martedì 5 luglio 2011

Parma: la coop che lavorava per il Comune per assumere voleva una dichiarazione di voto.


La vicenda è quasi incredibile. Un documento che era assolutamente illegale. E anticostituzionale

Non solo emettevano fatture gonfiate per servizi mai effettuati. Non solo facevano parte di un giro dicorruzione che favoriva negli appalti chi pagava o chi si prestava a effettuare lavoretti gratis nelle case private dei dirigenti pubblici. Non solo coprivano il gioco di chi pigliava e portava a casa mazzette e favori di tutti i tipi. Sws, student work service, era una sorta di cagnolino fedele dei dirigenti coinvolti nell’inchiesta della Guardia di finanza, realizzando ogni prestazione venisse chiesta ‘dall’alto’. Tanto che Giangy Andreaus e Tommy Mori pare effettuassero sondaggi e domande equivoche al posto di effettuare colloqui di lavoro per capire dove soffiasse il vento politico e realizzare indagini di mercato su abitudini dei cittadini di Parma.

La prima denuncia era arrivata da alcune giovani studentesse già l’anno scorso. Una denuncia ripescata oggi dell’associazione Insurgent city, che nel pomeriggio ha distribuito alla folla che stava protestando contro il Comune il questionario che la Sws sottoponeva a chi si presentava per un colloquio di lavoro. Un questionario su cui appaiono domande quanto mai fuori luogo: “Quale quotidiano leggi abitualmente? Quando sei stato l’ultima volta al cinema? Quando hai acquistato l’ultimo cd? Quando hai scaricato l’ultima canzone da internet? Qual è il tuo sito internet preferito? Qual è il tuo film, libro, cd preferito? Quando sei stato l’ultima volta ad un concerto? Quando hai comprato l’ultimo vestito? Quando hai comprato l’ultimo paio di scarpe? In che negozio? Di che marca?”. E ancora, entrando sempre più nel personale: “A quanto ammontava il tuo ultimo stipendio? Qual è la tua trasmissione televisiva preferita? Qual è l’uomo e la donna che preferisci in politica? Cos’hai votato nelle ultime elezioni politiche (2008)? Cos’hai votato nelle ultime elezioni amministrative?”.

Domande palesemente anticostituzionali, dato che il voto è segreto. E che fanno intuire come dietro a questi questionari ci fossero obiettivi diversi da una selezione lavorativa: nemmeno in una domanda si chiede qualcosa riguardo titoli di studio, abilità professionali, esperienze lavorative, conoscenze linguistiche. “Le ipotesi sono due – spiega Andrea Bui, di Insurgent city – O si volevano raccogliere informazioni o si faceva selezione del personale in modi poco professionali: cosa interessa sapere cosa ha votato chi andrà a distribuire i bidoncini per la raccolta differenziata? O a chi farà l’accompagnatore dei bambini nell’Happy bus? Mi viene da pensare che si facesserodiscriminazioni, visto che non interessavano minimamente le reali abilità o qualifiche delle persone”.

Ma le domande imbarazzanti non finiscono qui. Il questionario prosegue con: “Sei single, sposato, separato, fidanzato? Quando sei stato fuori a cena e dove? E a ballare? Svolgi qualche attività in palestra? Quando sei stato l’ultima volta in chiesa? Che lavoro vorresti fare? La professione del padre? Della madre?”. Quesiti che sembrano più utili a un casting da miss che a un colloquio di lavoro. O a un sondaggio da pre-campagna elettorale, visto che a locali, ristoranti e moda questa giunta Vignaliha sempre dimostrato di tenerci molto.


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E se internet entrasse nella Costituzione? Oggi "Notte della Rete contro il bavaglio". - di Stefano Corradino

E se internet entrasse nella Costituzione? Oggi "Notte della Rete contro il bavaglio"
“Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”. E’ il testo di un disegno di legge costituzionale presentato lo scorso novembre e che reca “disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accesso al web”. Un articolo21-bis della Costituzione che estenderebbe a Internet il principio della libertà di espressione espresso dal 21° articolo della nostra Carta.

A lanciare la proposta lo scorso anno è stato il giurista Stefano Rodotà nel corso dell’Internet Governance Forum che ha avuto luogo a Roma. Una proposta frutto di una riflessione lunga ed elaborata e non improvvisata sull’onda dell’emergenza. Già nel 2003 lo stesso Rodotà, allora Garante per la privacy, rifletteva sull’esigenza di fissare alcuni principi costituzionali per preservare le libertà civili e digitali: una Costituzione europea allo scopo di individuare regole comuni ai diversi stati europei per garantire a tutti l’uso libero di Internet.

