che suo padre Vito e suo zio Antonino furono trucidati durante la guerra tra le varie fazioni affiliate a Cosa Nostra. Una segnalazione – quella fatta dai fedeli anonimi – che se provata potrebbe aver infastidito molto le alte gerarchie ecclesiastiche.
L’interesse della Santa Sede nei confronti della Curia di Trapani si è accesso anche in relazione alla gestione pastorale della diocesi da parte di Miccichè. L’attenzione sarebbe infatti puntata anche sulla recente promozione da parte di Miccichè di un sacerdote, accusato nei primi anni ’90 di aver celebrato clandestinamente il funerale di un mafioso, ucciso in uno scontro a fuoco mentre era latitante. Una situazione quindi molto complessa quella che si presenta nella diocesi trapanese. Situazione sulla quale dovrà da oggi indagare monsignor Mogavero, che oltre ad essere presidente del Consiglio per gli Affari Giuridici della Cei, ha anche un’esperienza triennale alla guida della vicina Curia di Mazara del Vallo. Una conoscenza pregressa della difficile realtà trapanese che sicuramente gioverà all’incarico del neo ispettore. L’incarico di visitatore apostolico tra l’altro non ha alcuna scadenza. Mogavero potrà in pratica disporre tutti gli accertamenti che riterrà opportuni, riferendo l’esito alla Santa Sede, senza alcun limite di tempo. Toccherà poi al Vaticano decidere se e quali operazioni compiere nella Curia di Monsignor Francesco Miccichè.
martedì 7 giugno 2011
Sesto Potere: Internet siamo noi. - di Layla Pavone
Il libro sostiene una tesi che, a suo tempo, non venne condivisa da tutti e cioè che le idee migliori arrivino non dai grandi geni ovvero da personalità eccezionalmente straordinarie per il loro pensiero o le loro azioni, bensì dalla “saggezza dei popoli”.
Attraverso vari casi esemplificativi relativi ad eventi e fenomeni, Surowiecky dimostra come siano quattro le condizioni fondamentali che possono portare un’idea, un progetto, un’iniziativa al pieno compimento ed al successo: l’indipendenza, la diversità delle opinioni, la decentralizzazione e il modo con cui si aggregano e si organizzano i risultati.
E’ evidente come, oggi più che mai, lo sviluppo delle nuove tecnologie, del cosiddetto Web 2.0, dei social network, renda molto più chiara e difficilmente confutabile la tesi dell’autore del libro. Internet è l’elemento chiave che dà forza alle idee e alle persone. Stiamo tutti contribuendo alla rinascita di una coscienza civica, alla ricerca di una “verità condivisa e collettiva”, totalmente in antitesi con i concetti filosofici dell’individualismo e del relativismo che sembravano ormai permeare totalmente la nostra società. Internet siamo Noi, il Sesto Potere.
Io credo sinceramente che tutti gli ambienti di relazione sociale e di condivisione delle informazioni online, rappresentino concretamente e confermino come i quattro elementi: indipendenza, diversità, decentralizzazione ed aggregazione, siano alla base di questa presa di coscienza e di questa straordinaria volontà collettiva di cambiare lo “status quo” e di recuperare, attraverso l’impegno, la fiducia, la collaborazione, la partecipazione e la ricerca di nuove soluzioni, la speranza per un futuro migliore.
Di questo si sta discutendo anche a New York in questi giorni, in occasione del Personal Democracy Forum.
E’ grazie a Internet che è partita la rivolta egiziana. Così anche negli altri Paesi del Nord Africa la Rete è stata un “collante” fenomenale per aggregare fisicamente giovani e meno giovani e renderli consapevoli della forza delle loro idee (qui trovate l’intervista esclusiva fatta a Wael Ghonim, il ragazzo che ha “innescato” la miccia della rivoluzione egiziana attraverso Facebook).