L’idea di una modifica in tal senso della nostra carta costituzionale parte quindi da lontano, dal concetto che un’adeguata “copertura costituzionale” possa mettere l’immenso territorio della rete al riparo da chi tenta di metterci impunemente le mani, e regolarlo in modo restrittivo.
Una proposta che di fatto modificherebbe uno dei capisaldi della prima parte della Costituzione. Ma al contrario di chi in modo dissennato e pericoloso ha proposto, ad esempio, di modificare l’articolo 1cancellando il riferimento al lavoro così da stravolgere un diritto acquisito e frutto di battaglie di libertà e di emancipazione, l’articolo21 bis costituirebbe l’estensione di un diritto e l’acquisizione del concetto di rete come “bene comune”.

Oggi a Roma il mondo della rete si mobilita contro una delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per cui, in nome della salvaguardia del diritto d’autore si rischierebbe la chiusura di decine di migliaia di siti internet, giornali o line, blog e profili dei social network. Un’istituzione amministrativa potrebbe infatti assumere le sembianze del giudice, determinando l’oscuramento dei siti ‘rei’ di violare la normativa medesima. Un’ipotesi grave, sciuagurata, illegittima che dovrà essere contrastata con forza, nelle piazze virtuali e in quelle reali, nelle sedi politiche e in quelle legali, nazionali e internazionali.

Perché non impegnarci concretamente su questa proposta di un articolo bis della Costituzione (e di una specifica Costituzione europea) come risposta a tutti i tentativi passati, presenti e futuri di imbavagliare la rete?



La Rai e gli sfregi della banda degli onesti. Domani alle 14 tutti davanti a San Macuto. - Giuseppe Giulietti.

La Rai e gli sfregi della banda degli onesti. Domani alle 14 tutti davanti a San Macuto

Alla Rai è davvero cambiato tutto, prima quelli sgraditi a Berlusconi venivano cacciati a colpi di pubblici editti, ora vengono accompagnati alla porta ed invitati ad andarsene. Non c’è bisogno di leggere le intercettazioni per capire che, sia pure con modi e toni diversi, è in piena attuazione il piano per dissolvere la Rai e stroncare qualsiasi anomalia editoriale, a partire da Raitre. Basta leggere la lettera di Serena Dandini, pubblicata dal Corriere della Sera, per rendersi conto di quanto sta accadendo. Dopo la sostanziale espulsione di Santoro e di Saviano, la scena si sta ora ripetendo con Milena Gabanelli e Serena Dandini, considerate persone non gradite, forse anche loro saranno nel lunghissimo elenco di quelle e quelli "che mi hanno fatto perdere le elezioni e i referendum"
Nel frattempo Berlusconi e famiglia ringraziano due volte. La prima perchè la Rai esegue i comandi, la seconda perchè la medesima Rai si sta suicidando industrialmente allontanando da sè non solo alcuni tra i migliori talenti professionali, ma anche il pubblico che li seguiva e li seguirà.

Dal momento che l'obiettivo palese di questo assalto è quello di imbavagliare la pubblica opinione e di dissolvere quello che ancora resta della Rai chiederemo a tutte le associazioni del settore, a tutti i sindacati, a tutte le forze politiche di promuovere insieme una gigantesca class action, di raccogliere milioni di firme, e di presentarle nel corso di una grande manifestazione nazionale contro ogni forma di bavaglio: dalle intercettazioni alla rete, dalle censure al conflitto di interessi impugnato come una clava per abbattere avversari e competitori politici ed industriali.

“Se non ora quando?” Con queste parole un coraggioso gruppo di donne, innamorate della Costituzione, convocarono a Roma una straordinaria manifestazione, una di quelle che hanno segnato il risveglio nazionale , la fine di un lungo periodo segnato dalla acquiescenza, dal torpore, talvolta anche dalle complicità.
Mai come in queste ore sarà il caso di ripetere “Se non ora quando?” e di presidiare on inaudita passione civile l’articolo 21 della Costituzione dalle ultime raffiche di un regime morente, ma no per questo meno pericoloso, anzi.
Questo è il momento per mettere insieme partiti, movimenti, associazioni, sindacati, per concordare una azione quotidiana, pressante, incisiva, che non conosca pause, sino alla vittoria finale.