Ora, pur essendo il nostro un Paese anziano dal punto di vista anagrafico, oltretutto “TVcentrico”, mediaticamente parlando, e quindi passivo; pur scontando ancora il cosiddetto “digital divide” (sono online circa 25 milioni di utenti ma manca all’appello ancora una buona metà di italiani che ancora non utilizzano la Rete), Internet sta finalmente dimostrando come la possibilità di esprimere le proprie idee liberamente, da qualunque parte provengano, facendole convergere in luoghi di aggregazione, senza filtri e condizionamenti di sorta, possa contribuire a cambiare le sorti anche della nostra bella Italia.
Proprio nel periodo in cui festeggiamo i 150 anni di Unità Nazionale, cominciamo a riassaporare il valore dell’indipendenza, della libertà di espressione che, unite alla partecipazione e alla volontà di collaborazione, possono realmente e concretamente fare la differenza ed il bene della nostra Nazione. Lo abbiamo potuto toccare con mano durante le recenti elezioni amministrative per le quali Internet ha fatto la differenza e speriamo possa accadere anche per i prossimi referendum, e la farà sempre di più, anche pensando alla Rai che ieri ha deciso di eliminare una trasmissione come Annozero dal palinsesto, nonostante i grandi numeri in termini di audience e gli importanti ricavi pubblicitari che generava.
Ecomafie, “Serve una normativa urgente Nei dati ufficiali i veleni nemmeno esistono”. - di Claudia Campese
Presentato il rapporto 2011 di Legambiente. Quasi trecento clan impegnati in 30mila illeciti accertati. Per un business da più di 19 miliardi di euro. In testa alla classifica ancora il Sud, ma il fenomeno è in espansione in Lazio e Lombardia. L'associazione denuncia: “Sui rifiuti le cifre del ministero sono sballate”
In una situazione in cui la cattiva gestione dei rifiuti e il ciclo del cemento assorbono la metà degli illeciti ambientali compiuti in Italia, il governo è fermo al 1997. Quando, spiega nel dossier Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, è stata fatta la prima proposta di inserimento dei reati ambientali nel codice penale. Negli anni è arrivato solo un timido schema di decreto, osteggiato da Confindustria e che comunque non accoglieva i dettami delle direttive europee in materia. Che “chiedono sanzioni efficaci, proporzionate, dissuasive”, precisa Dezza. Al momento, invece, “per il reato di discarica abusiva e omessa bonifica l’ammenda sale da 2.600 euro a 26.000 – aggiunge il presidente -, per una cava abusiva o l’inquinamento dell’aria al massimo si arriva a 1.032 euro, per lo sversamento in corpi idrici di acque reflue industriali l’ammenda raggiunge i 52.000 euro. Mentre non si prevede nulla per i reati relativi al ciclo del cemento”. E la carenza normativa è evidente anche nell’assenza di organi istituzionali in possesso di dati ufficiali e verificati. Comel’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che fa capo al ministero dell’Ambiente. Secondo le indagini dell’istituto, in Italia non esisterebbe nessun giro illegale di rifiuti: un dato che si basa su autodichiarazioni delle ditte, fa notare Legambiente. Anzi, per il Sipra, vengono gestite 4,6 tonnellate di rifiuti in più di quelli che si producono. Una cifra che non è sballata dall’import di scorie altrui, ma da un metodo di raccola dei dati – sconsigliato dalla Ue, si dice nel dossier – che favorisce il rischio di duplicazione dei dati nei passaggi intermedi della vita del rifiuto: dalla raccolta allo stoccaggio, o riciclo. Insomma, i conti non tornano e in mezzo ci si perde la fetta illegale. “Sarebbe stato, invece, importante che l’Istituto fornisse i dati sulla quantità di rifiuti pericolosi effettivamente gestiti, un dato da sempre mancante”, si denuncia nel dossier.
Se resta difficile capire il volume reale dei traffici ambientali illegali, sicura è invece l’associazione riguardo ai responsabili. Circa 300 clan – venti in più rispetto al 2009 – con la collaborazione necessaria di “un esercito di colletti bianchi”. Personaggi con un “ampia disponibilità di denaro linquido da una parte – spiega Fontana -, competenze professionali e società di copertura dall’altra”. Per un volume di affari che solo nel 2010 è stato di 19,3 miliardi di euro, comunque in ribasso di 1,2 miliardi rispetto al 2009. Una fortuna costruita su più di 30mila illeciti accertati: 7,8 per cento in più rispetto al 2009. Una cifra che, rapportata al quotidiano, significa più di 84 reati al giorno, 3 e mezzo ogni ora. Tra questi, quasi la metà sono rappresentati dallo smaltimento illegale dei rifiuti e dal ciclo del cemento: i primi in crescita del 14 per cento rispetto allo scorso anno, i secondi in diminuzione a causa della crisi, ma solo di poche centinaia di interventi. L’“attuale abusivismo edilizio non è frutto di necessità e attacca le aree a maggior valore aggiunto”, si spiega nel dossier. L’altra metà delle violazioni ambientali è invece formata dal traffico internazionale di specie animali e vegetali, alterazioni agroalimentari, incendi dolosi. In cima alla non lusinghiera classifica ci sono ancora una volta le regioni con un tradizionale radicamento mafioso: prima tra tutte la Campania – con il 12,5 per cento del totale nazionale degli illeciti -, seguita da Calabria,Sicilia e Puglia. La loro incidenza è però diminuita. Frutto del contributo delle regioni del nord ovest, prima tra tutte la Lombardia: cresciuta rispetto allo scorso anno dal 9,8 per cento degli illeciti nazionali al 12 per cento.
Il 2010, riporta il dossier, è stato un anno record per le inchieste sul traffico dei veleni. Ogni ora e mezza, in Italia, viene compiuto un illecito relativo allo smaltimento dei rifiuti, per un totale di 6mila violazioni lo scorso anno. Circa 2 milioni le tonnellate di immondizia sequestrate in 12 delle 29 inchieste condotte. Di non tutte sono disponibili i dati, spiega Legambiente, e di certo si tratterebbe solo di una parte dei reali traffici nel Paese. In cui sono cambiate le rotte, “sempre più circolari, coinvolgendo tutte le regioni, con l’unica eccezione della Val d’Aosta e proiettandosi pure su scala mondiale”. Un business sempre più internazionale, con 10 inchieste condotte nel 2010 che hanno coinvolto 15 Paesi tra Europa, Asia e Africa. “Italia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, un percorso tipico – spiega Legambiente -. Cinque, sei, sette passaggi per ogni carico, questa è la regola”. Gli scarti di plastica e carta sono diretti soprattutto in Cina, mentre i rottami ferrosi in Africa. “Escono rifiuti, entrano prodotti finiti”, ricorda l’associazione, come giocattoli o oggetti, spesso sequestrati perché tossici. La tecnica classica per coprire gli illeciti è quella del ‘giro bolla’: falsificare i codici che accompagnano gli scarti, così da rendere legale quello che non lo è. Almeno sulla carta. “I codici più esibiti dai trasportatori sono quelli relativi a materie prime seconde o imballaggi – si legge nel rapporto -, spesso solo un trucco per nasconde il traffico illegale di sostanze molto velenose”. Nello scorso anno l’Agenzia delle dogane ha inoltrato alle autorità competenti più di 100 notizie di reato per traffico internazionale di rifiuti e sequestrato nei porti italiani più di 11 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi. Più del doppio rispetto al 2009. Di queste, il 16 per cento riguarda ad esempio pneumatici fuori uso. Ogni anno, secondo le stime ufficiali, ne spariscono dalla contabilità 80mila. Più di 800 campi da calcio, in parte ritrovati in 1250 discariche abusive. Quando non vengono rivenduti nei mercati illegali o usati per bruciare altri rifiuti, più pericolosi. “Come nel Parco dell’Alta Murgia – racconta, il documento – dove uno di questi siti illegali era stato preparato come una torta: sotto l’amianto, poi scarti di varia tipologia e sopra i copertoni da bruciare”. Una perdita economica per lo Stato di 140 milioni di euro l’anno per il mancato pagamento dell’iva sulle attività di smaltimento e vendita illegale, senza contare i soldi spesi per lo smaltimento dei siti illegali smaltimento. A guidare la classifica delle regioni più esposte è ancora una volta il sud ma, dopo il Lazio al quinto posto, a soprendere è il negativo balzo in avanti della Lombardia: passata dal quattordicesimo posto del 2009 al sesto dello scorso anno. Colpa della “intraprendenza delle famiglie, soprattutto calabresi, nell’intera provincia milanese”, spiega Legambiente.