Chiunque abbia idee e proposte le tiri fuori: class action contro la Rai, esposti alla Corte dei conti, ricorso al tribunale ordinario, iniziative davanti alle sedi delle silenti autorità di garanzia, manifestazioni davanti alla sede del parlamento europeo, della corte internazionale dei diritti, delle istituzioni e delle assemblee elettive, a cominciare dalla Camera e dal Senato, utilizzo delle rete per far impazzire il censore, iniziative in tutte le piazze italiane dedicate alla libertà di informazione, sino ad arrivare ad un grande manifestazione nazionale, da indire quando riporteranno in aula la legge madre di ogni bavaglio: quella sulle intercettazioni.

Di fronte a quello che sta accadendo ci auguriamo davvero che ciascuno rimetta in un cassetto lo spirito di parte , di partito, di associazione, di organizzazione, per mettersi a disposizione di una grande battaglia per la legalità repubblicana e per la dignità costituzionale. Teniamoci pronti perchè questa "banda degli onesti" non esiterà neanche nel mese di agosto per mettere a segno l'ultimo sfregio. Se sarà il caso dovremo essere pronti a rispondere sempre e comunque, anche nella giornata di ferragosto!

“Fuori le Logge dalla Rai” - Domani, 6 luglio alle ore 14 appuntamento davanti alla sede di Palazzo San Macuto.

http://www.articolo21.org/3490/notizia/la-rai-e-gli-sfregi-della-banda-degli-onesti.html


Operazione Apice: i soldi del pizzo per il matrimonio della figlia. - di Rino Giacalone


Appalti, l’ortofrutta, le mediazioni, la riorganizzazione mafiosa. C’era tutto questo nell’«agenda» di Gaetano Riina, 79 anni, arrestato venerdì dai carabinieri di Monreale in una indagine...

...che pur concentrata sulla provincia di Palermo, sulla Corleone che in parte continua a riconoscere il potere sanguinario dei Riina, tocca anche la provincia di Trapani e non solo per la circostanza che Gaetano Riina da tempo abita a Mazara del Vallo. Ci sono, nell’elenco delle malefatte scoperte, le estorsioni che Gaetano Riina avrebbe compiuto per appalti banditi dalla Provincia regionale di Trapani. Ci sono gli interessi che non avrebbe nascosto nell’ambito dei mercati ortofrutticoli mazarese e marsalese, i suoi rapporti con gli imprenditori agricoli Sfraga di Marsala, gli stessi coinvolti nell’indagine sul mercato di Fondi e nei rapporti con i casalesi. Gli stessi rapporti che sarebbero stati mediati dal capo mafia latitante Matteo Messina Denaro.

È possibile che Gaetano Riina avrebbe imposto il «pizzo» a Trapani senza concordare nulla con Messina Denaro? La risposta degli investigatori è negativa, anzi l’indagine sul fratello di “Totò u curtu” tradirebbe quelle che sono le nuove alleanze che si muovono nel contesto mafioso. Riina e Messina Denaro sono tornati a stare assieme semmai si siano mai «divisi»: è una cosa il rispetto tenuto da Matteo Messina Denaro nei confronti di Bernardo Provenzano (rispetto garantito sino a quando però il boss non fu arrestato, la scoperta che il “vecchio” teneva intatto l’archivio dei “pizzini” fece andare su tutte le furie il giovane boss secondo il racconto scritto in altri “pizzini”), un’altra cosa l’obbedienza verso Totò Riina. D’altra parte in alcuni «pizzini» diretti a “Binnu” Provenzano e trovati nella masseria di Montagna dei Cavalli dove il “fantasma di Corleone” è stato catturato, “Alessio”, alias di Matteo Messina Denaro, fa riferimento a notizie che gli sarebbero giunte da «Ttr», Totò Riina hanno letto gli investigatori. Sebbene in carcere al 41 bis, Totò Riina sarebbe riuscito a fare veicolare messaggi verso il giovane padrino di Castelvetrano. Ma c’è un altro elemento che conferma il legame tra Matteo Messina Denaro e Gaetano Riina: le indagini dei carabinieri di Monreale hanno registrato un incontro che ci fu tra lui, Gaetano Riina, e lo «zio Franco», al secolo Francesco Luppino di Campobello di Mazara, «longa manus» del boss latitante.
L’estorsione. La richiesta estorsiva avrebbe riguardato i lavori di manutenzione straordinaria della strada provinciale 29 (Trapani-Salemi, appalto per 1 milione di euro del febbraio 2010), secondo l’ordinanza eseguita all’esito delle indagini condotte dai carabinieri a riscuotere il pizzo sarebbero stati un certo Giuseppe Genna di Paceco, e un tale Riccardo Di Girolamo, una parte di quei soldi furono spesi per il matrimonio della figlia di Riina, la divisione avrebbe riguardato anche i mandamenti di Mazara e Trapani, e anche Ninetta Bagaella, la moglie di Totò Riina.
Dalla sua villetta, molto dimessa, di Mazara, dove era andato ad abitare, Gaetano Riina si sarebbe occupato anche dei commerci di frutta, di quello che succedeva nei più importanti mercati della provincia di Trapani. Insomma il suo sguardo non era tutto rivolto su Corleone.

Il legame con Mazara da parte dei Riina è antico e forte. Mazara del Vallo è da decenni la città di Gaetano Riina e lì venerdì i carabinieri del comando di Monreale sono andati ad arrestarlo, in una casa in via degli sportivi nella frazione di Tonnarella. Anche suo fratello Totò non disdegnava di frequentare la cittadina trapanese, e durante la sua lunghissima latitanza, qui ha trascorso tante giornate d’estate, ma anche alcune di quelle invernali, «ospite» di uno dei suoi storici alleati, il capo di Cosa nostra mazarese, Mariano Agate. Partecipando a summit presso la Calcestruzzi Mazara, di proprietà della famiglia Agate, sedendo a capotavola e distribuendo complimenti agli amici fidati, oppure decidendo di togliere le spine, così diceva, quando c’era da fare ammazzare qualcuno. Frequentazione, quella con Agate, comune anche per Gaetano Riina.
Il nome del fratello di «Totò u curtu» compare in diverse indagini giudiziarie, a cominciare da quella condotta negli anni ’70 attorno alla «Stella d’Oriente» una società costituita dal cugino di Mariano Agate, Giuseppe Di Stefano e da Giuseppe Mandalari, il commercialista palermitano, professionista di fiducia di Riina, e il cui nome compare anche a proposito della “iniziazione” della loggia massonica coperta di Trapani, «Iside 2». La società costituita a Palermo fu trasferita come sede a Mazara, sancì la «collaborazione» tra mafia e camorra, soci divennero una serie di conclamati mafiosi, Mariano Agate, suo fratello Giovan Battista, Salvatore Tamburello, parenti dei fratelli Nuvoletta di Napoli, capo-clan dell’omonima famiglia camorristica. Gaetano Riina aveva lì suo cognato, Vito Maggio. Amministratore unico fu nominato Vito Manciaracina, genitore di Andrea, il giovane che negli anni 80 ebbe modo di appartarsi a quattr’occhi con il senatore Andreotti durante una visita di questi a Mazara. La società serviva al riciclaggio di denaro, con trasferimenti di ingente contante (2 miliardi di vecchie lire) in Svizzera. Soldi si pensa provenienti dai traffici di droga.
Ma la vicenda più clamorosa nella quale compare il nome di Gaetano Riina è quella relativa alla confisca di una sua villa, e di un terreno, posseduti ancora e sempre a Mazara. Una confisca che determinò la inappellabile sentenza di morte pronunciata dal tribunale mafioso contro un giudice, Alberto Giacomelli, ucciso il 14 settembre del 1988 appena fuori Trapani, era già in pensione ma per quella firma apposta in calce all’ordinanza di confisca era rimasto nell’elenco delle vittime designate. La confisca risale al 1985, a firmare il dispositivo in primo grado fu il giudice Giacomelli. Gaetano Riina continuò ad abitare la villa nonostante l’avesse avuta confiscata e quando arrivò l’ordine di sfratto nel 1988, scattò la vendetta. Giacomelli fu ucciso e poi la mafia completò l’opera infangando il nome come solo Cosa nostra è capace di fare. Un finto pentito poi consegnò alla magistratura una banda di balordi che Giacomelli in passato aveva condannato, ma loro col delitto non c’entravano nulla. Ad entrare in azione era stata una banda di sicari mandati da Totò Riina che così ha voluto difendere il “buon” nome del fratello. Totò Riina per questo delitto ha avuto inflitto un ergastolo, la villa che fu di Gaetano Riina oggi è sede del comando della Guardia di Finanza a Mazara. Fu confiscato anche un terreno, ma quello ancora oggi rimane inutilizzato. A Trapani non è una novità che i beni confiscati restino confiscati sulla carta. In attesa di assegnazione restano, per esempio, i 70 ettari sottratti al narcotrafficante mafioso di Salemi Totò Miceli, il Comune li ebbe assegnati ma non li ha mai dati in gestione, tante parole e tante buone intenzioni, fino a quando non è stata intercettata una conversazione dell’attuale sindaco, Vittorio Sgarbi, che quando c’era da assegnare il terreno a Libera e a Slow Food disse chiaramente che “a quelli di don Ciotti” non avrebbe dato niente. Sgarbi è il sindaco che sostiene che la mafia non esiste più, e che ci sono i mafiosi incapaci di organizzarsi, a pochi chilometri da Salemi, a Mazara c’era il fratello di Totò Riina, Gaetano, che non solo ha dimostrato a 79 anni capacità di riorganizzazioni, ma faceva le estorsioni sotto al naso dei politici che negano l’esistenza di Cosa nostra.