Una classifica in parte diversa quella che riguarda invece il ciclo del cemento. Con una media di 19 violazioni accertate al giorno nel 2010. Illeciti che riguardano in gran parte l’abusivismo che, lo scorso anno, è cresciuto al ritmo di più di 26mila casi gravi, secondo le stime del Cresme, istituto di ricerce specializzato nell’edilizia. Con 18mila nuove abituazioni costruite non a norma, mentre gli altri casi riguardano gli ampliamenti e i cambiamenti di destinazioni d’uso compiuti illegalmente. “Questa prassi devastante – denuncia Legambiente – rischia di trovare legalizzazione nelle premesse di condono degli esponenti politici della maggioranza di governo. Dallo stesso Berlusconi, a Napoli, in appoggio al candidato sindaco Lattieri”. Quando il premier, in vista delle elezioni amministrative, ha promesso lo stop agli abbattimenti delle costruzione abusive a Napoli. Ma il ciclo del cemento riguarda anche il calcestruzzo depotenziato: il cemento scadente usato per costruire, ad esempio, una serie di palazzine di edilizia popolare a Campagna, in provincia di Salerno, “destinate alle vittime del terremoto del 1980”. E sequestrate nei primi giorni di aprile. Ma la Campania, storicamente in testa alla classifica, quest’anno è stata superata dalla Calabria, dove gran parte degli illeciti riguardano gli appalti per l’autostrada. Non solo maxi inchieste, sottolinea l’associazione, nel settore sono diversi i segnali della criminalità nei cantieri autostradali. “E’ ottobre 2010 il mese più nero”, spiegano, quando si sono registrate la maggior parte delle intimidazione, dei furti, del ritrovamento dei finti ordigni. Al terzo posto è invece il Lazio, dove dal 2004 al 2009 si sono compiuti una media di 20 illeciti edilizi al giorno. “Il 22 per cento di questi – si specifica nel dossier – si concentra nei 23 comuni costieri della regione, in aree vincolate paesaggisticamente”. Resta invece prima tra le regioni del nord la Lombardia, ottava nella classifica generale. A preoccupare di più, però, è il fenomeno della costruzione delle case in zone ad alto rischio idrogeologico. In Calabria, dove tutti i comuni hanno delle aree a rischio, che ospitano torrenti e fiumare, il cemento abusivo ha coperto l’anno scorso gran parte della costa, facendo registrare un abuso ogni 100 metri. Si tratta di più di 5mila illeciti in tutta la regione e, tra questi, circa 2mila nella sola provincia di Reggio Calabria. E non va meglio in Campania dove, secondo il Cnr, frane e inondazioni hanno ucciso più di 600 persone dal 1950 al 2008. Eppure nella regione, in dieci anni, sono state costruite 60mila case abusive: 6mila all’anno, 16 al giorno.
Frode per 3 miliardi, indagato Verdiglione.
Sequestrate 2 ville nel milanese, chiusa inchiesta per 26 persone.