Sicilia, nell’Assemblea regionale 24 indagati I movimenti ne chiedono lo scioglimento. - Antonio Condorelli.



Ventiquattro deputati dell’Assemblea regionale siciliana sono sotto inchiesta. E quattro di loro sono stati arrestati negli ultimi mesi. Sono sospettati di reati che vanno dalla truffa, alla concussione, al falso, al concorso in associazione mafiosa. Sono esponenti sia del Pd che del Pdl, passando per l’Mpa. Secondo la legge derivante dall’autonomia sicula devono essere chiamati “onorevoli”. Alle 17.00 è iniziata la protesta dei movimenti civici palermitani che hanno tappezzato la città di striscioni, con una sola richiesta: lo scioglimento dell’Assemblea regionale.

Il capofila è il presidente della regione Sicilia Raffaele Lombardo, fondatore dell’Mpa, indagato per concorso in associazione mafiosa, la sua posizione è stata stralciata dal procuratore capo di CataniaMichelangelo Patanè, che ha disposto la revoca dell’indagine ai quattro pm titolari che avevano chiesto il rinvio a giudizio. Lombardo si è detto sempre estraneo ai fatti, confermando soltanto rapporti “che nascono in politica” con alcuni pregiudicati e boss mafiosi. Lombardo, successore di Totò Cuffaro (attualmente in carcere con una condanna a 7 anni per mafia), rappresenta la punta di un iceberg.

A unire “onorevoli” di destra e sinistra sono spesso capi d’imputazione e manette, nella totale normalizzazione del sistema elettorale siciliano.

PARTITO DEMOCRATICO. Il deputato regionale del partito democratico Gaspare Vitrano, vicino alla corrente che sostiene politicamente Raffaele Lombardo in cambio degli assessorati, è stato arrestato per concussione: gli inquirenti ipotizzano che abbia intascato una tangente su alcuni impianti fotovoltaici. Adesso è tornato in libertà, ma i magistrati hanno disposto il “divieto di soggiorno in Sicilia”.

Gli eponenti del partito democratico Elio Galvagno e Salvatore Termine sono indagati per falso in bilancio nell’inchiesta sulla gestione dell’Ato rifiuti di Enna, il collega democratico messinese Giuseppe Picciolo è indagato per simulazione di reato e calunnia aggravata.

POPOLARI ITALIA DOMANI. Fausto Fagone è stato arrestato con l’accusa di concorso in associazione mafiosa nell’inchiesta Iblis della procura di Catania; il suo collega Santino Catalano, eletto con l’Mpa e poi transitato nel Pid, ha patteggiato una condanna a 1 anno e 2 mesi per falso e abuso d’ufficio. Quando la commissione Verifica poteri dell’Ars doveva pronunciarsi sulla sua decadenza per “incandidabilità originaria”, il voto trasversale a scrutinio segreto l’ha salvato tra gli applausi dei colleghi onorevoli. A chiudere la lista dei deputati del Pid sotto inchiesta c’è Rudi Maira, indagato per associazione a delinquere finalizzata alla gestione di appalti pubblici.