MILAN - La Guardia di finanza di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 26 persone tra cui lo psicanalista Armando Verdiglione, accusati a vario titolo di emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, truffa in danno di istituto di credito per ottenere finanziamenti, truffa ai danni dello Stato e cioe' del ministero per i Beni culturali e appropriazione indebita. L'inchiesta che e' stata coordinata dal pm milanese Bruna Albertini ha portato inoltre il gip Cristina Mannocci a disporre il sequestro preventivo di due ville storiche in provincia di Milano tra cui Villa San Carlo Borromeo di Senago (ospita una delle sedi dell'Universita' del Secondo Rinascimento), il cui valore complessivo e' di circa 300 milioni di euro.
Nel corso delle indagini che sono iniziate circa due anni fa sono state scoperte fatture per operazioni inesistenti per circa 3 miliardi di euro mentre l'Iva evasa sarebbe stata, secondo gli accertamenti, di 300 milioni di euro. Armando Verdiglione negli anni '80 e' stato al centro di una serie di vicende giudiziarie relative all'attivita' sua, della sua fondazione e dei suoi collaboratori.
Le indagini della Guardia di Finanza, che hanno portato ad accertare un giro di fatture false per circa tre miliardi di euro, hanno riguardato un gruppo societario composto da associazioni culturali, fondazioni e onlus, riferibili allo stesso Verdiglione, che e' indagato con altre 25 persone, tra cui la moglie Cristina Frua De Angeli e altri collaboratori. Le Fiamme Gialle, durante gli accertamenti hanno scoperto un rilevante giro di transazioni finanziarie supportate da operazioni economiche fittizie - tra cui consulenze aziendali, commerciali e di marketing, corsi di formazione e di vendita e acquisto di opere d'arte - finalizzato all'evasione fiscale e ad ottenere linee di credito indebite da parte delle banche.
L'inchiesta ha portato alla luce anche fatture false per lavori edili riferibili alle dimore storiche del gruppo, e cioe' anche alle due ville sequestrate (la S.Carlo Borromeo di Senago e Villa Rasini di Medolago) con lo scopo di beneficiare di sovvenzioni pubbliche, visto l'interesse architettonico di due degli edifici. Tra le accuse contestate agli indagati, anche l'associazione a delinquere finalizzata all'emissione e all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2011/06/07/visualizza_new.html_840411345.html
Centrale biomasse Pavia, arrestato il patron di Riso Scotti. Altri tre in carcere. - di Andrea Di Stefano
Clamorosa retata contro le truffe sull’energia prodotta da fonti falsamente rinnovabili. Questa mattina il Corpo Forestale dello Stato e la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato hanno arrestato, e condotto in carcere, Franco Centili, funzionario del Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. di Roma e notificato gli arresti domiciliari ad Angelo Dario Scotti, Vice Presidente del CdA di Riso Scotti Energia, nonché Presidente del CdA e Amministratore delegato di Riso Scotti S.p.A, Andrea Raffaelli, funzionario del G.S.E. di Roma; Elio Nicola Ostellino, ex consulente esterno di Assoelettrica e Nicola Farina, commercialista di fiducia del Gruppo Scotti con studio a Milano. Le accuse: traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni di ente pubblico, frode in pubbliche forniture e corruzione.
L’ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal Gip di Milano, Stefania Donadeo, che ha accolto le richieste del pm Ilda Boccassini controfirmate dal Procuratore capo del capoluogo lombardo, Edmondo Bruti Liberati. Si tratta del nuovo filone di una lunga indagine condotta dal Corpo Forestale dello Stato sull’impianto di coincenerimento di Pavia della Riso Scotti Energia, autorizzato inizialmente per l’impiego esclusivo di lolla di riso e altre biomasse, e successivamente – con provvedimenti autorizzativi della Provincia e della Regione di dubbia legittimità – anche all’incenerimento di variegate tipologie di rifiuti, erano stati conferiti per l’incenerimento ingenti quantitativi di rifiuti – anche pericolosi – non conformi alle autorizzazioni sia per tipologia che per la presenza di inquinanti in misura superiore ai valori limite fissati dalle normative di settore.