UNIONE DEMOCRATICI CENTRO. Mario Parlavecchio è indagato insieme al collega del Pdl Francesco Cascio, nell’inchiesta sulla mancata adozione dei piani antinquinamento previsti dalla legge. Marco Forzese è indagato nell’inchiesta sulle promozioni facili al Comune di Catania.

POPOPO DELLA LIBERTA’. I berlusconiani in Sicilia non scherzano. Giuseppe Buzzanca è stato condannato definitivamente a 6 mesi per peculato: doveva partire in crociera con la moglie e arrivò con l’auto blu sino alla Puglia. Il deputato Fabio Mancuso, presidente della commissione Ambiente, ex sindaco della città di Adrano (CT), è indagato per corruzione, concussione e abuso d’ufficio per circa 90mila euro ricevuti da una società di calcio. Il pm catanese Andrea Bonomo ha però chiesto la condanna soltanto per il presunto abuso d’ufficio, chiesta l’assoluzione per gli altri capi d’imputazione. Il collega Salvino Caputo, che presiede la commissione Attività Produttive, è stato condannato a due anni per tentato abuso d’ufficio e falso ideologico. La pena è sospesa. Caputo nel 2004, da sindaco di Monreale, avrebbe evitato che il vescovo locale pagasse alcune contravvenzioni. Il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Francesco Cascio è indagato per omissione di atti d’ufficio perché da assessore regionale non avrebbe adottato misure adeguate, come previsto dalla legge, contro l’inquinamento atmosferico. Insieme a lui sono indagati anche Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro, in pratica, secondo le ipotesi dell’accusa, non avrebbero redatto i piani antinquinamento nonostante i dati allarmanti delle centraline. Nino D’Asero è indagato nell’inchiesta sulle promozioni facili del Comune di Catania.

SICILIA VERA. Il leader Cateno De Luca è stato arrestato il 28 giugno 2011 con l’accusa di abuso d’ufficio e concussione. Gli sono stati concessi i domiciliari.

FORZA DEL SUD. Il movimento del sottosegretario Gianfranco Miccichè, pupillo di Marcello Dell’Utri, vede indagati due onorevoli: Franco Mineo, rinviato a giudizio con l’accusa di intestazione fittizia di beni, usura, concussione e peculato e Michele Cimino. Per quest’ultimo la procura ha chiesto l’archiviazione per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio.

ALLEATI PER LA SICILIA. Giovanni Cristaudo è indagato per concorso in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Iblis della procura di Catania.

MOVIMENTO PER L’AUTONOMIA. Anche il movimento del presidente della Regione Raffaele Lombardo non delude le aspettative. Riccardo Minardo, presso la cui segreteria c’è la sede provinciale di Ragusa dell’Mpa, è ai domiciliari per truffa. Giuseppe Federico è indagato per voto di scambio. Giuseppe Arena è indagato per falso ideologico nell’inchiesta sul buco di bilancio del Comune di Catania, era assessore in quota Alleanza Nazionale durante la sindacatura di Umberto Scapagnini, medico di Berlusconi. Arena risulta indagato anche nell’inchiesta sulle promozioni facili al Comune insieme a Raffaele Lombardo e decine di altri indagati. Giovanni Di Mauro è indagato per omissione di atti d’ufficio nell’inchiesta sulla mancata adozione dei piani antinquinamento. Giuseppe Gennuso dell’Mpa è indagato per concorso in falso ed occultamento di atto pubblico nell’inchiesta della Dia di Palermo sui Bingo e i Monopoli di Stato.



Berlusconi e i cortigiani reggi-pitale. - Peter Gomez






La decisione di inserire nella legge finanziaria una norma per evitare alla Fininvest e al suo padrone di pagare alla Cir di Carlo De Benedetti il risarcimento per i giudici comprati durante il caso Mondadori, e il conseguente scippo della casa editrice, rappresenta una soglia di non ritorno. Non per Silvio Berlusconi, che quella soglia l’ha già superata da un pezzo, ma per tutta la sua maggioranza e per i suoi (ultimi) supporter.

Dalla difesa della libertà del premier (dai processi e dalle sentenze) si passa a quella apertamente dichiarata dei suoi soldi. Sapendo oltretutto benissimo che un’eventuale condanna civile in secondo grado di Fininvest, anche eguale a quella inflitta in primo grado (750 milioni di euro), non ridurrà Berlusconi sul lastrico, ma lo renderà appena un po’ meno ricco.

Che Berlusconi lo faccia non stupisce. Il vecchio leader del Pdl sente di essere al tramonto. Al di là delle dichiarazioni di facciata, teme che questa sia la sua ultima legislatura da presidente del Consiglio. E allora tenta di arraffare tutto quello che c’è ancora da arraffare. In fondo tiene famiglia pure lui.

Più interessante è invece riflettere sulla stupidità del resto della Corte. Cercare d’introdurre, a quattro giorni dal verdetto d’appello sul lodo Mondadori, una norma del genere, è una follia per chi tra i cortigiani pensa di continuare a fare politica anche nei prossimi anni. La manovra impone sacrifici a milioni di cittadini. Gli elettori del Pdl, e sopratutto quelli della Lega, hanno già preso malissimo la scelta di rinviare al 2013 i tagli ai costi della Casta. E ora si trovano di fronte a un decreto legge che punta a far pagare tutti meno uno: il loro leader.

Certo, nelle prossime ore, assisteremo al consueto fuoco di sbarramento teso a spiegare che qui chi doveva incassare non era l’erario, ma l’odiato Carlo De Benedetti. Altre voci faranno poi notare che la legge vale per tutti quelli che hanno in ballo risarcimenti civili superiori ai 20 milioni di euro (cioè pochissime aziende ndr). Qualche buontempone, infine, dirà che la norma non cancella i pagamenti, ma si limita a congelarli sino alla cassazione.

Resta però un fatto: centinaia di migliaia di cittadini, anzi milioni, sanno benissimo per diretta esperienza personale che nelle cause civili, fino ad ora, prima si versava il dovuto e poi si sperava nel ricorso. In questo clima, insomma, prenderli per fessi sui soldi (magari a colpi di televisioni e di tg) non è esattamente quella che si definisce una grande idea.

Se fino a due anni fa, quando votava le leggi pro Berlusconi, il centrodestra poteva sostenere che il premier aveva dietro di sé la maggioranza del paese, oggi a quella favola non crede più nessuno.Per tutti, finalmente, la questione Berlusconi diventa quello che era sempre stata e che in molti facevano però finta di non vedere: una semplice questione d’interessi personali e soldi.

Una faccenda esclusiva di un uomo anziano che non riesce più a evitare di farla fuori dal vaso. Di un ricco signore che, giorno dopo giorno, rischia sempre più di vedere discostarsi di un passo coloro i quali gli reggono ancora il pitale. Di un politico dal futuro sempre più breve, ormai disposto a combattere solo per sé e per la sua roba.



Berlusconi ritira la salva-Finvest, « vergognosa montatura». Paola Pica


MILANO
- Berlusconi ritira la norma salva-Fininvest. «Per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata». Così il presidente del consiglio e proprietario del gruppo del gruppo Fininvest che controlla tra le altre Mondadori Mediaset e il Milan in una nota diffusa nel pomeriggio di una giornata di forti tensioni nella maggioranza di governo. La cosiddetta norma «ad aziendam» spuntata a sorpresa nella manovra di stabilizzazione finanziaria aveva scatenato la polemica. Si tratta di una leggina sulla sospensione dell'esecutività dei risarcimenti che avrebbe evitato alla Fininvest di Silvio Berlusconi di versare alla Cir di Carlo De Benedetti 750 milioni di euro. Una mossa che precedeva di pochi giorni il verdetto di secondo grado dei giudici atteso alla fine della settimana.

Il premier: come faccio a pagare? (15 giugno 2011)