In tal modo Riso Scotti Energia aveva ceduto al Gestore dei Servizi Energetici – società interamente posseduta dal ministero dell’Economia – usufruendo di pubbliche sovvenzioni e quindi ad un prezzo superiore a quello di mercato, energia elettrica falsamente qualificata come derivante da fonti rinnovabili = biomasse, ricavando indebiti profitti pari ad almeno 28 milioni di euro. Nel mese di novembre 2010, in relazione alle accertate violazioni legge, l’Autorità Giudiziaria aveva già disposto gli arresti domiciliari per 7 indagati e il sequestro preventivo dell’impianto di coincenerimento del gruppo Scotti.
Contestualmente all’esecuzione delle misure cautelari partivano nuove intercettazioni telefoniche, sia per riscontrare le ipotesi di truffa aggravata e di frode in pubbliche forniture, già contestate (che vedevano l’ente pubblico Gestore Servizi Energetici come persona offesa) sia per raccogliere nuovi elementi di eventuali corruzioni riconducibili a Riso Scotti Energia nei confronti di funzionari del G.S.E. per ottenere il mantenimento degli incentivi economici. Incentivi che a seguito di una verifica ispettiva erano stati sospesi, tanto che era stata formalmente richiesta alla Riso Scotti Energia la restituzione di 7 milioni di euro.
Dalle intercettazioni è emerso sin da subito il tentativo di Riso Scotti Energia, avallato e sostenuto dalla proprietà, di risolvere in modo favorevole il contenzioso maturato con il Gestore Servizi Energetici attraverso l’intervento di persone amiche, dipendenti e/o collaboratori della Pubblica Amministrazione, in grado di modificare e/o annullare le decisioni sfavorevoli assunte dalla società pubblica che dopo l’esplosione dell’inchiesta avevano bloccato la corresponsione dei contributi.
La pratica sarebbe stata infatti “sbloccata positivamente“ (vale a dire che erano stati mantenuti gli incentivi economici di cui era stata in precedenza chiesta la restituzione) grazie all’intervento di Franco Centili, all’epoca dei fatti funzionario del Gestore Servizi Energetici, e, dopo il pensionamento, consulente esterno del Gestore pubblico, in stretto contatto con Nicola Ostellino, consulente in materia energetica, soggetto molto influente che nel corso di una conversazione afferma chiaramente di avere “tutto il G.S.E. lubrificato”.
Le circostanze emerse dalle indagini sono state confermate dagli interrogatori degli indagati Giorgio Radice e Giorgio Francescone, rispettivamente presidente del Cda e direttore tecnico di Riso Scotti Energia.
Radice ha ammesso di avere pagato, per risolvere il contenzioso con il G.S.E., consistenti somme di denaro in contante a favore di funzionari del G.S.E., con il pieno avallo e sostegno del proprietario di RSE Angelo Dario Scotti, e in particolare di avere pagato complessivamente 115.000 euro (100.000 a Franco Centili e 15.000 a Andrea Raffaelli), aggiungendo che al momento del suo arresto restava da pagare a Centili l’ultima tranche di 15.000 euro.
Ha poi confermato di essersi rivolto anche a Nicola Ostellino per farsi assistere nel contenzioso, senza avere versato a quest’ultimo, in modo diretto, somme di denaro. Anche Francescone ha confermato il pagamento di tangenti a Centili, aggiungendo che l’esborso di denaro è stato giustificato attraverso il pagamento di una fattura a favore di una società “off shore” per una consulenza in materia energetica.
Al fine di monetizzare la somma necessaria il commercialista di fiducia del Gruppo Scotti Nicola Farina aveva pianificato una operazione meramente finanziaria, individuando in una società statunitense il soggetto a cui la società Riso Scotti Energia avrebbe apparentemente commissionato una fittizia consulenza per un progetto di realizzazione di un impianto termoelettrico per un corrispettivo di circa 140 mila euro. Alla fine dell’operazione, la Scotti Energia riotteneva la somma in contanti, al netto delle provvigioni trattenute dalla Società compiacente, e poteva provvedere ai pagamenti in nero.