LA DICHIARAZIONE - «Nell'ambito della cosiddetta manovra -si legge nella dichiarazione di Berlusconi- è stata approvata una norma per evitare attraverso il rilascio di una fideiussione bancaria il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non ancora definitive, senza alcuna garanzia sulla restituzione in caso di modifica della sentenza nel grado successivo. Si tratta di una norma non solo giusta ma doverosa specie in un momento di crisi dove una sentenza sbagliata può creare gravissimi problemi alle imprese e ai cittadini». «Le opposizioni -sottolinea- hanno promosso una nuova crociata contro questa norma pensando che, tra migliaia di potenziali destinatari, si potrebbe applicare anche a una societá del mio gruppo. Si è prospettato infatti che tale norma avrebbe trovato applicazione nella vertenza Cir- Fininvest dando così per scontato che la Corte di Appello di Milano effettivamente condannerá la Fininvest al pagamento di una somma addirittura superiore al valore di borsa delle quote di Mondadori possedute dalla Fininvest. Conoscendo la vicenda ritengo di poter escludere che ciò possa accadere e anzi sono certo che la Corte d'Appello di Milano non potrá che annullare una sentenza di primo grado assolutamente infondata e profondamente ingiusta. Il contrario costituirebbe un'assurda e incredibile negazione di principi giuridici fondamentali», assicura il premier. «Per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata.Spero non accada che i lavoratori di qualche impresa, in crisi perchè colpita da una sentenza provvisoria esecutiva, si debbano ricordare di questa vergognosa montatura», rimarca Berlusconi..

IL GELO DELLA LEGA, SI SFILA GHEDINI - Il Carroccio non ha fatto mistero del «profondo malumore» dei ministri della Lega Nord. Ma da quel testo che secondo la procedura è stato inviato da Palazzo Chigi (dove è stato visto per l'ultima volta) al Quirinale hanno preso le distanze un po' tutti, persino Niccolò Ghedini, avvocato personale del premier e deputato Pdl : «Non l'ho scritto io, non ne sapevo nulla»

IL SILENZIO DI TREMONTI - Nella bufera è rimasto in silenzio il ministro dell'Economia Giulio Tremonti che, si dice, non ne sapesse nulla. Si dice anche che il suo silenzio nasconda la profonda irritazione. Dopo aver annullato la conferenza stampa di presentazione della manovra prevista a mezzogiorno - decisione almeno ufficialmente motivata con le difficoltà a raggiungere Roma a causa del maltempo - Tremonti ha confermato la sua presenza nel pomeriggio al Teatro Centrale in Piazza del Gesù viene presentato il libro sulle fondazioni di Fabio Corsico. Oltre al ministro saranno presenti, tra gli altri, il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il presidente della Cariplo e dell'Acri Giuseppe Guzzetti. C'è molta attesa per l'eventuale presa di posizione del ministro.

VIETTI: A RISCHIO IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA - Il vice-presidente del Csm, Michele Vietti, aveva posto l'accento sul principio di uguaglianza: «Non entro nel dettaglio di una norma non ancora presentata in Parlamento - spiega Vietti - ma voglio solo rilevare che il principio dell'esecutività delle sentenze di secondo grado è un principio generale che vigeva già prima che diventassero provvisoriamente esecutive le sentenze di primo grado. Modificare questo principio significherebbe rischiare di stravolgere il sistema giudiziario e credo che convenga non farlo per non violare il principio di eguaglianza fra i cittadini di fronte alla legge».

LA REAZIONE DEL COLLE - «Non dico nulla. Sulla manovra, quando sarà il momento, conoscerete le nostre determinazioni». Così, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, presente al convegno «Europa più democratica», ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento sul testo trasmesso dal governo al Quirinale.

IL PD: ALFANO? SEGRETARIO DEL PREMIER - Per il Pd il neosegretario politico del Pdl Angelino Alfano è in realtà «il segretario di Berlusconi», mentre il capogruppo Pd Dario Franceschini chiede di «conoscere l'opinione precisa del segretario del PdL sulla norma relativa al lodo Mondadori. Per altro il segretario del PdL, che nei giorni scorsi ha parlato di partito degli onesti, è anche, e non è dato sapere per quanto, ministro della Giustizia. È quindi indispensabile conoscere con chiarezza la sua posizione»

L'ALTOLA' DELLA STAMPA CATTOLICA - «Errori da correggere», chiede il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Mentre di «ipocrisia e incompetenza» nel gestire le sorti del Paese parla Famiglia Cristiana nel numero in uscita. «La manovcra non ci pare equa» scrive il settimanale- «Per essere davvero giusta dovrebbe chiedere a tutti di tirare la cinghia». A cominciare dai politici, cui spetta dare l'esempio. E invece? I tagli agli scandalosi costi dei politici vengono rimandati al futuro» scrive il settimanale. Inoltre la manovra è, per Famiglia Cristiana, «simile alla politica cui siamo abituati da anni: solo parole». «Nel documento economico di Tremonti brillano per assenza due promesse strombazzate in campagna elettorale: abolizione delle Province e quoziente familiare (ora Fattore famiglia).

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